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Si narra che i lemmings, piccoli roditori della Norvegia, periodicamente si gettino volontariamente nel Mare Artico per suicidarsi in massa. E’ una metafora narrativa che si adatta bene a ciò che abbiamo visto il 4 e 5 maggio 2020 con l’avvio della Fase due dell’epidemia. Forse i lemming siamo noi.
Così come è necessario, si stanno riaprendo le attività del commercio umano. Tuttavia, il pericolo di contagio non è cessato, anzi, è molto più elevato che il 20 febbraio 2020 quando si scoprì il primo caso ed iniziò la tragedia.
Ora i portatori di Coronavirus sono molto più numerosi e si trovano ovunque.
Contrariamente all’esibizione macroscopica di rilassamento generale, la “Fase 2” è più pericolosa della “Fase 1”.
E’ evidente che si debbano assolutamente riaprire tutte le attività produttive con urgenza e con ogni mezzo, ma è parimenti evidente che vanno aperte in tutta sicurezza, pena il baratro economico e sanitario.
Per le uniche protezioni che abbiamo, sono le “norme di sicurezza”, cioè: il DISTANZIAMENTO, le MASCHERINE, i GUANTI ed il DIVIETO DI ASSEMBRAMENTO IN LUOGO CHIUSO.
Questi 4 atti, apparentemente facili, sono di una gravità tale da compromettere la convivenza civile, da cambiare radicalmente la vita di tutti e da essere neutralizzabili da varie forme di disobbedienza civile.
Non è pensabile credere che si debba sminuire per sempre la vita sociale e vederla sprofondare nell’inevitabile degrado dei servizi (scuole, sanità, giustizia).
E’ necessario ribadire che questa è un’EMERGENZA SANITARIA con implicazioni gravi sull’economia, e che per salvarci è imprescindibile dominare, prima, l’emergenza sanitaria.
Occupiamoci della sofferenza di chiunque abbia bisogno di Sanità e dei suoi operatori.
Prendiamo tre luoghi simbolo della Sanità: la Medicina di Base, le Farmacie, gli Ospedali.
GLI AMBULATORI DEI MEDICI DI BASE: è noto che il 45 per cento dei medici morti nella strage quotidiana da Coronavirus erano Medici di Base; vittime sacrificatesi volontariamente per l’alto senso etico della professione. Un sacrificio che non venne chiesto neppure al Buon Samaritano evangelico. Detto questo non si può pretendere che la strage continui capillarmente negli ambulatori. Per essi esiste il divieto, nei vari DPCM di febbraio ed aprile, di assembramento in luogo chiusi e l’obbligo di distanziamento di 1 metro (voglio vedere come si visiterà un paziente). Per evitare l’assembramento in ambulatorio è necessario obbligare le persone a stare in fila in strada e, una volta fatto il “triage”, far entrare i pazienti uno per volta, anche per la semplice ripetizione di una ricetta.
Per quanto tempo può essere tollerato? Per esempio, come si farà in Inverno? Potranno i pazienti aspettare per ore al freddo, alla pioggia, al vento senza riparo e senza sedia? Sappiamo che è possibile rifiutare, per decreto, la visita a chiunque abbia una temperatura di 37,5, che può essere dovuta all’inizio di una banale influenza, o per un ascesso dentario, o per una tonsillite. E se fosse una febbricola da tumore o da artrite dolorosa, o da nefrite? Nel contempo si deve pensare all’ansia continua del medico, e del personale dello studio, all’idea che in quella Umanità sofferente vi sia il portatore che gli regalerà il virus.
PRENDIAMO IL CASO DELLE FARMACIE DEL TERRITORIO: qui si riproduce la situazione degli ambulatori medici. E’ possibile pensare alle mega-file di pazienti al vento e sotto la pioggia, e al freddo con le gambe indolenzite? Dimenticavo: esiste il “divieto di sosta”; pertanto non è permesso mettere panchine in strada per i poveretti, perché subito si adagerebbero anche altri pazienti in attesa, creando un assembramento vietato, e arriverebbero i vigilantes a far sgomberare. Certo, ci può essere la consegna a domicilio per tutti, ma è realmente attuabile?
PRENDIAMO IL CASO DEGLI OSPEDALI: qui si ripete lo stesso schema. Non si può sostare in assembramento nelle sale d’aspetto del Pronto Soccorso. Bisogna fare file alternative.
Così pure non è possibile entrare nella sala d’aspetto dell’ingresso principale, sempre per evitare l’assembramento in luogo chiuso e bisogna fare anche qui il “triage” preventivo, presentando documenti di identificazione, e dichiarando la propria integrità dal virus. Ma ciò richiede tempo e, nel frattempo, si creano file all’esterno. Per contenere le file viene disposta una barriera di GUARDIE GIURATE, con tanto di pistola al fianco, che strutturano, con una certa ruvidezza dovuta al mestiere, le file dei richiedenti i servizio sanitario, talvolta con voce normale, talvolta con voce alterata come negli Istituti di sorveglianza. In quel palcoscenico surreale può capitarti di vedere quadri di umanità derelitta che ricordano la descrizione dell’Inferno Dantesco e “CARONTE” nell’atto di ordinare le file dei nuovi arrivati che “batte col legno qualunque si adagia”.
L’ingresso ospedaliero è stravolto: da “front-office” d’accoglienza, a causa della politica difensiva si è trasformato in un sistema di “respingimento”, con tanto di guardie dall’atteggiamento un po’ torvo ed intimidente. Ma va bene, accadde anche ai tempi della “Peste” del Manzoni. I quei tempi intorno alle fortezze del potere vigilava gente armata, come quella incontrata da don Abbondio.
Il deterioramento del valore umano è assicurato. Nelle file dei richiedenti salute è facile essere trasformati in schiere consenzienti, perché senza alternativa, a trattamenti sgradevoli.
Nello stravolgimento dell’immagine civile dell’ingresso ospedaliero potrebbe benissimo starci, in alto, la scritta “ARBEIT MACHT FREI”.
Questo è il punto: lo “Stato d’Assedio”. Fino a quando lo tollereremo? Accettiamo di deperire progressivamente fino a indebolire la struttura sociale e economica?
Purtroppo, oltre alle disposizioni per l’entrata in “Fase 2”, non vediamo altri progetti.
Eppure non siamo nei secoli della Peste Nera. Siamo nel terzo millennio. Abbiamo nuove armi. Non ci sono solo l’”isolamento”, la “quarantena”, il “distanziamento” e il “divieto di assembramento”, inventati dai Visconti di Milano e dai Dogi di Venezia,
Oggi, la via Maestra di attacco al virus ce l’insegna il professor Andrea Crisanti, il domatore del virus di Vò Euganeo e del Veneto. Egli indica come via la “ricerca minuziosa e capillare dei portatori del virus col metodo del tampone”.
Il tampone preleva lo RNA virale dalle vie aeree, lo esamina con un estrattore di DNA, e poi fornisce il risultato con nome, cognome e indirizzo del portatore contagioso.
A questo punto lo “sfortunato” diviene “fortunato” perché verrà curato. Ma curato come? Forse con l’isolamento volontario fiduciario in seno alla sua famiglia? In tal modo tutta la famiglia verrà contagiata e si creerà una specie di “Pio Albergo Trivulzio” familiare. La soluzione a questi casi venne già adottata con successo nel SISTEMA SANITARIO DEL SULCIS IGLESIENTE. Allora, fino agli anni ’70, si individuavano i pazienti tubercolotici in fase attiva e si ricoveravano al Binaghi. Invece i familiari, portatori sani, venivano ospitati nel Preventorio anti TBC del FRATELLI CROBU, e lì venivano curati. Così la tubercolosi venne debellata dal nostro territorio.
Da queste premesse, sembra evidente che per raggiungere l’obiettivo di eradicazione di questo incubo attuale, si debbano compiere 4 atti:
PRIMO: istituire il COVID HOSPITAL al SANTA BARBARA di Iglesias per gli acuti.
SECONDO: riattivare il CROBU come Preventorio anti COVID.
TERZO: dotare subito il SULCIS IGLESIENTE di un laboratorio di Biologia Molecolare per l’estrazione dello RNA dai tamponi.
Quarto: avviare uno SCREENING di tutta la popolazione ed affidarne la gestione ai Medici di Base.
Tempi?
- Acquisto dell’ESTRATTORE di DNA, tamponi, reagenti.
- Nuovo organigramma del laboratorio di biologia molecolare.
- TAMPONI DI MASSA. Ottenere una sezione esatta del contagio al tempo zero.
- Ripetizione dell’esame al quattordicesimo giorno e al trentesimo.
A questo punto si sarebbe la ragionevole certezza di avere identificato ed isolato tutti i portatori contagiati.
L’OBIETTIVO CERCATO? Liberare, in un mese, tutta la popolazione del Sulcis Iglesiente dal virus. Senza la paura ed il sospetto potremo scientificamente riprendere i rapporti umani e rinascere.
La premessa a questo progetto è: un’opinione pubblica compatta nel sostenere una politica autonoma per la gestione diretta del SISTEMA SANITARIO DEL SULCIS IGLESIENTE.
Mario Marroccu