La campagna elettorale che ci condurrà alle elezioni politiche del 4 marzo prossimo è entrata nel vivo.
[bing_translator]
La campagna elettorale che ci condurrà alle elezioni politiche del 4 marzo prossimo è, oramai, entrata nel vivo. I leader nazionali (e regionali) sono indaffarati a consolidare le alleanze e, puntualmente, a lanciare proposte “sensazionali”. Se poi queste sono anche irrealizzabili, o del tutto inutili, poco importa. Ma la valutazione di tale aspetto, sia a livello nazionale, sia locale, riguarda la coscienza del singolo elettore. È opportuno, invece, focalizzare apertamente alcuni dati demo-economici. Così da acquisire un metro di giudizio dei parlamentari uscenti, ricandidati, e dei neofiti che si presenteranno secondo la mappa delle circoscrizioni del cosiddetto Rosatellum, che per la Sardegna prevede l’elezione di 25 parlamentari.
Orbene: i dati. Nel 2017 il debito pubblico dell’Italia ammontava 2.260,3 miliardi di euro (fonte: Banca d’Italia 2017); il tasso di disoccupazione, nel mese di marzo, era a quota 11,7%, quella giovanile a quota 34,1% (fonte: Istat). Per quanto riguarda i numeri sull’emigrazione, a livello nazionale, delle fasce più istruite della popolazione, sappiamo che “[…] nell’ultimo decennio si assiste ad un progressivo spostamento dell’incidenza del fenomeno dell’emigrazione verso fasce della popolazione a maggiore istruzione: dal 2001 al 2010 l’incidenza dei cittadini laureati sul totale degli espatri è raddoppiata (dall’8,3% al 15,9%) […] In totale, quasi 1.300 dottori di ricerca che prima dell’iscrizione all’università risiedevano in Italia risultano vivere abitualmente all’estero al momento dell’intervista (6,4% del totale), per lo più in Francia, Stati Uniti d’America e Regno Unito[…]” (fonte: Istat – indagine conoscitiva sulle politiche relative ai cittadini italiani residenti all’estero 2011).
Nel 2016, in Sardegna, il tasso di disoccupazione ammontava al 15,9%, e quello sulla disoccupazione giovanile al 56,3% (fonte: Istat 2016). Nonostante un lieve calo la situazione resta drammatica. Spesso i politici, dinanzi a dati del genere, accampano la scusante del «siamo in periodo di vacche magre» allorquando vengono chiamati ad intervenire, concretamente, per garantire il diritto al lavoro e alla realizzazione personale dei cittadini. In realtà, esaminando i dati sulla spesa pubblica, si evince, ad esempio, che nel 2011 in Italia i costi della politica e della burocrazia ammontavano all’8,6% del PIL (fonte: Eurostat 2012).
Nel 2012 la spesa pubblica del nostro paese ammontava al 50,6% del PIL, ed era così ripartita: 16,3% in pensioni; 10,8% in spese per il personale; 9,7% in altri consumi finali; 4,9% in interessi sul debito; 3% in altri trasferimenti sociali; 2,2% in trasferimenti alle imprese; 2% in investimenti pubblici; 1,1% in imposte indirette; 0,5% in altro (fonte: Istituto di ricerca Bruno Leoni 2013). Una spesa pubblica di tale rilevanza incide enormemente sulla pressione fiscale. Al lettore le ovvie deduzioni sull’impatto di un simile status in una regione come la Sardegna e in un territorio come il Sulcis Iglesiente. Non esiste, fortunatamente, un manuale standard sulle domande da porsi nella scelta dei propri rappresentanti istituzionali.
Certamente, a fronte dei dati sopra esposti, domande come «Cos’hanno fatto (i parlamentari uscenti) per evitare, o risolvere, la presente situazione demo-economica?» e «Cosa hanno intenzione di fare i neofiti?» sono, a dire poco, calzanti. Altrimenti saranno sempre più realistiche le parole di Mark Twain «Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare». Ammesso che già non lo siano.
Cristian Usai
NO COMMENTS