18 July, 2024
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Il 2 aprile, il ponte che collegava la SP83 con il parcheggio per la spiaggia di Fontanamare, Gonnesa, è crollato, mentre transitava un camion della nettezza urbana. Per fortuna non ci sono state vittime ma l’accaduto ha creato scompiglio e disagio per il comune di Gonnesa e per gli utenti della spiaggia.
A distanza di poco più di un mese siamo tornati sul luogo del disastro per fare il punto della situazione.
I lavori di ripristino non hanno ancora preso avvio, le macerie sono ancora in loco e la zona è circondata dal nastro bianco e rosso, a cui sono appesi i cartelli che indicano che l’area è sottoposta a sequestro penale.
«Viene contestato lo stesso reato del ponte Morandi e c’è una denuncia contro ignoti spiega il sindaco di Gonnesa, Hansel Cabiddu -. Le operazioni di sopralluogo sono state coordinate dalla caserma dei carabinieri di Gonnesa. La giustizia sta facendo il suo corso.»
Sebbene la situazione appaia immutata da quel 2 aprile, in realtà, l’Amministrazione comunale sta compiendo i suoi passi. «Abbiamo inoltrato alla Regione un’ordinanza per rimozione dei detriti e un programma di rimessa in ripristino del ponteprosegue il sindaco -. Inoltre, ha chiesto un’ulteriore proroga di venti giorni all’ordinanza che ho concesso. Quel primo passaggio, al momento, è fermo a questa situazione.»
Ma c’è un altro problema fondamentale, dato dal crollo del ponte, ed è quello dell’impossibilità del raggiungimento della zona, da parte dei mezzi di soccorso.

«Ho scritto una nota al prefetto, nella quale mostravo tutta la mia preoccupazione, perché quella spiaggia, d’estate, è frequentatissima e non avere la possibilità di accedere al parcheggio, soprattutto per i mezzi di soccorso mare e per l’antincendio, per noi, è un problema preoccupante», spiega Hansel Cabiddu.

Ulteriore disagio è dato dal fatto che i fruitori si ritroverebbero a lasciare parcheggiati i loro mezzi lungo la provinciale. «È impensabile che questo accadasottolinea ancora il sindacoe che le persone possano raggiungere la spiaggia passando dal canale o dalle scalette.»
L’Amministrazione comunale di Gonnesa ha pensato ad un’interessante alternativa, che potrebbe accelerare i tempi per la fruizione del litorale. «Nella nota inviata al Prefetto ho chiesto la possibilità di sentire l’Esercito e, già alcuni giorni fa, ho accompagnato il Genio militare per un sopralluogo. Pensiamo ad un ponte militare carrabile, che possa essere provvisorio e possa garantire i servizi di cui ho già detto. Resta il fatto che dobbiamo sederci allo stesso tavolo con la Regione ed il Prefetto, per garantire in tempi rapidi una soluzione, anche temporanea.»
Intanto, il primo rebus da sciogliere riguarda chi si debba prendere l’onere della ricostruzione del ponte. L’infrastruttura, infatti, risulta inserita in un mappale, in cui sono presenti quattro enti locali differenti, tra cui Laore ed il Consorzio di Bonifica. Sia sul tema delle responsabilità che su quello di chi debba essere il soggetto deputato a ripristinare i luoghi e a autorizzare la costruzione del ponte, si fonda il problema più grosso.
La situazione potrebbe evolversi anche in una valorizzazione più ampia dell’area. Il sindaco Hansel Cabiddu vorrebbe muoversi anche in questo senso. «All’assessorato competente ho richiesto anche la possibilità, lungo il canale, di avere una o più passerelle per consentire il traffico pedonale o ciclabile. Anche sotto la visione della sicurezza, perché quel ponte era l’unica via d’accesso alla spiaggia. Sono cose che impattano relativamente col paesaggio, possono essere funzionali alla fruibilità dei luoghi e possono qualificare ancora di più il territorio.»
In ultima analisi, il primo cittadino di Gonnesa ritiene che, questa possa essere l’occasione per ripensare la viabilità di un punto strategico, sul litorale che va verso Nebida e da lì arriva fino a Buggerru e Fluminimaggiore. «Quella strada è stata concepita perlopiù in funzione delle imprese minerarie e poi è diventata altro, grazie soprattutto al panorama che vi si staglia. Stiamo parlando di uno svincolo che ha di fronte il Pan di Zuccheroconclude Hansel Cabiddu -. Quindi, può essere il momento buono per fare un ragionamento, a mio avviso, sulla riqualificazione di un tratto della viabilità provinciale che può essere una bella cartolina per chi transita da lì. Si tratta di un servizio di cui abbiamo bisogno per fare in modo che i nostri beni, la costa e il litorale, vengano fruiti in modo corretto. Bisogna mettersi a lavorare, perché adesso è il momento per non sbagliare più.»

Federica Selis

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Alcune decine di operatori titolari di partite iva, stremati dalla crisi provocata dalla diffusione del Coronavirus e dal conseguente lockdown, hanno deciso di consegnare le chiavi al sindaco di Gonnesa.

«Io non ho avuto obbligo di chiusura ma il problema della ristorazione mi tocca da vicino essendo il mio canale principale di venditadice Valeria Congia (Pasta D’autore) -. Per essere tutti per uno e uno per tutti bisogna farsi carico anche dei problemi altrui e l’economia di Gonnesa si basa, soprattutto, sul settore accoglienza (bar, ristoranti, gelaterie, ecc). Credo che sia un effetto domino, se crolla uno, crollano tutti. Diversa è la politica di speculazione: mors tua vita mia! Se veramente dobbiamo fare squadra, a mio parere, bisogna avere la capacità di lottare anche se il problema non ci riguarda direttamente, anche perché il problema che oggi sta affrontando un collega partita Iva, domani potrebbe essere il mio. Se portiamo avanti solo gli interessi comuni, saremo destinati a dividerci secondo la logica che ognuno cura solo il proprio orticello. Scusate se mi sono dilungata, è solo opinione e non polemica.»
«In questo periodo di Covid-19 dobbiamo ripartire col pieno appoggio delle istituzionispiega Paolo Sanna (Grupposanna) -. Ma non ci si sente affatto tutelati, non sappiamo effettivamente chi è con noi e anche nella giungla burocratica degli aiuti tempestivi c’è chi specula. Facciamo appello ai commercialisti affinché non speculino sulle richieste a fondo perduto o come è accaduto a molti colleghi addirittura sulla richiesta del bonus da 600 euro.»
«Dopo alcuni mesi di lockdown, ovvero da gennaio 2020, con le attività chiuse, ci troviamo nella fase 2/3 e “dovremmo” essere tutti, pronti alla riapertura, con quali prospettive? si chiede Renato Casula (agriturismo le Querce) -. Decreti su decreti, che di fatto hanno creato incertezza e confusione, ma sopratutto hanno creato notevoli difficoltà per una riapertura serena, infatti, le condizioni sono proibitive e piene di rischi, amministrativi e penali per i titolari delle attività commerciali e/o turistiche. Hanno proposto per le aziende un bonus di euro 600, linee di credito, ecc., obiettivamente siamo dell’avviso che non risolvono nulla, infatti, se da un lato fanno una concessione di euro 600, dall’altro lato ci troveremmo presto a dover effettuare esborsi, per IMU, bollette energetiche, tasse ed altro, con importi ben più consistenti. Chiediamo, pertanto, l’azzeramento di  contributi e tasse  statali e regionali di ogni ordine e tipo per l’intero anno 2020 (al netto di quelle che il nostro comune di Gonnesa ha già azzerato).»
«Non possiamo permetterci un secondo lockdown in 4 mesi, abbiamo la necessità di ripartire con le nostre attività ma con cautela e operando in un primo momento con le persone locali, fino a quando avremo la certezza scientifica che “il mostro sia sconfitto” -. dice Sabrina Corrias (Sapore di sale plagemesu) -. Per far sì che questo accada, abbiamo
bisogno di sostegno concreto economico, burocratico e ben definito. Questo supporto lo possiamo avere solo da un Governo attento e da una regione prudente.»

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Molti lavoratori stagionali della Sardegna, occupati nel settore turistico, hanno visto rigettata dall’Inps la richiesta del bonus Covid-19 da 600 euro per il mese di marzo 2020. A detta dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, il diniego dovrebbe essere legato al fatto che tali soggetti non risulterebbero inquadrati come lavoratori stagionali. La notizia, emersa lo scorso fine settimana, è stata rilanciata sul web e sui social network alimentando forte preoccupazione fra i cittadini. La deputata sarda Mara Lapia ha subito scritto al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo, per avere urgenti chiarimenti in merito al blocco del provvedimento di integrazione finanziaria promosso dal Governo per attenuare i disagi economici causati dalla pandemia del Coronavirus.

«Quanto avvenuto ha generato un sentimento di apprensione e sconforto per tante famiglie che, in un difficile momento come quello che viviamo oramai da settimane, si ritrovano private di un fondamentale sostegno economicodice Mara Lapia -. Numerosi cittadini sardi infatti, per la forte attrattiva turistica di cui la nostra regione gode da decenni, operano nel settore turistico da tempo e molti di loro vengono di fatto inquadrati come lavoratori stagionali. Avrebbero dunque tutti i requisiti per accedere al bonus che a oggi, tuttavia, gli viene inspiegabilmente negato. Il tutto diviene ancora più grave poiché quanto accaduto lascia chiaramente presagire che i lavoratori non potranno ottenere, per le stesse motivazioni, neppure i successivi bonus di aprile e maggio.»

Mara Lapia ha quindi chiuso la lettera auspicando una rapida e positiva soluzione del problema.    

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Al via, a Sant’Antioco, le domande di ampliamento gratuito del proprio spazio di suolo pubblico destinato all’accoglienza dei clienti di bar, ristoranti, pizzerie, pub… Si tratta di misure ritenute indispensabili per permettere di affrontare  la riapertura nella “Fase 2” in maniera efficiente e nel rispetto delle prescrizioni anti Covid che impongono un distanziamento tra i tavolini, con inevitabile drastica riduzione dei posti al coperto. L’obiettivo è di consentire, in via straordinaria e temporanea, che quante più possibili attività economiche abbiano la possibilità di estendere la superficie destinata alla clientela sul suolo pubblico antistante il proprio esercizio commerciale.

La domanda di ampliamento, che in base al decreto Rilancio è esente da bollo (non sarà necessario apporre la marca da bollo) andrà concordata e valutata dagli uffici competenti del Comune, ovvero dalla Polizia Municipale. È richiesto, dunque, l’utilizzo dell’apposito modulo rintracciabile nel sito istituzionale dell’ente, nella sezione Modulistica – Tosap, al quale andrà necessariamente allegata la planimetria degli spazi che si richiede in concessione temporanea. La domanda andrà presentata all’Ufficio Protocollo (rivolgersi al centralino) o tramite posta elettronica certificata all’indirizzo: protocollo@comune.santantioco.legalmail.it .

«Questa misuracommenta il sindaco Ignazio Loccisi somma al differimento della scadenza Tari e, soprattutto, alla riduzione della bollettazione, di circa il 30%, per tutte quelle attività che, in ragione del DPCM, hanno dovuto chiudere i battenti. Le misure di contenimento del virus, valide anche nella Fase2, obbligano gli esercenti ad utilizzare un più rilevante spazio all’aperto, al fine di accogliere il maggior numero di clienti e sempre nel rispetto delle norme in vigore: per questo, concediamo di ampliare le aree già concesse, in forma gratuita, seguendo la disposizione del Governo centrale che, fino al 31 ottobre, abolisce la tassa sul suolo pubblico.»

 

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Si intensificano gli interventi di sfalcio per rimuovere le malerbe che incidono negativamente sulla qualità del decoro urbano. L’Amministrazione comunale di Carbonia sta imprimendo un’accelerazione agli interventi di diserbo eseguiti dalla De Vizia Transfer SpA su varie zone della città, dal centro alla periferia e alle frazioni. Si riportano gli interventi in corso di esecuzione e quelli previsti tra maggio ed inizio giugno:

Piazza Matteotti;
Piazza Marmilla;
Piazza Ciusa;
Piazza Rinascita;
Piazza Roma;
Piazza San Ponziano;
Piazza Santa Barbara;
Piazza Venezia;
Via Ala Italiana – Largo Montuori – Via San Ponziano – Via Verona;
Piazza 1° Maggio;
Via Gramsci;
Via delle Poste;
Piazza Berlinguer;
Piazza del Minatore;
Cortoghiana (altre vie);
Bacu Abis (altre vie);
Viale Trento;
Via Angioy;
Via Mazzini;
Via Campania;
Via Roux;
Quartiere Santa Caterina;
Serbariu (altre vie).

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«Ancora una volta ci troviamo davanti ad una situazione surreale, un altro schiaffo a quei giovani che hanno deciso di non lasciare la nostra terra e provare a costruirsi un futuro qui. Il Governo erroneamente ha negato a parecchi stagionali il bonus da 600 euro adducendo motivazioni del tutto fantasiose. La nostra indignazione va verso un Governo sempre più distante dai lavoratori, si pensi alle Partite IVA, le cassa integrazioni da fame, e nessuno sgravio fiscale sulle spese fisse delle attività.»

Lo scrivono, in una nota, tre dirigenti di Gioventù Nazionale, Simone Valleri, Valerio Lecca e Maurizio Amadori.

«Ci auguriamo che, come promesso, il Governo riveda le domande, dia un po’ di ossigeno ai giovani stagionali e capisca gli errori commessi, ma soprattutto sappia ascoltare i territori, specialmente quelli che, come il nostro, a mala pena riescono a sopravvivere ma hanno un grande potenziale per crescere e diventare autosufficiente. Intanto abbiamo raccolto alcune testimonianze che ci spiegano meglio la situazione – dice Simone Valleri -. La farsa del bonus stagionali è un qualcosa di surreale, e lo è ancora di più se si pensa all’economia della nostra provincia, nella quale noi giovani specialmente lavoriamo 4 mesi l’anno in estate proprio grazie al turismo.»

«Nel corso degli anni son state automatizzate sempre di più le pratiche di lavora, è possibile che ora non si riesca a trovare una correlazione tra il nostro lavoro e la stagionalità dello stesso? O la vera colpa è che ancora facciamo parte di quel gruppo di giovani che ha piacere di restare nella propria terra e contribuire a farla crescere e conoscere al mondo? – aggiunge Valerio Lecca, consigliere comunale di Sant’Anna Arresi -. Quest’anno molte strutture turistiche hanno previsto di restare chiuse per contenere i costi e tutelarsi dal tracollo finanziario, ma questo vuol dire molti lavoratori stagionali a casa propria, persone che contano su quei pochi mesi di stipendio per riuscire a sopravvivere tutto l’anno, mesi che purtroppo quest’anno non ci saranno per molti lavoratori.»

«Bisogna dare degli aiuti concreti alle imprese, metterle in condizioni di poter ripartire in sicurezza senza per questo rischiare di fallire – spiega Maurizio Amadori -. Così facendo si aiuteranno le piccole economie locali a ripartire in modo da dare una speranza a questo settore e a tutte le persone che sopravvivono grazie ad esso.»

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La commissione Bilancio del Consiglio regionale, presieduta da Valerio De Giorgi (Misto), si riunirà giovedì 21 maggio alle 10.00. All’ordine del giorno le audizioni dell’Anci e delle Associazioni di categoria su due proposte di legge riguardanti il sostegno alle attività economiche che hanno subito effetti negativi dall’epidemia Covid-19.
La prima (Pl n. 144) prevede ulteriori misure di sostegno gli operatori economici mentre la seconda (Pl n. 145) è destinata alle attività commerciali, attraverso l’esenzione dal pagamento della tassa o del canone per l’occupazione del suolo pubblico. Nello stesso provvedimento è previsto un nuovo trasferimento di fondi ai Comuni per i mancati introiti.

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Raffaela Canneddu, la nonnina ultracentenaria di Carbonia, oggi ha compiuto 105 anni. Quest’anno le restrizioni ed il divieto di assembramenti a causa del Covid-19, non hanno consentito di abbracciare ed omaggiare Raffaela Canneddu come negli anni scorsi (la foto di copertina è relativa ai festeggiamenti per il 102° compleanno, le altre ai festeggiamenti per il 103°, con il sindaco Paola Massidda al fianco della festeggiata).
«Tzia Boelledda, così come la chiamano parenti e amici, è un fulgido esempio di longevità, energia e vitalità. Le auguriamo buon compleanno e le facciamo i complimenti per aver raggiunto uno straordinario traguardo da ultracentenaria», ha commentato Paola Massidda.
Originaria di Mamoiada, Raffaela, all’età di 25 anni sposò il fonnese Michele Carta, operaio nelle miniere di Carbonia. Per ragioni di lavoro, pertanto, “Tzia Boelledda” si trasferì nella cittadina mineraria, dove insieme al marito investì i propri risparmi per aprire un’attività commerciale di successo nella produzione e distribuzione di bibite gassate in tutto il Sulcis Iglesiente.

      

 

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La storia del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente è legata intimamente all’evoluzione dello spirito di appartenenza a questa terra. Per raccontarla, è necessario partire da lontano ed arrivare fino al 2020. Pazienza! E’ una rapida passeggiata un po’ letteraria e molto storica.

Il più antico “Popolo sardo” organizzato politicamente fu quello dei “Nuragici”. Tutto iniziò nel 1800 avanti Cristo. Nel 1100 avanti Cristo i sardi cessarono di costruire nuraghi e iniziarono a scomparire. Mistero storico. Fu a causa di un’epidemia? Oppure fu l’effetto di una crisi di mercato, perché si stava passando dall’età del bronzo a quella del ferro?
Al tempo dei nuraghi la Sardegna era totalmente popolate e dedita ad attività minerarie e metallurgiche. La densità delle sue torri sono il segno certo che era ricca. Lucrava sul commercio di qualcosa che produceva in abbondanza: il bronzo. L’ottimo bronzo sardo era molto richiesto in tutto il Mediterraneo per forgiare armi.
Praticamente nel 1.200 avanti Cristo, il bronzo sardo armò la Prima Guerra Mondiale della storia: la Guerra di Troia. E dove c’è guerra ci sono medici.
Guardate le armi di bronzo nuragico che sono esposte nel Museo Archeologico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Sembrano fatte ieri. Hanno la forma della “foglia di ulivo”. Esattamente simili sono state riprodotte dai consulenti storici per il film “Troy” con Brad Pitt.
La Guerra di Troia iniziò male: con un’epidemia. Morirono di febbre, e infezione alle vie aeree, tanti guerrieri greci che Agamennone, per motivi di “igiene pubblica” dovette far cremare sulle pire allestite davanti alla marina di Troia.
Nell’Iliade vengono descritti 148 tipi diversi di traumi da spada, lancia, o freccia. I chirurghi che in quel conflitto bellico curavano i feriti erano nientedimeno che i figli di Esculapio: Macàone e Podalirio.
Allora la chirurgia era arte divina. Pindaro, parlando di quei Medici nel settimo secolo avanti Cristo, scriveva nelle “Odi”: «E quanti vennero da lui….feriti nelle membra dal lucido bronzo o dal getto di pietre,… fasciando le membra…altri con azioni chirurgiche rimise in piedi».
Durante la Guerra di Troia, il medico Macàone fu ferito da freccia troiana e subito venne soccorso da due Re: Idomeneo e Nestore, perché, come dice Omero: «Uomo guaritore vale molti uomini a estrarre dardi, e spargere blandi rimedi».
Nei millenni la considerazione del Medico rimase sempre elevata. Ebbe un crollo solo durante la peste del 1347-48, quando i medici fallirono i risultati sperati. La peste prevalse su tutti ed il poeta Francesco Petrarca, offeso per la morte dell’amata Laura De Sade, scrisse libelli feroci contro tutta la categoria.

La professione medica fin dall’inizio si specializzò. Vi furono gli specialisti nel “taglio della pietra” (urologi), gli specialisti della cataratta( oculisti), gli specialisti delle “malattie interne”, gli specialisti in “craniotomia” (neurochirurghi), e poi i “raddrizzatori di bambini storpi”. Quest’arte si chiamava “ortho” (raddrizzo), “peideia” (bambino). Da cui l’origine del nome “Ortopedia” per la specialità che aggiusta lo scheletro.

Non sappiamo quasi nulla sulla medicina dell’Alto Medio Evo nel Sulcis Iglesiente. Sappiamo che gli ammalati peregrinavano verso la tomba del Santo Medico Antioco e che attorno alla basilica vi erano tante casette per ospitare i malati richiedenti la guarigione: le “cumbessias” o “muristenes”.
Troviamo tracce di attività medica nella chiesetta bizantina altomedioevale di San Salvatore, ubicata nella periferia di Iglesias. Si sa che ospitava viandanti richiedenti cure per cui si spiega la presenza dell’”orto dei semplici”. Era il luogo dove i monaci (Benedettini o Basiliani) coltivavano le erbe medicamentose per produrre unguenti e pozioni galeniche. Nel terreno circostante sono state trovate tracce di inumazioni in terra nuda.
A San Giovanni Suergiu, vi è una chiesetta edificata dopo le Crociate dai monaci Giovanniti. Ricordiamo che i Giovanniti fondarono l’ospedale di San Giovanni Battista di Gerusalemme col permesso del Sultano del Cairo, e vi curarono i pellegrini cristiani che venivano dall’Europa. Alla fine delle Crociate vennero allontanati dalla Palestina e si insediarono in loro possedimenti in Sardegna. Qui nel Sulcis continuarono la loro missione di curare gli “infirmi et pauperes Christi”. Sulla facciata della chiesetta di San Giovanni si riconoscono le incisioni di “croci di Malta” e i fregi che ricordano le cupole delle moschee di Omar e di Al Aqsa, della spianata dei templi di Gerusalemme.
Queste sono le poche tracce di attività medica nel Sulcis Iglesiente nel Medio Evo.
La crescita della Chirurgia in Europa rimase bloccata, a causa dell’altissima mortalità, fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo. Solo allora, dopo la scoperta dell’esistenza dei “microbi”, si capì la necessità della “disinfezione” e, dopo la scoperta dell’“anestesia”, si poté operare “senza dolore”. I chirurghi cominciarono ad operare, per la prima volta, l’addome e la pelvi femminile temendo meno le setticemie mortali perioperatorie. Contemporaneamente iniziò lo sviluppo moderno degli Ospedali. Il più grande impulso allo sviluppo della chirurgia, soprattutto traumatica, avvenne con la Prima Guerra Mondiale. Lì si formarono i primi chirurghi dei nostri primi Ospedali.

Con la chirurga addominale e pelvica, decollò la chirurgia degli arti. Questa fu promossa in Italia da Alessandro Codivilla (m. 1912) che fu direttore dell’Ospedale Ortopedico Rizzoli di Bologna. Tutt’oggi il Rizzoli appare al visitatore con tutta la sua vecchiezza strutturale di fine ‘800. Da lì passò l’ortopedia mondiale, e la migliore ortopedia italiana in assoluto. Codivilla fece una invenzione rivoluzionaria: il “Chiodo di Codivilla”.
Si trattava di un’anima metallica da introdurre nel canale dell’osso fratturato. Attorno ad esso si sarebbe formato il “callo osseo”. Ciò comportava la guarigione con ossa ben raddrizzate (fatto raro) e consentiva l’eventuale allungamento dell’osso accorciato da un callo osseo venuto male. Il nuovo obiettivo dell’Ortopedia insegnato da Codivilla al mondo, era il “recupero funzionale” dell’arto.
Con la tecnica di Codivilla, si iniziarono a trattare le folle di portatori di deformità congenite ed acquisite: piedi torti, ginocchi valghi e vari, lussazioni dell’anca, paralisi infantili, tare eredoluetiche, gibbi cifoscoliotici, colli torti. A questi si aggiungeva il numero enorme di deformi procurati dalle due piaghe sociali dell’epoca: la tubercolosi ossea e il rachitismo; malattie incurabili e dal destino triste.

Già ai primi del ‘900 avevamo in Italia ben 40 “Ospedali marini” per la cura medica e chirurgica della TBC ossea. Lo sviluppo minerario dell’Iglesiente aveva introdotto la necessità di fornire un’adeguata assistenza ortopedico-traumatologica ai minatori. Quando esplose la protesta dei minatori nel settembre 1904, a Buggerru esisteva un ospedale per i traumi da miniera. L’organico comprendeva tre Medici con competenze chirurgiche ortopediche, e personale femminile per l’assistenza al parto. L’ospedale era molto attivo anche nell’assistenza alla popolazione civile; vi erano allora circa 8.000 abitanti, quando Cagliari ne contava circa 50.000. I casi più gravi venivano trasportati ad Iglesias in carrozza. Iglesias prima di questo periodo aveva avuto una struttura ospedaliera basso-medioevale citata da documenti dell’epoca: si trattava dell’ospedale di “Santa Lucia”, che poi prese il nome di “Santa Chiara”.
Tra le due Guerre Mondiali del ‘900, dopo la Guerra d’Etiopia e le “Inique Sanzioni” fu evidente che l’Italia doveva dotarsi di una sua fonte autarchica di energia, così prese vita il progetto di sviluppo del  bacino carbonifero del Sulcis. Le miniere metallifere dell’Iglesiente e le carbonifere del Sulcis furono la nuova frontiera del lavoro in Italia. Il numero complessivo di abitanti delle due città sfiorava i centomila. L’età media era molto giovane ed era costituita da una moltitudine di minatori del sottosuolo e operai di superficie. Gli incidenti sul lavoro erano molto frequenti. L’Inail nel 1946 inaugurò l’Ospedale CTO di Iglesias e lo rafforzò di Traumatologi e Chirurghi generali a costituire un avanzato “Trauma Center” dove si affrontavano tutti gli effetti di un trauma: dalle fratture dello scheletro alla rottura di milza e di fegato ed i traumi cranio-encefalici. Doveva essere una Traumatologia a tutto campo. Il Governo dispose che negli ospedali minerari di Iglesias e Carbonia operassero i migliori chirurghi traumatologi della Nazione. A Carbonia il Chirurgo generale con competenze neurochirurgiche arrivò dalla Patologia chirurgica dell’Università di Napoli: il professor Ignazio Scalone. Rimase un anno a dirigere l’ospedale di piazza Cagliari, a Carbonia. Di lui restano testi di chirurgia del cervello e del cervelletto, per la cura di lesioni craniche provocate da arma da fuoco, scritti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Con l’uscita del dottor Scalone, il primariato di Chirurgia generale venne conferito al dottor Gaetano Fiorentino; egli affidò l’Ortopedia e Traumatologia al dottor Schirru. Questi era un medico di eccezionale valore. Dopo una quindicina d’anni di esperienza in traumi a Carbonia, si trasferì negli Stati Uniti. Dopo 30 anni, il dottor Schirru tornò in Italia e si presentò al nuovo primario del Sirai, il prof. Lionello Orrù, a cui raccontò la sua storia americana: era diventato Direttore sanitario di un enorme ospedale di 3.000 posti letto a Washington, e ne dirigeva il reparto di Ortopedia. Arrivato alla pensione, gli era comparsa un’ernia inguinale. Per tale motivo pensò di tornare in Sardegna, a Carbonia, per farsi operare. Non si fidava del modo di operare l’ernia degli americani. Voleva essere operato da un chirurgo italiano. Una volta operato a Carbonia tornò a Washington.
Ad Iglesias, il primario chirurgo generale era il dottor Falqui. Al CTO vennero inviati chirurghi ortopedici di vaglia formati al Rizzoli di Bologna.
Dopo Codivilla, fu direttore del Rizzoli il professor Vittorio Putti (m. 1940). Fu chirurgo eccellentissimo che già nel 1919 veniva conteso all’Italia dalle maggiori istituzioni medico-chirurgiche statunitensi. Quando andava in America veniva, per i suoi miracoli ortopedici, ricevuto solennemente, come si conveniva alla sua fama.
Con la scomparsa del professor Putti, la direzione della chirurgia ortopedica del Rizzoli venne affidata al professor Francesco Delitala, nato a Orani in provincia di Nuoro, che aveva insegnato Ortopedia all’Università di Napoli, poi in quella di Padova e, infine, diresse il Rizzoli. Fu grande esperto della chirurgia dell’ernia del disco intervertebrale e della spalla. Morì a Bologna nel 1983.
Fu un allievo di Delitala il professor Cabitza di Cagliari. Questi, successivamente, diresse la Clinica Ortopedica Universitaria di Cagliari e l’ospedale Marino del Poetto.

Contemporaneamente, studiavano e operavano al Rizzoli, sia il dottor Giuseppe de Ferrari sia il dottor Italo Cao. Ambedue divennero professori di Ortopedia e Traumatologia e diressero il CTO di Iglesias. Il CTO (Centro Ortopedico Traumatologico) di Iglesias riprodusse in Sardegna le altissime competenze chirurgiche del Rizzoli di Bologna costituendo, nel Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente, un pilastro fondamentale della Sanità.
I successori di questi Maestri, diressero poi il CTO e l’Ortopedia di Carbonia e di Iglesias fino ai giorni nostri.
Il seme prezioso di quei grandi ortopedici è ancora tra noi.
Come si vede la discendenza di scuola è di altissimo livello.
Non può essere perduta.
Questa ricostruzione tratta dai libri di storia della Medicina è una conoscenza che deve costituire patrimonio dei cittadini del Sulcis Iglesiente. Tale eredità deve essere protetta dall’operazione “contabile” che sta trasferendo il nostro patrimonio sanitario in città lontane.

E’ incredibile. Quando eravamo “poveri” eravamo molto più “ricchi” in Sanità.

Mario Marroccu

Nella fotografia, da sinistra: dottor Giuseppe Porcella, dottor Renato Meloni, il sig. Cuccuru capo degli infermieri, dottor Gaetano Fiorentino, don Luigi Tarasco e dottor Luciano Pittoni.

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Dal 14 marzo sono stati 44.212 i controlli realizzati dal Corpo forestale della Regione Sardegna per vigilare sul rispetto delle regole stabilite per l’emergenza epidemiologica da Covid-2019.

Ieri sono stati effettuati 63 controlli: 7 nell’area di Cagliari, 29 Sassari, 13 Nuoro, 14 Lanusei. Sono state sanzionate due persone a Cagliari, perciò il totale complessivo (dal 14 marzo) è di 827.