27 November, 2024
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Sabato pomeriggio, a Guspini, un cittadino tedesco di 57 anni e la propria moglie 58enne hanno denunciato presso la locale stazione dei carabinieri che ignoti nel primo pomeriggio dello stesso giorno, ad Arbus, in località Piscinas, mentre loro si trovavano distesi sulla spiaggia, dopo aver rotto un finestrino della loro auto Mercedes classe C, in sosta in un parcheggio non custodito, avevano asportato un tablet iPad Apple del valore di circa € 1.000, tre obiettivi per macchina fotografica del valore di circa € 5.000, due valigie e due borse da bicicletta e, infine, tre borsette contenenti effetti personali. Le immediate ricerche avviate dai militari della stazione di Guspini e del posto fisso stagionale di Torre dei Corsari, hanno consentito attraverso la geolocalizzazione del tablet, di rinvenire l’intera refurtiva occultata all’interno di un cespuglio lungo la strada provinciale 46, in attesa di essere portata via dei malfattori che, evidentemente sarebbero tornati in un secondo tempo per recuperare il provento delle loro fatiche compiute sotto un implacabile solleone. Il tutto è stato invece restituito agli aventi diritto che hanno quindi recuperato le loro cose dopo qualche momento di preoccupazione. Le indagini dei carabinieri proseguiranno per addivenire all’individuazione degli autori del reato.

Si era presentato presso la caserma dei carabinieri di Pula per motivi di giustizia, insomma per una presenza necessaria, dovendo essere sentito in relazione a una importante vicenda, e uno dei sottufficiali che lo aveva ricevuto si era reso conto che nella camicia l’uomo doveva custodire qualcosa di rilevante, visto che la camicia veniva deformata dal peso di quell’oggetto. Da un’immediata verifica e richiesta di esibizione di quell’oggetto che avrebbe anche potuto essere pericoloso, i carabinieri apprendevano che quel 61enne toscano residente da anni in Sardegna, pensionato con precedenti denunce a carico, custodiva all’interno di quella tasca un coltello a serramanico della lunghezza complessiva di 22 cm. Avendo forse l’abitudine di portarlo, non si era reso conto che presentarsi in una caserma dei carabinieri in quelle condizioni non era esattamente un’idea brillante, tanto che è stato denunciato per porto abusivo di armi o oggetti atti ad offendere alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari. Il coltello gli è stato evidentemente sequestrato.

Le riflessioni dell’amico Mario Marroccu, sul PNRR e sul ruolo e competenze che gli infermieri dovranno possedere, mi hanno sollecitato questo contributo, che riprende un interessante lavoro pubblicato dalla Redazione della prestigiosa Rivista del pensiero Scientifico “Assistenza Infermieristica e Ricerca”.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta un’opportunità imperdibile di investimenti, sviluppo e riforme per affrontare le sfide dei prossimi anni, con pacchetti di misure e interventi complementari tra di loro. Il PNRR è articolato in 16 componenti, raggruppate in 6 missioni:

Missione 1. digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura;

Missione 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica;

Missione 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile;

Missione 4. Istruzione e ricerca;

Missione 5. Coesione e inclusione;

Missione 6. Salute.

Le misure previste sono in linea e rafforzano quanto previsto dalla Missione 5: Inclusione e coesione (Componente 2: Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore). Infatti – come dichiarato nel PNRR – solo attraverso l’integrazione dell’assistenza sanitaria domiciliare con interventi di tipo sociale si potrà realmente raggiungere la piena autonomia e indipendenza della persona anziana/disabile presso la propria abitazione,  riducendo il rischio di ricoveri inappropriati, anche grazie all’introduzione di strumenti di domotica, telemedicina e telemonitoraggio.
Nel testo della Missione 6 si riconoscono le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, in particolare di prevenzione e assistenza sul territorio; la mancata integrazione tra servizi ospedalieri, territoriali e sociali; i tempi di attesa elevati per alcune prestazioni; una scarsa sinergia nella risposta ai rischi ambientali, climatici e sanitari; l’importanza delle competenze digitali, professionali e manageriali e di un maggiore uso dei dati disponibili per poter migliorare la pianificazione sanitaria.
Il piano è indubbiamente un documento di grande respiro: la presenza degli infermieri è tangibile e nodale, soprattutto, nelle parti del Piano che orientano il futuro SSN verso la prossimità e la domiciliarità, aspetti che dovranno obbligatoriamente  prevedere una presa in carico della persona assistita, della famiglia, del reticolo sociale di sostegno e della comunità di riferimento, contestualizzata e personalizzata. Ruolo e spazi saranno figli delle competenze.
Nella Componente 1 della missione 6 (Salute) del PNRR è evidente il ruolo numericamente e qualitativamente significativo assegnato agli infermieri e gli investimenti, anche di notevole entità sulla professione infermieristica facendo riferimento ai progetti relativamente alle case di comunità 2 miliardi, al potenziamento dell’assistenza domiciliare 2.7 miliardi, istituzione di centrali operative territoriali (C.O.T.) finanziate con 280 milioni, 381 ospedali di comunità con un miliardo.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che arriva dopo una serie di decreti nazionali e regionali atti a potenziare l’assistenza sul territorio (Decreto Rilancio del 19 maggio 2020; Piano pandemico influenzale 2021-23 per citarne solo due), rappresenta sicuramente un’opportunità per la professione infermieristica. Infatti, mai si erano visto esplicitare in una norma fabbisogni e relativi finanziamenti per portare, nelle case e sul territorio, professionisti, assistenza di base e specialistica, tecnologia e supporti informatici.
Nello specifico la Missione 6 del PNRR “Realizzare una nuova salute territoriale” si propone di:

– dare risposte integrate socio sanitarie a una domanda di salute costituita da bisogni complessi;
– potenziare l’assistenza domiciliare Integrata (ADI);
– garantire omogeneità di risposte tra regioni;
– potenziare infrastrutture tecnologiche e digitali;
– implementare competenze professionali, sia avanzate che specialistiche, di diversi professionisti sanitari: medici, con particolare riguardo alle cure primarie ma anche infermieri, fisioterapisti, assistenti sanitari e sociali;
– incrementare in termini assoluti il numero di infermieri, passando dall’attuale rapporto di 5,8 infermieri ogni 1.000 abitanti a 8,8 dello standard dell’Unione Europea.
Realizzare quanto previsto nel PNRR si scontra però con alcuni problemi che vanno affrontati nell’immediato: la carenza di infermieri, le competenze da garantire e l’organizzazione dei servizi.
I decreti legislativi che daranno applicazione alla riforma sicuramente daranno alcune risposte: è bene però sin da ora sollevare alcuni problemi e domande per tenere alta l’attenzione su aspetti che dovranno necessariamente trovare una riposta in modo tale che il PNRR diventi effettivamente operativo e non una dichiarazione di principi e una destinazione di fondi a strutture che non saranno poi in grado di operare.
Dove si reperiranno gli infermieri?
Il PNRR disegna un modello che dovrebbe portare a un riequilibrio dei luoghi di cura e dei modi di presa in carico dei bisogni dei cittadini, spostando l’asse degli interventi dall’ospedale al territorio. Per raggiungere questo obiettivo si punta a rafforzare l’assistenza domiciliare (con la presa in carico di almeno il 10% della popolazione ultrasessantacinquenne con problemi di cronicità o dipendenza), l’istituzione di 602 Centrali Operative Territoriali (COT) per il raccordo tra i diversi servizi sanitari e sociali, l’istituzione di 1.288 Case di comunità e 381 Ospedali di comunità. In ciascuno di questi contesti sarà presente la figura dell’infermiere: con competenze cliniche avanzate nell’assistenza domiciliare, con competenze di presa in carico dei problemi della famiglia e della comunità per l’infermiere di famiglia, con competenze cliniche e manageriali per gli infermieri degli ospedali di comunità, che saranno a gestione prevalentemente infermieristica.
È un piano che prevede un notevole incremento numerico che dovrà essere quantificato a breve termine.
Ci sono, però, diversi aspetti problematici, omessi o lasciati sottintesi, da affrontare e risolvere con urgenza.
Per illustrare meglio questi aspetti, ritengo opportuno far riferimento ad alcune considerazioni inviatemi dal Segretario Nazionale dell’Associazione Nazionale Dirigenti Professioni Sanitarie – affiliata COSMED, di cui faccio parte.
“Le Case di Comunità” – (ma non avevamo già le “case della salute”?) – assolutamente condivisibile il principio enunciato “dove il cittadino può trovare una risposta adeguata alle diverse esigenze sanitarie o socio-sanitarie, con la presenza di MMG/PLS/Infermieri … omissis…Ne vengono previste 1.288 (1/50.000 abitanti)!

Da capire:
a. i criteri distributivi, tenuto conto delle variabili “di contesto”, riportate nella tabella seguente ed i possibili accordi inter comunali;

b. i modelli organizzativi ed i sistemi di cura ed assistenza (non è “un’attività in tandem” come sostenuto da alcuni, ma una integrazione inter-professionale, con un impianto organizzativo interamente da ri-costruire, insieme al sistema delle cure primarie). Il fine è quello di implementare le attività di assistenza domiciliare (rif. DL 34/2020) e a favorire la presa in carico sia delle persone a rischio fragilità / disabilità / cronicità (il 3,7% delle persone da 65 a 74 aa e il 7% della popolazione con età > 75 aa – rif. Scaccabarozzi) per un totale  di 745.889 persone su 13.859.090), sia i circa 14 mln di persone, al momento in salute, ricomprese nella fascia di età > 65 aa, per le attività di promozione ed educazione alla salute e agli stili di vita sani, nell’ambito di progetti, percorsi e processi, definiti e condivisi con i MMG/PLS). Sta qui la differenza tra “prendersi cura” e “prendersi in carico”;
c. le necessità di risorse assistenziali (9.600 infermieri di comunità e famiglia, che vanno ad aggiungersi ai 10.500 infermieri necessari per l’implementazione dei pl di TI ed ai circa 3.100 infermieri necessari per la riqualificazione dei pl di SI, per un totale di oltre 23.000 infermieri – rif. DL 34/2020);
d. l’ipotesi di 96.088 infermieri disponibili dal 2027 rimane solo una ipotesi (il dato non è corretto in quanto il totale dei laureati non può scaturire dalla sommatoria dei posti messi a bando fino all’abilitazione del 2027, in quanto ci sono gli abbandoni, i fuori corso, etc.);
e. la stima di 26.018 infermieri pensionandi nel periodo 2020/2026 – I valori stimati presumibilmente sono in difetto, tenuto conto anche del fatto che il pensionamento non avviene all’età di 67 anni, come riportato, bensì ad una età più bassa di circa 4 anni; inoltre al 1 gennaio 2018 risultano n. 18.617 infermieri ricompresi nella fascia di servizio da 35 a 40 anni (i 2/3 – circa 13.000 già in quiescenza) e 65.000 ricompresi nella fascia di servizio da 26 a 35 anni (per una stima di circa 35.000 infermieri in quiescenza nel periodo 2020/2026 – fonte: min Salute);
f. a titolo conoscitivo (e per le necessarie comparazioni) nel periodo 2014-2018 sono usciti per pensionamento (SSN) 37.744 infermieri e ne sono stati assunti 37.731 (fonte MEF);
g. i neo-laureati (circa 50.000 nel periodo 2014-2018) hanno garantito il turnover e la copertura dei posti nelle strutture private (ospedaliere e residenziali);
h. potrebbe risultare utile conoscere i dati precisi relativamente alle assunzioni collegate al DL 34/2020 (TI/SI/Infermiere di comunità) e alle relative destinazioni, con la forte possibilità di riscontrare un utilizzo privilegiato per parziali compensazioni delle carenze di organici accumulate negli anni;
i. prima ancora è necessario definire le reali necessità criteri e standard per la determinazione delle dotazioni organiche (ospedali / territorio / residenzialità) e per la strutturazione degli staffing assistenziali, tenuto conto dei nuovi bisogni della popolazione e delle nuove esigenze di funzionamento delle strutture;
j. servono dati certi e non “ipotesi” ed è necessario affrontare la questione in maniera completa, evitando gli errori del passato (mettere “toppe” non serve a nulla … e spesso è maggiormente oneroso!), tenendo ben presente che ad un sistema assistenziale carente corrisponde sempre un grosso rischio per i pazienti.
Bozzi M. Il Pnrr va sostenuto, ma servono dati certi e rigore metodologico. Quotidiano Sanità 13 giugno 2021http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=95678
Oltre tali considerazioni, bisognerà, ulteriormente, chiarire se l’importante incremento numerico di infermieri sarà “sottratto” alla compensazione del turn over del personale ospedaliero che andrà in pensione. Difficile pensare che al momento questa sia una decisione realistica, perché gli ospedali sono già in sofferenza di personale. Bisognerebbe, perciò, riprogrammare l’offerta formativa dei prossimi anni, tenendo ben presente che l’eventuale sforzo per l’aumento di questi numeri richiede congrui investimenti economici per aumentare le risorse umane (docenti, tutor, ecc.) e strutturali anche nelle sedi formative
universitarie e delle Aziende sedi di corso.
Sul versante delle risorse non vengono formulati parametri di riferimento. Non ci sono numeri ma un generico impegno “è stato previsto un incremento strutturale delle dotazioni di personale”. Un già sentito che non rinforza quanto al contrario è descritto in altre parti della Missione 6.

Continuare a proporre uno sviluppo formativo, tra l’altro necessario e condivisibile, senza però essere recepito dal mondo del lavoro attraverso un adeguato sviluppo di carriera e una remunerazione più consona causerebbe una ulteriore frattura all’interno della professione. Nei progetti che dovrebbero riorganizzare il nostro SSN non vi è traccia di tutto ciò.
L’analisi e le proposte inerenti la gestione della attuale scarsità di infermieri presenti sul mercato sono carenti nel PNRR: senza infermieri diventa impossibile non solo mantenere lo status quo ma anche avviare eventuali progetti innovativi. L’attuale carenza di infermieri resterà cronica se non si consentirà:
– un superamento del vincolo di esclusività dei dipendenti pubblici, resi finalmente liberi di portare la propria esperienza e competenza in quei settori dell’assistenza (domiciliare e residenziale) che maggiormente ne beneficerebbero. Si possono valutare possibili proposte quali collaborazioni con infermieri Libero Professionisti (esempio: infermieri di famiglia comunità contrattualizzati al pari dei MMG/PDLS e altri rapporti di lavoro in consulenza).
– un incremento delle retribuzioni, sia in termini assoluti che per il riconoscimento di responsabilità e competenze messe in campo. Oggi esistono sperequazioni che non valorizzano professionalità e retribuzioni.
Lo sblocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, per esempio, ha comportato una grave “emorragia” di infermieri che si sono dirottati verso Ospedali pubblici, sguarnendo le RSA e il territorio, laddove gestito tramite Cooperative. Le RSA sono in grave sofferenza per la carenza di infermieri e di conseguenza, gli standard assistenziali rischiano di non essere garantiti.
Gli investimenti proposti nel PNRR permettono alla stampa di titolare che verranno fatti maggiori investimenti sugli infermieri, dimenticando che tali provvedimenti sono necessari per la maggioranza dei casi per la carenza attuale e non tanto per un miglioramento qualitativo dei processi di cura.
Quale formazione e per quale infermiere
Leggendo orizzontalmente le Azioni 4, 5 e 6 si delinea uno scenario affascinante ma nel contempo altrettanto ricco di insidie. Quando nell’Azione 4 si parla di “ecosistemi dell’Innovazione (…) luoghi di contaminazione e collaborazione tra università, centri di ricerca, società e istituzioni local” e nell’Azione 5 si declina la Coesione e l’Inclusione affrontando “la qualità dell’abitare”, “la prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziano  autosufficienti”, “strategie per le aree interne” e i “servizi sanitari di prossimità”;, si viene a creare un processo che sfocia fisiologicamente nelle articolazioni dell’Azione 6 quali “casa come primo luogo di cura, assistenza domiciliare e telemedicina” e ancora nello “sviluppo delle cure intermedie”.
Per dare gambe alla professione perché sappia garantire un supporto consapevole e competente a quanto previsto dal PNRR si dovranno, sin da ora, rivedere i piani di studio, a partire dalla laurea triennale.
Colpisce in maniera preoccupante che non siano richiesti obbligatoriamente per i ruoli previsti requisiti di competenze specifiche avanzate e non siano previsti investimenti di formazione per gli infermieri domiciliari, di famiglia e di comunità e degli ospedali di comunità. Ancora più evidente risulta questa lacuna leggendo che, nella componente 2 della Missione Salute, è invece previsto (giustamente) il potenziamento delle borse di studio in medicina generale ma non avviene altrettanto per altri professionisti, limitando l’impegno alla realizzazione di percorsi di formazione su specifiche tematiche: un programma di corsi di formazione sulle infezioni ospedaliere (è ormai tanto tempo che il nome è stato modificato in Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), una formazione per figure manageriali per lo sviluppo della digitalizzazione del servizio sanitario.

Sembra trasparire la convinzione che un infermiere, con la sola formazione triennale, possa andare a ricoprire sul territorio ruoli di responsabilità clinica, assistenziale e manageriale, sia nell’assistenza diretta, sia nella prevenzione delle malattie, sia nella promozione della salute. L’Osservatorio nazionale delle professioni sanitarie istituito presso il Ministero dell’Università ha già dato indicazioni sulla necessità di formazione di competenze avanzate con master specialistici anche nelle realtà territoriali, come, peraltro, era già previsto dal profilo professionale del 1994.
È necessario modificare un approccio che rispecchia una cultura organizzativa risalente agli anni Settanta del Novecento, quello di un infermiere polivalente “adatto” (nel senso di adattabile) a qualunque contesto clinico assistenziale con la sola formazione di base. Approccio che poteva andare bene in un contesto di “responsabilità limitata” in quanto professionista sanitario ausiliario che doveva applicare correttamente in maniera intelligente le prescrizioni di altri professionisti. Oggi non solo è cambiata la normativa che assegna all’infermiere (e altri professionisti) una completa responsabilità nel proprio campo di azione professionale, ma sono cambiate soprattutto la natura e la complessità dei problemi e dei bisogni dei cittadini che rendono necessaria una formazione avanzata che renda possibile un’assunzione di responsabilità decisionale.
Naturalmente questo è un problema che riguarda tutti gli ambiti in cui l’infermiere svolge la propria professione, ma la riorganizzazione della sanità in senso territoriale pensata in generale nel PNRR può essere l’occasione per iniziare questa trasformazione. Senza la quale il raggiungimento degli obiettivi della prima parte della Missione 6 è destinato a fallire.
Il ruolo della tecnologia
Gli investimenti sono per lo più assegnati a riorganizzazioni che affidano alla tecnologia il governo dell’assistenza. Se da una parte la digitalizzazione e la teleassistenza sono elementi fondamentali, la reale presa in carico sembra sfumata in elementi tecnico-gestionali e non di centralità dei bisogni delle persone.
Anche se, chiaramente, è il bisogno di salute che anima l’erogazione dei servizi. Una fetta degli investimenti veramente importante è dedicata alle tecnologie e alla informatizzazione: sarebbe stato auspicabile investire su di essi ma a fattori inversi. Il fattore professionale legato alle competenze alle abilità e alle capacità relazionali rappresenta il motore trainante di tutto il processo di cura. Da sempre è noto che non sono le strutture né tantomeno le tecnologie e fare la differenza ma piuttosto i professionisti e le loro abilità professionali e la capacità di leadership dei team hanno sempre consentito all’organizzazione  di essere resilienti ed efficaci. Evidentemente le numerose prove offerte dai nostri professionisti durante questa pandemia non sono state sufficienti per convincere ad investire su queste dimensioni in modo più rilevante. È più semplice investire sulle tecnologie ma esse sono solo un mezzo non di certo un fine capace di garantire cure efficaci alla nostra comunità.
Pur consapevoli che l’alleanza con la telemedicina sia irrinunciabile, per evitare il venirsi a creare di nuove marginalità, in questo caso digitali, oltre alla ineludibile implementazione strutturale della connettività, servirà un intervento di affiancamento e di sostegno capace di evitare la spersonalizzazione della presa in carico.
Organizzazione dei servizi
Un altro degli aspetti da esplicitare è legato al tipo di organizzazione ed ai rapporti tra i servizi. Mancano il modello organizzativo e la governance dei processi. I progetti sembrano più una necessità formale da diffondere su tutto il territorio nazionale come strutture di frontiera, come prova della loro esistenza e non tanto della loro efficacia. L’analisi quantitativa del numero di infermieri da assegnare sembrerebbe far intendere questo e non altro. Dovrebbe esserci una maggiore consapevolezza dell’esiguità dell’incremento del numero x rispetto all’effettiva necessità ed ai criteri di dimensionamento degli operatori e alla necessità di pianificare i servizi in base agli esiti da raggiungere e non per prestazioni. Nei progetti di assistenza domiciliare si possono leggere indicatori di questo tipo: almeno una visita al mese fino ad un massimo di 15 giorni al mese nel caso di cure palliative. Non si trovano indicazioni di presa in carico e personalizzazione delle cure in base alla complessità assistenziale al nucleo familiare. Ancora, gli ospedali di comunità sono proposti con dotazione di organici infermieristici verosimilmente con rapporti pazienti/infermieri che al massimo potranno soddisfare il 10/1, in assenza di una riflessione sui modelli organizzativi, sulle competenze degli OSS (Operatori Socio Sanitari).
In un percorso di cambiamento, è fondamentale un ruolo forte di coordinamento centrale, per evitare la frammentazione dei servizi socio sanitari alla persona sul territorio: va strutturata una chiara cabina di regia che riconosca ruoli e processi che la garantiranno, altrimenti il grosso timore è che l’attuale strategia di progetto lasci autonomie operative regionali che se non ben governate porteranno ad ampliare ulteriormente la frammentazione dei servizi perdendo l’occasione, con le cure infermieristiche, di identificare questo ruolo come collettore dei bisogni di salute del singolo e della comunità. Nelle Regioni esiste troppa difformità in proposito e questo rappresenta un rischio anche per la gestione dei finanziamenti da destinare all’implementazione dei nuovi servizi.
Nei progetti si fa cenno a ruoli di coordinamento non ben definiti, mai a quelli di direzione in un contesto, quale quello sanitario, dove negli ultimi anni l’azione del management è stata indicata come indispensabile e strategica, vero e proprio volano di armonizzazione dei processi di cura che deve essere resa sempre più indipendente dalla politica. In questo ambito non una riga che indichi coinvolgimento progettuale, strategico e gestionale.
Sono poco chiari i rapporti con le ASL/ATS e con i distretti, che vengono nominati solo come sede di attuazione per 602 COT, strutture peraltro già presenti sotto altro nome, e affidate di fatto agli infermieri.

Poco chiaro anche il rapporto delle Case della Comunità con gli infermieri delle cure domiciliari dei distretti. Non si nomina il ruolo specialistico degli infermieri di famiglia e di comunità (infermieri di comunità nel Piano), che non possono essere assimilati agli infermieri con formazione di base attivi attualmente sul territorio. Gli studi  elaborati dall’OCSE e dall’OMS si basano sui Nurse Practitioner (NP), equivalente di una laurea magistrale clinica da noi non ancora presente. I NP hanno competenze e stipendi molto superiori rispetto agli infermieri con formazione di base.
Il PNRR assimila le due figure utilizzando il lavoro di divulgazione del ruolo portato avanti negli ultimi dieci anni dalla Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI) e dall’Associazione Infermieri di Famiglia e di Comunità (AIFeC), senza riconoscere la funzione specialistica. In Italia inoltre, il riconoscimento delle specializzazioni si è interrotto nel 2008, ostaggio di rivendicazioni e posizioni regionali che giocano al ribasso sul ruolo infermieristico.
La collaborazione e il coordinamento tra gli infermieri di famiglia e di comunità previsti nelle case di comunità e gli infermieri delle cure domiciliari è un aspetto fondamentale per dare vita alle parole del PNRR e del Piano Nazionale di Prevenzione 2020-25.
Orientamento verso il pubblico o il privato
Un’ultima (non perché sia meno importante, anzi) nota di preoccupazione è la mancata chiarezza sul contesto nel quale si collocano gli investimenti delle strutture di prossimità sul territorio: se in una cornice pubblica o privata. Il PNRR non fa una scelta esplicita (il DM che definisce l’orientamento dovrebbe essere approvato entro il 31 ottobre 2021). I possibili scenari sono 2:
a. Mettere al centro il distretto, che governa sia le strutture ed i professionisti sanitari (magari anche i medici di medicina generale?) e sociali. Un governo pubblico, con personale dipendente, consente stabilità delle equipe, uniformità di contratti, investimenti sulla formazione, l’integrazione tra le diverse professioni e figure ed una regia dei servizi basata su una programmazione locale a partire dai dati che saranno resi disponibili dagli investimenti nelle strutture informatiche e nelle banche dati.
b. Continuare a lavorare con una logica prestazionale, che ha caratterizzato sino ad ora i nostri servizi territoriali, con scarso controllo del pubblico (basti pensare a quanto accaduto nelle RSA durante la pandemia). Quanto dichiarato nel PNRR non fa ben sperare “l’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare” e non è chiaro il ruolo delle “602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari”, che si sovrappongono ad una funzione che dovrebbe svolgere un distretto con ruolo centrale sul governo dei servizi.
Il PNRR è un documento tecnico di programmazione di ripartizione di fondi presi in prestito dalle generazioni future. I meccanismi di valutazione che propone non considerano il miglioramento della qualità di vita delle persone. ma mettono in campo gli strumenti affinché questo avvenga.
Si ribadisce la necessità che gli infermieri (al pari delle altre professioni, ma tenendo soprattutto conto del ruolo fondamentale che ricoprono per garantire continuità delle cure e presa in carico delle popolazioni) siedano ai tavoli Regionali dove vengono prese le decisioni, per portare l’esperienza concreta, i possibili problemi, le proposte.

Bibliografia
1. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_0.pdf
2. FNOPI. Gli infermieri promuovono il Recovery Plan: protagonisti del cambiamento e dei nuovi modelli, 5 maggio 2021. https://www.fnopi.it/2021/05/05/fnopi-recovery-promosso/
3. Anessi Pessina E, Cicchetti A, Spadonaro F, Polistena B, D.Angela P, Masella C, et al. Proposte per l’attuazione del PNRR in sanità: governance, riparto, fattori abilitanti e linee realizzative delle missioni. https://www.panoramasanita.it/wp-content/ uploads/2021/05/Proposte-attuazione-PNRR.pdf
4. Bozzi M. Il Pnrr va sostenuto, ma servono dati certi e rigore metodologico. Quotidiano Sanità 13 giugno 2021http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=95678
5. A cura della Redazione. Assist. Inf. Ric. 2021; 40 92-100

Antonello Cuccuru

Sono 256 i nuovi casi positivi al Covid-19 accertati nelle ultime 24 ore in Sardegna, su 2.954 test eseguiti (2.470 molecolari e 484 antigenici).

I pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva sono 21 (+1 rispetto a ieri).

I pazienti ricoverati in area medica sono 193 (+3 rispetto a ieri).

Sono 7.631 i casi di isolamento domiciliare (+133 rispetto a ieri).

Si registrano 3 decessi: un uomo di 73 anni residente nella Provincia del Sud Sardegna, una donna di 89 anni e un uomo di 83, entrambi residenti nella Città Metropolitana di Cagliari.

E’ iniziata questa mattina, a Santadi, presso il Palazzetto dello sport, l’attività di vaccinazione anti Covid-19.
«I medici dell’Ats e tutto il personale sanitario sono a disposizione per fornire tutte le informazioni e chiarire qualsiasi dubbio.
Invitiamo tutti ad avvicinarsi anche solo per una consulenzasi legge in un post pubblicato stamane nella pagina Facebook del comune di Santadi -. Per chi effettuerà la prima dose oggi il punto di vaccinazione per la seconda dose sarà sempre Santadi,la data e gli orari verranno comunicati successivamente.»
Il piano di vaccinazione concordato tra comune di Santadi e ATS Sardegna, oltre a quella di oggi (mattino 9-12.00, pomeriggio 15.00-18.00), prevede altre tre giornate di vaccinazioni, secondo il seguente calendario:
– mercoledì 25 agosto dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00;
– giovedì 26 agosto dalle 15.00 alle 18.00;
– venerdì 27 agosto dalle 15.00 alle 18.00.
La vaccinazione è aperta a tutte le fasce di età dai 12 anni in su, residenti nel comune di Santadi e nei Comuni limitrofi.
È necessario presentarsi muniti di documento d’identità e tessera sanitaria per la compilazione della scheda anagrafica e dello stato di salute. È preferibile arrivare muniti di tali moduli già compilati per rendere le operazioni il più veloci possibile, verranno quindi fornite delle copie cartacee all’esterno del Comune.
I minorenni dovranno essere accompagnati da un genitore che dovrà anche firmare l’apposito modulo che verrà fornito in cartaceo sempre all’esterno del Comune.
Foto dalla pagina Facebook del comune di Santadi

Nella Storia Contemporanea sono in lizza due contendenti: il Coronavirus e l’Umanità. Fin dall’inizio della Pandemia molti affermarono che il Virus si sarebbe adattato all’Uomo e sarebbe diventato un innocuo “raffreddore”. Questa sottovalutazione sta tutt’oggi condizionando le scelte dei cittadini e le decisioni dei Governi. In realtà, è molto probabile che sia vero il contrario e che cioè il virus non si adatterà mai a noi e, piuttosto, noi ci dovremo adattare al virus. Esso vive sulla terra da sempre ed è estremamente più antico dell’uomo.
L’ominide Lucy visse due milioni e mezzo di anni fa ed il primo Homo Sapiens comparve appena 500.000 anni fa. Il virus esisteva da miliardi di anni prima e, probabilmente, come sostengono i genetisti americani, sono stati l’origine della vita sulla Terra. All’inizio di tutto, dunque, c’erano i Virus.
Se questa ricostruzione è vera, dobbiamo essere più rispettosi nei confronti del virus perché è un nostro antenato. Ebbene, esso non è mai cambiato, è rimasto come era nei primordi, invece Noi siamo il risultato di molti cambiamenti evolutivi. L’idea che il virus cambi in pochi mesi, per adeguarsi alle nostre esigenze, è senza basi. Degli altri virus con cui l’Uomo si è scontrato, si conoscono le vicende: il virus del Vaiolo ha ucciso uomini ed animali in tutti i millenni della storia conosciuta; oggi esso è scomparso per effetto delle vaccinazioni obbligatorie di massa; esiste solo in laboratori speciali e, per quanto si sa, non si è mai modificato a nostro favore. Così pure i virus della Poliomielite, della Varicella e del Morbillo, non si sono mai modificati ed oggi vengono tenuti a bada dai vaccini. Non sono mai cambiati, se non in peggio, i microbi della Tubercolosi, della Difterite, del Colera, del Tetano, della Rikettsiosi, della malattia di Lyme.
Si sostiene che il microbo della Peste Nera del 1347 sia spontaneamente scomparso improvvisamente nel 1700. Non è vero. Esiste tutt’oggi nel Tibet e nel Deserto della California, ed è sempre terribilmente mortale. Piuttosto, è vero che venne battuto il vettore del microbo, cioè la pulce del ratto nero asiatico (Rattus Alessandrinus), ma ciò avvenne per un cambiamento ecologico dovuto alla migrazione in Europa del ratto marrone del Nord (Rattus Norvegicus). Questo nuovo ratto, essendo più prolifico del ratto nero, occupò, per prevalenza numerica, il territorio europeo e si sostituì al ratto nero della peste. E’ vero che ne ereditò le pulci, tuttavia il mantello lanoso del ratto marrone ha uno strato profondo di lanugine talmente fitto da creare un ambiente invivibile per le pulci, e le pulci vi muoiono. Una volta scomparse le pulci ed il ratto nero, scomparve la Peste Nera.
Si può sperare in una mutazione benigna del Coronavirus, però per ottenerla, bisogna che mutino contemporaneamente tutte le varietà esistenti al mondo oggi. Dato che ciò è impossibile, ne consegue che la teoria che il Covid-19 diventi un innocuo raffreddore è ottimistica e anche molto pericolosa, a causa della sottovalutazione che implica. La sottovalutazione è stata fin dall’inizio il vero avversario che ci ha impedito di contenere la Pandemia.
Questa premessa porta a concludere che Noi dobbiamo adeguarci al virus perché esso è vincente. Sta succedendo un fenomeno epocale. Il virus ci sta cucinando lentamente come si fa con le rane vive in pentola. Il virus ha colpito il consorzio umano esattamente nel cuore di quel meccanismo dell’evoluzione neurologica della corteccia cerebrale che ha portato allo sviluppo della specie umana. Con la crescita della massa cerebrale, che è una grande centrale di comunicazione, avvenne il distacco di un ramo dall’albero della linea evolutiva dei Primati, quello del genere Homo. Il genere Homo ha la facoltà del linguaggio, della comunicazione verbale e dello scambio di informazioni che sta alla base della associazione. La necessità di comunicare compulsivamente ha indotto questo genere di ominidi all’aggregazione, al contatto fisico tra gruppi umani diversi, allo scambio di idee e beni e all’eliminazione del distanziamento. Sfruttando queste qualità, la specie Umana ha ideato le regole della convivenza sotto forma di Politica, Religione, Cultura, Commercio, e ha dato luogo alla organizzazione sociale, dapprima a livello di tribù, poi a livello di coordinazione di gruppi sempre più numerosi fino alla fondazione delle città ed alla costituzione delle Nazioni.
Da due anni il Covid-19 ci sta costringendo al regresso delle regole di aggregazione sociale e sta inducendo la lenta e impercettibile destrutturazione delle basi su cui la Società Umana è fondata, e cioè: l’associazionismo, la libertà di movimento, il trasporto di uomini e merci, l’arte, la scuola, la famiglia. Messa in questi termini, la Covid-19 non è una semplice malattia ma è un pericolo per la Società Umana così come oggi è costituita.

Se le cose stanno in questi termini, il problema è la sopravvivenza e, pertanto, è giustificato sostenere la formula pronunciata da Mario Draghi nel mese di luglio 2012 “ Whatever it takes”, cioè: bisogna fare «qualunque cosa sia necessaria», pur di uscire dalla Pandemia. Questa formula è facile da dire ma difficile da concretizzare in atti.
Proprio in questo frangente pandemico così delicato, siamo finiti in una disarmonia di voci contrastanti. Troppi pareri estemporanei, troppe ipotesi senza fondamenti scientifici, insomma confusione.
Alessandro Manzoni, per rendere meglio una situazione di conflitto dovuto alla nebulosità delle idee, inventò la metafora dei “galli di Renzo”. Invece, Winston Churchill, non riuscendo a mettere d’accordo tutti, arrivò a mettere in dubbio l’idea stessa di Democrazia, sostenendo che essa è la “peggior forma di Governo, eccezion fatta per tutte le altre forme”.
Anche oggi sta avvenendo che, Politici, Cittadini, Nazioni, piuttosto che risolvere il problema della Pandemia con un metodo condiviso e univoco, stanno affastellando in modo caotico una serie di problemi, diversi fra di loro e tutti importantissimi come: l’obbligo vaccinale, il suicidio assistito, la questione gender, la riforma del Fisco, il reddito di cittadinanza, la quota 100, il Patto Atlantico, la Via della Seta, il terrorismo informatico Hacker, il 5G, la scelta dei motori elettrici, la carenza di microchip, etc…, e ora, come se non bastasse, l’abbandono rovinoso dell’Afghanistan.
E’ difficile armonizzare le idee su un quadro storico mondiale e nazionale così complicato. In questo contesto, necessita fare una scaletta delle precedenze sui ragionamenti da impostare. Per adesso può essere utile fermarsi a riflettere sul problema dell’obbligo vaccinale. Si o No?
In premessa, si è tentato di dimostrare che la speranza che il virus attenui la sua aggressività è un’illusione. Pertanto, il virus non si adatterà alle esigenze dell’Uomo ma sarà l’Uomo a chinare la testa e si adatterà al Virus. Date queste condizioni di debolezza non esiste possibilità di trattativa e non ci rimane altro che il “Whatever it takes” di Mario Draghi, cioè dovremo adattarci a “qualunque cosa serva” per attenuare il pericolo pandemico che incomberà per molti anni ancora.
Il Vaccino è l’unica difesa oggi esistente. Fino ad oggi sono state messe in atto procedure molto intelligenti per indurre tutti i cittadini a vaccinarsi, tuttavia, il risultato non è soddisfacente, perché persistono sacche di umanità non vaccinata nelle quali il virus selvaggio prolifera. Da lì il virus riprende forza per attaccare anche i cittadini già vaccinati. Il Green Pass è uno strumento efficace ma l’applicazione è un po’ macchinosa e genera avversione.
Il Green Pass è stato adottato per impedire l’accesso dei non vaccinati nei luoghi di assembramento sociale e viene percepito come un surrogato dell’obbligo vaccinale universale. Questo è un punto delicato che necessita di chiarezza. La chiarezza la fornisce l’Articolo 32 della Costituzione, laddove dice che «nessuno può essere costretto ad un trattamento sanitario…. eccetto nei casi in cui vi sia l’obbligo di Legge». L’articolo è esplicito: il Governo ha il potere di emanare una legge che obblighi alla vaccinazione universale tutti i cittadini. Tale legge renderebbe inutili tante procedure di controllo capillare quotidiano.
Al mistero sulla titubanza se applicare o no la Costituzione si aggiunge oggi un altro problema che, per la verità, non è un vero problema. Si tratta della cosiddetta terza dose vaccinale. Questo giornale già un anno fa rese noto che il vaccino a RNA messaggero, secondo gli sperimentatori avrebbe conferito un’immunità della durata di 8 mesi circa. Ciò significa che coloro che sono stati vaccinati con 2 dosi a febbraio 2021, si troveranno scoperti, da un punto di vista immunitario, ad ottobre 2021. Pertanto, da ottobre tutti i vaccinati di febbraio dovranno essere considerati “non vaccinati” e dovranno, necessariamente, essere rivaccinati.
Dato che il Coronavirus non se ne andrà da questo pianeta, ma rimarrà per sempre con noi, si deve desumere che dovremo vaccinarci almeno una volta all’anno per sempre. Fu per questa considerazione che proponemmo ai nostri Politici del Sulcis Iglesiente di chiedere l’istituzione di un Reparto Infettivi, o un Covid Hospital, con personale medico ed infermieristico, da mantenere attivo per molti anni ancora. Nè più né meno di quanto si fece nel 1900 con gli Ospedali ed i Preventori antitubercolari di Iglesias e Carbonia.
Nel caso della Tubercolosi quei Preventori furono efficacissimi. Produssero la rarefazione progressiva del microbatterio tubercolare fino allo stato attuale di pacifica convivenza con pochi casi all’anno.
Oggi la vista di quegli edifici per la cura e la prevenzione, ormai dismessi ed abbandonati nel nostro territorio, suscita stupore. Eppure, sono la prova certa che in periodi in cui l’Italia era veramente povera si affrontarono con decisione campagne durissime per l’eradicazione di tubercolosi, tracoma, malaria, poliomielite, ed il contenimento di difterite, morbillo, vaiolo, pertosse, echinococcosi, brucellosi, tifo, che devastavano la vita e l’economia.
Anche nel secolo scorso e nel precedente, vi furono movimenti di opinione contrari alle vaccinazioni. Ai primi del 1900 vi fu un movimento molto seguito che sosteneva, contro il vaccino antivaioloso, la teoria che l’inoculazione di materiale vaccinale antivaioloso tratto dai bovini avrebbe provocato un cambiamento (genetico) dell’Uomo inducendo il minotaurismo, ovvero la nascita di figli per metà uomini e per metà tori, come nel mito di Dedalo alle prese col Minotauro di Minosse.
I Governi di allora capirono che esisteva un’epidemia che manteneva attive tutte le altre: l’analfabetismo.
Ne derivò la necessità di alfabetizzare la popolazione, istituendo l’obbligo alla scolarizzazione elementare delle nuove generazioni. L’istruzione obbligatoria fu il primo vaccino che spianò la strada all’uscita dalle epidemie. Mi pare si possa sostenere che anche oggi la Scuola possa essere l’arma vincente.
Oggi, nell’attesa che i Governanti trovino la determinazione giusta per applicare pienamente la Costituzione, cosa possono fare i nostri Politici locali? Certamente potrebbero pretendere che nei fondi del PNRR, Missione 6, destinati alla ristrutturazione degli Ospedali decadenti, si trovi il finanziamento necessario per istituire il “Reparto infettivi” al Sirai di Carbonia, così come venne previsto con un piano governativo negli anni ’90 , quando il Commissario straordinario della ASL 17 era il dottor Tullio Pistis, e fece portare a termine i lavori per la costruzione del padiglione a tal fine dedicato. Sarebbe grandioso il sentimento di riconoscenza che avremmo se sapessimo che in un Reparto infettivi dedicato vengano curati i Covid positivi, vicini ma separati dagli altri reparti e messi in sicurezza. I progettisti previdero sistemi di aerazione a pressione negativa per impedire la diffusione del virus. Dotarono la struttura della possibilità di avere una sala parto ed una piccola sala operatoria con terapia intensiva annessa e la possibilità di avere anche un rene artificiale per la dialisi separata. Nel 1990 si realizzava fantascienza. Similmente può essere attivato il Covid-Hospital ad Iglesias, già deliberato dalla Regione un anno fa.
Queste opere, sarebbero i primi atti di ricostruzione della Sanità del Sulcis Iglesiente.

Mario Marroccu

Primo test precampionato, questo pomeriggio, per il Carbonia di David Suazo, al Comunale di Siliqua, con il Sant’Elena, formazione che sarà al via del prossimo campionato di Eccellenza regionale. 1 a 0 il risultato, con goal realizzato da Francesco Quarta al 1′ della ripresa, complice un’indecisione del portiere del Sant’Elena.

Nei primi 45′ David Suazo ha impiegato cinque fuoriquota, quattro in difesa, il portiere Bigotti (2002), Adamo (2004), Bellu (2003) e Berman (2001), quest’ultimo verso la conferma dopo l’esperienza vissuta lo scorso anno, condizionata dagli infortuni; il quinto fuoriquota l’attaccante Niccolò Agostinelli (2001), che verrà sicuramente confermato. A completare l’undici iniziale, Russu sulla fascia sinistra con la fascia di capitano; Doratiotto, Dore, Serra e Murgia a centrocampo; Gjuci in attacco in coppia con Agostinelli.

David Suazo ha chiesto ai suoi ragazzi l’applicazione del lavoro svolto nelle prime due settimane di preparazione e, nonostante nei primi 45 siano mancati i goal, anche per la bella prova della squadra quartese, alla fine ha sottolineato ai suoi ragazzi di aver visto cose buone ed altre meno buone, com’è normale che sia nel primo test sulla distanza dei 90′, con pesanti carichi di lavoro sulle gambe.

Nel secondo tempo, la squadra è tornata in campo cambiata quasi interamente con Dellacasa capitano e ben 7 fuoriquota. Dopo solo 1′ è arrivato il goal di Quarta. In evidenza Suku Kassama Sariang, biancoblù nella stagione della promozione in serie D e della conquista della Coppa Italia, con 10 goal e reduce da una stagione non altrettanto brillante con l’Arzachena in serie D, in prova in vista di un probabile ritorno con la maglia del Carbonia. La partita è rimasta piacevole, con il Sant’Elena determinato nella ricerca del goal del pareggio, ma il risultato non è più cambiato.

Le formazioni del Carbonia nei due tempi.

Primo tempo: Bigotti 2002, Adamo 2004, Bellu 2003, Berman 2001, Russu, Doratiotto, Serra, Dore 2001, Murgia, Agostinelli 2001, Gjuci.

Secondo tempo:, Atzeni 2002, Bellu 2003, Mura 2003, Dellacasa, Cinus 2001, Porcheddu, Scanu 2002, Sanna, Murtas 2004, Quarta 2001, Kassama (dal 70′ Fidanza 2005).

Rete: Francesco Quarta al 1’ del secondo tempo.

Il Carbonia giocherà in amichevole mercoledì a Villacidro con la squadra locale ripescata in Eccellenza; sabato a Villamassargia, contro la squadra di Titti Podda che milita nel girone A del campionato di Promozione, nella quale giocano diversi ex del Carbonia, tra i quali Samuele Curreli e Daniele Contu.

 

 

 

Questo pomeriggio, primo test precampionato per il Carbonia di David Suazo, alle 18.00, a Siliqua, con il Sant’Elena, squadra che sarà al via del prossimo campionato di Eccellenza regionale. L’impegno odierno per il Carbonia arriva al termine della seconda settimana di preparazione. David Suazo si attende le primissime indicazioni dal nuovo organico, quasi interamente rinnovato rispetto a quello che ha concluso brillantemente la sua prima stagione in serie D, dopo un’assenza di 30 anni dal calcio nazionale.

 

Sono 313 i nuovi casi positivi al Covid-19 accertati nelle ultime 24 ore in Sardegna, su 6.834 test eseguiti (3.234 molecolari e 3.600 antigenici), il 4,58%.

I pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva sono 20 (+1 rispetto a ieri).

I pazienti ricoverati in area medica sono 190 (+11 rispetto a ieri).

Sono 7.498 i casi di isolamento domiciliare (+73 rispetto a ieri).

Si registrano due decessi: una donna di 79 e un uomo di 82 anni, entrambi residente della Città Metropolitana di Cagliari.

Lunedì 23 agosto, alle ore 11.00, presso la Sala riunioni del Centro Direzionale del comune di Iglesias, in via Isonzo 7, si terrà un incontro tra l’Amministrazione comunale e la Sanità territoriale per fare il punto sulla campagna vaccinale in corso ed illustrare le prossime iniziative.
All’incontro parteciperanno il sindaco Mauro Usai per il comune di Iglesias, ed il dottor Giuseppe Ottaviani, responsabile della campagna vaccinale nel territorio.
Verranno presentati ed analizzati i dati relativi alle vaccinazioni in corso, e verranno illustrate le prossime iniziative di carattere eccezionale, come gli “Open days”, nel corso dei quali sarà possibile ricevere il vaccino senza dover ricorrere alle prenotazioni, al fine di ampliare ulteriormente il numero delle persone vaccinate.
L’“Open day”, ad Iglesias, si terrà domenica 29 agosto, presso l’Hub vaccinale nella palestra di via Toti.