22 December, 2024
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La competitività della Sardegna alle soglie del terzo decennio del millennio: economia, innovazione, welfare, infrastrutture, turismo. Indagine della CNA sarda.

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L’87% delle regioni d’Europa è più competitiva della Sardegna; 243 regioni fanno meglio dell’Isola in termini di performance in materia di sviluppo economico, innovazione, welfare, infrastrutture e turismo.

Sardegna in difficoltà anche nel confronto con i suoi competitor nel Mediterraneo: prima di noi le isole Baleari, seguono Malta, Cipro, Corsica, Croazia, Adriatica, Algarve e Creta.

Siamo al 218° posto in Europa e al 16° in Italia per reddito pro-capite (appena 20.600 euro), ultimi tra le regioni italiane per produttività (appena 60 mila per occupato).

Preoccupa la scarsa capacità del sistema sardo di produrre e assorbire innovazione, 226° posto (in particolare tecnico-scientifica), la percentuale di occupati in settori innovativi, la qualità del capitale umano.

La Sardegna tra le peggiori regioni europee per numero di laureati, solo il 14,5% dei residenti tra 25 e 64 anni.

Disastroso il sistema welfare-società: risulta inferiore al 92% delle altre realtà europee, 258a posizione su 279 regioni; rischio povertà per il 38% della popolazione, tasso di disoccupazione giovanile medio degli ultimi 3 anni al 47% e tasso di attività femminile al 37%, ben 13 punti in meno delle regioni europee competitor nel Mediterraneo.

Segnato da scarsa efficienza produttiva Il modello turistico isolano, 233° posto; pesa la fortissima stagionalità. L’Isola superata dall’84% delle regioni a più forte vocazione turistica, incluse tutte le regioni europee del Mediterraneo.

«Senza una forte discontinuità con quanto fin qui realizzato negli ultimi 20 anni, la Sardegna è destinata ad un lento declino. Occorre un accordo bipartisan tra le forze politiche, per impostare un lavoro condiviso sulle grandi riforme di struttura, capace di rimettere in moto dinamiche nuove in grado di scuotere l’assetto conservativo su cui è adagiata la società sarda», hanno detto Pier Paolo Piras e Francesco Porcu (Cna Sardegna).

L’87% delle regioni d’Europa è più competitiva della Sardegna; 243 regioni fanno meglio dell’Isola in termini di performance in materia di sviluppo economico, innovazione, welfare, infrastrutture e turismo.

L’Isola appare in difficoltà anche nel confronto con i suoi competitor nel Mediterraneo: prima di noi le isole Baleari, Malta, Cipro, Corsica, Croazia, Adriatica, Algarve e Creta.

La Sardegna cresce meno dei suoi competitor nel Mediterraneo e della maggior parte delle altre regioni europee registrando un preoccupante gap nella capacità di innovare il proprio sistema economico e i propri livelli di produttività.

Per la preoccupante combinazione di un alto tasso di dipendenza dagli anziani (che raggiunge livelli desolanti in molte realtà dell’entroterra), un’altissima disoccupazione giovanile, una bassissima partecipazione femminile al mercato del lavoro e una elevata percentuale di popolazione a rischio di povertà, l’intero sistema socio-economico della Sardegna è uno dei meno equilibrati sia a livello europeo sia rispetto alle regioni competitor.

Lo attesta il report su “La competitività della Sardegna alle soglie del terzo decennio del millennio: economia, innovazione, welfare, infrastrutture, turismo” realizzato dalla Cna Sardegna che compara le performance dell’isola rispetto alle altre regioni competitor nel bacino Mediterraneo. La ricerca – presentata questa mattina a Cagliari – evidenzia un forte collegamento tra competitività, innovazione, crescita e sviluppo economico e livello di istruzione: in Sardegna, infatti, soltanto il 14,5% dei residenti tra 25 e 64 anni risulta in possesso di un titolo di studio universitario, dato che colloca la nostra tra le 10 peggiori regioni europee e paragonabile alle medie delle realtà più arretrate dell’Est Europeo. La scarsissima propensione all’innovazione viene amplificata da una spesa in ricerca e sviluppo ampiamente al disotto dei già bassi standard nazionali, da livelli di disoccupazione giovanile superiori rispetto alla stragrande maggioranza delle regioni europee che penalizzano la parte più dinamica e creativa della società sarda, da una bassissima produzione di brevetti e da una scarsa percentuale di occupati in aziende ad alto contenuto tecnologico, elementi che dimostrano come il sistema regionale si trovi oggi ad affrontare un gravissimo ritardo in tutti gli aspetti legati alle capacità di produrre e assorbire innovazione.

La scarsa propensione all’innovazione – evidenzia la ricerca – si ripercuote sull’offerta turistica che dovrebbe essere il punto forte dell’economia isolana. Nonostante le indiscusse capacità dell’isola di attrarre una quantità crescente di flussi turistici internazionali, le sue potenzialità rimangono abbondantemente inespresse: il modello regionale non sta riuscendo infatti a sfruttare tutte le potenzialità di destagionalizzazione offerte dall’esplosione della domanda internazionale nel Mediterraneo. Basti dire che, in media, ogni posto letto ufficiale nell’Isola risulta occupato per soli 63 giorni all’anno, contro i 210 di Malta, i 178 di Cipro, i 148 delle Baleari, i 132 dell’Algarve o i 114 di Creta; il tasso di occupazione delle strutture (al netto di chiusure stagionali e altre chiusure temporanee per ristrutturazione o ordinanze pubbliche) in Sardegna è pari al 47%, contro l’80% delle Baleari, il 75% di Malta, il 70% di Cipro e il 60% di Croazia e Creta.

L’analisi CNA

Occorre accordo bipartisan tra le forze politiche sulle grandi riforme di struttura

“A 30 anni dall’avvio del primo “Quadro comunitario di sostegno” (era il 1989) – dichiarano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale CNA – la Sardegna arretra e viene superata da sistemi territoriali un tempo molto indietro nella scala dello sviluppo”.

“Senza una forte discontinuità con quanto fin qui realizzato negli ultimi 20 anni, la Sardegna è destinata ad un lento declino.

Serve un accordo bipartisan tra le forze politiche per impostare un lavoro condiviso sulle grandi riforme di struttura, capaci di rimettere in moto dinamiche nuove in grado di scuotere l’assetto conservativo su cui si è adagiata la società sarda”.

“Le scelte da compiere su ambiti strategici, come lo sono il confronto con lo Stato su entrate, insularità, energia, infrastrutture, la riforma della Regione e l’efficientamento della P.A., il riordino amministrativo-istituzionale (Regione, Autonomie locali, Enti intermedi), un modello sanitario che coniughi controllo della spesa con la qualità dell’offerta, una legge che regoli il governo del territorio e infine l’esigenza di ripensare in forme più funzionali ed efficaci l’intera architettura che governa l’utilizzo e la spendita delle risorse europee, richiedono una visione di lungo periodo e per realizzarsi un processo di condivisione delle forze politiche da “spirito costituente” che sottragga questi temi dalla ricerca del facile consenso che, come osserviamo da tempo, a fasi alterne premia soggetti diversi ma lascia sul campo irrisolti i problemi”.

La ricerca della Cna Sardegna

Per misurare in maniera efficace il grado di competitività del sistema socioeconomico della Sardegna la ricerca della Cna sarda estende geograficamente l’analisi comparativa al livello europeo e confronta l’isola con i suoi “competitor” naturali, regioni simili per livello socio-economico, struttura e vocazione dell’economia. Queste regioni, già individuate in precedenti analisi dal Centro Studi della CNA Sardegna, sono: Sicilia, Calabria e Puglia (tra le regioni italiane); Baleari, Algarve, Croazia Adriatica, Creta, Cipro, Corsica e Malta (tra le regioni Europee); non a caso si tratta di territori simili, in molti casi insulari, che competono con la Sardegna per attrarre la domanda turistica nel Sud Europa.  In generale la ricerca evidenzia come il sistema socioeconomico isolano abbia complessivamente una performance inferiore rispetto all’87% delle regioni europee. Tale risultato – come si vedrà – deriva dalla somma di alcuni indicatori che permettono di intuire le criticità e i punti deboli nel confronto con altre realtà europee. Un risultato particolarmente allarmante riguarda il tema di Welfare e Società: come detto pesano negativamente il livello elevato della disoccupazione giovanile, la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro e la preoccupante percentuale di individui a rischio povertà. Ma preoccupa anche il risultato relativo all’Innovazione: in sostanza, più dell’80% delle regioni europee mostra – per quanto riguarda la combinazione di fattori come spesa in ricerca e sviluppo, capacità innovativa, qualità è specializzazione del capitale umano – un indice superiore a quello della Sardegna. Sorprende, invece, la performance deludente del Turismo: nonostante la crescita eccezionale dell’ultimo quinquennio, infatti, la forte stagionalità, i bassi tassi di occupazione delle strutture, una permanenza media in continuo calo, impattano negativamente sulla funzionalità del modello di offerta turistica regionale. Sotto il profilo infrastrutturale pesano il gap da insularità e la totale assenza di tratti autostradali, ma l’accessibilità dell’Isola è garantita da una buona offerta aeroportuale (anche in termini di costi) e da un discreto traffico passeggeri gestito dai porti regionali, mentre risulta in linea con la media europea la percentuale di famiglie raggiunte da una connessione a banda larga. Va infine osservato come, nel suo complesso, il pilastro relativo al livello di sviluppo economico sia quello che presenta le minori criticità. Una spiegazione va ricercata nell’inclusione nell’analisi delle regioni meno sviluppate dell’est europeo emergente (Romania e Bulgaria, in particolare), caratterizzate da livelli modestissimi di reddito pro-capite (anche quando misurato a parità di potere d’acquisto) e, soprattutto, da una bassissima remunerazione oraria del lavoro.

Lo sviluppo economico – 196a posizione su 278

Per definire l’indice di sviluppo economico sono stati utilizzati cinque indicatori: il livello di Pil pro-capite misurato a parità di potere d’acquisto, la crescita annua media del Pil tra 2016 e 2012, il livello di investimenti fissi lordi per occupato, il livello di produttività del lavoro (valore aggiunto per occupato) e il costo complessivo del lavoro, inteso come costo complessivo per ora lavorata (incluso tassazione da lavoro e contributi).

Per la Sardegna il risultato complessivo è di un valore dell’indice di sviluppo economico pari a 27, corrispondente, grosso modo, al 30-simo percentile della distribuzione europea (il percentile è una misura usata in statistica per indicare un valore sotto al quale ricade una percentuale di altri elementi sotto osservazione, ndr). Che appena il 30% delle regioni europee abbia effettivamente misurato performance inferiori a quelle dell’Isola non appare un risultato particolarmente lusinghiero, e a questo va aggiunto che nel contesto italiano la Sardegna si posiziona al di sotto di tutte le regioni del Centro e del Nord (ad eccezione dell’Umbria). Di contro, l’Isola mostra indicazioni meno negative se confrontata con le performance sia delle regioni del Mezzogiorno, sia delle regioni competitor (quarto posto su 11).

Ad incidere positivamente sul risultato regionale è però soltanto la relativamente elevata remunerazione oraria del lavoro, circa 21 euro all’ora, un dato superiore a quello di tutte le regioni competitor (esclusa Malta), anche se inferiore rispetto alla media nazionale, e un livello di investimenti fissi per addetto superiore a 7 competitor su 11 (ma modesto se inserito nel panorama regionale italiano). Insomma, emerge l’immagine di un sistema economico che si caratterizza, anche rispetto alle altre regioni italiane (specialmente quelle del Centro-Nord), per modesti livelli di Pil pro-capite (appena 20.600 euro, 218° posto in Europa su 279 regioni, 16° in Italia), grandissime difficoltà a mantenere livelli di crescita significativi (soprattutto rispetto alle altre regioni competitor) e, ed è questa la nota più dolente, bassissimi livelli di produttività, appena 60mila euro per occupato, dato che ne fa, in assoluto, l’ultima regione in Italia.

La capacità innovativa – 226a posizione su 279

Indicazioni decisamente più negative arrivano dal tema dell’innovazione, ovvero dalla capacità del sistema sardo di produrre e assorbire innovazione (in particolare tecnico-scientifica), in termini di spesa in ricerca e sviluppo in percentuale sul Pil (pubblica e privata), numero di brevetti registrati all’EPO (European Patent Office) ogni milione di abitanti,  percentuale di occupati in settori ad alto contenuto tecnologico, livello di scolarizzazione superiore (% di laureati tra la popolazione con più di 24 anni) e percentuale di adulti (più di 24 anni) impegnati regolarmente in corsi di formazione (life-long learning).

In Italia tutte le regioni si posizionano al di sotto della linea mediana europea per cui la scarsa vocazione all’innovazione è unanimemente riconosciuta come uno dei punti deboli del nostro paese, con risultati che nel Mezzogiorno si mostrano addirittura sugli stessi livelli delle regioni più arretrate dell’Est Europa. Situazione particolarmente drammatica in Sardegna che registra la combinazione di una bassissima spesa in ricerca e sviluppo (molto meno della già modesta media italiana), una percentuale di laureati tra la popolazione con più di 24 anni che non arriva al 15%, contro il già bassissimo 17% nazionale (per percentuale di laureati la Sardegna è tra e ultime dieci regioni in Europa), meno di 10 brevetti registrati ogni milione di abitanti (contro gli oltre 70 medi italiani): si tratta di un indice di performance inferiore a oltre l’80% delle altre regioni europee e, in Italia, più basso anche rispetto a regioni come Campania e Abruzzo. Va osservato come le cose vadano un po’ meglio per quanto riguarda la partecipazione degli adulti alla formazione continua: l’8,5% dei residenti in Sardegna con età superiore a 24 anni mediamente risulta coinvolto in programmi di formazione continua, contro una media italiana del 7,4%.

Le performance rimangono deludenti anche se si confronta la Sardegna con i suoi competitor (sesto posto su undici, meglio solo delle altre tre regioni italiane, di Algarve e Croazia). Tra l’altro, proprio il livello di scolarizzazione superiore continua a mostrarsi uno dei punti più dolenti; a titolo di paragone, la percentuale di laureati a Cipro arriva al 41%, 30% in Corsica, 28% nelle Baleari, 24% a Creta, mentre in Sardegna, come visto, siamo a meno del 15%. Non che per quanto riguardi gli altri parametri le cose vadano meglio. Certo, tutte le regioni considerate si caratterizzano per performance sottotono, specialmente in merito alla spesa in ricerca e sviluppo (quasi sempre abbondantemente inferiore all’1% del Pil), la produzione di brevetti e la dotazione tecnologica delle imprese.

Welfare e società – 258a posizione su 279

Ma la competitività di un sistema economico, anche se a vocazione turistica, non può prescindere dalla sua capacità di attrarre e trattenere risorse umane, garantendo una buona qualità della vita ai propri residenti e uno sviluppo e una distribuzione equilibrata della ricchezza e del benessere. Nella categoria welfare e società sono stati inseriti indicatori in grado di misurare alcuni di questi aspetti; ne fanno parte alcuni indicatori sul sistema sanitario (personale ospedaliero e posti letto), l’aspettativa di vita alla nascita e a 65 anni, l’indice di dipendenza strutturale della popolazione anziana, il tasso di disoccupazione giovanile, il grado di partecipazione femminile al mercato del lavoro e la percentuale di popolazione a rischio povertà.  Sotto questo profilo il dato della Sardegna è disastroso: gli ottimi risultati, per altro ampiamente prevedibili e comuni a tutto il contesto italiano, dal lato dell’aspettativa di vita (soprattutto raggiunti i 65 anni), vengono completamente annullati dalla combinazione micidiale di parametri di disagio sociale che si mostrano tra i peggiori sia in riferimento al contesto italiano, sia in riferimento a quello europeo.

La percentuale di popolazione a rischio povertà è allarmante (ben il 38%, il sesto valore più negativo tra le regioni italiane), a cui aggiungere un elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile (il 47% nella media degli ultimi 3 anni, ovvero il sesto valore più elevato tra le regioni italiane e tra i primi quindici in Europa), un tasso di attività femminile che si mantiene su livelli bassissimi (appena il 37%, agli ultimi posti in Europa assieme alle altre regioni del Mezzogiorno). Di positivo c’è solo il personale ospedaliero in rapporto alla popolazione che, però, si contrappone ad un relativamente basso numero di posti letto in strutture ospedaliere. Il risultato è un indice di Welfare disastroso, che risulta inferiore al 92% delle altre realtà europee.

Anche rispetto ai suoi competitor la Sardegna si conferma una realtà fragile e problematica; anche perché ben quattro regioni su undici, tra cui la cugina Corsica, si posizionano al di sopra della mediana europea in termini di parametri di welfare e sistema sociale. Meglio della Sardegna fanno pure Croazia-Adriatica e la regione portoghese dell’Algarve. Anche in questo caso gli elementi più critici sono rappresentati dal tasso di attività femminile (per le altre regioni competitor quasi sempre superiore al 50%) e dall’elevatissima disoccupazione giovanile (in Sardegna quasi sempre di 15-20 punti percentuali più alta), criticità che fanno del sistema socioeconomico dell’Isola uno dei meno equilibrati e meno competitivi tra le regioni sue pari.

Dotazione infrastrutturale – 202a posizione su 279

Quanto alle infrastrutture, altro punto dolente storico per l’isola, la ricerca della Cna sarda fa riferimento all’indice di dotazione infrastrutturale in grado di misurare non solo la dotazione fisica (infrastruttura informatica, presenza di autostrade, aeroporti e porti), ma anche la qualità delle infrastrutture presenti nel territorio come, ad esempio, la diffusione della banda larga (come misura di qualità dei collegamenti internet) o il valore assunto dagli indici di accessibilità, definiti a partire dalla stima dei tempi di viaggio (misura olistica di qualità e dotazione) per raggiungere una località a partire da tutte le altre; inoltre, per meglio approfondire l’aspetto legato della qualità della rete stradale, si è calcolato un indicatore relativo al numero di incidenti in rapporto al parco circolante, interpretato come misura indiretta della capacità dell’infrastruttura viaria di assorbire una certa densità veicolare.

Sotto questo profilo la Sardegna, seppur indietro rispetto alle medie europee, si posiziona al di sopra di quasi tutte le altre regioni del Mezzogiorno (ad eccezione di Campania e Abruzzo), e questo nonostante la condizione di oggettiva penalizzazione dovuta all’insularità. L’accessibilità dell’Isola è infatti garantita da una buona offerta aeroportuale (addirittura seconda in Italia in termini di passeggeri in transito negli aeroporti in rapporto alla popolazione residente) e da un discreto traffico passeggeri gestito dai porti regionali (prima in Italia); anche il risultato ottenuto in termini di percentuale di famiglie raggiunte da una connessione a banda larga appare positivo (86%, quinta regione italiana ed in linea con le medie europee).

Anche nel confronto con le regioni competitor, il risultato sardo non appare troppo penalizzante. Va detto che regioni come Baleari e Cipro mostrano livelli di dotazione infrastrutturale di tutto rispetto, comparabili (soprattutto per le Baleari) con quelli delle regioni meglio collegate del Centro-Nord Europa. Per le altre regioni (inclusa la Sardegna), la condizione di perifericità rispetto alle principali direttrici trasportistiche continentali incide sugli indici di dotazione soprattutto in termini di una minore accessibilità (tempi di spostamento). Nel complesso, tuttavia, l’analisi conferma quanto già emerso da precedenti studi della CNA, ovvero che, sebbene la questione infrastrutturale rappresenti un fattore centrale nella definizione delle dinamiche di crescita e sviluppo economico della Sardegna, esso non appare il tema più cogente, almeno non in relazione ai pilastri della competitività territoriale individuati e analizzati in questo studio (si vedano le enormi criticità sui temi di innovazione e welfare individuate in precedenza) .

Lo sviluppo turistico – 233a posizione su 279

Considerando l’importanza che il settore turistico riveste per l’economia della Sardegna, un intero pilastro del report è stato dedicato allo studio delle dinamiche di domanda e offerta ricettiva nelle regioni europee. A tale scopo, sono state selezionate variabili in grado di far emergere la vocazione turistica dei territori e misurare performance e funzionalità del modello di offerta locale. L’indice di performance è stato costruito considerando il numero di arrivi nelle strutture ricettive ufficiali per residente, il numero medio di notti per turista e l’offerta ricettiva in termini di posti letto per residente. Inoltre, considerando gli arrivi annui, le presenze e il tasso di occupazione delle strutture alla stregua di variabili di output e i posti letto come variabile di input del sistema, si è definito un indice di efficienza in grado di misurare quanto la performance turistiche delle regioni italiane ed europee si discostino dalla frontiera efficiente (individuata tra i territori stessi). Infine, mettendo insieme performance ed efficienza si è calcolato un indice sintetico di sviluppo turistico che è riassunto nella carta tematica sottostante. Quello che emerge è un risultato decisamente poco lusinghiero per la Sardegna, special modo nel confronto con i suoi competitor naturali. L’84% delle regioni europee, più o meno a vocazione turistica, registra un livello di sviluppo turistico migliore di quello dell’Isola, incluso tutte le regioni competitor (ad eccezione di quelle italiane).  Tra l’altro, Baleari e Croazia, ma anche Algarve e Malta, si posizionano ai primi posti in Europa, e persino Creta, Corsica e Cipro registrano dei punteggi superiori all’80% delle regioni europee.

In particolare, la ricerca denuncia l’esistenza di un grave problema di efficienza produttiva che caratterizza il modello turistico regionale: in termini di posti letto per residente la Sardegna si posiziona al 50simo posto in Europa, al settimo in Italia ed è sesta tra le regioni competitor (quinta in termini assoluti); mentre in termini di arrivi, con circa 3 milioni di turisti, la Sardegna si posiziona al di sopra di Cipro, Malta, Corsica e Calabria. Tra l’altro, sebbene la Sardegna attualmente intercetti una quota ancora marginale dei flussi internazionali nel Mediterraneo, la popolarità dell’Isola è in continuo aumento; basti dire che tra i competitor la Sardegna è la regione che ha visto incrementarsi maggiormente il flusso di turisti internazionali in arrivo nelle strutture ufficiali, sia in termini di arrivi (+39% tra 2012 e 2015), sia in termini di presenze complessive (+33% nello stesso periodo). Si tratta di un dato che dimostra quanto l’Isola sia stata capace di intercettare una grande quantità di nuovi flussi turistici, molti dei quali liberati in questi anni dalla situazione di crisi che ha colpito i paesi Nord Africani e il Medio Oriente.

Eppure qualcosa non torna: in media ogni posto letto ufficiale nell’Isola risulta occupato per soli 63 giorni all’anno, contro i 210 di Malta, i 178 di Cipro, i 148 delle Baleari, i 132 dell’Algarve o i 114 di Creta; il tasso di occupazione delle strutture (al netto di chiusure stagionali e altre chiusure temporanee per ristrutturazione o ordinanze pubbliche) in Sardegna è pari al 47%, contro l’80% delle Baleari, il 75% di Malta, il 70% di Cipro e il 60% di Croazia e Creta. Questi numeri lasciano intuire quale sia il principale problema del modello turistico dell’Isola: la fortissima stagionalità.

Se d’altra parte si guarda ai dati mensili sulle presenze nelle strutture ricettive si scopre che nel panorama italiano non esiste altra regione che presenta una stagionalità turistica pronunciata come quella della Sardegna, con tutti i problemi che ne derivano: le strutture ricettive sono sottoposte a picchi di attività/inattività; la stagionalità impatta sull’occupazione, che diventa discontinua, ridimensionando la capacità del turismo di contrastare la disoccupazione giovanile e scoraggiando gli investimenti nella formazione del personale; una stagionalità spinta crea per le comunità locali periodi di picco e problemi di congestione (traffico, accesso al servizio pubblico, servizi commerciali, etc.) e un incremento indiscriminato dei prezzi. L’incremento della popolazione in periodi limitati dell’anno (popolazione flottante), inoltre, comporta uno stress sul territorio e sulle infrastrutture, mettendo a dura prova la capacità di carico delle destinazioni e dell’ambiente: erosione delle risorse naturali, smaltimento rifiuti, inquinamento, congestione stradale.

In definitiva, l’analisi di quest’ultimo aspetto dimostra come il livello di sviluppo turistico della Sardegna è ancora molto basso. Nonostante le indiscusse capacità dell’Isola di attrarre una quantità crescente di flussi turistici internazionali, le sue potenzialità rimangono ancora abbondantemente inespresse. L’incremento del turismo internazionale, che come noto mostra caratteristiche di maggiore diversificazione, sia temporale che tipologica, è da considerarsi elemento centrale per una strategia efficace di destagionalizzazione. Per questo, la progressiva internazionalizzazione del turismo è da considerarsi fenomeno molto positivo. Tuttavia, la Sardegna continua ad essere la regione italiana in cui i flussi turistici (anche quelli internazionali) si concentrano maggiormente durante l’anno, a indicare come il modello regionale non riesca a sfruttare appieno tutte le potenzialità di destagionalizzazione offerte dall’esplosione della domanda internazionale nel Mediterraneo.

Questa mattina, a Vi
Nasce anche in Sarde

giampaolo.cirronis@gmail.com

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