Come cambia la responsabilità degli operatori sanitari sul piano civile e penale, con l’introduzione della legge Gelli.
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Si è svolto sabato 3 febbraio, a Cagliari, presso l’hotel Sardegna, il convegno “Eventi avversi e responsabilità in sanità: linee guida e percorsi assistenziali nella gestione del rischio e nella prevenzione dell’errore”.
L’evento, organizzato dall’associazione HCRM (Hospital & Clinical Risk Managers), ha avuto come moderatori il dottor Sergio Pili, dirigente ospedaliero nonché referente regionale HCRM ed il professore di igiene dell’Università di Palermo, nonché presidente HCRM, Alberto Firenze.
I vari punti del programma sono stati affrontati dalle voci autorevoli di Guido Manca Bitti, avvocato penalista esperto in colpa medica e responsabilità sanitaria: Carlo Diana, avvocato dirigente del servizio legale dell’ATS Sardegna; Francesco Paribello, professore di medicina legale dell’Università di Cagliari, Risk Manager AOU CA; Raimondo Ibba, presidente dell’ordine dei medici di Cagliari; Pierpaolo Pateri, direttore del servizio SPS Sanluri e presidente del collegio IPASVI di Cagliari; Paolo Serra, farmacista AOB e presidente regionale Società Italiana Farmacisti Ospedalieri; Pierpaolo Vargiu, medico, deputato, già presidente della commissione Affari sociali della Camera dei Deputati.
Durante i lavori sono state evidenziate luci e ombre della Legge Gelli, dal nome del suo relatore alla Camera dei Deputati, entrata in vigore il primo febbraio 2018.
Una legge che arriva a colmare alcuni vuoti della Legge Balduzzi. Con questa legge si introducono delle sensibili innovazioni inerenti la responsabilità degli operatori sanitari sia sul piano civile, sia su quello penale.
Qualora uno sfortunato evento si verifichi a causa di imperizia, se sono state seguite le linee guida, o in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali “Best Practice”, viene esclusa la punibilità, sempre che le linee guida siano state calate nel caso in esame, quindi declinate localmente e coniugate nella specificità.
Le linee guida non sono però in grado di coprire tutti gli ambiti, non possono essere esaustive in tutti passaggi, da qui la necessità di intraprendere il comportamento più adatto che non si discosti dalla migliore prassi, ma che dimostri di aver preso in considerazione scelte alternative nella diagnosi o nella terapia.
Il perché delle scelte fatte deve essere sempre chiaro, facilmente ricostruibile dal punto di vista clinico-tecnico-scientifico. Deve poter permettere a chi deve valutare, di capire quale ragionamento è stato seguito e comprendere se il percorso diagnostico scelto è stato quello più appropriato.
Da qui l’importanza che, nei casi di responsabilità medica, a fianco del giudice, ci sia, oltre al medico legale, un tecnico consulente del ramo medico in oggetto, che possa valutare la colpa e di conseguenza avere e dare delle certezze.
Quotidianamente gli operatori si ritrovano a doversi misurare con situazioni sopra descritte, difficili da decodificare in modo rigido e predefinito, un problema molto serio che, dati europei alla mano, mostra “errori medici” e “eventi avversi” presenti durante un ricovero ospedaliero stimato tra l’8 e il 10%.
Una cornice alquanto complicata se poi a questo, si aggiunge il problema delle politiche sanitarie puntate sul risparmio e la non accettabilità di organici amputati, che devono funzionare al meglio, nonostante l’inadeguatezza del numero del personale sanitario.
Tutto questo dà origine ad un sistema sanitario che risente della non sostenibilità attuale.
Di fondamentale importanza, alla luce di questi fatti, il ruolo di associazioni che approfondiscano il tema della gestione del rischio, improntando una sorta di rete multi-professionale che possa agire nella sicurezza del paziente e nella tutela dell’operatore sanitario, che ogni giorno si misura con una varietà di malati che pur soggetti della stessa malattia, restano pur sempre un caso diverso dall’altro e come tali devono essere trattati nella loro specificità.
Nadia Pische
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