Sul SISTRI, per le piccole e medie imprese, è sempre più caos. La denuncia arriva da Confartigianato Sardegna.
«Il Governo è intervenuto sul “sistema digitale per la tracciabilità dei rifiuti”, facendo solamente slittare di qualche mese l’applicazione delle sanzioni e posticipando la doppia tenuta dei registri (digitale e cartaceo) – si legge in una nota -. Per questo, le aziende produttrici di rifiuti pericolosi, fino al 31 dicembre dovranno compilare sia tradizionali registri e formulari, come il vecchio MUD, sia operare tramite Sistri. In questo arco di tempo, sono sospese tutte le sanzioni previste per il solo non utilizzo del sistema informatico di tracciabilità. Quindi, da ieri, 3 marzo, l’obbligo del Sistri è entrato in vigore per enti e imprese produttori iniziali di rifiuti pericolosi, produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi che effettuano la sola attività di stoccaggio, e trasportatori di rifiuti speciali pericolosi da loro stessi prodotti. I produttori obbligati, non ancora in possesso delle chiavette digitali, potranno avviare i rifiuti pericolosi allo smaltimento, comunicando i dati al trasportatore e custodendo le copie della scheda Sistri insieme alle copie del formulario. Dal 30 giugno prossimo, previa emanazione di un apposito decreto ministeriale, il sistema entrerà in vigore, in via sperimentale, anche per gli altri gestori di rifiuti urbani.»
Per Giovanni Antonio Mellino, vicepresidente nazionale e presidente regionale di Confartigianato Trasporti, “la proroga allunga solo i tempi per mettersi in regola ma non risolve i due problemi principali: gli oneri e il carico burocratico per le imprese».
«Da tanti mesi denunciamo la situazione di un sistema telematico che in questi ultimi 4 anni non ha funzionato – sottolinea Mellino – anzi ha prodotto solo milioni di costi a carico delle imprese di autotrasporto e di altri settori.»
«Se l’obiettivo del Sistri è ovviamente condivisibile – prosegue – ovvero controllare la produzione e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi per sottrarli al traffico illegale delle ecomafie, pessimo si è rivelato lo strumento utilizzato. Ancora ci domandiamo come si possano imporre gli stessi obblighi e gli stessi costi a un parrucchiere che smaltisce pochi grammi di lamette e ad una multinazionale chimica.»