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Il 31 gennaio, a Portoscuso, chiuderà i battenti la mostra dei presepi di “Su Pranu” allestita dalla locale associazione “Sa Fabbrica”.
Visitare la mostra costituisce un momento emozionante sia sul piano religioso che artistico.
Il primo presepe è ambientato nella Campania del ‘700, del periodo in cui, in seguito alla scoperta di Pompei, si diffondeva la volontà di riportare in vita il valore e la bellezza del mondo classico. E’ questo il motivo per cui il Bambinello non giace in una stalla o in una grotta, bensì tra le colonne, elemento tipico del periodo storico che si vuol far rivivere.
Le statue, fatte interamente a mano, sono costruite con grande maestria e vestite con abiti curati anche nei minimi particolari. Ogni statua ha la sua identità, diversi sono i volti, diverse le espressioni. Siamo davanti ad un mondo, che pur nella staticità delle pose, rivela un notevole dinamismo; sono rappresentate persone il cui movimento sembra essere stato momentaneamente fermato da una macchina fotografica, che riesce comunque ad evidenziare tutta la meraviglia per il fatto miracoloso appena annunciato.
Sono stati necessari due anni di lavoro che hanno visto impegnate varie persone con diverse abilità artistiche, mirabilmente armonizzate tra loro, indice di un sentire comune e di un profondo legame artistico e spirituale.
Il secondo presepe rappresenta il mondo sardo, che esiste ormai nel ricordo, ma che riesce comunque ad esercitare un notevole impatto sulle nostre menti. Andate a vedere, finché ne avete la possibilità queste rappresentazioni, guardate con attenzione ciascun personaggio, vedrete “Is Massaius” vestiti di “orbace”, le donne con lo scialle ricamato a mano, forse vi capiterà di incontrare come è accaduto a noi, qualche persona di vostra conoscenza, predisponetevi all’ascolto, siamo convinti che li sentirete “parlare”. Non perdete questa occasione perché i presepi verranno smantellati alla fine del mese, mentre sarebbe decisamente valido che anche a Portoscuso la bellezza diventasse un’offerta permanente.
Anna Maria Murtas / Ernesto Valdes