Ad un anno dalla morte di Davide Astori, la compagna Francesca a Vanity Fair: «Noi compagne, trattate come vedove di serie B».
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«Gli amici i domandano: “Ma il 4 marzo hai dormito?”, e io penso che per me è 4 marzo ogni giorno. Quattro marzo quando mangio, 4 marzo quando vado a dormire, 4 marzo quando compro un biglietto di treno, organizzo un viaggio e penso che accanto a me Davide non ci sarà più.»
Era la mattina del 4 marzo 2018 quando Francesca Fioretti ha saputo che il suo compagno Davide Astori, capitano della Fiorentina, era morto nel sonno mentre si preparava a giocare in trasferta a Udine. Nella sola intervista che ha scelto di dare a un anno da quel lutto, racconta a Vanity Fair – che la pubblica nel numero in edicola da oggi mercoledì 21 marzo – come sta ricostruendo una vita per sé e per Vittoria, la bambina che ha avuto da Davide.
«Ognuno attraversa il dolore a modo proprio. All’inizio, avevo paura di tutto. Per molti mesi non ho acceso la tv né ho dormito nella nostra stanza. Mi facevo accompagnare in bagno per lavarmi i denti, temevo di non essere più in grado di gestire mia figlia, ero terrorizzata dall’idea di volerle meno bene. Mi ha aiutato una psicologa infantile. Ci sono andata subito, il giorno dopo la morte di Davide. Ero in confusione totale. Lei mi ha aiutato a capire che il 4 marzo era finita un’intera esistenza, e che avrei dovuto cominciarne una completamente nuova. Ho poco più di 30 anni (34 in questi giorni, ndr) e, anche se a volte penso che innamorarsi di nuovo sia impossibile, mi auguro ancora di scoprire posti nuovi, ridere, uscire a cena con gli amici.»
In questa nuova esistenza c’è anche spazio per il suo lavoro di attrice: oggi, 21 marzo, è sul palco, al teatro Delfino di Milano, con Lungs di Duncan Macmillan, la storia di una coppia che invecchia insieme, come a lei e a Davide non è stato concesso. All’inizio, quando gliel’hanno proposto, ha detto no. «Pensavo che dopo la morte di Davide non sarei stata in grado di sostenere la parte». Poi ha cambiato idea. «Perché in un momento della vita in cui mi è impossibile astrarmi, lì sopra, come per miracolo, ci riesco. Il teatro è stata una salvezza».
Il 4 marzo, a San Pellegrino, c’è stata la prima delle commemorazioni pubbliche di Astori, e a Francesca ha portato un’amarezza in più. «Si è tenuta alle 8 di mattina, a quell’ora portavo Vittoria a scuola. Sono arrivata a funzione conclusa e nel primo pomeriggio, senza telecamere in chiesa, sono andata con suo padre e tre familiari a ricordarlo. Hanno scritto “la compagna non c’era” e si sono permessi di insinuare cose spiacevoli, di dire quello che avrei dovuto o non dovuto fare. Ma non mi hanno ferita perché a questo sistema, al “non so niente”, ma giudico comunque”, ho fatto il callo».
A Vanity Fair Francesca ha voluto parlare, più che per sé, per tutte le donne che vengono ancora considerate compagne di serie B. «Sono sicura che se fossi stata la moglie di Davide, in un Paese in cui le coppie di fatto sono trattate come abusive, le cose sarebbero andate diversamente e non mi avrebbero mancato di rispetto. Mi sono accadute cose kafkiane. A poche ore dalla sua morte, sono state bloccate le carte di credito in comune, con le quali sostenevamo le spese familiari, e ho scoperto che per i prossimi 15 anni sarei stata seguita da un giudice tutelare. Io sono stata veramente fortunata, ho incontrato una donna saggia e illuminata. Ma se penso che altre donne rischiano di trovarsi a stretto contatto con una burocrazia complessa, mi vengono i brividi. Ho sempre lavorato e guadagnato, ma penso ai tanti che si trovano nella mia situazione e ai quali non è riconosciuto alcun diritto. Se la mia storia dovesse servire veramente a qualcuno, spero aiuti a cambiare la legislazione. A non distinguere tra amori di serie A e di serie B».
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