La tragedia della Shoah rivive, quasi inaspettatamente, in “Nota Stonata” (Fausse Note) dell’attore e drammaturgo francese Didier Caron, un moderno Kammerspiel nell’interpretazione di Giuseppe Pambieri e Carlo Greco per la regia di Moni Ovadia in cartellone venerdì 26 novembre, alle 21.00, alTeatro del Carmine di Tempio Pausania, sabato 27 novembre, alle 21.00, al Padiglione Tamuli delle ex Caserme Mura di Macomer e infine domenica 28 novembre, alle 20.45, al Teatro Centrale di Carbonia sotto le insegne della Stagione di Prosa 2021-2022 organizzata dal CeDAC/Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna per una riflessione sul senso della storia. Un celebre direttore d’orchestra, artista estremamente esigente, conosciuto e temuto per il suo temperamento sulfureo oltre che per la passione e il talento, incontra nel camerino, al termine di un concerto, un sedicente ammiratore: il consueto rito dei complimenti e degli autografi si trasforma gradualmente, attraverso un dialogo enigmatico e ricco di sottintesi, in una situazione molto più inquietante, quasi un appuntamento con il destino.
“Nota Stonata” nella mise en scène intimistica e insieme potentemente evocativa firmata da Moni Ovadia, incentrata sull’intensità e il pathos di una vicenda inventata ma del tutto verosimile, frutto di una serie di coincidenze apparentemente “(non) significative”, come accade nella vita, mette a confronto carnefici e vittime in una impossibile resa dei conti: l’orrore dei lager riaffiora nella sua mostruosa crudeltà, attraverso i ricordi, in una sorta di spietato duello tra due volontà, in un affascinante gioco di specchi, che assume sempre più la forma di un interrogatorio, volto a estorcere una tremenda confessione, a rompere il muro del silenzio, con la lucida coscienza del confine tra il bene e il male. La verità nascosta riappare faticosamente, a brandelli, sepolta tra le macerie di un passato ormai volutamente dimenticato, tra i volti dei fantasmi di una guerra perduta, in un esperimento rischioso in cui ciascuno dei contendenti mette in campo se stesso, i propri valori, il bilancio della propria esistenza, tra le ombre del passato e le aspettative per l’avvenire.
Sul filo di una suspense crescente “Nota Stonata” – produzione Golden Show e Teatro della Città di Catania, con il contributo della Regione Lazio, con le scenografie di Eleonora Scarponi e i costumi di Elisa Savi ispirati alle atmosfere mitteleuropee degli Anni Novanta – affronta una delle pagine nere del Novecento attraverso lo sguardo di due giovani, testimoni all’epoca ma anche partecipi in prima persona di una insensata strage, compiuta in violazione di ogni legge terrena o divina, per preservare la “purezza” della razza in nome di una presunta e del tutto infondata “supremazia ariana”. La perdita dell’innocenza per entrambi è legata a un episodio lontano nel tempo ma vivido e incancellabile nella memoria, che ha segnato irrimediabilmente, sia pure in maniera diversa, le rispettive esistenze: tra gli echi di una esecuzione musicale, risuonano nella mente i fatali colpi di pistola o di mitragliatrice che scandivano le giornate nei campi di concentramento, tra lo strazio dei corpi e le vite spezzate.
Una pièce folgorante, un’opera di teatro da camera sul tema della responsabilità individuale e anche sulla questione sottile dell’ambiguità della bellezza: si può (e si deve) davvero, e fino a che punto, scindere la figura dell’artista dalla sua arte? Se il giudizio sul valore artistico dell’opera si fonda giustamente su criteri squisitamente estetici, e considerazioni morali o moralistiche attengono semmai al gusto e alla sensibilità di ognuno, senza inficiare il pregio e neppure scalfire l’importanza di un capolavoro, come ci si pone di fronte alle azioni inique o abominevoli compiute dall’autore? Un dilemma etico che riguarda tutta la collettività e in particolare le nazioni e gli stati dopo la caduta di una dittatura o di un qualunque regime illiberale e violento, e impone la necessità di fare i conti sistematicamente con il proprio passato, tra luci e ombre, evitando tentativi di rimozione, in una catartica, e imprescindibile ancorché dolorosa ricerca della verità.
«“Nota Stonata” è, a mio parere, un testo teatrale deflagrante – afferma Moni Ovadia -. Dopo poche folgoranti quanto semplici battute di dialogo mi sono sentito agguantare per l’anima e il basso ventre e quella sensazione non mi ha mollato più fino alla parola fine. L’ho letto d’un fiato, à bout de souffle.»
Nel suo lavoro di regia, l’artista ha scelto di «porsi al servizio dello scavo attoriale per guidare, sostenere, provocare ed “estorcere agli attori” una totale immersione in una temperie prima ancora che in una messa in scena teatrale», con l’obiettivo di «costruire una complessa partitura in forma musicale, le cui note, i fraseggi, le pause e le dinamiche siano i movimenti intrapsichici dell’interpretazione, le reazioni, le titubanze, le messe in iscacco, le entrate in una suspense e le uscite, per entrare in una nuova tensione che coinvolgano e travolgano lo spettatore per renderlo testimone di ciò che è terrificante nell’umano e proporgli una possibilità di redenzione alla quale può accedere solo chi sia disposto ad avere coscienza di quale inferno l’essere umano può essere capace di inventare contro il proprio simile».
Un viaggio nei labirinti della mente e del cuore, per confrontarsi con una immane sciagura scaturita dalle decisioni e dalle “strategie” politiche e militari, un feroce genocidio compiuto con piena consapevolezza, o lucida follia, con la “complicità” di un popolo ingannato e soggiogato dalla paura e nel quasi generale “silenzio” dell’Europa: la Shoah appartiene alla sfera dell’indicibile, le parole non possono rifletterne che in parte l’oscenità e l’inumanità, ma è fondamentale non dimenticare quel che è accaduto, affinché non accada mai più.