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Il campionato mondiale 2020 di motociclismo si sviluppa su 13 gare da disputarsi in 4 mesi. Le prime due sono state corse a Jerez, in Andalusia, una città a 12 km dall’Oceano Atlantico, e a 85 km da Gibilterra. E’ una provincia bellissima fin dai tempi della dominazione moresca.
Nel corso della prima gara, il campione del mondo in carica Marc Marquez ha fatto un capitombolo a 149 km orari, in curva. Ha volato in alto come un proiettile. Durante quel secondo di volo si è attivato l’air-bag della tuta che gli ha evitato di sfracellarsi; tuttavia, mentre il corpo planava a terra, il braccio destro, disteso in avanti a protezione, è stato investito dalla ruota anteriore della moto, che a sua volta volava un po’ dietro di lui. Miracolosamente il danno si è limitato ad una frattura scomposta della parte lunga dell’omero.
Marc Marquez fa parte della scuderia della Honda. Gli altri atleti corrono per altrettante case produttrici di motociclette. Il gruppo è costituito da un capitale umano ed economico pregiatissimo del mondo motociclistico e gode di tutele di alto livello. Viene seguito, ovunque si muova, da una “Clinica mobile” che si prende cura dell’integrità dei loro corpi, data l’alta esposizione agli incidenti. Per la parte traumatologica, il gruppo di atleti è stato curato, fino a poco tempo fa dal mitico dottor Claudio Costa. Attualmente, il responsabile medico traumatologo è il dottor Xavier Mir, che esercita nella Dexeus University di Barcellona.
Il dottor Mir, dopo aver ridotto la frattura ed immobilizzato il braccio, ha sistemato Marc Marquez su un aereo e l’ha portato nella sua Università a Barcellona. Lì, lo ha operato 48 ore dopo l’incidente.
Il paziente non aveva sintomi neurologici alla mano. Muoveva bene dita e mano, sia in estensione sia in flessione, ed era capace di eseguire una presa e rilasciare. Non aveva disturbi ai movimenti del pollice e non presentava disturbi sensitivi. La clinica dimostrava che tutt’e tre i nervi importanti del braccio erano integri (radiale, mediano, ulnare). Il nervo che in questi casi corre più pericoli è il nervo radiale. Questo nervo, ad un certo punto, corre lungo un solco osseo e si rompe quando la rima di frattura è vicina. Allora il guaio è serio. Compaiono disturbi sensitivi e difficoltà ad aprire la mano; fatto che compromette la capacità di manipolare i comandi nel manubrio della moto. In tali casi, è necessario preparare chirurgicamente i due monconi di nervo e procedere alla “riunione fascicolare microscopica”. Il recupero avviene, se l’intervento riesce, in 6 mesi. Comunque, prima dell’intervento, non c’erano sintomi da compromissione del nervo radiale.
A questo punto, parole di Xaver Mir: «Si poteva ricostruire la continuità dell’osso inserendo nel suo canale interno un chiodo endomidollare di titanio», oppure si poteva applicare una placca in titanio da avvitare su un lato dei monconi. Il dottor Xavier Mir ha optato per la seconda scelta: ha praticato un’ampia incisione sul versante postero-laterale del braccio; ha isolato il nervo radiale; poi ha fissato con 10 viti una lunga placca di titanio direttamente alla parte esterna dell’omero fratturato, raddrizzandolo. Quindi ha fissato un frammento osseo, che si era staccato, con due viti ai monconi maggiori. In tutto 12 viti. Con questa tecnica si vuole che la placca funga da “stampella” all’omero e, su questa guida si formi il callo fibroso, e poi osseo. Si paga, tuttavia, il prezzo di un ampio taglio e 12 viti che, perforando l’osso, lo indeboliscono intaccandone la continuità strutturale.
E’ stata una buona scelta? Secondo la “AO Trauma Foundation” lo è stata. Secondo il mitico Claudio Costa, no. Lui l’aveva detto subito: «…per accelerare i tempi di recupero bisognava intervenire con un chiodo endomidollare, non con una placca. […] Avrei consigliato di rischiare un po’ e di mettere un chiodo, per fare un impianto più affidabile dal punto di vista della traumatologia motociclistica. Probabilmente, hanno pensato che con una placca più grande e più viti, l’impianto potesse tenere; me lo auguro. Il chiodo, probabilmente, viene tenuto come emergenza in caso di malaugurata sfortuna».
E la “sfortuna” c’è stata. Dopo 3 giorni dall’intervento Marc Marquez è salito in moto, per fare un giro di prova, e la placca si è rotta. Alla fine del giro, il campione non sentiva più la mano. Brutto segno di compromissione dei nervi del braccio. Adesso il braccio è inutilizzabile.
Dalla radiografia si vede chiaramente che la placca, con le sue 12 viti, non può dare la certezza dalla guarigione senza altre rotture in caso di banali cadute. E si vede chiaramente che, invece, il chiodo endomidollare, mostrato nella radiografia di un altro paziente fratturato di omero, operato a Carbonia, dà più sicurezza. Se il povero Marc Marquez si fosse fratturato l’omero nei tornanti del Sulcis Iglesiente sarebbe stato operato da noi con l’inserimento di un solido “chiodo endomidollare”, ma ad una condizione: avrebbe dovuto aspettare in “lista d’attesa” per 8-10 giorni, come tutti, perché da un po’ di tempo i nostri Ospedali sono carenti di Anestesisti ed Ortopedici. E bisogna aspettare. Ma Marc Marquez non aspetta.
Questa della “lista d’attesa” è un problema che non riesce ad entrare nella testa dei politici che ci hanno governato e di quelli che ci governano ora. L’umiliazione delle “liste d’attesa” viene subita da tutti con una rassegnazione tipica dei sardi, sopravvissuti a secoli di dominazioni straniere.
Però, pochi giorni fa, abbiamo avuto il fulgido esempio di un sarda che non si è rassegnata ad aspettare i tempi della assistenza ospedaliera: si tratta della bambina di Calasetta che, dopo una corsa non ha atteso ed ha preferito nascere in macchina prima di arrivare al CTO d’Iglesias.
Certamente questo non sarebbe successo se il Reparto di Ostetricia si fosse trovato ancora a Carbonia, che si trova a 27 km da Calasetta, e non a 50 km come è invece il CTO di Iglesias. Pertanto, non ce l’ha fatta.
Quattro anni fa il reparto di Ostetricia e Ginecologia di Carbonia venne soppresso. Quel taglio, attuato nell’assurda credenza che dovesse tradursi in un risparmio, in realtà si è trasformato nello immiserimento dell’Ospedale e nell’aggravio di spese per le famiglie. Alcune portano le gravide a termine ad Iglesias, ma le più ricorrono agli Ospedali di Cagliari, spendendo più soldi e facendo più sacrifici. Questo assurdo allungamento della percorrenza per raggiungere i Servizi Ospedalieri equivale, per sofferenza e spese, all’allungamento delle “liste d’attesa”.
La fantastica bambina di Calasetta ha rotto l’incantesimo: ha dimostrato che si può nascere secondo i ritmi della natura. La “Burocrazia sanitaria” con lei non ha vinto.
Tanti Auguri alla bambina calasettana, al povero Marc Marquez, e anche a noi.
Mario Marroccu