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Ci sono cose che gli abitanti del Sulcis Iglesiente devono sapere. Gli ospedali esistono da pochissimo tempo. Prima degli anni ’30 del 1900 non esistevano. Basta pensare che fino al 1905 la gente moriva di appendicite, perché non poteva essere operata. Così pure moriva di ernia strozzata, di ulcera perforata o per la caduta da un carro. Ma, soprattutto, morivano atrocemente le “poverette” che, giunte al termine di gravidanza, non riuscivano a far uscire dal loro grembo il bambino, perché il canale osseo del parto era stretto, e lì il bambino si incastrava. Iniziavano dolori tremendi ed il bambino moriva; poi iniziava la “setticemia” ed al terzo giorno moriva anche la madre. Ciò avveniva, perché non c’era un luogo dove fare il “parto cesareo”. L’unico ospedale in Provincia era il San Giovanni di Dio di Cagliari e, per raggiungerlo col carro a buoi, il percorso era un lungo sterrato, fangoso d’inverno.
A Cagliari iniziarono a fare l’intervento di “cesareo” dopo il 1910. Comunque, operavano le ernie, le amputazioni, gli ascessi, e i traumi dello scheletro. Se la Sanità era così disastrosa a Cagliari, si può immaginare quanto lo fosse nella sua lontana periferia.
Sulla presenza o meno dell’ospedale attrezzato, si giocava la selezione naturale della popolazione del Sulcis Iglesiente. Poi avvenne il miracolo: fra le due Grandi Guerre Mondiali questo territorio acquisì importanza, sia per il bacino metallifero dell’Iglesiente, sia per quello carbonifero del Sulcis.
L’area compresa tra Gonnesa, Perdaxius, Sirai e i monti di Santa Giuliana, divenne la fonte di energia per la Nazione; divenne il “Golfo Persico” dell’Italia: c’era il carbone fossile.
L’enorme riserva energetica da “carbone Sulcis” divenne il petrolio e la benzina per gli aerei, le navi, i treni, le industrie ed il riscaldamento domestico dell’Italia.
Questo incredibile colpo di fortuna, cambiò il destino del Sulcis Iglesiente. Fu necessario attirare operai e poi prendersene cura perché “cavare” minerale nel sottosuolo è molto pericoloso ed il minatore è incredibilmente prezioso. Per il minatore e la sua famiglia, vennero fabbricati i migliori ospedali d’Italia. Di tale servizio assistenziale, avrebbe poi usufruito tutta la popolazione.
La conquista degli ospedali avvenne 90 anni fa. La popolazione è cresciuta attorno ad essi in modo abnorme, e si è sviluppato un tessuto economico solido che ha aumentato le ricchezza media. Poi le cose sono cambiate con la sospensione dell’attività estrattiva e a chi governava i destini del tempo, sembrò logico “smobilitare” il Sistema Sanitario del Sulcis, e centralizzare l’ospedalità a Cagliari. I bisogni immediati della gente finirono nell’ombra, e uscirono dai programmi contabili. La “smobilitazione” sanitaria ha progredito in modo lento ed inesorabile senza ostacoli.
Gli “ospedali zonali” di Iglesias e Carbonia, di cui erano Presidenti i rispettivi Sindaci, fino ad allora appartenevano al patrimonio immobiliare della due città. Nel 1978, con la legge 833, la proprietà immobiliare ospedaliera veniva ceduta dai Comuni alla ASL 16 e 17. Non vi fu una rivolta contro questo esproprio, perché di fatto i Sindaci restavano Presidenti della ASL ed il Consiglio di amministrazione era composto dai delegati dei Sindaci di tutti i Comuni (17 per Carbonia e 13 per Iglesias). Fino a quel punto della storia, nessuno poteva danneggiare il patrimonio ospedaliero del territorio. Anzi, addirittura all’ospedale Fratelli Crobu vennero istituiti i due reparti specialistici di Chirurgia Pediatrica e Otorinolaringoiatria. Poi i Presidenti vennero sostituiti dai Commissari straordinari, nominati dall’assessorato regionale della Sanità. Questa fu la prima crepa nel nostro diritto a controllare gli ospedali. Di fatto, il vero proprietario diventava la Regione, nonostante il Consiglio di Amministrazione fosse rappresentato dai delegati dei Comuni.
Negli anni ’90, avvenne il fatto più duro per noi: vennero aboliti i Comitati di gestione (costituiti da rappresentanti dei Comuni) ed i Commissari straordinari e, al loro posto, vennero insediati i Direttori generali, con pieni poteri di tipo monocratico, nominati dall’assessore regionale della Sanità. Così i Sindaci vennero espulsi dalla gestione della Sanità ospedaliera e territoriale. Restava ancora un sottile filo che consentiva ai Comuni di controllare la gestione degli ospedali: la Conferenza dei sindaci del territorio di Carbonia e quella di Iglesias per la verifica del bilancio consuntivo.
Questi Consigli esistono tutt’oggi ma, nei fatti, non hanno alcun potere di interdizione. Possono solo essere spettatori dell’azione amministrativa del Direttore generale il quale, di fatto, ha la piena proprietà degli immobili e dei loro contenuti (personale, strumenti, arredi). Attraverso questo iter è avvenuto l’esproprio delle strutture ospedaliere del territorio.
I Sindaci hanno un potere che si limita all’espressione di un “parere non vincolante”, cioè nessuno.
A questo punto, i “teorici della centralizzazione” della Sanità ospedaliera, a Cagliari e Sassari, hanno tolto le redini della gestione dell’assistenza ospedaliera ai cittadini e hanno iniziato la smobilitazione degli ospedali.
– A Carbonia: chiusura della Pediatria e dell’Ostetricia; mancata apertura degli Infettivi. Sospensione delle nomine dei Primari.
– A Iglesias: chiusura definitiva del Crobu, del santa Barbara, e costituzione di un ospedaletto da “weeck surgery” al CTO.
Si sostiene che sia un effetto dei programmi di risparmio del governo Monti del 2011, ma non è vero. Tutto iniziò negli anni ’90, quando arrivarono i “pensatori bocconiani” del continente che teorizzarono, e fecero applicare, programmi regionali da “decrescita felice”. Cioè la riduzione degli “organici” e l’annullamento delle intelligenze mediche degli ospedali, ottenuto con la riduzione di autonomia e capacità di iniziativa dei Primari. Il “silenzio dei medici” ha iniziato a dominare da allora. I medici non hanno parlato più; sono stati trasformati in esecutori senz’anima, soggetti obbedienti ed ammutoliti dal metodo del “bastone e la carota”, che può essere esercitato rallentandone o annullandone la carriera. L’umiliazione dei cosiddetti “dirigenti” medici, iniziò quando si stabilì che l’incarico primariale, che in passato era definitivo, divenisse quinquennale, rinnovabile a discrezione della dirigenza amministrativa. A questo punto, chi vuole sopravvivere nel sistema, deve osservare il mutismo.
Ne abbiamo avuto un macroscopico esempio durante l’epidemia. Silenzio assoluto degli ospedalieri.
Parallelamente al deterioramento del corpo dei medici pubblici è avvenuto, soprattutto in continente, il gigantesco sviluppo dell’ospedalità privata.
Forse non è questa la causa delle “zone rosse” in quelle regioni ricchissime, però è certo che in quelle regioni abbiamo assistito alla protesta sotterranea dei medici pubblici, ospedalieri e del territorio, che da molti anni si sentono depotenziati rispetto alla Sanità privata. Intendiamoci, la Sanità privata ha una sua funzione molto utile, tuttavia contro l’epidemia quel tipo di sanità non è adeguato. E’ necessaria una Sanità pubblica come in Germania.
Questa Pandemia, col disastro economico e politico globale che ha scatenato in appena due mesi, e con tutto il male che ci farà ancora, apre gli occhi a tutti sulla necessità di rafforzare immediatamente i nostri Ospedali. Da loro emergerà la salvezza della Nazione.
Tutto oggi dimostra che la “centralizzazione” a Cagliari e Sassari è un grave errore, che viene fatto accettare con la motivazione che l’unica “centrale di costo” scatenerebbe la virtù del Risparmio.
V’è molto da dubitarne. Quando eravamo una Nazione più povera, 30 anni fa, avevamo servizi sanitari migliori, immediati e sempre a fianco del paziente. Sfido chiunque a confrontare le “liste d’attesa” di 30 anni fa con quelle di oggi. Si confrontino anche gli esosi ticket odierni rispetto a quelli appena simbolici di allora; senza parlare dei tempi d’attesa spaventosamente lunghi nei Pronto Soccorso, e i tempi spaventosamente brevi dei ricoveri, dovuti alla contrazione dei posti letto. Ricordo che i posti letto ed i ricoveri vennero ridotti a fronte della promessa di attivazione di “Case della Salute” nel territorio. Non si sono viste e i pazienti gravano pesantemente sulle famiglie.
E’ urgente invertire la rotta, ed è urgente restituire ai rappresentanti del popolo, il potere del legittimo controllo sull’azione amministrativa negli Ospedali e nel Territorio, restituendo contestualmente le proprietà immobiliari ai Sindaci delle città.
Prima di iniziare la lunga guerra contro il virus, è necessario chiarire la catena di comando.
Mario Marroccu