Una gelida mattina del gennaio polacco del 1944 un primo drappello, avanguardia dell’armata sovietica raggiungeva un villaggio il cui nome, Oswiecim, era completamente sconosciuto al di fuori della Polonia. Nelle vicinanze del paese, chilometri di un doppio reticolato delimitavano un campo di centinaia e centinaia di baracche, allineate in lunghissime file diritte, intersecate ortogonalmente da strade che parevano allungarsi all’infinito, perdendosi nella foschia dei lontani boschi di betulle.
Così osservato da una certa distanza, tutto il complesso appariva completamente deserto ma, a mano a mano che il gruppo di militi russi, in sella a grossi cavalli pelosi, si avvicinava alla barriera di filo spinato, si videro uscire, qua e là, dalle baracche silenziose, figure macilente di larve umane, ricoperte di stracci a strisce biancoazzurre, zoppicanti scheletri viventi che sostenendosi, l’un l’altro o appoggiandosi a bastoni osservavano attoniti ed impauriti, quegli uomini in uniforme che abbattevano, per sempre i cancelli che li separavano dal mondo dei vivi.
Le SS, le temibili e spietate totenkopf, le teste di morto, così chiamate per le mostrine sulle quali ostentavano il distintivo in foggia di teschio, erano fuggite da qualche giorno, abbandonando i malati e i moribondi, trascinandosi dietro tutti i prigionieri, circa 20.000, in grado di camminare, facendo percorrere loro un viaggio micidiale, in parte a piedi, in parte in carri ferroviari aperti, nel mortale freddo invernale del nord Europa, che li uccise a migliaia prima che gli ultimi scampati raggiungessero i campi ancora efficienti all’interno del Reich. Questi viaggi dall’Est verso l’Ovest presero il nome di Marce della morte.
Era il 27 gennaio del 1944 e il nome tedesco di quel luogo, destinato ad essere tramandato quale simbolo stesso del male assoluto, era Auschwitz.
Negli anni futuri quella data sarebbe stata presa come ricorrenza della liberazione dall’orrore e dalla persecuzione, da ricordarsi, per le generazioni future, come Giorno della Memoria.
Allo scopo di onorare le vittime innocenti della crudeltà e del razzismo, e far sì che simili orribili misfatti, non si possano più ripetere, anche alla luce dei recenti avvenimenti di barbara intolleranza, lo Spi Cgil di Carbonia, con il patrocinio del comune di Carbonia, ha organizzato due incontri/conferenza con uno scampato alla retata di Ebrei italiani avvenuta a Roma nell’ottobre del ’43. Un terzo incontro è in programma il 27 gennaio a Capoterra.
Il programma degli incontri:
27 gennaio – Biblioteca di Capoterra – ore 17.30 – Presentazione del libro: L’animo degli offesi – Storia di Modesto Melis da Carbonia a Mauthausen e ritorno – Autore Giuseppe Mura – editore Giampaolo Cirronis – (Carbonia). Saranno presenti l’autore, l’editore e il protagonista.
4 febbraio – Incontro con l’ing. Fernando Tagliacozzo, membro della comunità ebraica di Roma. Sfuggito alla retata nazista degli ebrei di Roma
Teatro Centrale di Carbonia ore 17.30 – ingresso libero.
Per il particolare contenuto degli argomenti trattati si sconsiglia la presenza ai minori di anni 14.
5 febbraio – Incontro con l’ing. Fernando Tagliacozzo, membro della comunità ebraica di Roma. Sfuggito alla retata nazista degli ebrei di Roma
Teatro Centrale di Carbonia ore 9.30 – Ingresso riservato alle scuole
Ospite degli incontri sarà il cavalier Modesto Melis, sopravvissuto al lager di Mauthausen.