E’ il caso di dirlo, dalla cantonata di una deputata, capogruppo alla Camera, che in un’intervista a Radio Radicale dichiarava che l’età anagrafica minima necessaria per diventare presidente della Repubblica non le sembrava fosse menzionata nella Costituzione, sbottando con un memorabile “E dove sta scritto?”, nasce l’emblematico titolo del reading che ha avuto luogo sabato 1 giugno presso il salone Velio Spano a Carbonia; un momento celebrativo per la festa della Repubblica, allo scopo di far riflettere sul presente, recuperando il meglio dei valori civili e sociali scritti nella nostra legge fondamentale, spesso non abbastanza “frequentata”. «D’altra parte – hanno dichiarato gli organizzatori dell’evento, appartenenti al Centro Servizi Culturali Carbonia Iglesias della Società Umanitaria – tale titolo ci ha permesso di mettere in evidenza quanto i cittadini, noi che abbiamo realizzato l’evento compresi, siano lontani dal conoscere il vasto contenuto della Costituzione e quanto, alle volte, lo siano anche i coloro che ci governano.» Era il 26 gennaio del 1955 quando Piero Calamandrei pronunciò nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria di Milano un memorabile discorso d’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare, in modo accessibile a tutti, i principi morali e giuridici ritenuti fondamento della vita associativa. Il discorso è ancora oggi di un’attualità disarmate ed in prima fila, al Velio Spano, erano seduti alcuni studenti, forse più disillusi, e la cittadinanza. «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» – diceva Calamandrei, citando l’articolo 34 -, «quando l’individuo non ha i mezzi è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Anche nel Sulcis? Anche – e soprattutto – oggi? Parafrasando il Calamandrei, occorre dare lavoro ed una giusta retribuzione a tutti, una scuola pubblica di qualità, occorreva ed occorre “dare a tutti gli uomini dignità di uomo”. Soltanto quando questo sarà raggiunto – continua il giornalista, giurista, politico, scrittore, poeta e docente universitario (1889-1956) – si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo – “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”- corrisponderà alla realtà. Perché – drammaticamente attuale questo passaggio – «fino a che non ci sarà la possibilità, per ogni uomo, di lavorare, di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società». Ancora oggi la Costituzione italiana è una realtà soltanto in parte: «In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere». Ebbene c’è tanto lavoro da compiere. La Costituzione è a nostra disposizione: impariamo a servircene, cogliendone il senso polemico e di giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, come strumento di legalità utile per trasformarlo, per modificarlo gradualmente. Serviamocene, in questa società «in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche». Impegnamoci ad esigere che certe promesse vengano rispettate e facciamolo partecipando attivamente, combattendo l’indifferenza alla politica. A tal proposito, nel suo discorso, Calamandrei racconta l’edificante aneddoto di due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno dei due dormiva nella stiva mentre l’altro che stava sul ponte si accorse che il piroscafo oscillava a causa di onde altissime, nel mezzo di una burrasca. Impaurito, quest’ultimo, corse a domandare ad un marinaio se fossero in pericolo: «Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda». Corso in stiva a svegliare il compagno, spiegando la possibile sorte del bastimento, il contadino si sentì rispondere: «Che me ne importa, non è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica. «E’ così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare piuttosto che interessarsi alla politica. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica». Chi legge ciò che scrivo, da anni, è al corrente di quanto io non ami riempirmi la bocca di buonismo e retorica gratuita e prego tutti di non travisare il senso di questi virgolettati. Li ho riportati con l’intento – credo il medesimo di coloro che hanno organizzato l’evento e ai quali va il mio ringraziamento per aver reso l’ennesimo servizio utile alla città e per avermi dato l’occasione di poter toccare l’argomento – di far scaturire una seria riflessione a proposito di solidarietà sociale, ma anche umana e della nostra comune sorte. «Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, – continua Calamandrei – il 2 giugno 1946, un popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori – il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico – in questo è fondamentale il contributo della scuola, a partire dagli asili, ndr -, la coscienza civica”. Io scorgo in queste parole, con gioia, l’invito a considerarci parte di un tutto, nei limiti della Sardegna (non mi avventuro in “perigliose” considerazioni, d’appartenenza, di sentire propria tale Costituzione, comuni a molti sardi), dell’Italia e nel mondo. La Costituzione italiana racchiude nei suoi articoli tutta la storia ed il passato del Paese (con il beneplacito dei nostri numerosi costituzionalisti e di Benigni, che ne ha fornito una parafrasi memorabile quanto quella di Piero Calamandrei – ma decisamente più gravosa sulle tasche della Tv di Stato) e dietro questi articoli si scorgono precise posizioni politiche. «“Quando io leggo nell’art. 2, l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo, nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, “l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Dietro a ogni articolo di questa costituzione voi dovete vedere giovani, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade delle città italiane, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti.» La lettura di tale discorso ha concluso il reading, organizzato dal Centro Servizi Culturali Carbonia Iglesias della Società Umanitaria, facente parte di un programma più vasto, promosso dall’assessorato alle Politiche sociali e giovanili della Provincia di Carbonia Iglesias, che ha voluto celebrare cinque giornate simbolo del nostro calendario civile, il 25 aprile, la giornata di impegno per la legalità e contro tutte le mafie, la Giornata Internazionale della Non-violenza, il ricordo di Antonio Gramsci e, appunto, il 2 giugno, Festa della Repubblica. L’incontro pubblico è stato preceduto e seguito da una serie di incontri nelle scuole superiori dove, utilizzando lo strumento audiovisivo, si sono invitati i ragazzi a riflettere sul senso e sui valori della Costituzione. «Agli appuntamenti – raccontano gli organizzatori – è stato presente l’assessore Luca Pizzuto, il quale agli studenti ed alle persone intervenute al reading ha consegnato copia della Costituzione. Il reading ha riscosso un buon gradimento da parte del pubblico presente: una cinquantina, tra cui diversi giovani, hanno scelto di partecipare, nonostante la concomitanza con innumerevoli altre manifestazioni di rilievo tra cui il Girotonno, e hanno avuto modo di apprezzare il taglio partecipativo e “nuovo” dell’iniziativa. Così come spiegato nell’introduzione all’evento, il reading constava di alcuni testi su articoli specifici della Carta, prodotti da ragazze e ragazzi di Carbonia, che hanno quindi voluto esemplificare in questo modo il loro ruolo di cittadine e cittadini attivi.» Sull’improvvisato palco del salone, le letture di Benedetta Deriu e Marco Lisci, accompagnati dalle note jazz di Matteo Leone, giovane promessa della musica sulcitana, hanno trasformato la sala – solitamente utilizzata per le proiezioni cinematografiche – in un piccolo teatro dal sapore metropolitano. Cinzia Crobu