22 December, 2024
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Export in frenata in Sardegna: nel primo semestre 2019 il volume complessivo segna un calo dell’1,3% rispetto al 2018 (-3% includendo l’industria petrolifera).

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Export regionale in frenata in Sardegna. Nel primo semestre dell’anno in corso, al netto del settore petrolifero, il volume complessivo dell’export regionale ha segnato un calo del 1,3% rispetto allo stesso periodo 2018. Il dato peggiora (-3%) se si include anche il comparto petrolifero che, da solo, rappresenta l’82% delle esportazioni dell’Isola. Eppure, come attesta un report della Cna Sardegna, qualche segnale positivo arriva dal settore agroalimentare. In particolare, il lattiero-caseario (legato principalmente all’export del Pecorino) dà finalmente segni di ripresa (+4%) dopo un triennio disastroso.

Il calo del primo semestre dell’anno arriva dopo un 2018 complessivamente positivo. L’anno passato si era infatti chiuso con una crescita (sempre al netto del comparto petrolifero) pari al +3,3%, trainata dalle vendite di prodotti chimici e farmaceutici (+27%) e dell’industria metallurgica (+8,3%). Molto male era andato anche lo scorso anno il settore agroalimentare, che ha proseguito il suo trend negativo di durata ormai triennale. Viceversa, nei primi sei mesi del 2019 le vendite di prodotti agroalimentari sono andate in controtendenza segnando un aumento del +4% rispetto allo stesso periodo del 2018, pari a 3 milioni di euro in più.

«Il dato è doppiamente significativo se si osserva che ad incrementare il dato delle vendite sono stati i prodotti lattiero caseari ed in particolare il pecorino – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -: la cosa fa ben sperare perché si tratta di un comparto che rappresenta l’unica realtà industriale regionale con una filiera “quasi” completamente locale e che assorbe una quota del 62% di tutto il settore agroalimentare isolano

Tabella 1 – Export regionale (milioni di euro) e variazione percentuali tendenziali

2015 2016 2017 2018 II 2018 II 2019 Var.% 2018 Var.% II 2019
Prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca 10 12 13 18 7 6 37,4% -19,9%
Industria estrattiva 57 55 58 63 31 24 7,9% -24,2%
Settore Agroalimentare 196 182 180 148 73 76 -17,8% 4,0%
Tessili e abbigliamento, pelli 19 20 21 20 10 8 -2,5% -20,3%
Legno e carta 30 26 24 23 12 12 -3,5% -5,8%
Industria petrolifera 3.910 3.423 4.427 4.763 2.204 2.185 7,6% -0,9%
Industria chimica e farmaceutica 169 141 221 281 137 122 27,1% -11,1%
Plastiche non metallifere 23 19 17 20 10 9 18,0% -8,9%
Industria metallurgica 191 196 221 240 126 133 8,3% 5,5%
Elettronica, ottica e apparecchi elettrici 20 16 22 22 9 9 -2,3% -4,1%
Altri macchinari 48 39 56 52 27 14 -6,6% -49,3%
Mezzi di trasporto 18 35 77 32 14 32 -58,6% 127,4%
Altro manifatturiero 4 8 8 4 2 2 -51,0% 3,2%
Energia e trattamento rifiuti 21 30 19 27 9 9 42,7% 8,1%
Altro 8 7 6 25 11 10 313,0% -14,2%
Totale 4.723 4.209 5.371 5.738 2.683 2.649 6,8% -1,3%
Totale senza petrolifera 812 786 944 975 478 464 3,3% -3,0%

Fonte: Elaborazioni Cna Sardegna su dati Istat.

In un semestre nel complesso negativo, le vendite di prodotti agroalimentari segnano dunque un +4% rispetto allo scorso anno: 3 milioni di euro in più. Tutto ciò grazie ad un incremento delle vendite dei prodotti lattiero caseari, comparto che come detto assorbe una quota del 62% del settore agroalimentare isolano (al secondo posto si colloca il comparto delle bevande, con il 15%, al terzo quello dei prodotti da forno e farinacei, 9%, seguito dalle carni lavorare, 5,7%).

Quando si parla di esportazioni nel comparto lattiero-caseario si fa ovviamente riferimento soprattutto al mercato del pecorino. Sotto questo profilo , rileva lo studio della Cna Sardegna, si può affermare che sono state le dinamiche negative delle vendite all’estero di questo prodotto DOP (il Pecorino Romano e il Fiore Sardo) a determinare le vicende dell’intero comparto agroalimentare sardo. Il calo è stato importante: considerando le esportazioni nazionali complessive di Pecorino e Fiore Sardo (il 95% relative a prodotto lavorato in Sardegna) si è passati dai 162 milioni del 2015 ai 124 milioni del 2018.

Per spiegare questa performance negativa è possibile isolare due fattori: la fluttuazione dei prezzi di vendita e la scarsa diversificazione in termini di mercati di sbocco.

La fluttuazione dei prezzi. Il 2015 aveva rappresentato il picco massimo dell’ultimo decennio, quando, secondo i dati Istat, il livello medio del prezzo all’export era arrivato ad oltre 9 euro al chilo, salvo poi letteralmente crollare nel biennio successivo e risalire leggermente attestandosi nel 2019 abbondantemente al di sotto della soglia di riferimento di 8,5 euro/Kg. Si tratta di una dinamica che trova conferma nelle quotazioni ufficiali mensili della piazza di Milano per prodotto con oltre 5 mesi di stagionatura (il prezzo s’intende quello praticato nelle transazioni commerciali tra operatori economici del settore, prezzo franco caseificio, merce nuda I.V.A. esclusa), che indicano attualmente (settembre 2019) una quotazione di 6,75 euro al Kg (il livello del prezzo dipende, ovviamente, dalla quantità di prodotto presente sul mercato e dalla domanda espressa dai principali mercati di sbocco).

Il report della Cna sarda confronta le dinamiche del prezzo del pecorino con quelle del prodotto caseario per eccellenza dell’export nazionale, ovvero il parmigiano (Grana Padano e Parmigiano Reggiano), che rappresenta un mercato estero da quasi un miliardo di euro di export nel 2018 (932 milioni, contro i poco più di 120 milioni del pecorino): nel 2015, secondo i dati Istat, il prezzo medio di vendita del pecorino era superiore a quello del parmigiano. Negli anni successivi, tuttavia, le dinamiche sono state opposte: il pecorino, come detto, ha mostrato un calo vertiginoso dei prezzi unitari (da 9,5 a circa 7 euro al kg nel 2019), mentre il secondo ha visto lievitare i prezzi fino a oltre 11 euro al kg (da 8,9 del 2015). Si può affermare che esiste un problema di tenuta del prezzo nel mercato del pecorino.

I mercati di sbocco. Un elemento che contribuisce a spiegare dinamiche de prezzi così sfavorevoli è la scarsa diversificazione dei mercati di sbocco del pecorino. Ad esempio, se si considerano solo i primi due mercati (Stati Uniti e Germania, sia per il pecorino, sia per il parmigiano), il valore delle esportazioni rappresenta il 70% delle vendite all’estero di pecorino, contro il 36% per il parmigiano; se poi si estende il calcolo ai primi 5 mercati (USA, Germania, Francia, Regno Unito e Canada) si arriva all’83% per il formaggio sardo e ad appena il 59,7% per il parmigiano. Proprio questo carattere fortemente specializzato espone il prodotto sardo a maggiori rischi derivanti dalle fluttuazioni dei tassi di cambio e a situazioni sfavorevoli dal lato delle politiche commerciali dei partner. Si pensi alle conseguenze di una politica di sempre maggiore chiusura verso le importazioni europee da parte degli USA, o ai rischi, ancora totalmente da decifrare, derivanti dalla Brexit.

I nuovi mercati. Altro punto di debolezza del Pecorino è la sua minore capacità di penetrare i Nuovi Mercati, ovvero i mercati delle economie emergenti, come Cina, India, Turchia, Russia, Sud Est Asiatico e Sud America (Brasile in testa). Considerando gli ultimi dieci anni, ad esempio, la quota sull’export totale dei Nuovi Mercati per il parmigiano è cresciuta dal 10 al 13%, mentre per il pecorino a fatica ha superato il 6%.

«Questi mercati, seppure ad ora poco inclini all’import agroalimentare di prodotti occidentali, sono destinati a crescere rapidamente – evidenziano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu -. La nuova classe media di paesi come India o Cina (senza dimenticare la Russia o il Sud America) rappresenta il potenziale consumatore di prodotti italiani in un futuro ormai prossimo. E’ una partita che le produzioni sarde, non solo quella casearia (si pensi al vino o all’olio di grande qualità prodotto nell’Isola) non possono non giocare. Non possiamo non ricordare che a partire dal 2009 la Cina ha sperimentato un vero e proprio boom di importazioni di prodotti agroalimentari (+362%, +48% nel caso dell’India, +60% il Brasile), in particolare dall’Italia. E’ un trend di crescita destinato, nei prossimi anni, a proseguire ininterrotto nel quale la Sardegna potrebbe avere un ruolo importante a patto che la Regione sarda investa sullo sviluppo del settore agroalimentare nel suo complesso, promuovendo l’accesso ai mercati internazionali anche di altre produzioni oltre a quelle lattiero-casearie

 

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Sabato 28 settembre

giampaolo.cirronis@gmail.com

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