28 July, 2024
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Raffaela Canneddu, la nonnina ultracentenaria di Carbonia, oggi ha compiuto 105 anni. Quest’anno le restrizioni ed il divieto di assembramenti a causa del Covid-19, non hanno consentito di abbracciare ed omaggiare Raffaela Canneddu come negli anni scorsi (la foto di copertina è relativa ai festeggiamenti per il 102° compleanno, le altre ai festeggiamenti per il 103°, con il sindaco Paola Massidda al fianco della festeggiata).
«Tzia Boelledda, così come la chiamano parenti e amici, è un fulgido esempio di longevità, energia e vitalità. Le auguriamo buon compleanno e le facciamo i complimenti per aver raggiunto uno straordinario traguardo da ultracentenaria», ha commentato Paola Massidda.
Originaria di Mamoiada, Raffaela, all’età di 25 anni sposò il fonnese Michele Carta, operaio nelle miniere di Carbonia. Per ragioni di lavoro, pertanto, “Tzia Boelledda” si trasferì nella cittadina mineraria, dove insieme al marito investì i propri risparmi per aprire un’attività commerciale di successo nella produzione e distribuzione di bibite gassate in tutto il Sulcis Iglesiente.

      

 

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La storia del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente è legata intimamente all’evoluzione dello spirito di appartenenza a questa terra. Per raccontarla, è necessario partire da lontano ed arrivare fino al 2020. Pazienza! E’ una rapida passeggiata un po’ letteraria e molto storica.

Il più antico “Popolo sardo” organizzato politicamente fu quello dei “Nuragici”. Tutto iniziò nel 1800 avanti Cristo. Nel 1100 avanti Cristo i sardi cessarono di costruire nuraghi e iniziarono a scomparire. Mistero storico. Fu a causa di un’epidemia? Oppure fu l’effetto di una crisi di mercato, perché si stava passando dall’età del bronzo a quella del ferro?
Al tempo dei nuraghi la Sardegna era totalmente popolate e dedita ad attività minerarie e metallurgiche. La densità delle sue torri sono il segno certo che era ricca. Lucrava sul commercio di qualcosa che produceva in abbondanza: il bronzo. L’ottimo bronzo sardo era molto richiesto in tutto il Mediterraneo per forgiare armi.
Praticamente nel 1.200 avanti Cristo, il bronzo sardo armò la Prima Guerra Mondiale della storia: la Guerra di Troia. E dove c’è guerra ci sono medici.
Guardate le armi di bronzo nuragico che sono esposte nel Museo Archeologico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Sembrano fatte ieri. Hanno la forma della “foglia di ulivo”. Esattamente simili sono state riprodotte dai consulenti storici per il film “Troy” con Brad Pitt.
La Guerra di Troia iniziò male: con un’epidemia. Morirono di febbre, e infezione alle vie aeree, tanti guerrieri greci che Agamennone, per motivi di “igiene pubblica” dovette far cremare sulle pire allestite davanti alla marina di Troia.
Nell’Iliade vengono descritti 148 tipi diversi di traumi da spada, lancia, o freccia. I chirurghi che in quel conflitto bellico curavano i feriti erano nientedimeno che i figli di Esculapio: Macàone e Podalirio.
Allora la chirurgia era arte divina. Pindaro, parlando di quei Medici nel settimo secolo avanti Cristo, scriveva nelle “Odi”: «E quanti vennero da lui….feriti nelle membra dal lucido bronzo o dal getto di pietre,… fasciando le membra…altri con azioni chirurgiche rimise in piedi».
Durante la Guerra di Troia, il medico Macàone fu ferito da freccia troiana e subito venne soccorso da due Re: Idomeneo e Nestore, perché, come dice Omero: «Uomo guaritore vale molti uomini a estrarre dardi, e spargere blandi rimedi».
Nei millenni la considerazione del Medico rimase sempre elevata. Ebbe un crollo solo durante la peste del 1347-48, quando i medici fallirono i risultati sperati. La peste prevalse su tutti ed il poeta Francesco Petrarca, offeso per la morte dell’amata Laura De Sade, scrisse libelli feroci contro tutta la categoria.

La professione medica fin dall’inizio si specializzò. Vi furono gli specialisti nel “taglio della pietra” (urologi), gli specialisti della cataratta( oculisti), gli specialisti delle “malattie interne”, gli specialisti in “craniotomia” (neurochirurghi), e poi i “raddrizzatori di bambini storpi”. Quest’arte si chiamava “ortho” (raddrizzo), “peideia” (bambino). Da cui l’origine del nome “Ortopedia” per la specialità che aggiusta lo scheletro.

Non sappiamo quasi nulla sulla medicina dell’Alto Medio Evo nel Sulcis Iglesiente. Sappiamo che gli ammalati peregrinavano verso la tomba del Santo Medico Antioco e che attorno alla basilica vi erano tante casette per ospitare i malati richiedenti la guarigione: le “cumbessias” o “muristenes”.
Troviamo tracce di attività medica nella chiesetta bizantina altomedioevale di San Salvatore, ubicata nella periferia di Iglesias. Si sa che ospitava viandanti richiedenti cure per cui si spiega la presenza dell’”orto dei semplici”. Era il luogo dove i monaci (Benedettini o Basiliani) coltivavano le erbe medicamentose per produrre unguenti e pozioni galeniche. Nel terreno circostante sono state trovate tracce di inumazioni in terra nuda.
A San Giovanni Suergiu, vi è una chiesetta edificata dopo le Crociate dai monaci Giovanniti. Ricordiamo che i Giovanniti fondarono l’ospedale di San Giovanni Battista di Gerusalemme col permesso del Sultano del Cairo, e vi curarono i pellegrini cristiani che venivano dall’Europa. Alla fine delle Crociate vennero allontanati dalla Palestina e si insediarono in loro possedimenti in Sardegna. Qui nel Sulcis continuarono la loro missione di curare gli “infirmi et pauperes Christi”. Sulla facciata della chiesetta di San Giovanni si riconoscono le incisioni di “croci di Malta” e i fregi che ricordano le cupole delle moschee di Omar e di Al Aqsa, della spianata dei templi di Gerusalemme.
Queste sono le poche tracce di attività medica nel Sulcis Iglesiente nel Medio Evo.
La crescita della Chirurgia in Europa rimase bloccata, a causa dell’altissima mortalità, fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo. Solo allora, dopo la scoperta dell’esistenza dei “microbi”, si capì la necessità della “disinfezione” e, dopo la scoperta dell’“anestesia”, si poté operare “senza dolore”. I chirurghi cominciarono ad operare, per la prima volta, l’addome e la pelvi femminile temendo meno le setticemie mortali perioperatorie. Contemporaneamente iniziò lo sviluppo moderno degli Ospedali. Il più grande impulso allo sviluppo della chirurgia, soprattutto traumatica, avvenne con la Prima Guerra Mondiale. Lì si formarono i primi chirurghi dei nostri primi Ospedali.

Con la chirurga addominale e pelvica, decollò la chirurgia degli arti. Questa fu promossa in Italia da Alessandro Codivilla (m. 1912) che fu direttore dell’Ospedale Ortopedico Rizzoli di Bologna. Tutt’oggi il Rizzoli appare al visitatore con tutta la sua vecchiezza strutturale di fine ‘800. Da lì passò l’ortopedia mondiale, e la migliore ortopedia italiana in assoluto. Codivilla fece una invenzione rivoluzionaria: il “Chiodo di Codivilla”.
Si trattava di un’anima metallica da introdurre nel canale dell’osso fratturato. Attorno ad esso si sarebbe formato il “callo osseo”. Ciò comportava la guarigione con ossa ben raddrizzate (fatto raro) e consentiva l’eventuale allungamento dell’osso accorciato da un callo osseo venuto male. Il nuovo obiettivo dell’Ortopedia insegnato da Codivilla al mondo, era il “recupero funzionale” dell’arto.
Con la tecnica di Codivilla, si iniziarono a trattare le folle di portatori di deformità congenite ed acquisite: piedi torti, ginocchi valghi e vari, lussazioni dell’anca, paralisi infantili, tare eredoluetiche, gibbi cifoscoliotici, colli torti. A questi si aggiungeva il numero enorme di deformi procurati dalle due piaghe sociali dell’epoca: la tubercolosi ossea e il rachitismo; malattie incurabili e dal destino triste.

Già ai primi del ‘900 avevamo in Italia ben 40 “Ospedali marini” per la cura medica e chirurgica della TBC ossea. Lo sviluppo minerario dell’Iglesiente aveva introdotto la necessità di fornire un’adeguata assistenza ortopedico-traumatologica ai minatori. Quando esplose la protesta dei minatori nel settembre 1904, a Buggerru esisteva un ospedale per i traumi da miniera. L’organico comprendeva tre Medici con competenze chirurgiche ortopediche, e personale femminile per l’assistenza al parto. L’ospedale era molto attivo anche nell’assistenza alla popolazione civile; vi erano allora circa 8.000 abitanti, quando Cagliari ne contava circa 50.000. I casi più gravi venivano trasportati ad Iglesias in carrozza. Iglesias prima di questo periodo aveva avuto una struttura ospedaliera basso-medioevale citata da documenti dell’epoca: si trattava dell’ospedale di “Santa Lucia”, che poi prese il nome di “Santa Chiara”.
Tra le due Guerre Mondiali del ‘900, dopo la Guerra d’Etiopia e le “Inique Sanzioni” fu evidente che l’Italia doveva dotarsi di una sua fonte autarchica di energia, così prese vita il progetto di sviluppo del  bacino carbonifero del Sulcis. Le miniere metallifere dell’Iglesiente e le carbonifere del Sulcis furono la nuova frontiera del lavoro in Italia. Il numero complessivo di abitanti delle due città sfiorava i centomila. L’età media era molto giovane ed era costituita da una moltitudine di minatori del sottosuolo e operai di superficie. Gli incidenti sul lavoro erano molto frequenti. L’Inail nel 1946 inaugurò l’Ospedale CTO di Iglesias e lo rafforzò di Traumatologi e Chirurghi generali a costituire un avanzato “Trauma Center” dove si affrontavano tutti gli effetti di un trauma: dalle fratture dello scheletro alla rottura di milza e di fegato ed i traumi cranio-encefalici. Doveva essere una Traumatologia a tutto campo. Il Governo dispose che negli ospedali minerari di Iglesias e Carbonia operassero i migliori chirurghi traumatologi della Nazione. A Carbonia il Chirurgo generale con competenze neurochirurgiche arrivò dalla Patologia chirurgica dell’Università di Napoli: il professor Ignazio Scalone. Rimase un anno a dirigere l’ospedale di piazza Cagliari, a Carbonia. Di lui restano testi di chirurgia del cervello e del cervelletto, per la cura di lesioni craniche provocate da arma da fuoco, scritti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Con l’uscita del dottor Scalone, il primariato di Chirurgia generale venne conferito al dottor Gaetano Fiorentino; egli affidò l’Ortopedia e Traumatologia al dottor Schirru. Questi era un medico di eccezionale valore. Dopo una quindicina d’anni di esperienza in traumi a Carbonia, si trasferì negli Stati Uniti. Dopo 30 anni, il dottor Schirru tornò in Italia e si presentò al nuovo primario del Sirai, il prof. Lionello Orrù, a cui raccontò la sua storia americana: era diventato Direttore sanitario di un enorme ospedale di 3.000 posti letto a Washington, e ne dirigeva il reparto di Ortopedia. Arrivato alla pensione, gli era comparsa un’ernia inguinale. Per tale motivo pensò di tornare in Sardegna, a Carbonia, per farsi operare. Non si fidava del modo di operare l’ernia degli americani. Voleva essere operato da un chirurgo italiano. Una volta operato a Carbonia tornò a Washington.
Ad Iglesias, il primario chirurgo generale era il dottor Falqui. Al CTO vennero inviati chirurghi ortopedici di vaglia formati al Rizzoli di Bologna.
Dopo Codivilla, fu direttore del Rizzoli il professor Vittorio Putti (m. 1940). Fu chirurgo eccellentissimo che già nel 1919 veniva conteso all’Italia dalle maggiori istituzioni medico-chirurgiche statunitensi. Quando andava in America veniva, per i suoi miracoli ortopedici, ricevuto solennemente, come si conveniva alla sua fama.
Con la scomparsa del professor Putti, la direzione della chirurgia ortopedica del Rizzoli venne affidata al professor Francesco Delitala, nato a Orani in provincia di Nuoro, che aveva insegnato Ortopedia all’Università di Napoli, poi in quella di Padova e, infine, diresse il Rizzoli. Fu grande esperto della chirurgia dell’ernia del disco intervertebrale e della spalla. Morì a Bologna nel 1983.
Fu un allievo di Delitala il professor Cabitza di Cagliari. Questi, successivamente, diresse la Clinica Ortopedica Universitaria di Cagliari e l’ospedale Marino del Poetto.

Contemporaneamente, studiavano e operavano al Rizzoli, sia il dottor Giuseppe de Ferrari sia il dottor Italo Cao. Ambedue divennero professori di Ortopedia e Traumatologia e diressero il CTO di Iglesias. Il CTO (Centro Ortopedico Traumatologico) di Iglesias riprodusse in Sardegna le altissime competenze chirurgiche del Rizzoli di Bologna costituendo, nel Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente, un pilastro fondamentale della Sanità.
I successori di questi Maestri, diressero poi il CTO e l’Ortopedia di Carbonia e di Iglesias fino ai giorni nostri.
Il seme prezioso di quei grandi ortopedici è ancora tra noi.
Come si vede la discendenza di scuola è di altissimo livello.
Non può essere perduta.
Questa ricostruzione tratta dai libri di storia della Medicina è una conoscenza che deve costituire patrimonio dei cittadini del Sulcis Iglesiente. Tale eredità deve essere protetta dall’operazione “contabile” che sta trasferendo il nostro patrimonio sanitario in città lontane.

E’ incredibile. Quando eravamo “poveri” eravamo molto più “ricchi” in Sanità.

Mario Marroccu

Nella fotografia, da sinistra: dottor Giuseppe Porcella, dottor Renato Meloni, il sig. Cuccuru capo degli infermieri, dottor Gaetano Fiorentino, don Luigi Tarasco e dottor Luciano Pittoni.

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Dal 14 marzo sono stati 44.212 i controlli realizzati dal Corpo forestale della Regione Sardegna per vigilare sul rispetto delle regole stabilite per l’emergenza epidemiologica da Covid-2019.

Ieri sono stati effettuati 63 controlli: 7 nell’area di Cagliari, 29 Sassari, 13 Nuoro, 14 Lanusei. Sono state sanzionate due persone a Cagliari, perciò il totale complessivo (dal 14 marzo) è di 827.

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Nessun nuovo caso positivo al Covid-19 nelle ultime 24 ore in Sardegna su 1.138 tamponi eseguiti. Restano fermi a 1.353 i casi accertati dall’inizio dell’emergenza. In totale nell’Isola sono stati eseguiti 43.387 tamponi. I pazienti ricoverati in ospedale sono in tutto 82, dei quali 72 con sintomi e 10 in terapia intensiva, mentre 298 sono le persone in isolamento domiciliare. Gli attualmente positivi sono 380. Il totale dei pazienti dimessi/guariti è salito a 847. Oggi è stato registrato 1 decesso avvenuto il 9 aprile e conteggiato in seguito a un’ulteriore verifica sui dati comunicati, che porta il totale delle vittime a 126.
Sul territorio, dei 1.353 casi positivi complessivamente accertati, 248 sono stati registrati nella Città Metropolitana di Cagliari, 97 nel Sud Sardegna, 58 a Oristano, 79 a Nuoro, 871 a Sassari.

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Il Museo del Carbone riapre al pubblico martedì 19 maggio 2020. L’adeguamento alla normativa per l’emergenza sanitaria Covid-19 rende possibile – seppur con qualche adattamento – il normale svolgimento della visita del Museo e della galleria sotterranea. Ecco le novità:

Prenotazione obbligatoria

I visitatori devono prenotare la visita telefonicamente al numero +39 0781 62727, attivo durante i giorni e gli orari di apertura della biglietteria (10.00 – 17.00 fino al 20 giugno; 10.00 – 18.00 dal 21 giugno).

Le visite guidate in sottosuolo si svolgono con un massimo di 8 partecipanti per assicurare il rispetto della distanza interpersonale di almeno 1 metro. La visita all’interno dell’area espositiva si svolge in autonomia, sempre nel rispetto della distanza interpersonale di almeno 1 metro.

Gli orari delle visite guidate sono i  seguenti:

Fino al 20 giugno:  dal martedì alla domenica, ore 10.15 – 11.30 – 12.45 – 14.30 – 15.45 – 17.00

Dal 21 giugno al 20 settembre:  tutti i giorni, ore 10.15 – 11.30 – 12.45 – 14.30 – 15.45 – 17.00 – 18.00

Igiene e dispositivi di protezione individuale

L’ingresso al Museo è consentito solo se si indossa la mascherina (ricordiamo che la popolazione dovrebbe indossare mascherine senza valvola).

L’accesso all’area bar e bookshop prevede inoltre l’utilizzo di guanti monouso (a disposizione all’interno). Nella struttura sono disponibili diverse postazioni per l’igienizzazione delle mani.

Per la visita in sottosuolo i visitatori utilizzano (come già prima dell’emergenza sanitaria) cuffiette monouso; i caschi vengono igienizzati dopo ogni utilizzo.

Pagamenti

I visitatori sono pregati di pagare con bancomat/carta di credito o Mobile Payment. L’uso dei contanti deve essere quanto più possibile limitato, come previsto dalla normativa vigente.

Il Museo non fornisce il servizio di guardaroba, pertanto i visitatori dovranno tenere con sé giacche, borse, zaini, etc. per tutta la durata della visita. Per lo stesso motivo, non ci è possibile fornire un servizio di guardiania per valigie e altri bagagli da viaggio, che non possono essere portati con sé durante la visita.

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Le squadre del pronto intervento di Abbanoa sono a lavoro a Serbariu per eseguire d’urgenza la riparazione di un improvviso guasto verificatosi questo pomeriggio nell’acquedotto che alimenta Carbonia, Gonnesa e Portoscuso. La rottura riguarda un tratto di condotta in acciaio del diametro di 700 millimetri. Sono ora in corso le operazioni di isolamento e svuotamento della tubatura per poi procedere alla sostituzione e saldatura del punto interessato. Per tutta la durate dei lavori, che andranno avanti senza sosta fino a tarda serata, sarà necessario sospendere interrompere l’alimentazione dei serbatoi d’accumulo nei centri interessati.

L’erogazione alle utenze dei comuni di Carbonia, Gonnesa e Portoscuso potrà essere garantita con le scorte disponibili nei serbatoi sino alle 18.00 di stasera. Il servizio sarà nuovamente operativo domani mattina alle 6.00 per consentire durante la notte di ripristinare i livelli negli stessi serbatoi.

Sarà cura dei tecnici di Abbanoa limitare le ore di interruzione qualora l’intervento dovesse essere completato in tempi minori rispetto a quelli previsti. Qualsiasi anomalia potrà essere segnalata al servizio di segnalazione guasti di Abbanoa tramite il numero verde 800.022.040 attivo 24 ore su 24.

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«Investire in prevenzione per ritornare al più presto alla normalità, soprattutto ora che riparte il settore della ristorazione in Sardegna»: il gruppo di acque minerali San Martino lancia la campagna “Io sanifico”, un invito a tutte le aziende del territorio a fare la propria parte nella ferma convinzione che la via più breve per uscire dall’emergenza sanitaria sia quella che passa attraverso l’impegno di ognuno.

L’azienda della famiglia Simula nei giorni scorsi ha messo in campo un meticoloso intervento di sanificazione dei propri stabilimenti, sia per quello di San Martino a Codrongianos, sia per il complesso recentemente acquisito a Villasor dove sono imbottigliate le etichette Giara e Sandalia.

Squadre di specialisti hanno eseguito una disinfezione antibatterica/virucida Covid-19 in tutti gli ambienti, a partire dagli uffici alla sala di imbottigliamento fino ai magazzini, mediante l’utilizzo complementare di diverse tecniche quali l’umidificazione e la saturazione Ulv.

L’intervento è stato certificato in applicazione ai contenuti della circolare del ministero della Salute 0005443 del 22 febbraio scorso. Sono stati impiegati disinfettanti classificati come PMC a base di complesso di Pentapotassio Bis (perossiddomonosolfato) bis (solfato), ipoclorito di sodio, perossido di idrogeno.

Le operazioni di sanificazione, che andranno ripetute con cadenza periodica, vanno ad aggiungersi ai metodi igienico-sanitari standard eseguiti da sempre in tutti i comparti aziendali. Mentre fin dai primi giorni della diffusione della pandemia i protocolli standard sono stati adeguati alle nuove norme di sicurezza, con l’utilizzo di guanti, mascherine, tute, stivali ecc. – sostengono i titolari – sia nell’interesse del consumatore finale sia nell’interesse degli operatori, i quali vengono sottoposti quotidianamente a preventiva misurazione della temperatura corporea.

«Tutte queste operazioni costituiscono un impegno di risorseha spiegato Luca Simula, amministratore unicoma rappresentano un investimento utile e necessario che avvantaggerà un più rapido ritorno alla normalità. A ricompensarci per ora, e non poco, è la maggiore tranquillità e la gratitudine espressa da tutto il nostro personale. Vogliamo che questo messaggio possa essere recepito da altre aziende ma anche dai cittadini, nell’auspicio che la battaglia contro il Coronavirus si vinca soprattutto tramite la creazione di un circuito virtuoso in grado di “contaminare” in modo sano il senso di responsabilità individuale e collettivo. E questo per arrivare al più presto verso un’isola covid-free appetibile per i viaggiatori e magari, progettare da subito l’allungamento della stagione turistica.»

 

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In un momento così difficile per la Sardegna e per il Paese è certamente necessario un grande sforzo collettivo, e di condivisione delle proposte, per rilanciare l’economia e per far fronte all’emergenza sanitaria ancora in atto. Il presupposto è che questo impegno unitario derivi da un riconoscimento dei ruoli di quanti, da posizioni diverse, si spendono per il bene comune del paese e della Regione.

Sul versante dell’impegno sindacale i punti fermi che caratterizzano la nostra attività riguardano alcuni punti fermi:
• la tutela della salute e la sicurezza nei posti di lavoro,
• il rafforzamento del sistema socio-sanitario e la dotazione delle attrezzature indispensabili allo svolgimento delle funzioni di tutti gli operatori,
• il finanziamento da parte dello Stato e della Regione degli interventi necessari a far ripartire l’economia, a tutela delle persone e dei settori più colpiti dall’emergenza sanitaria e dal blocco delle attività produttive In questa direzione vanno valutati gli interventi per l’emergenza sanitaria e produttiva, oltre quelli più strutturali utili a far ripartire l’economia, sostenendo le imprese e i settori produttivi più in difficoltà.
Alla Regione, chiediamo interventi che raggiungano subito lavoratori, famiglie, imprese.
Non si tratta di elencare numerosi obiettivi, in una sorta di rivendicazione stile anni settanta, ma di individuare una strategia con interventi concreti e praticabili, e misure che subito consentano all’Isola di spendere presto e bene le risorse disponibili, non con un criterio a pioggia, ma su ambiti e settori decisivi per stimolare una nuova fase espansiva dell’economia, evitando che la recessione diventi un fenomeno duraturo, tutelando lavoratori, famiglie ed imprese. Il quadro delle risorse finanziarie ad oggi messe a disposizione dalla Regione Sardegna, per il contrasto agli effetti del Covid-19 ed il sostegno a famiglie ed imprese, ammonta a complessivi 398 milioni di euro circa, tra risorse regionali, della SFIRS e dell’Unione europea, cosi suddivisi:
• interventi a favore delle famiglie (per un importo fino a 800 euro), con uno stanziamento di 120 milioni di euro;
• misure urgenti per il sostegno al sistema produttivo regionale (garanzie, prestiti ed altri strumenti alternativi al tradizionale canale bancario), con uno stanziamento stimato in poco più di 90 milioni di euro;
• interventi per il settore sanitario, della biomedicina, dell’agroalimentare, dei servizi per il turismo e delle costruzioni (prestiti e contributi), a valere su fondi regionali e comunitari, e con una dotazione finanziaria di 120 milioni di euro (misura in parte finanziata dalla la BEI);

• Altri interventi per il Fondo per la finanza inclusiva, la Protezione civile, lo smart working per i dipendenti regionali, le imprese agricole, gli inquilini in difficoltà economiche, per circa 68 milioni di euro per la gran parte si tratta di misure a carattere assistenziale e di garanzia ai prestiti per le imprese, utili senz’altro, ma che per essere efficaci devono raggiungere i destinatari in tempi brevissimi ed essere integrati da interventi a carattere strutturale, di sostegno a una fase espansiva dell’economia isolana. Impegno che l’Europa ed il Governo nazionale stanno varando e che deve vedere protagonista la Regione con una sua strategia.1) Indispensabile una nuova manovra finanziaria e di bilancio riorientata sul rilancio dell’economia e del lavoro. Nell’immediato come già detto è prioritario sostenere le famiglie e sostenere le imprese e il tessuto produttivo messo a dura prova dall’emergenza sanitaria e dalla sospensione dell’attività. Anche la Regione deve immettere liquidità nel sistema delle imprese, e non solo attraverso le facilitazioni sulle garanzie di accesso al credito, ma indirettamente riducendo anche una parte dei tributi di competenza regionale, e abbattendo il costo degli interessi sul debito. Ma un altro obiettivo prioritario che la Regione deve concretizzare in tempi rapidissimi è l’accelerazione della spesa regionale in particolare su tutti i capitoli riguardanti i fondi europei e l’immediato disbrigo delle pratiche di pagamento sui crediti delle società, agendo sulla burocrazia e la semplificazione delle procedure. Il Programma regionale di sviluppo e il Bilancio, alla luce anche di una legge di stabilità per il 2020 varata a carattere tecnico, devono essere quindi riorientati, affrontando la recessione e l’emergenza sanitaria e produttiva, con una nuova manovra di dimensione e indirizzi straordinari e con nuovi investimenti. Tale nuova manovra dovrà avere una scansione pluriennale e trovare collocazione in vista del 2021 nel prossimo Documento Economico e Finanziario. In questa programmazione fondamentale diventa il finanziamento delle infrastrutture e della innovazione tecnologica e digitale. Il rafforzamento della rete dei servizi pubblici diventa altresì improcrastinabile, anche per l’esperienza maturata negli ultimi mesi di emergenza da Covid-19. Occorre migliorare gli organici del sistema socio-sanitario con le assunzioni di operatori indispensabili alla prevenzione e cura, soprattutto nell’assistenza domiciliare, nei controlli della RSA e delle case di riposo, nella non autosufficienza e nell’assistenza a domicilio nell’accompagnamento e nella tutela minori. Altro e primario obiettivo riguarda la istituzione di un Fondo annuale e pluriennale per la formazione professionale, la digitalizzazione del sistema e l’aggiornamento del personale, insieme al rafforzamento della dotazione informatica delle scuole.

2) La Regione deve reperire risorse finanziarie aggiuntive e rinegoziare con il Governo la copertura della spesa sanitaria, del trasporto pubblico locale e della continuità territoriale Occorre, come già detto cantierare subito le risorse disponibili e reperirne altre manovrabili e aggiuntive rispetto a quelle attualmente riportate nei capitoli di spesa (regionali, nazionali ed europei) del Bilancio recentemente approvato. Le somme derivanti dalla riprogrammazione di parte dei Fondi strutturali (FESR e FSE) non sono infatti sufficienti a coprire neppure una minima parte degli interventi necessari, si tratta peraltro di risorse non aggiuntive, ma con destinazione già prevista, ancorché in diversi casi non legate ad obbligazioni giuridicamente vincolanti. Il ricorso alle risorse della Banca Europea degli Investimenti, come previsto dalla Giunta regionale, riguarda pur sempre una operazione di indebitamento che, pur dilazionata in tempi lunghi, non risolverebbe il problema di molte aziende dei settori individuati come destinatari degli interventi, le quali aziende, anche per le difficoltà conseguenti all’attuale crisi, in gran numero non potrebbero ricorrere a questo strumento. Dunque restano poche strade per immettere nel sistema produttivo sardo una quantità adeguata di risorse finanziarie da parte della Regione, per integrare la strategia dello Stato e dell’Unione Europea, senza gravare pesantemente sul bilancio delle imprese e sulle tasche dei cittadini: la contrazione di mutui per investimenti, l’avallo dello stato e del’UE a superare lo scoglio del pareggio di bilancio, e dunque la scelta di operare in disavanzo, il via libera dello Stato per mutui da utilizzare per la spesa corrente. Soprattutto occorre che la regione si ponga nell’immediato un obiettivo, che occorrerà con intelligenza perseguire e che risolverebbe gran parte dei problemi di disponibilità di risorse finanziarie, ossia la rinegoziazione con il Governo nazionale dei costi della sanità, del trasporto pubblico locale e della continuità territoriale, tutti a carico della Regione dal 2006, diversamente da quanto avviene nella quasi totalità delle altre Regioni. Un capitolo della storia del rapporto con lo Stato molto triste e negativo, di cui occorrerà rendere conto in altra apposita riflessione. Ora si tratta dunque di reggere il colpo della crisi e creare le condizioni per la ripresa, certamente con le forze e le disponibilità che si hanno, ma interagendo con lo Stato e l’Unione Europea per segnare qualche punto a favore di un incremento di risorse finanziarie e di riconoscimenti tangibili di alcuni diritti della Sardegna. Insieme agli investimenti necessari bisogna quindi avere una strategia e obiettivi di medio e lungo periodo, per immaginare quale Sardegna pensiamo di poter ragionevolmente costruire, partendo dalle difficoltà e dai rapporti di forza in campo.
3) Alcuni obiettivi indispensabili per una nuova duratura fase di sviluppo La precondizione più importante per lo sviluppo, da costruire in tempi adeguati al bisogno, è l’abbattimento delle diseconomie interne ed esterne al processo produttivo. Questo implica una riduzione del divario di crescita delle imprese sarde rispetto alle nazionali, intervenendo sui costi dell’energia, sui trasporti interni ed esterni, sul sistema delle reti. Ma qui scontiamo il prezzo del nodo irrisolto del rapporto con la unione Europea e con lo Stato circa il riconoscimento dello status di insularità, obiettivo che, pure se con implicazione di tempi non brevi, va perseguito con maggiore forza e determinazione dall’intera Sardegna. Due questioni vanno inoltre affrontate in termini radicali ed urgenti: l’assetto istituzionale dell’Isola e un ruolo diverso della Regione che deve ridisegnarsi trasferendo risorse e poteri ai Comuni e all’Ente intermedio, insieme a un forte e diffuso investimento sul sapere, sulla tecnica e sulla cultura, attraverso la filiera della scuola, della formazione professionale (per la quale occorre anche con una nuova legge ordinamentale), dell’Università e della Ricerca. L’obiettivo dunque deve essere quello di creare competenze e favorire l’utilizzo del valore aggiunto della conoscenza nel sistema sociale e produttivo, per promuovere, anche, gruppi dirigenti adeguati alle nuove complessità economiche, sociali e istituzionali.
4) E’ necessaria una regia unitaria tra Regione, Enti Locali e Sindacati per rilanciare l’economia e il lavoro nell’Isola. Come è evidente, gli interventi adottati dalla Regione e le risorse finanziarie individuate, non sono certo risolutivi di un’emergenza economica e sociale senza precedenti come quella in atto, anche valutati nella loro natura integrativa di quelli statali. Gli strumenti e le diverse tipologie, soprattutto quelle riguardanti le attività produttive, necessitano di procedure complesse, altri hanno bisogno di ulteriori adempimenti, altri ancora, appena annunciati, devono essere resi pubblici. In ogni caso occorre coordinarli e seguirli tutti in ogni fase, verificarne il percorso, i tempi e l’attuazione, mentre sul piano dell’impatto sociale della crisi le conseguenze si manifesteranno però, in forme ancora più drammatiche, dopo il periodo di scadenza degli ammortizzatori sociali. Ecco perché, senza perdere ulteriore tempo, è indispensabile già da oggi ragionare e mettere in campo una strategia, anche di medio periodo, di governo degli interventi per l’uscita dalla crisi. Una regia unitaria, che metta insieme Regione, Parti sociali e imprenditoriali, ed Enti locali. E’ questa l’unica strada per condividere e attuare una strategia dei sardi utile a riprendere il cammino dello sviluppo e del lavoro nell’Isola.
Gavino Carta
Segretario generale CISL sarda

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Il direttivo dell’ASEL Sardegna ha approvato e reso subito operativo un accordo operativo con la società Benefit Charis che ha l’obiettivo di mettere a disposizione degli Enti Locali Sardi servizi innovativi e professionali, avvalendosi di un team di professionisti con competenze ed esperienze nei diversi campi della pubblica amministrazione.

Con questo accordo, l’A.S.E.L. Sardegna intende offrire l’opportunità agli amministratori dei Comuni sardi di poter fronteggiare al meglio l’emergenza Covid-19 e quella successiva post emergenziale attraverso supporti tecnici qualificati che la Società Benefit Charis mette a disposizione, con l’assistenza necessaria in campo amministrativo e legale, come disciplinato da apposita convenzione, il cui contenuto potrà essere adattato alle esigenze specifiche di ciascuna amministrazione.

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La Questura di Cagliari dà il benvenuto a due nuovi funzionari. Il Commissario Capo della Polizia di Stato dr.ssa Valeria Troxiri proviene dalla Questura di Nuoro, dove è stata dirigente dell’Ufficio Tecnico Logistico e dell’U.P.G.S.P. La dottoressa Valeria Troxiri, è laureata in Giurisprudenza, avvocato, e ha fatto ingresso in Polizia dal 2014 quando ha iniziato la frequenza del 105° Corso biennale per Funzionari presso la Scuola Superiore di Polizia. Da oggi è assegnata a questa Divisione Polizia Anticrimine.

Il Commissario Capo della Polizia di Stato Fabio Formato, dopo aver frequentato il 106° Corso biennale per Funzionari presso la Scuola Superiore di Polizia ha svolto l’incarico di vice dirigente alla D.I.G.O.S. di Bari. Il dottor Fabio Formato, laureato in Giurisprudenza, anch’egli avvocato, da oggi è stato assegnato a questa D.I.G.O.S.