[bing_translator]
E’ quanto si evince dall’ultimo report del Centro studi della Cna sul trend delle esportazioni della Sardegna. A segnare lo stop dell’export sardo è stata per lo più la drammatica crisi del settore agroalimentare ed in particolare il crollo del comparto lattiero-caseario. Viceversa a sostenere la modesta crescita delle esportazioni dall’isola ha contribuito la buona performance del comparto chimico-farmaceutico, che dopo il +57% del 2017 realizza una notevole crescita anche nel 2018 (+27%). Confermato anche il trend positivo del comparto metallurgico(+8,3%), in sostenuta crescita ormai da quattro anni (+7% nel 2015, +2,8% nel 2016 e +13% nel 2017).
In valore assoluto, tuttavia, è ancora l’industria petrolifera a trainare l’export dell’Isola realizzando nell’ultimo anno 326 milioni di euro in più di vendite all’estero (+7,6%). Al netto dell’industria petrolifera la performance delle esportazioni regionali però si ridimensiona, rimane positiva (+3,3%), ma rallenta vistosamente rispetto al 2017 (+20%).
Il rallentamento dell’export sardo è dovuto, come accennato, al deciso arretramento del comparto agroalimentare (-17,8%), già notevolmente ridimensionato dal calo del 2017 (-1,1%) e del 2016 (-7%): un valore passato dal picco di 196 milioni di euro del 2015, ai 148 milioni del 2018. Eppure, tra il 2012 ed il 2015 l’industria sarda aveva beneficiato del trend espansivo dal settore agroalimentare nazionale: l’export di prodotti isolani aveva infatti realizzato una crescita record grazie al buon andamento della domanda USA, in parte favorita dalla svalutazione dell’euro rispetto al dollaro. Nella media del periodo 2012-2015 le vendite di prodotti sardi erano cresciute ad un ritmo del +12,3% l’anno, in assoluto, la performance più brillante tra tutte le regioni italiane.
Da migliore a peggiore: nell’ultimo triennio l’export agroalimentare sardo ha registrato un vero e proprio tracollo. Con una contrazione media annua del -8,6%, la Sardegna è stata l’unica regione italiana con export agroalimentare in calo. E per la Sardegna il dato è particolarmente significativo: è collassato un comparto strategico per l’economia regionale che, al netto del settore petrolifero, vale quasi un quinto dell’export manifatturiero isolano (17,6%).
Come evidenzia il report della Cna sarda, si può dire che sia entrata in crisi una parte importante dell’economia sarda, costituita da piccole e medie realtà imprenditoriali con filiera produttiva certificata: in Sardegna operano infatti oltre 16mila produttori con marchio di qualità (Dop, Igt o Stg), il numero più elevato tra tutte le regioni italiane (in Toscana sono meno di 13mila, 11mila in Trentino).
La principale causa di questa contrazione – emerge dalla ricerca – è la riduzione della domanda statunitense. Tra 2015 e 2018 le esportazioni verso gli USA di agroalimentare sardo sono passate da 116,5 milioni di euro a 70,6: quasi 46 milioni di euro in meno in tre anni, una contrazione del – 40%. Ma in calo sono risultate anche le principali destinazioni europee, 5,6 milioni in meno verso la Germania (-31%), 4,5 verso la Francia (-39%) e 900 mila verso la Spagna (-12%). Tra i mercati minori, in decisa crescita solo il mercato canadese, che nel triennio ha importato 2 milioni di euro di prodotti sardi in più (+53%).
Il crollo della domanda USA è senza dubbio anche in questo caso la questione centrale. Il valore dell’export di prodotti caseari verso gli Stati Uniti è passato dai 107 milioni di euro del 2015 ai 60 del 2018, 47 milioni di euro in meno (-44%), 30 dei quali tra 2017 e 2018 (-34%).
Va detto comunque che la domanda globale di prodotti caseari di importazione in USA è in riduzione. Tra 2017 e 2018 si stima una contrazione del – 22,4%, (da 2,79 a 1,78 miliardi), ma i prodotti sardi perdono quote di mercato, sia a livello globale, sia rispetto alle altre regioni italiane. Seppur lievemente, la quota di mercato dei prodotti italiani infatti è aumentata, dal 13,5% delle importazioni complessive, al 14%.
La fetta di mercato delle produzioni casearie sarde, invece, ha segnato un deciso arretramento. I produttori sardi detenevano il 4,1% del mercato estero negli USA nel 2016 (in valore), nel 2018 la quota è diventata il 3%. Il prodotto sardo sembra aver perso quota, sia rispetto ad altri concorrenti internazionali, in particolare Irlanda (dal 9,1% al 13,2%) e Francia (dal 9% al 10,3), sia rispetto alle altre regioni italiane che hanno visto la loro quota di mercato passare dal 9,4% al 11%.
«Il carattere fortemente specializzato dell’export regionale, sia al livello geografico sia al livello di prodotto, espone il settore agroalimentare della Sardegna ai rischi derivanti dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e dei tassi di cambio (e quindi del prezzo di vendita), oltre che a politiche commerciali sfavorevoli messe in atto dei suoi partner principali – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna-. I recenti sviluppi fanno pensare che nei prossimi anni gli Stati Uniti possano perseguire una politica di sempre maggiore chiusura verso le importazioni europee, scatenando una guerra tariffaria al livello globale. Non va poi trascurato che quest’anno è prevista la Brexit, con il rischio di un’uscita disordinata dall’UE della Gran Bretagna che rappresenta il sesto/settimo mercato di sbocco per l’export agroalimentare sardo. Appare quindi fondamentale – proseguono Piras e Porcu – diversificare i prodotti, investendo sullo sviluppo del settore agroalimentare nel suo complesso, promuovendo l’accesso ai mercati internazionali di altre produzioni oltre a quelle lattiero-casearie. Le produzioni regionali di qualità del comparto enologico, pastario, oleario, etc., sono ancora poco conosciute all’estero e hanno un ampio potenziale di crescita. La strategia di promozione del brand dei prodotti caseari può rappresentare un riferimento per lo sviluppo degli altri settori merceologici, ma occorre anche diversificare i mercati di sbocco, facendo leva sulla qualità riconosciuta e sulla specialità della tradizione sarda e supportando le piccole imprese nel difficile percorso che porta all’internazionalizzazione. D’altra parte anche mercati fino ad ora poco inclini all’import agroalimentare di prodotti occidentali, ed italiani in particolare, sono destinati a crescere rapidamente. La nuova classe media di paesi come India o Cina (senza dimenticare la Russia post sanzioni o il Sud America) rappresenta il potenziale consumatore di prodotti sardi in un futuro ormai prossimo. A partire dal 2009 la Cina ha sperimentato un vero e proprio boom di importazioni di prodotti agroalimentari (+230%), in particolare dall’Italia, un trend di crescita che, a giudicare dai programmi per la creazione di corridoi commerciali come la Via della Seta, è ragionevole ritenere possa proseguire anche in futuro.»