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Eurallumina e Sideralloys, se rimesse in marcia come deciso, occuperebbero 898 lavoratori. L’occupazione indotta nel territorio vale tra due e tre volte quel numero. Tenendoci all’ipotesi più cauta, l’occupazione totale corrispondente ammonterebbe a circa 2.700 unità: si recupererebbe una quota importante della preesistente occupazione generata dalla filiera dell’alluminio, valutata in 3. 550 unità con lo stesso metodo di calcolo. Si deve inoltre sommare l’occupazione per la ristrutturazione degli impianti, stimata in 420 lavoratori mediamente presenti nei cantieri per due anni. Bisognerebbe includervi anche l’occupazione diretta e indiretta connessa alla centrale Enel che, senza i clienti metallurgici, è destinata alla chiusura. A fronte di questo notevole beneficio occupazionale, il contributo pubblico a fondo perduto dei Contratti di sviluppo già sottoscritti dalle due aziende con Invitalia, è di “soli” 14,9 milioni di euro cui corrispondono investimenti per complessivi 295 milioni di euro. E’ ben vero che Invitalia eroga per i due Contratti anche un finanziamento di 151,4 milioni di euro ma questo è un prestito, da rimborsare in 8 anni a condizioni di mercato.
La prima conclusione è che con un contributo pubblico relativamente modesto, si ottiene un importante effetto sul lavoro. La seconda conclusione è che, se il lavoro è considerato sinceramente il problema principale, chiunque governi, a Roma o a Cagliari, dovrebbe agire per il riavvio di queste fabbriche. Gli effetti sociali sarebbero immediati. Il riavvio deve essere fatto rispettando le stringenti norme ambientali, ovviamente. Neppure può essere ignorato che la chiusura delle fabbriche ha impatti negativi sulla salute e sui tassi di mortalità delle popolazioni coinvolte. E’ documentato da tanti studi scientifici che la deindustrializzazione provoca incremento delle malattie, della mortalità, dei suicidi e della tendenza ai gesti estremi. Al riguardo, i numeri sono semplicemente terribili sebbene trascurati dagli opinionisti e dalle stesse autorità sanitarie.
Che cosa si frappone, dunque, verso l’obiettivo del riavvio delle due fabbriche? I fatti vanno richiamati con la maggior chiarezza possibile e senza spirito sterilmente polemico.
Eurallumina attende da un tempo infinito le autorizzazioni per iniziare l’investimento in un impianto tenuto in efficienza e dove vi ruotano a turno i lavoratori dipendenti. Cinque anni sono trascorsi, senza venirne a capo, tra le richieste di nuovi approfondimenti dei valutatori ambientali, il ministero dei Beni culturali che eccepisce questioni più proprie di un parco che non di un’area industriale e blocca quanto deciso dal Governo, una politica energetica erratica: ho visto l’Enel negare la possibilità di fornitura del vapore, poi, su impulso di Carlo Calenda, scoprire che invece si può fare, ora si dice, giustamente, che bisogna superare il carbone ma non si dice (grave errore) se e quando ci sarà il gas a Portovesme. Passano gli anni e insorgono nuovi ostacoli: cose importanti e sempre con i bolli a posto, per carità. Ma e il lavoro? E le persone che si ammalano per disperazione? Non contano? Nel mentre, altrove, è stato affrontato e risolto il caso ILVA di Taranto molto più complesso. E sempre nel mentre e in un altrove che si chiama Germania, Francia, Spagna, Irlanda, Grecia, impianti simili a Eurallumina sono in marcia. Domanda: perché non si dovrebbe fare nel Sulcis?
Veniamo a Sideralloys. I fatti, innanzitutto. Sideralloys è un’azienda con un socio privato nettamente maggioritario ma anche (non casualmente) partecipata dallo Stato attraverso Invitalia: il MISE ha tutti gli strumenti in mano per controllare direttamente e indirettamente che si attui quanto deciso e non ci siano ulteriori ritardi. Sommessamente bisogna ricordare che Carlo Calenda non è più al MISE da un anno e che ora c’è un altro ministro che sinora non ha mai ricevuto il sindacato. Domanda: se ne occupa? E si occupa, da ministro del Lavoro, anche di pagare gli ammortizzatori sociali in deroga? Per Sideralloys è stato fatto un Contratto di sviluppo ed è stato erogata una prima quota del finanziamento (25 milioni di euro). Su questo fronte il pubblico è in regola: tocca all’azienda essere puntuale nei suoi impegni e finora, a prescindere dalle motivazioni, non lo è stata. E tocca invece al Governo rispettare gli impegni sull’energia.
Il prezzo finale dell’energia dipende da quattro misure. Vediamolo dettagliatamente sebbene il discorso si faccia un po’ più tecnico. Due di queste, l’accesso al servizio di interrompibilità e la legge sull’alleggerimento degli oneri di sistema sono operative e, infatti, vi fanno ricorso, in Italia, centinaia di aziende ad alta intensità energetica, numerose anche in Sardegna. Un terzo elemento è il contratto bilaterale tra Enel e Sideralloys per la fornitura decennale dell’energia elettrica. In proposito, esiste un Memorandum d’intesa fra le due aziende. Domanda: si riesce a passare dal Memorandum al Contratto? Qual è la posizione dell’attuale Governo al riguardo? Il quarto elemento, già previsto e accordato dal MISE per arrivare al prezzo competitivo dell’energia, è l’accesso ad una quota della meno cara energia elettrica importata dall’estero per l’industria di base. Si conferma questa misura? E se no, che cosa si propone in alternativa?
E’ da auspicare che ci sia, in tutte le sedi decisionali, un atteggiamento ragionevole di conferma e attuazione di quanto già deciso. Non riesco, infatti, a comprendere quale sia il vantaggio e per chi, nel buttare tutto per aria.
Non sfuggo all’argomento di chi dice che “bisogna fare altro”. D’accordo in linea di principio e in linea pratica. Fare altro però non può essere a mio avviso, sostenere una cultura pregiudizialmente antindustriale come si manifesta in non pochi ambienti. Essen, città della Rhur tedesca, citata spesso ad esempio di riconversione, è stata capitale europea della cultura, ha una miniera-museo dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco ma conserva tanta industria, compreso, guarda caso, un impianto di alluminio primario che ha la stessa età anagrafica e tecnologica di quello di Portovesme. Sempre nella Rhur, a Voerde trovi un altro impianto analogo di alluminio primario. Per non parlare di quello di Amburgo, chiuso dall’Alcoa e riaperto dal governo tedesco. Domanda: qual è la ragione tecnica che rende impossibile di fare qui ciò che è stato fatto in Germania?
Ma torniamo al “bisogna fare altro”. Il Piano Sulcis destina il cinquanta per cento delle risorse ai settori dell’agroalimentare, del turismo, delle aziende innovative, della piccola impresa, dell’innovazione tecnologica, della scuola e delle infrastrutture funzionali a questi obiettivi, cioè porti dell’arcipelago, piccoli approdi, ciclovie, approvvigionamento idrico per l’agricoltura. Un altro trenta per cento è dedicato alle bonifiche e al risanamento ambientale. Il restante venti per cento è dedicato al comparto industriale tradizionale, risorse che però nella più gran parte rientreranno perché erogate a titolo di prestito al netto di circa 15 milioni di euro erogati come contributo a fondo perduto a Eurallumina e Sideralloys. Oltre cento piccole imprese del settore agroalimentare e del turismo hanno avuto accesso alle misure di incentivazione. Sette su nove dei progetti istruiti per Contratti di investimento maggiori di 1,5 milioni di euro, riguardano il comparto ricettivo del turismo. Tutte queste informazioni sono dettagliatamente pubblicate.
La pecca del Piano Sulcis, a mio avviso, non è nell’eccessiva attenzione ai settori tradizionali dell’industria ma in altri due fatti. Il primo è la lentezza dell’attuazione. Se è vero che più dell’ottanta per cento delle risorse è stato contrattualizzato, e il resto è comunque impegnato, solo il ventuno per cento delle risorse è stato pagato e quindi l’effetto reale sull’economia del territorio è definito da questo limite. Attenzione: i soggetti attuatori delle misure sono ben quarantaquattro: amministrazioni dello Stato, Assessorati regionali, Comuni, Provincia, Invitalia, Anas, Consorzi industriali, Igea, Enti delle acque, società di ricerca, etc. Salvo lodevoli eccezioni, per ragioni oggettive (vedi adempimenti di legge) e anche soggettive la performance non è positiva a prescindere dal colore politico delle diverse amministrazioni coinvolte. Chiunque governi si trova e si troverà con il problema di come accelerare la spesa con le procedure ordinarie, senza ricorrere alle ambigue procedure straordinarie. Potrei testimoniare che in questo decennio da parte di tutti si è parlato di semplificazione ed efficienza ma i fatti dicono che si è andati in direzione opposta.
Il secondo grave fatto è che il Piano Sulcis, piano straordinario prevalentemente finanziato dallo Stato, è stato trasformato in un piano sostitutivo dell’intervento ordinario. Al territorio sono mancate risorse di cui aveva diritto. Non ho mai nascosto che in questo c’è stata una precisa responsabilità della programmazione regionale.
In conclusione, corretto ciò che il nuovo Governo della Regione reputerà utile correggere, auspico che il Piano non sia abbandonato e sia portato a conclusione, perché canalizza verso il Sulcis Iglesiente, progetti che, tra capitali privati e pubblici già impegnati, valgono oltre milleduecento milioni di euro.
Tore Cherchi