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I ferroelettrici sono materiali usati in elettronica e ottica (memorie non volatili, generatori di ultrasuoni per ecografia, etc). Non sono mai metallici (cioè conduttori), e viceversa, nessun metallo è ferroelettrico. Almeno, così si pensava. Un gruppo di fisici di base nell’ateneo di Cagliari, usando simulazioni quantistiche, ha predetto su Nature Communications (4 aprile 2016), un materiale che è intrinsecamente metallico e ferroelettrico – il primo esempio in assoluto di materiale con queste proprietà.
Il team che ha realizzato e pubblicato le ricerche sul materiale iperferroelettrico metallico è composto da Alessio Filippetti (professore “Rientro dei cervelli” – Cagliari 2003/07, poi al Cnr – chiamato di recente da associato all’università del capoluogo), Vincenzo Fiorentini (associato dipartimento Fisica, Cagliari), Francesco Ricci (dottorando dipartimento di Fisica, ora all’Università di Lovanio, Belgio), Pietro Delugas (ora alla Sissa di Trieste), Jorge Iniguez (ricercatore Luxembourg IST, visiting professor a Cagliari 2013/15).
«Il primo punto chiave della vicenda – rimarca Vincenzo Fiorentini – è il bismuto, che, come ci ha insegnato Jorge Iniguez, tende a fare legami locali con l’ossigeno, e produce una distorsione che rende possibile l’esistenza della polarizzazione. Il nostro materiale è appunto una cosiddetta perovskite layered di composizione Bi5Ti5O17. Il secondo punto è che Bi5Ti5O17 è sì un metallo, ma scarso, con poca carica libera di muoversi, e pure poco mobile.»
Il quesito è obbligato: l’effetto è osservabile e magari usabile? Il professor Fiorentini taglia corto: «Sì, decisamente. Nei film ferroelettrici convenzionali, la polarizzazione produce un campo elettrico molto grande, che a sua volta tende a eliminare le distorsioni che la producono – in sostanza, la polarizzazione si suicida. Qui invece il campo sopravvive, dimostrando che la polarizzazione c’è ed è invertibile. Sorvolo su varie sottigliezze che hanno richiesto molto sforzo, come la necessità di alternare il Bi5Ti5O17 con un isolante in un cosiddetto super-reticolo, di cui si è occupato Francesco Ricci».
La carica libera dovrebbe schermare la polarizzazione, un po’ come quando si scarica l’elettricità statica su un termosifone. Fiorentini spiega: “In generale, sì. Qui non lo fa perché, primo, di carica libera ce n’è il tanto che basta a ridurre il campo in modo che non elimini la polarizzazione, ma non abbastanza da ucciderlo del tutto (l’effetto “Riccioli d’oro”); e secondo, è confinata (quasi in un piano) e quindi risponde poco al campo.» Aggiunge Alessio Filippetti: «Abbiamo usato due metodi indipendenti (uno, realizzato insieme a Pietro Delugas, estende la teoria della polarizzazione) e ambedue dicono che la carica libera non riesce a uccidere la polarizzazione. Si sospettava da 50 anni che la polarizzazione potesse esistere in un metallo, ma non era mai stata ottenuta in pratica».
Un film conduttivo e, tra l’altro, trasparente nel visibile, con un campo intrinseco interno invertibile potrebbe essere utile in optoelettronica, in accoppiamenti capacitivi (ad esempio, gli schermi dei tablet), o in memorie non-volatili. Conclude Vincenzo Fiorentini: «Bisogna vedere se qualcuno riuscirà a produrlo in laboratorio (parliamo di strati nanometrici) e non solo al computer, e a studiarne l’applicabilità tecnologica. La strada è lunga, ma l’idea di base è buona».