Paolo Maninchedda (Partito dei Sardi): «Abbiamo vinto. Più spazi per l’indipendenza».
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Paolo Maninchedda, leader del Partito dei Sardi, forza politica della coalizione di governo della regione schieratasi per il NO al referendum costituzionale, ed assessore dei Lavori pubblici della Giunta guidata da Francesco Pigliaru, ha commentato il risultato che ha portato alle dimissioni del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con un intervento nel suo sito internet http://www.sardegnaeliberta.it/ che pubblichiamo integralmente.
Abbiamo vinto. Più spazi per l’indipendenza.
di Paolo Maninchedda
Se c’è una cosa da evitare è il trionfalismo.
Una vittoria referendaria non è mai una vittoria che una singola parte politica possa intestarsi. I toni di Grillo e Salvini sono abusivi. Tanti democratici e indipendentisti convinti europeisti, tolleranti, pacifisti, che non hanno niente a che fare con loro, hanno votato NO.
I toni di Renzi dopo la sconfitta sono stati apprezzabili, da autentico democratico. Direi che due punti sono molto chiari:
1) in Sardegna c’è lo spazio politico perché l’indipendentismo democratico, europeista e pluralista, si affermi e costruisca uno scenario politico diverso rispetto allo schema italiano. Il Partito dei Sardi da tempo chiama questo spazio il luogo di costruzione di una grande forza politica plurale che chiamiamo Partito della Nazione Sarda;
2) il Pd che ha perso non può che abbandonare definitivamente l’idea di governare egemonizzando lo Stato, deve obbligatoriamente riprendere le sue tradizioni e vocazioni libertarie e socialiste, deve rompere la sua subordinazione culturale al neoliberismo temperato che ha egemonizzato il ceto degli alti burocrati italiani, le aule universitarie e i giornali cosiddetti progressisti. Un Pd che si dovesse riscoprire socialista e, noi auspichiamo, il più possibile indipendentista, sarebbe di grande aiuto per scuotere e rinnovare la Sardegna e renderla più sovrana.
Una piccola riflessione sui quotidiani sardi. Come quasi tutta la stampa italiana, anche i quotidiani sardi, cartacei e digitali, hanno di fatto, con più o meno garbo, sostenuto le ragioni del Sì. Oggi si nota che sono sorpresi del voto in Sardegna e, di conseguenza, del formarsi dell’opinione pubblica in modo completamente indifferente al loro orientamento.
Gli è sfuggito che l’errore tattico del Pd è stato fare più di un centinaio di eventi muovendo i già convinti, coloro che militano. L’evento pubblico, la grande manifestazione ormai è uno strumento celebrativo, non mobilitativo, quindi non sposta un solo voto.
Gli eventi servono per costruire il repertorio simbolico di una proposta, non per convincere.
Noi abbiamo lavorato come lavorano i partiti moderni: web, facebook, cellulari, whatsapp, immagini, ironia, mail. Io poi sono tra i pochissimi della Giunta che ha preso posizione pubblica netta per il No, rilevata anche dagli organi di informazione.
Il mio partito ha elaborato uno dei pochi documenti articolati che abbiano circolato in questa campagna elettorale.
Lo dicevo nei giorni scorsi al mio stimatissimo amico Andrea Pubusa: il campo di battaglia non sono più le piazze, è la rete, i cellulari e sempre, come sempre, le case delle persone, non i leader d’ambiente. Pensare che in un paese si parla col sindaco e si sposta la popolazione è una stupidaggine.
I quotidiani sardi, se vogliono avere un futuro, devono cambiare pelle, devono comprendere che non hanno più la funzione egemone di una volta, e prima lo comprendono prima si salvano dal declino.
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