Sanità ospedaliera e territoriale: una rivoluzione di concretezza – di Mario Marroccu
I Sindaci chiedono ogni giorno, per la nostra Sanità, servizi concreti come:
– I “Pronto soccorso” funzionanti
– L’azzeramento delle “liste d’attesa”
– Ospedali attivi e con posti letto sufficienti
– Medici di base presenti “qui e subito”.
Fino ad ora le risposte dei Governanti sono apparse irrealizzabili, con un linguaggio burocratico poco accessibile, basate su schemi di progetti-tipo, come:
– Reti ospedaliere.
– Reti territoriali.
– Allegati vari.
Siamo nella nebbia.
Finalmente, in questa nebbia fitta, si vede una tenue indicazione che ha dell’incredibile: nell’ultima legge di riforma, che si chiama “DM 77”, nell’introduzione dell’allegato “1” viene riportato in auge il principio su cui si basò la Grande Riforma sanitaria 833/78 di Tina Anselmi.
Per intenderci, è quella Riforma che assicurava l’assistenza sanitaria gratuita a tutti “dalla culla alla tomba”. Quella Riforma fu un successo perché funzionò. E qui sta il mistero: perché funzionò?
Funzionò perché si pensò di affidare la concretizzazione del Piano sanitario nazionale ai sindaci dei vari territori. I Sindaci divennero Presidenti delle ASL e dei Comitati di gestione; i consiglieri comunali divennero componenti delle Assemblee generali delle ASL. Cosa fecero per rendere concreto il disegno della nuova Sanità? Utilizzarono i soldi del Fondo sanitario nazionale, suddivisi equamente fra tutte le ASL, per raggiungere gli obiettivi della legge di riforma. Vennero costruiti nuovi ospedali e nuovi reparti specialistici usando il buon senso: puntarono tutto sui professionisti strategici che avrebbero trainato il sistema sanitario nel futuro. Così ogni ASL cercò di accaparrarsi i primari migliori e gli specialisti più motivati e più capaci; vennero assunti contabili eccellenti e furono istituite scuole per la formazione di infermieri.
La strategia contenuta nella legge prevedeva che il Direttore sanitario potesse essere eletto fra i primari dei reparti; ad eleggerlo erano i rappresentanti dei medici, degli infermieri e dei tecnici. Ne conseguiva che il Direttore sanitario era un vero leader. La sua autorevolezza era indiscussa; l’obbedienza era certa; il controllo che esercitava era potente e ben accetto. Tutti sostenevano lo scopo del Direttore sanitario che era quello di far funzionare bene l’Ospedale. Il Direttore sanitario aveva lo scopo di soddisfare i desiderata del Presidente e del Comitato di gestione che provenivano dalle istanze democratiche della popolazione.
Questa fu la strategia.
Poi la legge 833/78 venne affondata dal ministro Francesco De Lorenzo nel 1992 e dal ministro Rosy Bindi nel 1995-1999. Questi due ministri trasformarono la ASL da aziende di Diritto pubblico in Aziende di Diritto privato. Le Aziende sanitarie privatizzate cambiarono la”mission” della legge 833 . Quella legge era basata sulla “solidarietà” che si esprimeva nell’idea di “dare il servizio sanitario secondo tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza, equità”. Con le nuove Aziende pubbliche di Diritto privato la nuova mission fu: la “contabilità”.
La sostituzione della solidarietà con la contabilità finanziaria comportò un’altra sostituzione: i sindaci ed i primari vennero espulsi dalla funzione di controllo e di direzione del Sistema sanitario nazionale e al loro posto vennero nominati i “manager”, apolitici.
Lo scopo era quello di passare da una “costosa” amministrazione pubblica ad una (supposta) “meno costosa” amministrazione privata. Si voleva estendere all’Italia intera la riforma sanitaria della regione Lombardia che negli anni ’90 aveva affidato la cura della popolazione al sistema delle Case di cura.
Però, c’è un “però”. Mentre il padrone della Casa di cura privata produce Sanità a pagamento per trarne un utile, e per avere questo utile deve trasformare i cittadini-pazienti in suoi “clienti” attraendoli con servizi efficienti, i manager pubblici, che non hanno gli interessi di un padrone di clinica, hanno un solo fine: ottenere l’equilibrio di bilancio, anche a costo di ricorrere alla riduzione della spesa. La richiesta di spendere poco in Sanità divenne esplicita col governo Berlusconi del 2003 che con legge vietò nuove assunzioni negli ospedali, impose il blocco dei turn-over di chi andava in pensione e la riduzione dello 0,4% annuo della spesa sanitaria. Il risparmio della spesa sanitaria venne attenuto riducendo: il personale, l’acquisto di farmaci e l’aggiornamento tecnologico e strutturale.
In quegli anni la Sanità privata migliorava se stessa assumendo i migliori specialisti ed acquisendo le migliori tecnologie. Con ciò diventava l’oggetto del desiderio dei pazienti, mentre la Sanità pubblica diventava sempre più grigia, professionalmente e strutturalmente.
Maturò nella mentalità collettiva un effetto respingente della Sanità pubblica. Così, mentre la Sanità privata faceva un balzo in avanti, quella pubblica faceva molti passi indietro. Nel 2012 vi fu un potente salto all’indietro con ministro della Salute Renato Balduzzi, essendo presidente del Consiglio Mario Monti. In quell’anno, quel ministro emanò un decreto con cui imponeva la drastica riduzione dei posti letto ospedalieri a 2,7 posti letto per 1.000 abitanti. Tutti i manager si precipitarono al taglio dei posti letto, alla chiusura di reparti specialistici e di Ospedali.
Nell’anno 2015 venne emanato il DM 70 che è una legge di Riforma della rete ospedaliera voluta dalla ministra Beatrice Lorenzin ed approvata dal Governo di Matteo Renzi. Quella legge pose condizioni capestro ai piccoli Ospedali che non avessero raggiunto un certo numero di procedure chirurgiche e di alte indagini specialistiche, senza curarsi di verificare se i risultati fossero stati indotti dal declassamento delle strutture ospedaliere, impoverite dalle leggi di risparmio emanate dai Governi precedenti. Dato che i piccoli ospedali sono nelle province ed i grandi ospedali, con i loro grandi numeri, sono nelle città capoluogo, ne consegue che gli Ospedali territoriali (provinciali) vennero ulteriormente ridotti e messi nelle condizioni di chiudere, mentre i grandi ospedali dei capoluoghi crebbero ulteriormente in dimensioni e ricchezza.
In queste condizioni di depauperamento la nostra rete ospedaliera nazionale e la Sanità territoriale sono giunte ad affrontare lo tsunami dell’epidemia di Covid-19 del 2020. Il risultato è stato disastroso ma molto istruttivo. Si è visto come la Sanità privata sia inefficiente nell’affrontare i grandi problemi di salute pubblica. Infatti, soprattutto la Lombardia ed il Veneto, che sono state le regioni iniziatrici della privatizzazione della Sanità pubblica, sono state all’inizio del tutto incapaci ad affrontare l’epidemia. Il disastro fu tale che vennero in soccorso medici dalla Cina, dalla Russia, da Cuba, dalla Romania e gli Ospedali tedeschi e francesi misero a disposizione i loro posti letto per accogliere i nostri malati per aiutare il nostro sistema al collasso.
L’insufficienza sanitaria italiana fu talmente grave e penosa che la Unione europea concesse all’Italia un super-fondo, in parte regalato, in parte in prestito, per ricostruire la Sanità e il sistema produttivo.
Il Governo Draghi ha pubblicato il progetto per la spendita di 230 miliardi – Recovery Fund – per la ripresa e resilienza. Il Piano è distinto in sei “mission”. La “mission n° 6” è destinata alla Sanità. Saranno spesi per la Sanità 16 miliardi di euro. Quei fondi verranno spesi in preponderanza per la medicina territoriale e di prossimità.
Per spiegare come spendere quei soldi il Governo ha emanato il DM 71 e il DM 77 /2022. Mentre il DM 70 del 2015 dava disposizioni per la Riforma degli Ospedali, i DM 71 e 77 rappresentano la Riforma della medicina territoriale.
Il 22 giugno 2022, cioè pochi giorni fa la Gazzetta ufficiale fa pubblicato il DM 77 (decreto 23 maggio 2022).
Cosa contiene? Contiene il Piano di riforma sanitaria del territorio, quindi la medicina di prossimità.
Dal 26 giugno 2022 il Decreto è legge e quindi già da oggi dovremmo vedere realizzato il Piano. Esso contiene il progetto di:
– il Distretto sanitario
– le Case della Comunità
– gli Ospedali di Comunità
– la COT (Centrale Operativa Territoriale)
– gli IfoC (infermieri di famiglia o comunità)
– i LEPS (livelli essenziali delle prestazioni sociali)
– il Nea (numero europeo armonizzato 116117)
– il PAI (progetto di assistenza individuale integrato)
– il PNC (piano nazionale cronicità)
– il PNP (piano nazionale prevenzione)
– il PRI (piano riabilitativo individuale)
– il PUA (punto unico di accesso)
– il PDTA (percorso diagnostico terapeutico individuale) e tante altre cose.
In quel Piano c’è tutto il desiderabile. E’ un grande progetto. A leggerlo si rimane ammirati, tuttavia c’è una assenza importante: manca la strategia.
E’ come ricevere dall’architetto il progetto per costruirsi la casa. Si ha in mano un bel disegno ma ci manca l’ingegnere che realizzi la costruzione dell’edificio. Mancano i muratori, gli elettricisti, gli idraulici, il materiale da costruzione con porte e pavimento compresi.
Ecco. Manca la strategia di realizzazione della Riforma. Per questo, dalla riforma Balduzzi del 2012, e dalla riforma Lorenzin del 2015 in Sardegna abbiamo assistito alla demolizione di Aziende ospedaliere ma nessuna ricostruzione. Stesso destino, probabilmente, spetta alla Riforma dell’assistenza territoriale.
A questa immensità di progetti, ben disegnati ma talmente belli da sembrare irrealizzabili, fa da contraltare la realtà quotidiana del pensionato sulcitano o iglesiente che manda in piazza i propri sindaci e sindacalisti per chiedere almeno un medico di base che fornisca le ricette periodiche dei farmaci.
La situazione della Sanità reale è questa:
1 – Pochissimi posti letto negli Ospedali pubblici per effetto delle leggi dal 2003 ad oggi. Quelle leggi per la riduzione della spesa sanitaria vennero applicate, paradossalmente, solo negli Ospedali pubblici ma non negli Ospedali privati. Nell’ultimo anno in Italia sono stati inaugurati 12 Ospedali di cui solo uno è pubblico.
2 – Gravissime carenze nei Pronto Soccorso che, ricordiamolo, si trovano solo negli Ospedali pubblici.
3 – L’attribuzione ai medici del territorio di funzioni complesse che hanno l’effetto di complicare le procedure di assistenza al paziente.
4 – La persistenza della dualità fra medicina degli Ospedali e del territorio. Ne deriva l’assenza di un raccordo razionale, immediato ed efficiente, fra reparti ospedalieri, Pronto soccorso e medici del territorio.
Oggi il DM 77 merita attenzione e curiosità per un motivo singolare: perché dopo che i vari Governi che si sono succeduti hanno distrutto la Legge di Riforma sanitaria 833/78, il Governo attuale in premessa al decreto scrive: «Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), uno dei primi al mondo per qualità e sicurezza, istituito con la Legge n. 833 del 1978, si basa su tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza, ed equità».
Per chi legge queste righe sulla Gazzetta Ufficiale, la frase equivale ad un atto di dolore per aver affondato la Legge 833/78. A questo punto, se questa premessa fosse una sincera dichiarazione di pentimento per aver prodotto, negli ultimi 30 anni, leggi sanitarie affette da “aborto abituale”, potremmo sperare nella comprensione di quanto sarebbe utile riportare in vita la strategia di applicazione che venne adottata per rendere reale la Riforma 833/78.
In particolare la Regione Sardegna dovrebbe prendere atto che l’istituzione di un Ente di diritto privato che gestisce la Sanità pubblica corrisponde alla rinuncia dell’autorità politica alla gestione diretta della Sanità regionale.
Di necessità la corretta impostazione della riforma, per funzionare, dovrebbe comportare:
1 – Il conferimento del potere di Presidenza, dell’Azienda regionale sanitaria, all’assessore regionale competente. La gestione al Direttore generale.
2 – la delega delle attribuzioni e dei poteri di Presidenza delle ASL ai Sindaci del territorio e, l’attribuzione dei poteri di gestione, ai Direttori generali.
3 – La suddivisione equa del fondo sanitario regionale fra le ASL.
4 – l’indicazione inequivocabile degli Ospedali di base e quelli di I livello.
5 – l’interpretazione autentica delle funzioni attribuite alle tre tipologie di ospedali. Identificazione del personale e dei reparti coinvolti nel DEA.
6 – La centralità ed il potenziamento dei Pronto Soccorso sia come sede di valutazione dell’urgenza, sia come raccordo immediato fra i servizi chirurgici e medici d’urgenza, e i medici del territorio.
7 – l’ampliamento degli organici dei Pronto soccorso.
8 – l’ampliamento dei posti letto per le degenze ordinarie e le terapie intensive.
9 – Sanità territoriale ed ospedaliera fusi e interconnessi in un unico sistema di servizio continuo e complementare. Il Pronto Soccorso inteso come estensione dell’Ospedale nel territorio con l’intento di superare la dualità esistente.
10 – Attribuzione di un nuovo ruolo strategico ai Primari delle Unità Operative specialistiche intesi some figure strategiche della ASL.
11 – Direzione Sanitaria costituita dal Direttore Sanitario eletto, fra i Primari, dalla Commissione dei Sanitari, e coadiuvato da un ufficio di Direzione costituito da medici legali, specialisti in igiene ospedaliera, avvocati, amministrativi e ingegneri sanitari. Queste strutture burocratiche sono già esistenti.
Per procedere in questa direzione le leggi attuali (legge regionale n. 24/2020) devono essere adeguatamente implementate. L’unica modifica sostanziale consiste nell’introduzione dell’assessore regionale alla Presidenza dell’ARES e dei sindaci del territorio alle Presidenze delle ASL, con funzioni di controllo e deliberanti, coadiuvati dai Direttori generali per la gestione.
Riferimenti:
Legge 833/78
Riforma Balduzzi 2012
Riforma Lorenzin 2015
DM 71;
DM 77
FOSSC (Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani).
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