22 December, 2024
HomeSpettacoloTeatro-Musica-DanzaNell’ambito della rassegna “La Rosa bianca. Un altro genere di storie”, venerdì 6 dicembre al Teatro la Vetreria di Pirri, andrà in scena “Il fuoco di Hanifa” di Francesco Zarzana e Silvia Resta, con Caterina Vertova.

Nell’ambito della rassegna “La Rosa bianca. Un altro genere di storie”, venerdì 6 dicembre al Teatro la Vetreria di Pirri, andrà in scena “Il fuoco di Hanifa” di Francesco Zarzana e Silvia Resta, con Caterina Vertova.

Nuovo appuntamento con la rassegna “La Rosa bianca. Un altro genere di storie”, venerdì 6 dicembre 2013, ore 21 al Teatro la Vetreria di Pirri, andrà in scena, interpretato da Caterina Vertova, “Il fuoco di Hanifa” di Francesco Zarzana e Silvia Resta.

Il testo di Zarzana – Resta viene portato in scena da Caterina Vertova in prima assoluta nazionale a Cagliari per il progetto curato da Il Crogiuolo.

Tre donne contemporanee. Neda, Hanifa e Rose. Tre voci dalle cronache dei nostri tempi.

Dall’Iran, la voce di Neda Salehi Agha Soltan, la studentessa uccisa a Teheran durante le proteste divampate dopo le elezioni presidenziali di Ahmadinejad del 2009 e barbaramente represse dal regime. Grazie alla diffusione di un video amatoriale che ne ha documentata la morte, il suo nome è velocemente diventato un grido di protesta in tutto il mondo, scandito dagli oppositori al regime.

In persiano Neda significa “voce” o “chiamata” e per questo il suo nome è diventato  la “voce dell’Iran” e il suo volto,  un simbolo di tutti i manifestanti per la democrazia

Dall’Afghanistan, la storia di Hanifa. Volti sofferenti e sguardi di paura, sono quelli della schiavitù in cui sono ridotte, poco più che bambine, le donne afgane vendute dai loro padri a mariti troppo vecchi, troppo violenti. E’ lo strazio di migliaia di giovanissime ragazze che per sfuggire ai matrimoni combinati, scelgono di darsi fuoco. Si cospargono di benzina e si bruciano. Alcune muoiono, altre finiscono ustionate a vita.

È la loro dannata strada per la libertà.

Dal Kenya, l’ultima protagonista: si chiama Rose. Come le rose che lei va a tagliare nelle serre sul lago Neivasha. Le giovani tagliatrici, prive di qualsiasi protezione, sono costrette, per pochi dollari, a respirare polveri tossiche e concimi killer dieci ore al giorno, sotto i teloni trasparenti a più di quaranta gradi. Una città di plastica sorta per il profitto delle multinazionali, che produce tumori e fiori.

Fiori che finiscono in occidente, comprati e scambiati come simbolo d’amore.

«Ho incontrato tante donne sulla mia strada di cronista. Ricche e povere. Sottomesse e ribelli. Vittime di violenze e di abusi, o attive protagoniste della loro vita. Ho capito che non ce n’è una, in fondo, che non abbia lo stesso sogno. Lo stesso bisogno di libertà. Ho conosciuto Rose e Hanifa, e non le dimentico. Portare in teatro il loro sogno spezzato è la mia piccola dedica.» Silvia Resta

«Scrivere un testo sui diritti umani e sui diritti delle donne in particolare, è sempre un atto doveroso che diventa spesso denuncia. E basta solo dare uno sguardo alle situazioni internazionali per capire che c’è molto da fare. E ancora una volta è il linguaggio del teatro, che dà voce a chi non ce l’ha. La città di plastica offre al pubblico le storie di tre ragazze, tutte drammaticamente autentiche e drammaticamente reali, come quelle di tante che nel mondo non riescono a raggiungere i loro sogni e le loro speranze.»  Francesco Zarzana

L’Associazione Cul
Domenica 8 dicembre,

giampaolo.cirronis@gmail.com

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