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Il presidente del Consiglio regionale, Gianfranco Ganau, ha inaugurato questa mattina la mostra “Sironi 1933 -I figurini per Lucrezia Borgia”, ospitata all’ingresso del palazzo dell’Assemblea sarda, in via Roma 25 a Cagliari.
L’allestimento, curato da Giorgio Dettori, è realizzato con il contributo della Fondazione Sardegna e vanta la collezione completa dei figurini realizzati da Mario Sironi per la rappresentazione della “Lucrezia Borgia” di Gaetano Donizetti, nella prima stagione del maggio musicale fiorentino, andata in scena nel 1933.
Insieme ai 63 figurini di proprietà del Consiglio regionale. si potranno ammirare, fino al 13 agosto (tutti i giorni dalle 10.00 alle 13.30 e dalle 16.00 alle 20.00), anche i dieci costumi scenici, realizzati per una rappresentazione del 1992 proprio dai figurini di Sironi e messi a disposizione dal Teatro Massimo di Palermo.
«Dopo Nivola e Grazia Deledda ecco Sironi – ha dichiarato il presidente Ganau – proseguiamo con orgoglio nell’allestimento delle mostre realizzate con i materiali custoditi dell’archivio del Consiglio regionale, per valorizzare e divulgare l’opera e il pensiero dei grandi artisti sardi.»
«Abbiamo aderito con convinzione e entusiasmo al progetto di collaborazione con il Consiglio regionale – ha aggiunto il presidente della Fondazione Sardegna, Antonello Cabras – perché questa mostra rientra nel programma varato ormai tre anni fa, quando abbiamo scelto di favorire la fruibilità pubblica dell’immenso giacimento rappresentato dalle opere degli artisti sardi. Proseguiremo, dunque, in questa azione, insieme al Consiglio regionale, ad altri enti e anche ai privati, per far crescere il livello di attenzione e interesse verso la Sardegna, soprattutto tra i visitatori e i turisti.»
L’arte di Mario Sironi
Quella per il teatro fu una delle passioni di Mario Sironi che, come scenografo o disegnatore dei costumi, collaborò a lungo con le maggiori istituzioni e le rassegne nazionali più prestigiose a partire dal Maggio fiorentino. Alla prima edizione del Maggio, nel 1933, appartiene la collezione dei figurini preparata da Sironi per l’opera “Lucrezia Borgia”, acquisita dal Consiglio regionale della Sardegna e proposta ora al pubblico in una mostra nelle sale del palazzo di via Roma, a Cagliari.
Sironi, uno dei più grandi artisti del Novecento, fu naturalmente molto altro. Nato nel 1885 a Sassari, dove il padre dirigeva i lavori del grande palazzo della Provincia in piazza d’Italia, si trasferì presto a Roma ed iniziò gli studi di ingegneria, abbandonati dopo poco tempo per dedicarsi completamente all’arte ed alla pittura.
L’arte, in particolare, era per Sironi una sorta di entità sovrannaturale; “una deità immensa”, scriveva, «a cui a me, povero mortale, non era purtroppo dato che di aspirare il soave profumo».
Pittore fra i più originali del Novecento ma anche illustratore, vignettista politico, critico d’arte, fondatore e collaboratore di giornali e riviste, animatore di movimenti culturali, amante della musica e creativo pubblicitario.
Un impegno totale, coerente con una certa visione del mondo che vide rappresentata dal fascismo (pagandone il prezzo nel dopoguerra) e, ancora prima, dal movimento futurista e dall’interventismo “militante” che lo portò, da volontario, sulle trincee della prima guerra mondiale.
Dalle illustrazioni che hanno accompagnato per oltre 20 anni le edizioni quotidiane de “Il Popolo d’Italia” agli affreschi per le Università di Roma e Venezia, dalle grandi decorazioni per importanti uffici pubblici alle partecipazioni alla Biennale di Venezia ed alle maggiori rassegne espositive in Italia e nel mondo, dai quadri realizzati per abbellire gli interni delle navi alle campagne pubblicitarie per la Fiat, l’arte sironiana nelle sue molteplici espressioni ha sempre mostrato una forte personalità, armonia delle forme, dinamismo, suggestioni metafisiche e richiami alla classicità sempre proiettati verso il futuro. Apprezzato ed ammirato da suoi contemporanei illustri come Boccioni, Balla, Marinetti, Severini, Campigli, Carrà e perfino Picasso, Sironi ha lasciato tracce profonde del suo passaggio in tutto il Novecento. Umberto Boccioni esaltava la sua «manifestazione artistica illustrativa eccezionalmente originale e potente», mentre Marinetti ne esaltava la coerenza futurista definendolo con enfasi «non soltanto un uomo simpaticissimo, un carattere generoso e rettissimo e specialmente un vero futurista…Egli prende il posto di Soffici, con un ingegno almeno 100 volte superiore».
«L’arte deve andare verso il popolo», pensava Sironi. Questa idea di fondo ha in qualche modo attraversato tutta la sua produzione, dai “paesaggi urbani” degli anni ’20 alle opere di grandi dimensioni con particolare riferimento a quelle ispirate al tema del lavoro, fino alla cosiddetta “pittura murale”, che per certi aspetti accostava la pittura ad un mezzo di comunicazione di massa.
Nel ’33, dopo un saggio apparso sul Popolo d’Italia, Sironi spiegò nel Manifesto della pittura murale, sottoscritto anche da Campigli, Carrà e Funi cosa intendeva dire: «La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura e più direttamente ispira le arti minori». Una pittura meno attenta all’artista, aggiungeva, che deve tornare ad essere “un uomo fra gli uomini” e più aderente alla sua “funzione sociale”, sulla spinta di un “mecenatismo di Stato” in grado di liberare la stessa arte dalle logiche del possesso individuale e del mercato.