Il coordinamento regionale del Piano di sviluppo del Sulcis, ha pubblicato martedì 27 gennaio un documento di lavoro sui profili agro ambientali della produzione di biofuel da canna comune Artundo donax previsto dal progetto di filiera agroindustriale proposto dalla ditta Mossi & Ghisolfi.
«Il progetto di filiera – si legge nel documento – riguarda l’installazione nel Sulcis di un impianto per la produzione di bioetanolo da biomasse non alimentari, in particolare da canna comune – arundo donax, paglia ed altri sottoprodotti a composizione cellulosica derivanti da lavorazioni agricole. Il progetto nasce dalla estensione di una esperienza già avviata da Mossi & Ghisolfi group nel Comune di Crescentino in provincia di Vercelli.
L’esigenza di incremento della produzione industriale di biofuel deriva da precisi obblighi comunitari, riconducibili attualmente nel contesto italiano al Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 10 ottobre 2014 “Aggiornamento delle condizioni, dei criteri e delle modalità di attuazione dell’obbligo di immissione in consumo di biocarburanti compresi quelli avanzati”.
Il decreto stabilisce, le nuove quote d’obbligo di biocarburanti, pari al 5,0% delle immissioni in consumo di benzina e diesel nel 2015, al 5,5% nel 2016, al 6,5% nel 2017, al 7,5% nel 2018 (di cui almeno 1,2% di biocarburanti avanzati), al 9,0% nel 2019 (di cui almeno 1,2% di biocarburanti avanzati), al 10,0% nel 2020 e 2021 (di cui almeno 1,6% di biocarburanti avanzati) e al 10,0% nel 2022 (di cui almeno 2,0% di biocarburanti avanzati). Da qui deriva l’esigenza per il mercato interno di adeguare le produzioni nazionali al fine di non dover procedere ad importazioni del prodotto, in particolare dalla Germania maggiore produttore europeo di biofuel.
Il piano industriale prevede la creazione di nuovi impianti, da localizzarsi in siti industriali dismessi in Sicilia (Gela) e Sardegna (Sulcis) oltre a quello già esistente in provincia di Vercelli.
Il documento di lavoro intende sviluppare le problematiche agro ambientali scaturenti dall’attivazione delle produzioni agricole necessarie all’alimentazione dell’impianto, premettendo che la sede per l’esatta valutazione delle prescrizioni ambientali e per la definizione delle corrette pratiche agricole potrà essere solo il procedimento di Valutazione di impatto ambientale, comunque preliminare all’attuazione del progetto.»
Sulla scorta dell’esperienza già condotta in Piemonte – di seguito – il documento evidenzia le principali prescrizioni e raccomandazioni a cui verosimilmente dovrà essere sottoposto il progetto.
«La coltura presa principalmente in esame – si legge ancora nel documento – è rappresentata dalla canna comune, anche se si prevede l’utilizzo nel processo produttivo di altri sottoprodotti da lavorazioni agricole, quali ad esempio la paglia risultante dalla lavorazione del riso, frumento, etc.
Per quanto attiene alla canna comune, nella nostra realtà la coltura è presente nelle zone umide e nelle ripe dei fiumi in maniera spontanea e non coltivata. La sua grande capacità di adattamento e di colonizzazione delle aree che invade la possono far considerare una pianta invasiva.
La canna comune è una specie rizomatosa perenne che esplora il terreno fino ad oltre 1 metro di profondità. I fusti possono raggiungere facilmente i 6-7 metri di altezza ed il suo ciclo economico supera abbondantemente i 10 anni.
A seguito di queste brevi considerazioni si possono fare diverse ipotesi relative ad eventuali areali e modalità di coltivazione, premettendo in sintesi:
necessità di introdurla in zone agricole marginali (con scarso o nullo reddito agricolo) od in terreni inquinati (e fruttarne la capacità di svilupparsi bene anche in zone inquinate da metalli pesanti), per non sottrarre terreno agricolo alle colture tradizionali e conseguentemente non entrarvi in competizione;
Sarebbe necessario escludere dalla messa a coltura terreni che rientrano almeno in I e II classe di capacità d’uso dei suoli. I terreni destinati a colture di pregio od a coltivazioni biologiche o a marchi di tutela riconosciuti.
Avere la possibilità di irrigare la coltura con acque reflue per non sottrarre risorsa agli altri settori (potabile ed agricolo). La pratica irrigua nei nostri ambienti sarà sicuramente importante, e probabilmente essenziale, per una sufficiente produzione di sostanza secca da destinare alla produzione di etanolo e lignina;
La necessità di non introdurre l’arundo donax nelle aree protette ed in aree marginali spontanee o “naturaliformi” soggette a protezione o regolamentazione dai diversi programmi di protezione ambientale;
L’esigenza di delimitare fisicamente le aree coltivate, per annullare la possibilità di far espandere la pianta in altre zone agricole, predisponendo delle fasce di rispetto non coltivate (di almeno 3 metri di larghezza tra appezzamenti di terreno limitrofi e di 10 metri dai corsi d’acqua);
La necessità di predisporre almeno di pre-contratti di produzione di una durata economicamente valida (circa 10 anni) e quindi di un piano di approvvigionamento di sostanza secca congruo;
La predisposizione di un piano di bonifica dai rizomi della canna sui terreni che, terminato il ciclo produttivo, dovessero tornare ad una produzione agricola tradizionale.
Riguardo alla coltivazione della canna, sulla scorta delle valutazioni già effettuate in sede di VIA in Piemonte, si possono ipotizzare le seguenti principali prescrizioni e raccomandazioni:
1. Le produzioni dovranno essere a filiera corta, si suppone – al momento – entro un raggio massimo di 60/70 km dallo stabilimento.
2. Esclusione dalla coltivazione dei suoli collocati all’interno delle aree protette, natura duemila e con ulteriori limitazioni negli habitat previsti dalle direttive “habitat” e “uccelli”;
3. Nei contratti stipulati con i proprietari delle aree dovrà essere previsto che gli oneri per la messa a dimora, manutenzione e bonifica di tali interventi dovranno essere a carico della società proponente;
4. Dovranno essere escluse modifiche di ambienti di particolare interesse naturalistico quali canneti caratterizzati da tifeti e fragmiteti, cespuglietti naturali relitti quali siepi a frangola, pioppo tremulo, olmo, barretta del prete, salix cinerea, sponde naturali di corsi d’acqua. Al fine di utilizzare l’arundo donax per il potenziamento della rete ecologica e favorire le funzioni ecologiche, si dovranno evitare i tagli nei periodi sensibili per la fauna ed occorrerà redigere un piano di monitoraggio sugli effetti dell’arundo donax sulla biodiversità, da concordare con gli Uffici regionali preposti alla tutela dell’ambiente.
5. Destinare alla coltivazione di arundo donax solamente terreni agricoli marginali che per caratteristiche pedologiche e colturali sono a scarso reddito. Pertanto sono da escludere dalla messa a coltura i suoli coltivati negli ultimi tre anni a scopi di alimentazione umana ed animale;
6. Sono da escludere dalla coltivazione di arundo donax i terreni classificati in I e II classe di capacità d’uso dei suoli;
7. Sono da escludere i suoli destinati a produzioni biologiche o di pregio sottoposte a marchi di tutela riconosciuti dall’Unione Europea;
8. La produzione di biomassa deve essere ottenuta nel rispetto delle prescrizioni e delle norme previste dalle disposizioni menzionate nella parte A) rubrica Ambiente del regolamento del Consiglio CE 73 del 19 gennaio 2009, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori e conformante ai requisiti minimi per il mantenimento di buone condizioni agronomiche ed ambientali definite ai sensi dell’art. 6 par.1.
9. Gli appezzamenti coltivati ad arundo donax devono avere una fascia di rispetto priva della specie ed essere mantenuti tali da adeguate pratiche di contenimento dall’invasività della coltura. (minimo 10 mt dai corsi d’acqua e 3 mt da altri appezzamenti anche se privi di colture);
10. La proponente dovrà concertare i contratti di approvvigionamento con le associazioni di categoria;
11. La proponente dovrà elaborare un disciplinare di coltivazione dell’arundo donax per prevenire la perdita di fertilità del suolo, impedire invasioni in appezzamenti limitrofi e garantire la bonifica del terreno una volta che questo venga coltivato con latra specie.»