20 November, 2024
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Nella giornata di mercoledì 22 luglio, alle ore 9,30, nell’Auditorium del Banco di Sardegna in viale Bonaria 33 a Cagliari (8° piano), si terrà un workshop finalizzato ad illustrare i risultati ottenuti durante i tre anni di attività dal Fondo di Sviluppo Urbano Jessica Sardegna lotto 1 (FSU), gestito dall’Ufficio Finanza d’Impresa e Crediti Speciali del Banco di Sardegna, con l’ausilio di Sinloc S.p.A., in qualità di advisor tecnico.

Lo strumento Jessica (Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas) è un’iniziativa congiunta della Commissione Europea e della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), per la promozione di strumenti di ingegneria finanziaria, quali i Fondi di Sviluppo Urbano finanziati attraverso le risorse F.E.S.R. (Fondi Europei di Sviluppo Regionale) al sostegno di interventi di sviluppo urbano sostenibile nelle città europee. Nel 2011 la Regione Autonoma della Sardegna ha attivato Jessica come Progetto Pilota.

Nel mese di luglio 2012 il Banco di Sardegna SpA ha sottoscritto con la Banca Europea per gli Investimenti un contratto per la gestione del Fondo dedicato alla Riqualificazione Urbana attraverso una dotazione di 33 milioni di Euro a valere su risorse dell’ASSE V – Sviluppo Urbano del POR FESR Sardegna 2007-2013.

Grazie all’ effetto moltiplicatore del Fondo sono stati finanziati progetti per un valore complessivo di opere pari a circa 112 milioni di euro attraverso la concessione di finanziamenti ad imprese ed Enti pubblici e mediante operazioni di project financing, nella forma sia di senior loan, sia di investimento nel capitale di rischio delle società veicolo.

Gli interventi finanziati hanno riguardato opere destinate alla valorizzazione del servizio pubblico locale, al miglioramento della mobilità urbana sostenibile, al recupero del patrimonio architettonico esistente, al miglioramento dell’attrattività turistica dei centri urbani ed al sostegno dell’inclusione sociale.

Il Banco di Sardegna, in collaborazione con la Regione Autonoma della Sardegna, la Banca Europea per gli Investimenti e l’advisor tecnico Sinloc SpA, illustreranno il progetto JESSICA ed i risultati raggiunti in questa prima fase.

Nell’occasione verranno raccolte le testimonianze dei beneficiari delle risorse Jessica e saranno approfondite le prospettive di sviluppo del FSU, considerato dalla BEI un esempio di “best practice” in Italia.

Interverranno come relatori: il Direttore Generale del Banco di Sardegna, Giuseppe Cuccurese; l’assessore regionale della Programmazione, Raffaele Paci; il Capo Divisione Infrastrutture, Energia e Settore Pubblico della Banca Europea per gli Investimenti, Andrea Tinagli; l’Amministratore Delegato della Sinloc SpA, Antonio Rigon; il Responsabile Operativo del Fondo JSA Lotto 1, nonché Responsabile dell’Ufficio Finanza d’Impresa e Crediti Speciali del Banco di Sardegna, Paola Del Fabro; il responsabile dell’Autorità di Gestione del POR FESR, Gianluca Cadeddu; il Direttore Generale della pianificazione urbanistica territoriale e della vigilanza edilizia della Regione, Elisabetta Neroni; il Capo Unità Strumenti Finanziari, Dipartimento Mare Adriatico di BEI, Andrea Bua. 

Sede Banco di Sardegna Cagliari 6

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Oggi Expo Milano 2015 ha celebrato la “Festa del Pane”. Per l’occasione, questa mattina, i Paesi che partecipano all’Esposizione Universale hanno sfilato lungo il Decumano con i prodotti da forno tipici della loro tradizione.

Accompagnato dalla coinvolgente musica di due marching band, il “Corteo del Pane” si è radunato in Piazza Italia: qui, sulla Tavola della Pangea, ogni partecipante ha poggiato il proprio cesto. Dal pane di Matera Igp ai panini al miele dell’Unione Europea, dal brezel tedesco alle arepas colombiane, al Khobez palestinese, ai panini al formaggio brasiliani, alle michette milanesi riproposte dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, in collaborazione con Maria Marinoni: numerosi i Paesi, le associazioni e le aziende Partecipanti a Expo Milano 2015 che hanno aderito alla festa, prendendo parte al corteo o organizzando, durante la giornata, degustazioni, menu speciali, laboratori e quiz dedicati al pane all’interno del proprio padiglione.

Ad accogliere il corteo il rappresentante di CEFA Onlus Giovanni Beccari e la responsabile del protocollo e delle relazioni internazionali del Madagascar Tahiry Rajaonarivelo, in rappresentanza dei Paesi.

Al termine della parata, il pane è stato donato dai Paesi al Banco Alimentare, perché venga distribuito alle persone più bisognose.

In onore della “Festa del Pane“, al Cluster dei Cereali e Tuberi, è stato, inoltre, presentato il “pane della solidarietà”, una treccia di pane bianco e nero, a rappresentare la simbolica stretta tra mani di diverso colore. Questo pane – nato da un’iniziativa sostenuta da CEFA Onlus in collaborazione con Expo 2015 e Farine Varvello – sarà prodotto fino al 16 ottobre, Giornata Mondiale dell’Alimentazione, e distribuito ai visitatori, in cambio di un’offerta. Il ricavato sarà devoluto all’associazione Terra Madre. L’appuntamento ha visto la partecipazione dell’attore comico Stefano Chiodaroli, che si è esibito in uno spettacolo.

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Medas-foto di Giorgio Russo

Si chiude lunedì sera, in Piazza Municipio, a Iglesias, il Festival della Storia 2015, la manifestazione organizzata dalla compagnia Figli d’Arte Medas e incentrata quest’anno sulla commemorazione della Prima guerra mondiale.

Il programma della seconda e ultima giornata prevede lo spettacolo “La Grande Guerra”, narrazione scritta e interpretata da Gianluca Medas insieme a Noemi Medas, figlia d’arte, con l’accompagnamento delle musiche della Banda comunale “Giuseppe Verdi” di Sinnai, diretta da Lorenzo Pusceddu, e dalle voci della Corale scuola civica di musica Città di Sinnai, diretta da Daniele D’Elia. Apertura del sipario prevista per le ore 21.00. Ingresso libero.

La rappresentazione narra fatti ed eredità politica della Prima guerra mondiale attraverso i testi di autori fondamentali come Giuseppe Dessì, Emilio Lussu e Giuseppe Fiori, e le vicende di personaggi storici isolani quali Raimondo Scintu, Eligio Porcu e Samuele Stochino, senza tralasciare un ricordo Brigata Sassari, protagonista di quei difficili momenti.

Ideato e diretto da Gianluca Medas, prodotto e organizzato dall’Associazione Figli d’Arte Medas, il Festival della Storia nasce con la volontà di avvicinare il pubblico alle tematiche storiche e scientifiche, senza banalizzare i contenuti ma veicolando quest’ultimi attraverso le attività di spettacolo. Tante le tematiche affrontate nelle precedenti edizioni: dalla figura della donna al triennio rivoluzionario sardo, giungendo fino alle riflessioni sulla fine del mondo, sull’identità e sull’amore.

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A poco più di un mese dal ballottaggio che ha determinato l’elezione a sindaco di Stefano Delunas (Partito Democratico), è già crisi al comune di Quartu Sant’Elena. Due giorni fa Gabriele Marini, coordinatore del collegio di Cagliari dei Riformatori sardi, candidato a sindaco al primo turno (2.263 preferenze) e poi alleato della coalizione di centrosinistra guidata da Stefano Delunas (8.387 preferenze al primo turno) nel ballottaggio del 14 giugno (vinto con 10.017 preferenze sul sindaco uscente Mauro Contini che, dopo aver ottenuto 7.247 preferenze al primo turno, ha conteso fino all’ultimo il risultato, fermandosi a 9.383 preferenze), ha annunciato le sue dimissioni dal Consiglio comunale ed ha espresso un giudizio fortemente negativo sull’operato del sindaco appena eletto.

«Oggi ho rassegnato le mie dimissioni dal Consiglio comunale – ha scritto Gabriele Marini -, assolvendo all’impegno che avevo volontariamente assunto con i miei elettori quando mi è stata affidata la responsabilità di guidare la coalizione liberale, riformatrice e identitaria. Una scelta che faccio, dopo quattordici anni dalla mia prima elezione, serenamente e convintamente perché questo è il mio contributo, forse il più concreto, al rinnovamento della politica cittadina.»

«Le vicende che in consiglio comunale sono seguite all’esito elettorale – ha aggiunto Marini – non possono sfuggire ad una doverosa analisi politica anche perché non farlo sarebbe una grave omissione a danno dei cittadini quartesi. La scelta della coalizione guidata dai Riformatori di stipulare un accordo pubblico con la coalizione di centrosinistra e il suo candidato, non l’abbiamo valutata come il male minore, ma la modalità più efficace del nostro impegno  per costruire il futuro di Quartu. Con questo accordo abbiamo voluto affermare la nostra influenza programmatica per modificare la realtà politica quartese, attraverso un rapporto chiaro con le altre forze politiche improntato a lealtà e rigore reciproco. l’elezione Questo accordo ha consentito a Sindaco di Stefano Delunas. A questo punto si sono interrotti, non per nostra responsabilità, i rapporti politico-programmatici con il Sindaco e la coalizione di centrosinistra, ma, quel che è peggio, anche tra il sindaco e la sua coalizione. Vi è stata una sospensione del processo democratico, uno strappo unilaterale ad un percorso che naturalmente avrebbe dovuto portare la maggioranza, intorno a un tavolo di discussione. La realizzazione di  progetti impegnativi per Quartu, avrebbero meritato immediati e sostanziali approfondimenti tra le forze politiche che si riconoscono nella maggioranza. Della loro urgenza noi eravamo e siamo consapevoli. Ma non si è verificato nulla di tutto questo. Al contrario è intervenuto un  cortocircuito che ha evidenziato una condizione di fragilità nella quale la consiliatura corre il serio pericolo di consumarsi.»

«I Riformatori – ha concluso Marini – non vogliono adattarsi all’idea che questo accada, perché non lo merita la politica, non merita quest’offesa l’immagine della città di Quartu, non lo meritano soprattutto i cittadini quartesi. Tuttavia dobbiamo dire con estrema chiarezza che le chiavi per avviare questa amministrazione sono in mano al Sindaco, alla sua coalizione, al partito di maggioranza e a nessun altro. A loro compete la responsabilità di mettere in moto la macchina o, viceversa, restituire le chiavi agli incolpevoli elettori quartesi.»

Il Consiglio comunale è stato convocato per martedì 21 luglio alle 18.30 e, dopo le dimissioni di Gabriele Marini, l’ordine del giorno costituito dalla presentazione degli indirizzi generali di governo per il quinquennio 2015-2020, è stato integrato con l’inserimento di due punti, riguardanti la presa d’atto delle dimissioni del consigliere comunale Gabriele Marini – surroga e convalida, e la surroga dello stesso consigliere Gabriele Marini in seno alla conferenza dei capi gruppo consiliari.

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L’anfiteatro di Monte Sirai ospita questa sera la 12ª edizione di “Coraliams, Corali a Monte Sirai”, organizzata dalla Polifonica Santa Cecilia con il concorso del comune di Carbonia e della Regione Autonoma della Sardegna, e la collaborazione della Cooperativa Mediterranea. Partecipano il coro polifonico “Santa Cecilia” di Carbonia diretto dalla maestra Marina Figus; il coro “Fedora Putzu” di Selargius, diretto dalla maestra Valeria Musu; il coro “Carmina Vocum” di Villamassargia, diretto dalla maestra Marina Figus; e, infine, il coro “Sant’Isidoro” di Teulada, diretto dal maestro Salvatore Tiddia.

L’inizio è fissato alle ore 21.00. L’ingresso è libero.

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Mare e Miniere 1

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Torna nel Sulcis Iglesiente “Mare e Miniere”, la rassegna è organizzata dall’Associazione Elenaledda vox con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna, della Regione Autonoma di Sardegna – Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio, Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport e del Comune di Portoscuso.

Dal Sulcis Iglesiente la rassegna si irradierà in tutta l’isola con concerti ed eventi che coinvolgeranno le comunità e richiameranno appassionati e turisti non solo interessati a consumare il magnifico blu delle acque mediterranee, ma anche a trovare benessere psico-fisico personale e a dedicarsi alla bellezza culturale.

Il programma dei concerti.

27 luglio ore 21,00 Iglesias, Piazza Municipio

28 luglio ore 21,00 Sarroch, Villa Siotto

DANZE DAL MARE 2.0

Al via il tour di “Danze dal Mare 2.0″ firmato da Mvula Sungani e Mauro Palmas. C’è il mare, crocevia di storie, popoli e culture nello spettacolo “Danze dal Mare 2.0” opera firmata dal regista e coreografo Mvula Sungani e musicata del compositore cagliaritano Mauro Palmas che tornano insieme sull’Isola, Il mare, crocevia di storie, popoli, culture e sogni, ispira l’opera  del regista e coreografo italo-africano Mvula Sungani e del compositore cagliaritano Mauro Palmas che tornano nuovamente a  lavorare insieme dopo la bella esperienza di Etnika, spettacolo   dedicato alla Sardegna. La poetica coreografica ispirata alla tradizione popolare italiana viene stilizzata da Mvula Sungani mediante le nuove tendenze contemporanee e fusa con la Physical Dance, uno stile peculiare utilizzato da danzatori che partono da una solida base tecnico- accademica e la completano con un’importante preparazione fisico-atletica. La filosofia del linguaggio espressivo del coreografo italo- africano è il corpo, inteso come danza, unita all’esaltazione e alla bellezza del fisico. La drammaturgia, le suggestioni, i tableaux vivants, le costruzioni visive, sono tutte basate sul corpo e la fisicità, senza l’ausilio di strutture, appendimenti e supporti. Un successo personale quello di Mvula Sungani, i cui quadri coreografici, sono anche andati in onda su Rai 1 in occasione del programma “Una notte per Caruso” (in scena la prima ballerina Emanuela Bianchini ed Emanuele Pironti) e sono stati apprezzati da oltre 3 milioni di telespettatori. Uno spettacolo raffinato e di grande suggestione visiva: il ritmo e le melodie restituiscono ai movimenti, dapprima sincopati e poi rituali, la forza evocativa delle terre di origine, mentre le composizioni originali di Mauro Palmas, ispirate alle musiche popolari e trasfigurate dalla sua personalissima scrittura, si uniscono e si fondono alle trascrizioni delle danze di origine classica e popolare, creando un rarefatto moto emotivo.

1 agosto ore 21,30 Sant’Anna Arresi, Piazza del Nuraghe

CANTI, RICHIAMI D’AMORE

Ginevra Di Marco, Voce e percussioni

Francesco Magnelli, pianoforte

Andreino Salvadori, chitarra, tzouras e armonium

Dalle storie struggenti della musica popolare toscana, alla proposta di nuove e variegate sonorità che accompagnano il raccontare l’uomo e le sue  passioni, la ricerca spirituale, il limite, la caduta, la possibile rinascita. L’intensa voce di Ginevra Di Marco e le morbide note di due eclettici musicisti/compositori (Francesco Magnelli: pianoforte; Andreino Salvadori: chitarra, tzouras e armonium)  per un concerto che fa una scelta di essenzialità formale, puntando ad essere  massima sostanza possibile. Un concerto che diventa magico momento di vita in comunione con il  pubblico. Ginevra Di Marco: straordinaria interprete, fra le più note della musica italiana contemporanea, si è mossa dalla scena del Rock indipendente con i CSIe PGR per poi dedicarsi alla carriera solista vincendo subito il Premio Tenco come artista esordiente. Nel progetto Stazioni Lunari di Francesco Magnelli si è confrontata con artisti di stili differenti, dal rock alla canzone d’autore al folk, dimostrando ancora una volta la sua grande ecletticità e forza interpretativa. Nel corso delle sue ricerche è approdata alla musica popolare (in particolare quella toscana) alla quale ha dedicato i suoi ultimi album. Andrea Salvadori: Compositore, chitarrista e sound designer, condivide dal 2000 il percorso artistico di Ginevra Di Marco. Dal 2003 collabora, sempre in qualità di musicista e arrangiatore, al progetto musicale Stazioni Lunari, diretto da Francesco Magnelli, cui partecipano moltissimi artisti del panorama musicale Italiano. La predilezione per la composizione musicale unita al sound design lo avvicinano al teatro in qualità di drammaturgo musicale con Armando Punzo direttore della Compagnia della Fortezza – non a caso regista-autore della scena – con cui stabilisce un vero sodalizio. Francesco Magnelli: compositore e produttore, ha suonato con i Litfiba, CCCP ed è stato promotore della nascita dei  CSI – Consorzio Musicisti Indipendenti. Con Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni da vita al Consorzio Produttori Indipendenti. È anche ideatore e direttore artistico di Stazioni Lunari, spettacolo musicale itinerante al quale prendono parte ogni volta autori e musicisti diversi, che interagiscono tra di loro in una fusione musicale che travalica stili e generi. La musica proposta proviene in parte dal repertorio di ogni artista e in parte da brani della tradizione della musica popolare di varie parti del mondo. Unico ospite fisso del progetto è Ginevra Di Marco, mentre tra gli altri artisti che hanno preso parte a Stazioni Lunari si ricordano: Cisco, Cristiano Godano, Simone Cristicchi, Giovanni Lindo Ferretti, Teresa De Sio, Piero Pelù, Morgan, Paola Turci.

2 agosto ore 21,00 Iglesias, Cattedrale

GLORIA ET HONORE CORONASTI DOMINE. MELODIE DALL’ANTICA LITURGIA ED ECHI DELLA TRADIZIONE RELIGIOSA IN ONORE DI SANT’ANTIOCO

con Giacomo Baroffio, Luigi Lai, Elena Ledda, Simonetta Soro, Pietro Cernuto, Mauro Palmas, Marcello Peghin, Silvano Lobina, Alessandro Foresti e il Coro Laus Cordis diretto da Kim Eun Ju Anastasia

Gloria et Honore Coronasti Domine. Melodie dall’antica liturgia ed echi della tradizione religiosa in onore di Sant’Antioco, è stato realizzato in collaborazione con l’amministrazione comunale di Sant’Antioco, la Diocesi e l’Archivio Storico Diocesano di Iglesias. Una lunga e intensa serata che inizierà con l’esecuzione di un frammento di una copia apografa di un intero uffizio gregoriano dell’epoca medievale, dedicato a Sant’Antioco martire. Interpreti di questo straordinario documento saranno Giacomo Baroffio, uno dei maggiori studiosi, cultori e interpreti del canto gregoriano, e il Coro Laus Cordis, diretto da Kim Eun Ju Anastasia. Sempre nell’eccezionale serata live, la cui direzione artistica è curata dal compositore e virtuoso della mandola e del liuto cantabile Mauro Palmas, saranno eseguiti “Gocius” campidanesi per launeddas e voce dedicati al martire sulcitano, “Gosos” in lingua spagnola di matrice medievale e musiche liturgiche, che rappresentano i punti più alti del patrimonio devozionale-popolare della Sardegna. Protagonisti sul palco il maestro di launeddas Luigi Lai, le voci di Elena Ledda e Simonetta Soro, il maestro di organo Alessandro Foresti, i fiati di Pietro Cernuto, il liuto cantabile di Mauro Palmas, la chitarra di Marcello Peghin e il mandoloncello di Silvano Lobina. 

22 agosto ore 21,00 Sant’Anna Arresi

23 Agosto ore 21,00 Iglesias, Giardini dell’Associazione Mineraria 

SCAVI, STORIE DI MINIERA

Musiche originali: Mauro Palmas

Arrangiamenti musicali: Mauro Palmas e Silvano Lobina

Testo di Mariangela Sedda

Con

Simonetta Soro, voce narrante

Mauro Palmas, mandole

Silvano Lobina, basso

L’idea produttiva nasce dall’esigenza di rappresentare sotto forma di concerto le vicende e le storie umane della gente di miniera. La vicenda è ancorata solidamente alla storia delle miniere sarde, alla descrizione minuziosa dei territori negli anni in cui le miniere furono protagoniste di benessere e sviluppo economico. Lo spettacolo si articola attraverso brevi scene, presentate da una  narratrice ormai adulta come una sorta di memoria collettiva, che raccontano storie di miniera attraverso le vicende umane e i cambiamenti che gli anni e il lavoro hanno prodotto nelle comunità dagli anni trenta fino agli anni cinquanta, al culmine dello sviluppo delle città minerarie. Sullo sfondo la grande Storia filtrata attraverso la quotidianità di piccole esistenze. I flash – back accendono singole storie individuali, storie comuni, private, che fanno rivivere il clima di  quegli anni. Ogni ricordo si porta dietro storie di lavoro, di lotte, di amori e di feste, che hanno riempito di vita e di fervore villaggi oggi desolati dall’abbandono. La musica, strettamente legata alla narrazione e che di quel mondo cattura suoni, voci e sentimenti, renderà possibile il dialogo tra realtà diverse, transitando fra tradizione e innovazione e incontrando tempi musicali che daranno vita a vividi orizzonti sonori.

27 agosto ore 19,00 Sant’Anna Arresi, Località Candiani(porto Pino) 

RICCARDO TESI – NUOVO CAMERISTICO

Michele Marini (clarinetto); Damiano Puliti (violoncello); Riccardo Tesi (organetto diatonico); Daniele Biagini (pianoforte)

Cameristico – questo il significativo titolo del progetto musicale di Riccardo Tesi – prende spunto da una occasionale collaborazione, avvenuta alcuni anni fa, tra il musicista toscano e Harmonia Ensemble, un trio del quale in questo nuovo gruppo è rimasta la presenza del violoncello di Damiano Puliti, che con  l’organettista aveva collaborato in più occasioni. Al pianoforte siede invece il pistoiese Daniele Biagini, anch’egli più volte collaboratore di Tesi, che ha anche contribuito agli arrangiamenti del disco. Infine, al clarinetto un altro musicista pistoiese, il brillante Michele Marini, che nonostante la giovane età ha esperienze nientemeno che nella Vienna Art Orchestra. Da quella prima esperienza “cameristica”, Tesi ha tratto una ben precisa idea di suono, ripresa, ampliata ed esplorata in molteplici direzioni in questo suo nuovo lavoro, che inanella una serie di composizioni connotate da un comune colore di fondo – quello camerstico, appunto – benché nate per occasioni e in tempi diversi, nonché caratterizzate da ispirazioni tra loro anche assai dissimili. Alcune traggono origine dalle danze popolari, grande ed affascinante serbatoio dal quale Tesi è solito attingere per dar corpo alle sue idee musicali: “La valse a Pierre”, dedicato alla memoria di Pierre Imbert, suonatore di ghironda, tema delicato e intimo con il quale i quattro protagonisti giocano assieme; “Mazurkazione”, originariamente nel bel CD Colline con Patrick Vaillant e Gianluigi Trovesi, qui caratterizzata dal suono del violoncello che offre agli altri tre la possibilità di reinterpretare, ciascuno a proprio modo, il bel motivo; “Ciclamino”, altro valzer dal forte sapore popolare (nasce infatti per un quadretto di ballo all’interno di un film ambientato nella Toscana tra le due guerre), ma che con questo suono assume una veste sorprendentemente intima; il curioso “Taranta Samurai”, nel quale i tamburelli di Alfio Antico e le percussioni di Gigi Biolcati arricchiscono il suono da camera e sostengono il ritmo proveniente dal nostro meridione. Dai nostri fratelli mediterranei arrivano invece le ispirazioni per “Macedonia” e “Istanbul”. La prima, nata per il festival della zampogna di Scapoli e poi entrata nel repertorio di Banditaliana, vede il quartetto cameristico duettare sui ritmi balcanici con un trio di musicisti – Ettore Bonafé alle tabla, Puccio Castrogiovanni allo scacciapensieri, Luisa Cottifogli alla voce – che mantengono acuminati quelli stessi ritmi, creando un contrasto affascinante. La seconda, introdotta da un lirico e toccante assolo del piano di Biagini, ha poi una bella struttura bipartita, con una parte dolente che precede  un’impennata ritmica, sempre su atmosfere mediorientali. La fantasia è alla base de “Il funambolo”, che quasi illustra il delicato sforzo – così simile a quello dei musicisti – di chi cammina sul filo, e de “L’azzurro del pesce”, nata per uno spettacolo teatrale per bambini e nel quale ancora le percussioni di Bonafé e lo scacciapensieri di Castrogiovanni conferiscono un’aria sognante. Pura poesia, infine, attraversa “Praga la notte”, anche questa nata per il teatro e dedicata a Franz Kafka, nella quale a dominare sono i suoni, dolcissimi, del violoncello e dell’organetto. Un CD soave, dalle molte sfaccettature, nel quale la poetica che caratterizza da sempre i lavori di Riccardo Tesi mostra il suo lato più intimo e riflessivo, senza però rinunciare alla vivacità popolare.

 

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Ci accodiamo alla lunga fila di macchine che, partita dal centro di Asiago, imbocca l’antica strada per Trento e, superato il Passo di Vezzena, piega a destra costeggiando le rovine del Forte di Busa Verle, per addentrarsi nelle strette stradine snodantesi tra le fitte abetaie del Bosco Varagna e dei Marcai, fino a raggiungere il dosso prativo della malga dove, sotto il cielo terso del mattino, spicca solitario un cippo commemorativo.

Ci troviamo in Regione dei Marcai di Sopra, nel territorio del Comune di Levico, in Provincia di Trento, nel punto dove cento anni fa passava la 1ª linea del fronte italo-austriaco della Grande Guerra, per partecipare all’annuale appuntamento dei Marcai, una vera e propria Giornata Commemorativa curata dal Comitato Organizzatore composto dalla Famiglia di Marco e Stefano Ambrosini e Amici di Asiago, quest’anno inserita nel contesto celebrativo del Centenario della Prima Guerra Mondiale.

Sotto l’abile regia del Luog. (ris) Antonio Pinna, Storico della Brigata “Sassari” e profondo conoscitore delle vicende belliche della Grande Guerra svoltesi nel Fronte degli Altipiani, alla presenza delle locali Associazioni d’Ama, la giornata è iniziata con la cerimonia dell’Alzabandiera, issando sui pennoni, insieme, i vessilli dell’Italia e della Repubblica Federale d’Austria e rendendo, con la deposizione di un cuscino di fiori, il doveroso omaggio ai Caduti che riposano nel grembo di queste montagne.

Quest’anno, soprattutto, a favore delle giovani generazioni e per coloro che di Asiago non sono, il luog. Pinna ha voluto spiegare il vero significato di questo evento rievocativo che trova origine nella giornata di San Giovanni del 24 giugno di 100 anni fa, inserito nel contesto più ampio della Prima Guerra Mondiale.

Per meglio capire quanto qui accadde, è necessario fare un salto nella storia, tornando indietro ad un secolo fa.

All’epoca – ha spiegato il luog. Pinna – la frontiera meridionale tra il millenario Impero A.U. e il giovane Regno d’Italia, ricalcava l’attuale confine amministrativo tra le Regioni Veneto e Trentino e, nel settore di nostro interesse, correva lungo la linea di cresta dei monti settentrionali dell’Altopiano strapiombanti in Val Sugana, toccava i Castelloni di San Marco, Cima Isidoro, Cima della Caldiera, l’Ortigara, le Cime Dieci, Undici e Dodici, Cima Portule, Cima Larici, Porta Manazzo e, giunta a Cima Manderiolo, piegava decisamente verso sud ovest, scendeva lungo la Valle Sparavieri, attraversava la strada della Val d’Assa all’altezza dell’Osteria del Termine, presso la quale era ubicato il posto di frontiera tra i due Stati, con le rispettive dogane. Proseguiva quindi per Malga Camporosà e Malga Posellaro, fino a Cima Norre, per congiungersi alla testata della Val d’Astico con la linea di confine che correva lungo i contigui Altipiani di Lavarone e Folgaria.

Ed è in prossimità di questa linea di confine che nel periodo compreso tra il 1907 e il 1914, l’Austria, al tempo alleata dell’Italia nella Triplice Alleanza, realizzava una cintura fortificata con opere corazzate, dall’aspetto non proprio amichevole verso un paese alleato, aventi il duplice scopo: nell’ipotesi difensiva, quello di sbarrare le vie d’accesso della pianura veneta verso Trento; nell’opzione offensiva, quello di poter radunare alle sue spalle una consistente massa d’urto che, sfruttando il fuoco di preparazione e di accompagnamento delle opere permanenti, sarebbe discesa attraverso le valli prealpine nella pianura veneta.

Dalla valle dell’Adige alla valle del Brenta sorgeva così una linea di opere corazzate, che sugli Altipiani di Folgaria, Lavarone e Vezzena, faceva capo ai forti: del Doss del Sommo, del Sommo Alto, di Malga Cherle, di Belvedere, di Campo di Luserna, di Busa Verle, di Spitz Verle o Cima  Vezzena, a seconda della denominazione austriaca o italiana.

 I forti erano stati realizzati in calcestruzzo e armati con artiglierie allocate in opere corazzate, ad eccezione dello Spitz Verle, armato di sole mitragliatrici in casamatta per la difesa vicina ma che, in virtù dei suoi 1.908 m di altezza, era l’occhio austriaco sull’Altopiano dei Sette Comuni, ovvero l’osservatorio dei sottostanti Forti di Luserna e di Busa Verle che avevano il compito di interdire l’avanzata delle fanterie italiane verso il Passo di Vezzena.

Per fronteggiare tale minaccia, il governo italiano provvide a realizzare, a difesa della valli prealpine, una serie di opere di difesa permanenti che, per il settore di nostro interesse, facevano capo allo Sbarramento Agno-Assa, suddiviso in tre settori: il I di Schio, il II di Arsiero e il III di Asiago. Quest’ultimo aveva il compito di interdire al nemico la discesa attraverso la via della Val d’Assa, dalla sua testata alla confluenza nella Valle dell’Astico. Esso si appoggiava ai preesistenti forti di Punta Corbin e del sottostante Forte di Casa Ratti, e alle nuove opere corazzate di Campolongo e del Verena. L’azione di interdizione di queste 4 fortezze sarebbe stata integrata dal fuoco delle artiglierie mobili pesanti campali postate a Porta Manazzo e Casare Manderiolo a nord, e delle artiglierie mobili da campagna postate sui Monti Meatta, Mosciagh, Interrotto e Rasta, a potenziamento dell’interruzione stradale della Tagliata della Val d’Assa, presso Camporovere.

Un colpo di cannone partito alle 3,55 del mattino del 24 maggio 1915 dal Forte Verena, dava avvio anche sul fronte degli Altipiani alle operazioni della Prima Guerra Mondiale, passate alla storia come la Guerra dei Forti.

Nel giro di poche ore una valanga di ferro e di fuoco si abbatteva sui forti di Luserna e di Busa Verle, i quali non potevano attuare un efficace tiro di controbatteria a causa della maggior gittata dei cannoni da 149 A di cui disponevano i forti italiani, e soprattutto per il dominio di quota che aveva su di essi il Forte Verena.

Precedute dal fuoco di preparazione, in direzione delle posizioni nemiche del Passo di Vezzena scattano le fanterie della 34ª Divisione Italiana, Brigate “Treviso” (115°-116° F.) e “Ivrea” (161°-162° F.). Il loro obiettivo non è tanto quello di raggiungere Trento (l’azione risolutiva si sarebbe svolta sul fronte principale dell’Isonzo) quanto quello di impadronirsi della cintura fortificata nemica ed eliminare così la minaccia che essa costituiva quale base di partenza per lo sbalzo offensivo avversario verso la pianura veneta.

L’azione sulla destra è affidata agli Alpini dei Battaglioni “Val Brenta” e “Bassano”. Sono i battaglioni di casa: il Battaglione “Bassano”, composto dai giovani di leva reclutati sull’Altopiano; il Battaglione “Val Brenta”, costituito dai “Veci” alpini dell’Altopiano, richiamati alle armi con la Mobilitazione Italiana.

Gli Alpini dei due Battaglioni, buoni conoscitori dei posti, partendo dalle loro posizioni del Ghertele, Cima Larici e Porta Manazzo, risalgono le pendici boscose del Costesin e dei Marcai, con obiettivo il Forte più alto, lo Spitz Verle e il suo osservatorio in quota, che indirizza il tiro delle batterie nemiche sulle fanterie italiane. Ma giunti a distanza d’assalto sono respinti dalla reazione delle 7 mitragliatrici nemiche postate in opera corazzata.

Un’azione diversiva (il 30 maggio) punta sul Busa Verle. Ma, superato il primo dei tre ordini di reticolati, i Fanti della Brigata “Ivrea” e gli Alpini del “Bassano” trovano l’amara sorpresa di un ostacolo attivo pressoché sconosciuto: i campi minati disposti attorno al forte. Battuti dal fuoco delle artiglierie nemiche e dalle mitragliatrici della difesa vicina, gli Alpini ripiegano sulle posizioni dei Marcai, dove realizzano una serie di avamposti, le cui tracce sono ancora visibili ai margini del bosco.

Riprende martellante il tiro del Verena e degli obici pesanti campali di Porta Manazzo sul Busa Verle, sbriciolando le difese in casamatta. Il presidio austriaco, blindato all’interno, vive nel più totale isolamento il profilarsi, da un momento all’altro, dell’incubo dell’assalto delle fanterie nemiche. Pertanto fa sortire le sue pattuglie esploranti per individuare le posizioni sulle quali si è attestato il nemico.

Nella terza decade del mese di giugno, di presidio alle posizioni avanzate italiane dei Marcai, sono gli Alpini della 62ª Compagnia del “Bassano”. La notte sul 24 giugno è di vedetta l’Alpino Marco Ambrosini, da Asiago, terzogenito di sei figli maschi di Marco e Barbara Slaviero. Un boccetto appena ventenne, della classe 1895, al suo battesimo del fuoco.

La notte è stellata. Al caldo diurno delle giornate del solstizio, segue il freddo gelido della sera. L’alpino Ambrosini scruta nell’oscurità: ogni rumore nella notte potrebbe essere indizio della presenza del nemico.  Da giorni il rancio non arriva in linea, le corvée non riescono ad avanzare sulle mulattiere battute dall’artiglieria avversaria. Si va avanti con le razioni dei viveri di riserva: carne in scatola e gallette a colazione, a pranzo e a cena. L’Alpino pensa che a un tiro di schioppo, dietro i monti alle sue spalle, c’è Asiago e la sua casa. A quest’ora, pensa, i vecchi genitori staranno consumando la cena, al tepore della stufa ancora accesa. Chissà, forse, proprio quel piatto di zuppa, minestra o minestrone caldo, tante volte snobbato, ma che ora avrebbe scaldato lo stomaco e le sue membra intirizzite.

È la notte di San Giovanni, la notte in cui in tutta l’Italia brillano i falò delle stoppie accese nelle aie, per celebrare l’antica festa del raccolto. Il S. Ten. Congiu, l’Ufficiale Medico della Compagnia – (riportato sul monumento come “Congiù” e mai identificato come sardo prima che il luog. Pinna lo facesse notare, sottolineando anche l’errato accento sull’ultima vocale del cognome) –  raccontava che, in questa notte, nella sua Sardegna, le coppie che saltano il falò mano nella mano, annunciano alla comunità il loro fidanzamento e che la stretta di mano fra due Amici, fatta davanti al fuoco acceso, lega questi con un vincolo sacro più di un giuramento e saldo più di un legame di sangue. Da quel momento, per tutta la vita, essi saranno Compari. Compari di San Giovanni.

Ma quelli che l’Alpino Ambrosini e i suoi compagni vedono brillare ai margini del bosco, non sono i fuochi di San Giovanni. Sono focolai accesi dalle pattuglie nemiche sortite dal Busa Verle con l’intento di incendiare il bosco per stanare le fanterie italiane.

Al grido d’allarme segue immediato il tiro delle vedette nel tentativo di mettere in fuga le pattuglie nemiche che proseguono la loro opera nefanda protette dal fuoco di due mitragliatrici postate su una piccola altura prospiciente le linee italiane. Le raffiche rabbiose della schwarzlose si abbattono sul margine del bosco, investono il posto di vedetta dell’Alpino Ambrosini, sistemato dietro un grosso abete.  Spazzati dalla furia dell’arma, i pezzi di corteccia e dei rami volano tutt’intorno. L’Alpino si stringe all’improvvisato riparo, quasi a volersi fondere con il tronco scosso dai proiettili che vi si conficcano in successione. È uno di quegli attimi in cui uno crede sia giunta la sua ora. Gocce di sudore freddo imperlano la fronte mentre davanti agli occhi passa ogni istante della breve vita vissuta. Ed è allora che, muta e silenziosa, si leva al cielo la preghiera, nella notte di San Giovanni.

L’alpino risponde al fuoco e prega. Prega che l’albero regga alla violenza del tiro nemico e che la batteria da montagna postata poco più indietro metta a tacere la mitragliatrice nemica e il suo canto di morte. Prega che il fuoco non divampi nel bosco, facendo fare a lui e ai suoi compagni una fine orrenda. Finalmente, respinte dalla reazione italiana, le pattuglie nemiche rientrano al Forte Verle.

L’Alpino Ambrosini Marco è salvo!

La notte umida non permette al fuoco di propagarsi e i focolai sono facilmente spenti dagli Alpini.

Ma, se a tutto ciò vi è una spiegazione scientifica e razionale, per l’uomo di montagna radicato ai valori di Fede incrollabili, è la Provvidenza Divina che interviene a mutare il corso delle cose.

Stabilizzatasi la situazione nel settore degli Altopiani, nel settembre del 1915 il Battaglione Alpini “Bassano” venne inviato nel fronte dell’Isonzo. È lontano dai monti natii quando a maggio del 1916 la violenza della Strafexpedition si abbatterà sull’Altopiano dei “Sette Comuni”, cacciando via gli abitanti dai paesi distrutti. A difendere i monti di casa accorreranno i Battaglioni Piemontesi e Lombardi del 2° e 5° Reggimento Alpini e i Fanti Sardi della Brigata “Sassari”, «la Brigata dei miei nonni – sottolinea con orgoglio il Luog. Pinna – e in tempi più recenti la mia Brigata, che bagnando di sangue le contese cime del Monte Fior, Monte Castelgomberto e di Monte Zebio, scriverà su questi monti gloriose pagine di storia».

Il Battaglione “Bassano” tornerà sui monti di casa in occasione della controffensiva italiana, coprendosi di gloria sull’Ortigara, sulle Melette e infine sul Grappa.

Terminata la guerra, ricostruite le case distrutte, ricomposti i nuclei familiari rientrati dal profugato, pianti i Caduti sul fronte russo nella Guerra Mondiale successiva, l’Alpino in congedo Marco Ambrosini e i suoi compagni d’arme vollero tornare quassù, nei luoghi che videro il loro battesimo del fuoco e il sacrificio dei loro vent’anni, ritrovando il vecchio abete con ancora i segni delle ferite della guerra. E, da allora, tutti gli anni, il giorno di San Giovanni, quasi a voler sciogliere un antico voto formulato in quella tragica notte, si ripete la gita tra questi monti, caratterizzata da tre momenti principali: il ringraziamento a Dio con la celebrazione della Santa Messa al campo; il rancio con il minestrone caldo, tanto desiderato nelle fredde notte di veglia, offerto ai  presenti dalla Famiglia Ambrosini; e, infine, in questi prati dove 100 anni fa aleggiava la morte, oggi sono i canti e i balli della gioia e della vita, nel ritrovato segno di Amicizia tra due popolazioni, quella Veneta e quella Trentina, non più divise dalla sbarra del Termine, ma  ora riunite sotto un’unica Bandiera.

Con il passare del tempo anche il vecchio abete cessò di vivere. Ma a perpetuarne il ricordo, il “Vecio” Alpino fece erigere nel 1969 il primo corpo del monumento e, successivamente, in occasione del 60° anniversario del fatto d’Armi, la seconda parte, quasi a voler eternare, con i nomi dei comandanti incisi sul marmo, il ricordo della sua Compagnia e del suo Battaglione.

In cima fece scrivere la lapidaria frase “Che iniziarono la guerra”. Frase, questa, osservava il luog. Pinna, che lo colpì, sin dalla prima volta che ebbe occasione di leggerla. Si chiedeva, infatti: «Perché iniziarono e non, più correttamente, fecero o parteciparono?»

«Il segreto – ha proseguito il Luog. Pinna – è nascosto nelle prime due parole: che iniziarono, infatti, sottintende la frase ma non ebbero la sorte di concludere!»

– S.Ten. Giovanni Cecchin, da Marostica, M.O. al V.M., ferito a morte il 19 giugno 1917 a quota 2.105 di Monte Ortigara, alla testa della sua 94ª Compagnia, ceduta nell’aprile 1916 al neo costituito Battaglione Alpini “Sette Comuni”, anch’esso reclutato sull’Altopiano;

– Ten. Santino Calvi, da Bergamo, tre M.A. al V.M., caduto il 10 giugno 1917 sulla conquistata quota 2.103 di Monte Ortigara, dove il battaglione Alpini “Bassano”, nappina verde del 6° Reggimento Alpini, scriveva una delle più belle pagine della sua storia;

– S.Ten. Medico Antonio Congiu, da San Vito, in Provincia di Cagliari. Un Alpino decorato con la M.A. al V.M., venuto dalla lontana Sardegna a morire il 10 giugno 1917 a quota 2.103 dell’Ortigara, dove aveva sistemato il posto di medicazione per prestare soccorso alle centinaia di Alpini agonizzanti nel Passo dell’Agnella.

Ecco il senso dei monumenti. Ognuno di loro reca sottintesa la scritta “per non dimenticare”.

Perché la storia del nostro Paese, quella non scritta sui libri di scuola, è fatta di uomini sconosciuti e semplici, che in un momento difficile per le sorti dell’Italia, seppero mettere da parte l’interesse personale per il bene comune e diedero grande prova di compattezza, lealtà e senso del dovere, sacrificando la loro giovinezza per coronare il sogno di Unità Nazionale a lungo perseguito dagli Eroi del Risorgimento.

Mi fermo cercando di “intervistare” un po’ tutti gli artefici della emozionante giornata: la famiglia Ambrosini (Marco – che porta il nome del nonno – e il fratello Stefano, le loro mogli, Cleofe e Sonia, e i loro figli), poi Don Giovanni, il “Beta”, il “Patao”, il “Pomo”, “il Taja”, il “Toni”, “l’Alfeo”, solo per citarne alcuni, e i tanti ragazzi: le nuove generazioni che a loro volta tramanderanno ai posteri i valori appresi nella giornata odierna.

Stefano Ambrosini,  parco di parole, è visibilmente soddisfatto: le trecento razioni di minestrone da lui preparato, sono andate a ruba. Anche io ho voluto fare il bis. Era proprio buonissimo! Qua e là sul prato è un fiorire di tovaglie e plaid colorati. Ognuno, delle centinaia di presenti, offre ciò che ha portato: pane, soppressa, funghi sott’olio, dolci, del buon vino, perfino la birra alla spina e il caffè preparato su un’antica stufa da trincea. E, sicuramente, non poteva mancare, da parte nostra, nel segno dell’antica Amicizia Sardo-Veneta, il mirto e il filu’e ferru.

Chiedo a Marco Ambrosini e ai presenti di conoscere un po’ di più la storia del monumento eretto da suo nonno omonimo. Tutti mi rimandano però ad Antonio Pinna, a cui quassù tutti vogliono molto bene, tanto da chiedersi se, anziché in Sardegna, non sia, in realtà, cresciuto sui monti dell’Altopiano. «Ha visto – mi fa notare un anziano signore – come ha citato, senza mai leggere, nel loro esatto ordine i nostri monti, le nostre valli, i forti austriaci e italiani? Perché Antonio, “il Pinna”, è uno di noi!».

Da Presidente dell’Associazione Un Ponte fra Sardegna e Veneto non posso che gioire per tali manifestazioni di grande stima e sincero affetto.

All’imbrunire, ammainate le Bandiere e ripuliti i prati, ci incolonniamo sulla strada del ritorno. La fermata obbligatoria è all’Osteria del Vecchio Termine, là dove un tempo passava l’antico confine tra l’Austria e l’Italia. Nella locanda, che fu alloggio della Guardia di Finanza di servizio alla frontiera, l’ultimo brindisi e l’augurio di ritrovarci ancora, fra un anno, tutti insieme davanti al Monumento dei Marcai.

Un modo semplice, ma veramente sentito, per ricordare le semplici e allo stesso tempo nobili figure del passato e quanto su questi monti essi fecero, come diceva Emilio Lussu, per inseguire un antico sogno di Libertà e di Giustizia.

Per questo, Essi hanno sacrificato la loro giovinezza.  Per questo, Noi abbiamo il dovere di non dimenticare.          

Elisa Sodde                                            

Bosco dei Marcai (TN), 24 giugno 2015.

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E’ stata inaugurata ieri sera, presso la saletta del Portico adiacente il Teatro Centrale, la mostra“Memoria”, mostra proposta dalla Fabbrica Artigiana di Fotografia (FAF), nell’ambito della rassegna “12×12”, voluta dall’assessorato della Cultura del comune di Carbonia, in collaborazione con gli artisti cittadini. La mostra sarà visitabile sino al 24 luglio, tutti i giorni, dalle 20.00 alle 22.oo.

La FAF nasce a Carbonia il 18 febbraio 2009 da un’idea dei tre soci fondatori Franco Pomata, Luca Carta e Duilio Ennas. Elemento fondante è la promozione della cultura fotografica nel territorio. L’associazione dal primo anno è affiliata alla FIAF, (Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche) che muove il mondo della fotografia amatoriale italiana. Dal 2009 organizza annualmente la manifestazione “Carbonia Fotografia”, allestendo mostre fotografiche in spazi storici della città, come la Grande Miniera di Serbariu, la Torre Civica, Monte Sirai. Nel corso dei primi sei anni di vita la FAF ha promosso la fotografia attraverso incontri, conferenze, mostre, concorsi e laboratori fotografici. Nella mostra “Memoria” sono esposti i lavori di Daniela Fois, Claudia Locci, Giorgio Locci, Franco Pomata e Roberto Rossi.

Le prossime mostre in calendario coinvolgeranno gli artisti Carlo Giancola, Debora Diana, Luigi Angius,  Barbara Cappella, Ruggero Soru e Nicola Obino.

Le fotografie sono di Marco Corrias.

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