Il gruppo UDC in Consiglio comunale a Carbonia ha presentato una mozione sulla gestione della ASL 7 con richiesta di revoca dell’attuale dirigenza.
Il gruppo UDC in Consiglio comunale a Carbonia, formato da Vincenzo Panio, Antonello Mereu, Francesco Fele, Michele Stivaletta ed Antonio Carta, ha presentato una mozione sulla gestione della ASL 7 con richiesta di revoca dell’attuale dirigenza.
«In questi ultimi giorni – si legge nella mozione – è tornato alla ribalta il tema della Sanità nel Sulcis Iglesiente con riferimento espresso alle assai scadenti perfomance dell’Azienda Sanitaria Locale n. 7 e delle tanto discutibili strategie poste in atto dal sua dirigenza, con la conseguenza che l’assistenza erogata risulta gravemente ridotta a livelli del tutto inadeguati rispetto ai bisogni reali del territorio.
Anche negli anni scorsi, a cadenze più o meno regolari, tale tema è stato più volte sollevato e posto anche all’attenzione di questo Consiglio Comunale che, dopo averlo ripetutamente esaminato, non ha saputo andare oltre generiche prese di pozione, peraltro spesso dopo aspri scontri tra le parti politiche in campo ove ha trovato profonda eco la difesa sia delle scelte adottate sia quella dell’azione delle lobby professionali e di potere che tali scelte hanno imposto e fatto attuare.
Nel frattempo, i problemi della quantità e, soprattutto, della qualità della salute garantita nel territorio, non solo non si sono risolti ma, con voluta e sistematica gradualità, sono andati a raggiungere livelli di vero allarme che, con crescente frequenza, si traducono in situazioni di vera e propria “sanità negata”!
E’ il risultato di una politica generale regionale già di per sé miope e caratterizzata sempre di più, soprattutto negli ultimi anni, da scelte settoriali non solo incapaci di interpretare le istanze dei territori ma, come nel caso della sanità, fortemente influenzate da pesanti interessi privatistici che finiscono per prevalere, a qualunque costo, su quelli generali.
Infatti, non è un caso che, almeno negli ultimi cinque anni, i “pezzi da novanta” della politica regionale in materia di salute – al di là di coloro che nominalmente hanno occupato formalmente le istituzioni delegate al settore – si siano identificati con esponenti di organizzazioni non sempre molto cristalline ma anche con soggetti che, contemporaneamente, hanno agito in base alla sedia nella quale poggiavano di volta in volta il proprio “fondo schiena”: da un lato programmatori dell’intervento pubblico, dall’altro esponenti ufficiali e/o occulti di enti e organismi di rappresentanza della sanità privata, cliniche e baronie varie!
Infatti, come è noto, nel frattempo è cresciuto a dismisura il business dell’area sanitasria privata e, in proporzione, sono state ridotte le risorse all’area pubblica mentre il livello complessivo di qualità dell’assistenza sanitaria, tranne qualche rarissimo esempio, è andato via via scadendo a livelli mai conosciuti.
La prospettiva, del resto, non lascia intravedere mutamenti di rotta. Anzi, la stessa idea più volte affacciata di potenziare i due grandi poli sanitari accentrati su Cagliari e Sassari, al fine – si sostiene – di elevare al massimo l’eccellenza, se non accompagnata da un’organica riprogettazione della sanità locale in tutti i territori e la conseguente riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza di base, finirà in un ulteriore impoverimento delle “periferie” ove risulterà ancora più accentuato l’attuale già grave divario tra l’offerta in campo e i reali bisogni di salute espressi e, dunque, non sarà garantito al cittadino il diritto a quella completa continuità assistenziale che è e deve rimanere il pilastro portante della sanità pubblica per tutti.
Gioco forza, ne deriverà un ampio spazio di insoddisfazione che sarà colmato (guarda caso!) da una crescita – voluta! – delle strutture private, attingendo così ingenti risorse dalle casse pubbliche senza assicurare un adeguato standard di sanità locale nella prevenzione e nella cura pre-ospedaliera. Tanto meno in quella ospedaliera, le cui strutture, come nel caso del Sulcis-Iglesiente, stanno subendo, e ancora di più sarà in futuro, un pericoloso e dannoso depauperamento dei servizi, delle professionalità e delle prestazioni.
Quanto sopra, specialmente nel nostro territorio, spesso avviene nel dispregio totale della stessa legge che impone un costante procedimento di consultazione da parte del vertice dell’azienda sanitaria con le istanze democratiche che rappresentano i cittadini: i Comuni. Infatti, le cosiddette “conferenze socio-sanitarie”, organismo di rappresentanza territoriale, spesso vengono ignorate e si procede con decisioni assunte in solitudine a pericolosi ridimensionamenti al ribasso dei servizi, millantandole come “processi di razionalizzazione ed efficienza” rivolti ad un impiego più produttivo delle risorse, salvo poi verificare che ciò, quasi sempre, si traduce in tagli indiscriminati delle prestazioni sanitarie e che, al contrario, cresce il volume di risorse da destinare a un ristretto numero di privilegiati dirigenti della ASL in premi di risultato o altre prebende. Cioè, l’imperativo è tagliare i costi comunque, anche se ciò riduce l’assistenza, non eliminare le improduttività.
In questo quadro, a Carbonia – ma attendibili notizie ci dicono che ad Iglesias la musica non cambia (basta vedere la recente mozione di censura approvata da quel Consiglio Comunale contro la dirigenza della ASL, accusata di gravi inadempienze) – da almeno quindici anni, con marcate accentuazioni negli ultimi cinque anni, si registra un sostanziale smantellamento dei servizi sanitari che, per esempio, nell’ospedale di Carbonia, determina una riduzione dei posti letto dai 384 dell’anno 2000 agli attuali poco più di 130, facendo registrare un taglio netto di circa 250 posti letto; ciò sebbene siano stati aperti nuovi servizi che, peraltro, alla prova dei fatti, si sono talvolta rivelati incapaci di funzionare.
Gli organici dell’intera ASL n. 7, per effetto dei tagli su tutti i servizi e delle cosiddette esternalizzazioni hanno fatto registrare un costante decremento che, dall’anno 2000 circa ad oggi, ha comportato una riduzione dell’occupazione da circa 2.350 unità a circa 1.850 del 2008 e a circa 1.300 unità del 2014, facendo mancare al territorio un’occupazione di ben un migliaio di posti di lavoro in totale, compensati molto parzialmente dagli occupati assorbiti dalle accennate esternalizzazioni, come lavaggio biancheria, catering, ecc.; peraltro gran parte di questa occupazione è andata a ricadere in altri territori.
Per non parlare della fuga indotta di sanitari che, diventati termine di confronto scomodo, sono stati “costretti” ad andar via dal territorio, come nel caso di colui che unanimemente viene considerato il più autorevole chirurgo ginecologico in Sardegna.
Soprattutto negli ultimi anni è stata operata una drastica riduzione degli acquisti di attrezzature, dispositivi e presidi medici chirurgici, oltre che dei farmaci, non sulla base di un accertato e comprovato precedente eccesso di forniture ma semplicemente perché l’obiettivo da raggiungere è comunque la riduzione della spesa, anche se ciò comporta di sovente il blocco di talune attività mediche o, quanto meno, la loro considerevole contrazione, come talvolta è avvenuto per la stessa attività chirurgia, spesso bloccata, anche parte di quella già programmata, per carenza di personale d’ausilio al chirurgo (vedasi anestesisti). I risparmi, a carico della qualità della prestazione, almeno una parte, sono destinati agli incentivi a taluni capiservizio.
Cresce in tal modo a dismisura il costo di quel calvario dei pazienti che viene definito come “mobilità passiva”. Infatti, la mancanza di risposte delle indebolite strutture del territorio, ovvero le modeste quantità e qualità di risposta offerte ai pazienti, induce questi a spostarsi in altri territori, area di Cagliari in testa, per visite e prestazioni sanitarie – talvolta anche elementari – che qui non vengono garantite ovvero si possono avere dopo mesi di attesa. Ne consegue un costo per la collettività di circa 22 milioni di euro l’anno, frutto in larga misura del depotenziamento e dei tagli irrazionali dei servizi. Parte di quei denari, guarda caso, finisce nelle casse della sanità privata e crea occupazione altrove, mentre noi la perdiamo.
Il Pronto Soccorso: purtroppo è un esempio abbastanza noto a migliaia di cittadini, costretti, quando vi ricorrono, a interminabili code che fanno registrare, rispetto a dieci anni fa, tempi di attesa quanto meno quintuplicati.
L’elenco del fallimento dell’attuale gestione della ASL sul versante di Carbonia, ma, si ripete, ad Iglesias non cambia molto, potrebbe continuare tanto da poter dimostrare che questa malasanità riguarda tutti i comparti: ridimensionamento – forse sarebbe meglio parlare di sostanziale chiusura – del reparto Pediatria, compreso il depotenziamento della chirurgia pediatrica ad Iglesias; le chiusure estive di taluni reparti assumendo a pretesto le ferie dei medici; il taglio dei fondi per le procedure di accertamento delle invalidità; la costante crescita dei tempi di attesa per visite specialistiche. E l’elenco potrebbe continuare!
Questa non è la sanità che vogliamo!
Tutto questo è l’effetto del tradimento del ruolo dell’azienda sanitaria locale, così come il suo impianto istitutivo è definito nella legislazione: programmazione e gestione delle risorse in maniera appropriata rispetto alla domanda socio-sanitaria del paziente-cittadino il cui soddisfacimento deve essere l’unico obiettivo, basando le strategie operative sul costante controllo e adeguamento delle attività che devono restare perfettamente coerenti allo stesso obiettivo rispetto al quale deve essere perseguito l’equilibrio economico-finanziario di bilancio.
Non i tagli indiscriminati ma, se tagli ci devono essere, essi devono verificarsi secondo un concetto di economicità dell’azienda sanitaria che deve, per l’alto valore e utilità sociale che interpreta, soddisfare non prioritariamente ma esclusivamente i propri fini istituzionali. Quindi, poco ha a che fare con un concetto di economicità che invece prevale a Carbonia, eminentemente di tipo finanziario e ragionieristico così come di solito viene correlato a tale termine. Infatti, nel caso delle aziende sanitarie, l’economicità deve essere intesa come grado di capacità di produrre salute al minor costo possibile ma con la maggiore soddisfazione del cittadino-paziente.
Ancora, è vero che anche nel caso dell’azione di un’azienda sanitaria il concetto di economicità deve fondarsi su due imprescindibili criteri contemporanei: “il valore aggiunto” e “l’utilità”. Ma attenzione: con il primo si deve intendere che nell’utilizzo delle risorse per la produzione del bene salute è stato “aggiunto valore”, mentre con il secondo si deve intendere che il “prodotto” dell’azienda sanitaria è “utile” quando è in grado di soddisfare la domanda di salute che il territorio esprime.
Quindi, l’azienda sanitaria deve intendersi come un insieme ordinato di risorse umane, finanziarie, tecnologiche, ecc., organizzato in via esclusiva per raggiungere l’obiettivo di “salute”. Senza cadere, ovviamente, nel tecnicismo e nell’efficientismo fine a se stesso, ovvero per raggiungere i premi di risultato dei dirigenti, ricordando soprattutto che un’organizzazione sanitaria pubblica è fatta principalmente da persone e non solo di procedure ed è rivolta al benessere delle persone, indipendentemente, se necessario, dalle gerarchie da premiare e dai costi.
Dunque, la ASL n. 7 deve cambiare rotta e diventare la risposta alle attese insoddisfatte di un numero sempre crescente di cittadini-pazienti. Questo è possibile solo e soprattutto attraverso il responsabile e qualificato esercizio dei suoi compiti particolarmente impegnativi che derivano dal fatto, voluto dalla legge, di non avere come ultimo fine il profitto; neanche quello dei premi ai dirigenti che fanno risparmiare ad ogni costo, soprattutto a carico dei cittadini-pazienti.
Insomma, occorre che si capisca che l’unico modello culturale a cui ci si deve ispirare non è quello di un’azienda che ha come fine il profitto da perseguire mediante la produzione di beni che il cliente, più o meno convinto, compra, ma il fine molto più complesso ed alto che è la salute dei cittadini. Vanno benissimo l’efficienza e l’efficacia raggiunte attraverso la razionalizzazione delle spese, salvo il fatto che la posta in gioco non è una generica e semplice produzione di servizi ma una sfida molto più alta, delicata ed importante: la salute! I dirigenti di un’azienda sanitaria pubblica più che manager, devono sentirsi, non esclusivamente per i soldi che portano a casa, fieri di appartenere ad un’organizzazione con finalità così importanti e nobili e, nel contempo, proprio per questo, devono strutturare la ASL come un’organizzazione non solo al passo coi tempi, efficiente, razionalizzata nella produzione e nella spesa, ma soprattutto in grado di produrre risultati efficaci ed utili per i propri cittadini di riferimento. Questo deve essere, nella sanità pubblica, il concetto di “economicamente vantaggioso”. Ogni altra ipotesi deve essere respinta!
Non si può tuttavia non rilevare che i deprecabili fatti accaduti nella ASL n. 7, se da un lato appartengono alla responsabilità soggettiva di quella dirigenza, dall’altro, sul terreno squisitamente politico, i Comuni del territorio, compreso il nostro, che avrebbero dovuto costantemente vigilare e pretendere il puntuale e coerente assolvimento dei compiti affidati alla suddetta dirigenza, sono quanto meno oggettivamente e politicamente responsabili per non aver attivato gli strumenti politici e giuridici di controllo sui fatti sopra esposti e che, di volta in volta, imponevano una adeguata presa di posizione atta ad impedire, anche attraverso la chiamata in causa della Regione, lo smantellamento di settori significativi dei servizi sanitari.
Né possono bastare, al fine di far cessare la fallimentare gestione della ASL, le sole conclusioni cui è pervenuta la conferenza dei Sindaci del territorio svoltasi il 17 c.m. che, come riferiscono gli organi si informazione, si è limitata semplicemente a contestare l’unilateralità degli atti della dirigenza di tale azienda e a domandare incontri regionali al fine di ottenere il semplice ripristino della concertazione.
Ciò non basta; occorre far cessare il disastro in atto e ricondurre la ASL alla sua funzione originaria attraverso una nuova dirigenza che risponda alla legge, alla Regione e, soprattutto, ai Comuni del territorio in ordine al puntuale raggiungimento degli scopi istituzionali aziendali.»
La mozione si conclude sottolineando che «l’attuale dirigenza della ASL, per la volontà finora messa in campo, ha dimostrato di non essere pienamente in grado di condurne la gestione coerentemente sia con gli obiettivi sia nel rispetto della legge, non ultimo l’obbligo della costante consultazione» e propone al Consiglio comunale di esprimere «la totale non condivisione dei metodi gestionali attuati dall’attuale dirigenza della ASL n. 7 e chiede urgenti interventi da parte del Presidente della Regione e dell’Assessore regionale competente affinché, unitamente al puntuale rispetto delle norme in materia di consultazione dei Comuni dell’area, si proceda alla revoca dell’attuale vertice aziendale e alla nomina di una nuova dirigenza rispettosa dei compiti ad essa affidati e disponibile al dialogo con il territorio quale unico mezzo per interpretarne pienamente le aspettative e la domanda di sanità che lo stesso territorio esprime.»