La Giunta regionale ha approvato una delibera che fissa le nuove direttive regionali in materia di organizzazioni di produttori (OP) non ortofrutticoli.
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La Giunta regionale, su proposta dell’assessore dell’Agricoltura, Elisabetta Falchi, ha approvato una delibera che fissa le nuove direttive regionali in materia di organizzazioni di produttori (OP) non ortofrutticoli. L’obiettivo è favorire le aggregazioni dei produttori per rafforzare il tessuto economico e migliorare la competitività delle filiere agroalimentari.
«Con questa delibera – spiega l’assessore Falchi – stiamo dando attuazione al decreto ministeriale dello scorso marzo, che a sua volta ha recepito il Regolamento comunitario 1308/2013 in materia. In Sardegna le organizzazioni di produttori riconosciute attualmente a livello regionale in tutti i settori, ad eccezione di quello ortofrutticolo e olivicolo, sono in totale 28».
Ma, in virtù dei parametri fissati a marzo dal ministero delle Politiche agricole e forestali, «l’obiettivo è quello di favorire il percorso di aggregazione, che può avere conseguenze favorevoli su molte filiere agroalimentari regionali». «L’elevata frammentazione del nostro tessuto imprenditoriale, infatti, verrebbe assimilata nell’aggregazione commerciale di diversi soggetti aziendali che riescono meglio a governare il mercato, tutelare il reddito delle imprese agricole, e al contempo, garantire prodotti rispettosi dell’ambiente e sicuri per il consumatore».
Parametri bassi per creazione nuove OP. Il decreto del Mipaaf ha previsto per i vari settori una serie di parametri base molto bassi per quanto attiene al numero di soci e al valore della produzione commercializzata (VPC), «in modo da non penalizzare particolari aree territoriali con tessuti produttivi deboli e pregiudicare la loro costituzione in OP», aggiunge Elisabetta Falchi. Alle Regioni è però lasciata «la facoltà di fissare parametri diversi». E questo ha fatto la Sardegna, che «si è attenuta ai valori fissati dal Mipaaf per i settori nei quali non si sono ancora costituite Op, in modo da favorire la loro nascita e per altri in cui i percorsi di concentrazione dell’offerta sono ancora in fase di avvio».
«Per altri settori, come il lattiero caseario ovino e quello bovino da latte – sottolinea ancora Elisabetta Falchi – i parametri sono stati innalzati per spingere le imprese nella direzione dell’aggregazione: per esempio, per il comparto ovino abbiamo voluto stabilire criteri che favoriscano il raggruppamento delle organizzazioni di produttori esistenti in soggetti più forti». In questo momento, le organizzazioni di produttori riconosciute nel settore del lattiero caseario sono 11: 1 con un VPC dichiarato tra i 2 e i 3 milioni, 8 con VPC tra 3 e 11 milioni e solo 1 oltre i 25 milioni. «Strutture produttive con valori di fatturato tali – dice ancora Elisabetta Falchi – non sono in grado di dotarsi di strutture commerciali e di marketing abbastanza forti da posizionare i loro prodotti sui mercati esteri, primaria destinazione di vendita dei nostri formaggi.»
Inoltre, «un maggior numero di organizzazioni di produttori renderebbe più facile la programmazione e la diversificazione dei prodotti mediante l’ottimizzazione delle linee di produzione esistenti». «Per fare un esempio, infatti, le cooperative che adesso producono esclusivamente pecorino romano e non hanno possibilità di produrre altri tipi di formaggio, potrebbero allargare la propria gamma di produzioni grazie al lavoro congiunto con altri caseifici». L’adeguamento delle organizzazioni già riconosciute alle nuove direttive sarà possibile entro il febbraio 2017. Per le nuove organizzazioni di produttori, le attività di accertamento e riconoscimento verranno compiute dall’Agenzia LAORE, mentre i controlli successivi sulla permanenza dei requisiti previsti saranno effettuati come in passato dall’Agenzia Argea.
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