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Dopo l’approvazione della proposta di legge che riconosce il componimento melodico tradizionale “Sa patriottu sarda a sos feudatarios”, noto anche come “Procurade ‘e moderare” di Francesco Ignazio Mannu quale inno ufficiale della Regione sarda, i lavori sono proseguiti in seduta non formale con la manifestazione celebrativa de “Sa Die de sa Sardinia” e dei 70 anni dalla promulgazione dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna. Dopo l’inno della Sardegna, è intervenuto il presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau che ha ricordato che la ricorrenza de “Sa Die de sa Sardinia”, giornata della festa nazionale dei Sardi, fu istituita dal Consiglio nel 1993 con la legge n. 44. «La classe politica di allora – ha affermato – capì che la Sardegna aveva bisogno di una sua festa nazionale per unire idealmente l’isola intorno a valori condivisi e scelse quella lontana data del 1794 per il significato simbolico di quell’evento storico che parla di sardi che dopo secoli di rassegnazione e sfruttamento decidono di dire basta». «Un momento esaltante – ha proseguito Gianfranco Ganau citando Giovanni Lilliu – che segnò il passaggio da una Sardegna asservita al feudalesimo a una Sardegna libera, fondata sull’autonomia, l’identità di popolo ed una nuova patria sarda. A quasi venticinque anni da quella legge – ha aggiunto il presidente – è tempo di riflettere sul significato profondo di questa giornata che va al di là dell’affermazione di un’identità sarda e deve rappresentare un monito per tutta la comunità perché sia capace di costruire il proprio destino e futuro e riaffermi nell’agire quotidiano e soprattutto nell’agire politico la sua autonomia, oggi più di ieri necessaria in un sistema di poteri modificato dove il nostro interlocutore non è più solo lo Stato centrale ma anche l’Europa». «La nostra – ha sostenuto il presidente dell’Assemblea – è un’autonomia giovane se paragonata ai millenni della nostra storia e possiamo esserne orgogliosi perché, nonostante difficoltà ed errori, sono stati settant’anni di straordinario avanzamento economico e sociale per la nostra terra che si affacciava povera e sfruttata all’alba della Repubblica italiana democratica e antifascista».
Ma, soprattutto, quello dell’autonomia, secondo Gianfranco Ganau, «è un percorso che va ancora perseguito e costruito con un’assunzione di responsabilità comune che veda istituzioni, associazioni, scuole, università e finanche singoli cittadini, impegnati a compiere ogni giorno una rivoluzione».
Il presidente si è poi soffermato sul significato che il Consiglio ha voluto attribuire alla ricorrenza di “Sa Die” nel corso della legislatura, dal NO al deposito delle scorie nucleari del 2015 alla prima riunione congiunta delle assemblee di Sardegna e Corsica nel 2016; dal vertice fra tutte le Regioni a Cagliari sulle prospettive del regionalismo dopo la mancata approvazione del referendum costituzionale fino ad oggi, col riconoscimento come inno della Sardegna del componimento musicale noto come “Procurare ‘e moderare” di Franciscu Ignazio Mannu, inserendolo all’interno della legge n. 10 del 1999 con la quale venne adottata la bandiera della Regione Sardegna.
«La prima esecuzione ufficiale del nuovo inno sarà dedicata – ha annunciato Gianfranco Ganau – ai nostri conterranei che numerosi sono presenti in questa aula e attraverso loro a tutti quelli che popolano l’Italia e il mondo senza mai dimenticarsi la loro terra; quella dell’emigrazione sarda è la storia di un popolo che ha dovuto lasciare la sua terra in cerca di un futuro migliore ma è soprattutto la storia di vite incredibili, difficili e combattute ma spesso di grande riscatto.»
Il presidente ha affrontato successivamente il tema dell’insularità, per osservare che da essa «discendono indubbiamente profili di peculiarità identitari, da valorizzare e declinare in positivo ma anche, è evidente, elementi di svantaggio oggettivi che richiedono l’impiego di maggiori risorse per assicurare alla comunità pari opportunità in termini di sviluppo e per evitare quelle situazioni che, oggi come ieri, hanno spinto tanti, troppi sardi, ad emigrare non per scelta ma alla ricerca di un futuro». «Per questo – ha precisato con un riferimento all’attualità – dico che sbaglia chi minimizza il significato della battaglia per il riconoscimento in costituzione del principio d’insularità, perché è una battaglia identitaria che deve diventare una battaglia di popolo per coinvolgere e convincere tutti i sardi».
Dopo aver lamentato la presenza di troppe remore nei partiti e in alcuni settori della società sarda civile rispetto a questo percorso, il presidente Gianfranco Ganau ha espresso apprezzamento per un nuovo percorso, condiviso dalla FASI, che consiste in una legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare con l’obiettivo «di ottenere un diritto egualitario che l’Italia deve riconoscere alla Sardegna e alle isole minori; abbiamo una storia da scrivere e possiamo farlo tutti insieme, gli emigrati e i sardi rimasti a casa».
Serafina Mascia, presidente della Fasi, ha salutato con favore l’approvazione da parte del Consiglio dell’inno sardo. «Noi siamo qui – ha detto – come delegati, ma siamo popolo sardo. Noi siamo sardi e portiamo fuori dalla Sardegna la sardità. Serafina Mascia ha ripercorso la storia dell’emigrazione e il ruolo della Regione nei confronti degli emigrati. Noi abbiamo sempre la bandiera dei quattro mori pronta da far sventolare in qualsiasi nazione», perché siamo orgogliosi di essere sardi. I problemi però sono sempre gli stessi. Prima di tutto il lavoro e i trasporti. L’isola, grazie alle moderne tecnologie è connessa con il resto del mondo – ha aggiunto – ma questo non basta. L’isola deve essere collegata alla terraferma. Quindi la battaglia sull’insularità deve essere portata avanti. Perché l’insularità deve essere un’opportunità e non più un impedimento. L’identità e l’appartenenza – ha concluso – sono il nostro punto di forza. La sardità non è solo legata alla territorialità».
Aprendo la serie degli interventi dei capigruppo Attilio Dedoni, per i Riformatori sardi, ha salutato con affetto le associazioni degli emigrati che, ha detto, «sono la migliore testimonianza di una nazione senza stato con radici vive e profonde». «Tuttavia – ha sostenuto – il concetto di autonomia fatica ad affermarsi in Italia ed in Europa anche per responsabilità della Sardegna e delle occasioni che non ha saputo cogliere, servono perciò un nuovo progetto ed una nuova stagione di confronto con lo Stato in condizioni paritarie e senza sudditanze».
Paolo Truzzu, di Fdi, ha affermato provocatoriamente che «dell’autonomia non ce ne facciamo niente nel senso che non abbiamo chiaro cosa vogliamo fare della nostra terra, è un po’ come il vestito delle grandi occasioni che si mette un giorno e poi lo si conserva nell’armadio». «Smettiamola di dare le colpe ad altri ed assumiamoci le nostre responsabilità – ha esortato – perché in questi 70 anni è mancata una visione capace di progettare il futuro; ora è il momento delle grandi decisioni riportando tutti i sardi al centro di un progetto forte ed aggredendo i nodi strutturali dello sviluppo».
Daniele Cocco, capogruppo di Art. 1 – Mdp, ha sottolineato che «l’incontro di oggi non può essere un momento di liturgia e tutti siamo chiamati a tenere in grande considerazione il discorso della presidente degli emigrati: combattere con voi la battaglia dell’insularità rafforza la rivendicazione delle istituzioni regionali». «L’autonomia da sola – ha ammonito – però non serve se la politica non è capace di metterla in moto indicando priorità ed obiettivi, per questo la Sardegna deve riuscire a farsi ascoltare dallo Stato ma anche essere capace di una chiara rivendicazione unitaria, partendo dagli accantonamenti che lasciano allo Stato ogni anno 800 milioni di euro».
Pierfranco Zanchetta, presidente del gruppo Cps, ha citato un’istanza di Giuseppe Garibaldi (che amava la sua Caprera) al presidente del Consiglio dei ministri di allora con cui si chiedeva di intervenire con urgenza per alleviare la gravissima situazione della Sardegna, liberandola una volta per tutte dal malgoverno; in sostanza chiedeva tribunali, corte d’appello, opere pubbliche ed una amministrazione efficiente, incontrando però la solita indifferenza di tutti i governi. «Ora ci sentiamo impegnati nella battaglia per l’insularità – ha concluso – insularità significa anche attenzione ai problemi delle isole minori».
Il capogruppo del Pds Gianfranco Congiu ha affermato che «larga parte del popolo sardo esprime un giudizio negativo sui risultati concreti ottenuti da una autonomia che, ad esempio, non riesce ad arrivare al diritto alla mobilità che invece viene esercitato in tutte le altre isole minori, in un quadro dove l’insularità viene riconosciuta a livello europeo ma non a livello nazionale dove l’azione della Regione si è mostrata inefficace». Una quota di Sardegna, ha proseguito, «chiede maggiori poteri o meglio veri poteri, passando da una autonomia imperfetta ad una perfetta fondata sull’autocoscienza del popolo e su una profonda azione riformatrice».
Pietro Cocco, capogruppo del Pd, dopo aver espresso una valutazione altamente positiva sulla «testimonianza preziosa degli emigrati», ha dichiarato che «autonomia è sentimento e passione ma anche una lunga marcia verso l’autogoverno della Sardegna, partita dalla seconda metà dell’800 ed arrivata, 70 anni, fa all’approvazione dello Statuto nel ’48, che dette una prima risposta ad un territorio trascurato e marginale in una condizione difficilissima». «L’autonomia – ha concluso – ci ha permesso di fare molti passi in avanti rispetto ad allora ma a 70 anni di distanza, il nostro Statuto deve essere aggiornato ed adeguato perché lo richiedono il contesto nazionale ed internazionale oltre che i grandi cambiamenti della società: sotto questo punto di vista l’insularità va bene ma c’è bisogno di aggiornare i contenuti della carta autonomistica rivedendo i rapporti con lo Stato».
Alessandra Zedda, capogruppo Fi, ha evidenziato il poco positivo rapporto con lo Stato per ciò che attiene le risorse negate alla Regione sarda ed ha posto l’accento sulla richiesta di una più consapevole e forte autonomia, insieme con il riconoscimento della condizione di insularità. «I sardi – ha dichiarato l’esponente della minoranza consiliare – si sentono nuovamente sudditi nei confronti di un governo nazionale arrogante e non siamo più disposti a fare passi indietro sul tema dell’Autonomia». «L’autonomia non è domanda di assistenzialismo – ha affermando Alessandra Zedda – e siamo pronti ad accettare la sfida per la revisione dello Statuto, aprendo una fase nuova di contrattazione con lo Stato».
Il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, intervenendo in conclusione della seduta informale e celebrativa di Sa Die de Sa Sardigna ha ricordato alcune delle principali azioni poste in essere dal governo regionale nel corso della Legislatura ed ha approfondito il tema della insularità («è la nostra grande sfida») e delle riforme («non si misurano con gli annunci e neppure sulla quantità delle risorse ma sulla capacità di incidere nella vita delle persone»), alla luce anche dei rapporti con lo Stato e l’Unione europea.
Il capo dell’esecutivo ha insistito sulla clausola di insularità riservata alle regioni insulari periferiche ed ha denunciato le difficoltà e le penalizzazioni che derivano ai sardi per effetto delle interpretazioni restrittive che in sede europea permangono in materia di aiuti di Stato. «La soluzione che auspichiamo è una deroga – ha spiegato Francesco Pigliaru – per tutti i fondi europei e nazionali impiegati per mitigare i costi associati all’insularità, al fine della loro esclusione dalla disciplina degli aiuti di Stato».
Il presidente ha quindi definito “profondamente ingiusto” il livello degli accantonamenti imposto dallo Stato alla Regione sarda ed ha elencato le riforme approvate nel corso della Legislatura a guida centrosinistra: sanità, lavoro, Enti locali e Reis. Non è mancato il riferimento alla nuova legge urbanistica («auspico il varo di una spero legge di alto livello che raccolga consenso e superi le attuali divisioni») e al caso Ottana («abbiamo chiesto il riconoscimento dello stato di crisi di area complessa»). «Lavoriamo insieme – ha concluso Francesco Pigliaru, riferendosi alle parole dell’inno del Mannu – perché “tesi i fili dell’ordito dobbiamo continuare a tessere”»
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