Nel loro gergo i broker chiamano “anatra zoppa” i titoli quotati in Borsa non appetibili per gli investitori ed i giornalisti americani indicano con questa immagine figurata il Presidente degli Stati Uniti costretto a “volare basso” quando perde la maggioranza in Parlamento alle elezioni di Midterm. Gli appassionati di “bird watching” sanno che quando un’anatra perde l’uso di una zampa non riesce a spiccare il volo dalle acque dello stagno. Come descrivono gli osservatori l’uccello, nel momento in cui si appresta a decollare, inizia a correre sull’acqua con i suoi piedi palmati e, una volta aumentata la portanza delle ali, con la spinta di quella corsa convulsa, riesce a staccarsi dall’acqua e librarsi in volo.
Se l’anatra fosse zoppa non potrebbe decollare, con il solo battito delle ali, riuscirebbe solo a bagnarsi di più, col risultato di appesantirsi ed affondare. L’anatra zoppa non può sopravvivere.
La ASL di Carbonia, con i suoi ospedali di Iglesias e Carbonia è un’anatra zoppa da almeno 20 anni.
E’ un’immagine triste.
E’ la stessa tristezza che prende il viaggiatore che, di notte, tornando in auto da Cagliari verso Iglesias e Carbonia vede la strada impoverirsi, progressivamente, di luci e di indicazioni man mano che si allontana dal capoluogo. Appena usciti dal circondario di Cagliari, che ha una esagerata rete stradale illuminata come un Luna Park da una straordinaria ricchezza di fari, da cartelli indicatori, da guard rail con catarifrangenti, e si entra nel nostro territorio, si assiste alla trasformazione progressiva delle strade: si rarefanno sia i cartelli indicatori che le luci stradali poi, anche quel poco che rimane di indicazione dei bordi stradali, una volta arrivati all’altezza di Villamassargia, scompare e si entra nel buio totale. Dopo Villamassargia la strada è talmente buia d’avere la sensazione di cadere in un abisso. Si riesce appena a riconoscere la carreggiata seguendo da vicino le macchine che procedono in fila indiana, nella speranza che la prima della colonna abbia individuato, facendo da scout, il sentiero giusto. Quella strada, privata dei sistemi di sicurezza luminosi, è la metafora dei rapporti di ricchezza tra il capoluogo e la provincia.
Dopo esserne uscito, tiri un sospiro di sollievo e puoi immaginare l’apprensione dell’anatra zoppa che non riesce a staccarsi dall’acqua, libera di volare in un cielo più sicuro.
Si ha la stessa sensazione di incertezza leggendo il Piano sanitario Regionale del 2017, e quello già approvato dalla Giunta per il triennio 2022-2024. Nella premessa c’è scritto che la popolazione della città di Cagliari è quasi 5 volte la popolazione della provincia del Sulcis Iglesiente. Alla nostra Asl, con i suoi circa 120mila abitanti e 3 Ospedali, il Piano destina 313 posti letto, pari a 2,4 posti letto per 1.000 abitanti. In altri tempi, quando i nostri Ospedali erano tutti operativi, avevamo 700 posti letto. Oggi il Piano destina agli Ospedali cagliaritani un numero di circa 2.600 posti letto, che equivalgono a 4,5 posti letto per 1.000 abitanti. La logica matematica, che è l’unico parametro capace di definire il principio di Universalità, di Uguaglianza e di Equità, declamati dalle leggi, non è propriamente rispettata.
Anche ammesso che Cagliari abbia bisogno di un numero di posti letto maggiore per l’Università, e per i Servizi sanitari di rango regionale, come la Cardiochirurgia, la Neurochirurgia, la Chirurgia Vascolare e Toracica, la chirurgia plastica, il centro grandi ustionati, il centro trapianti (che in tutto necessitano di circa 150 posti letto), non si capisce come si giustifichino i 1.000 posti letto in più che le sono stati assegnati rispetto ai numeri attesi. Certamente c’è da capire la esigenza delle case di Cura Private, e questo non si discute, ma c’è anche da capire l’esigenza di servizi sanitari che dovrebbero essere proporzionali alla popolazione del nostro territorio.
La ridondanza di ricchezza Ospedaliera del Cagliaritano, confrontata alla nostra povertà sanitaria, assomiglia molto all’esiguità della nostra scarna rete stradale. Non si tratta solo di povertà di posti letto; si tratta anche della proporzionale diminuzione di posti di lavoro in campo sanitario, ricollocati in altre sedi, con una perdita mensile di molti milioni di euro a danno della nostra rete commerciale.
Bisogna prenderne atto: la Sanità del Sulcis Iglesiente è già debole da molto tempo e corre il rischio di non sostenere lo sforzo per decollare. Le scelte da fare oggi sono vitali; esse devono riparare le falle strutturali rimaste aperte e ci servono più che mai il buon senso e l’unità.
Attualmente i nostri Distretti sanitari sono impegnati ad approvare il Nuovo Piano del Sistema Sanitario del Sulcis Iglesiente in cui il pezzo forte è rappresentato dagli Ospedali esistenti. La riorganizzazione della sanità territoriale è per ora un progetto, invece sugli Ospedali si devono prendere, oggi stesso, decisioni concrete. Non si può sbagliare. La pena di un eventuale errore sarà, come è stato scritto dai giornali, il fallimento. Il piatto da dividere è povero e vi è il pericolo che si scateni una competizione fra poveri.
Sono già nate incomprensioni e si leggono, sui quotidiani, surreali vicendevoli accuse di campanilismo.
E’ un’accusa infondata e fa perdere di vista le vere cause.
Tale atteggiamento è da archiviare subito.
Invece, dobbiamo riconoscere che la sanità non appartiene a nessuno dei distretti ma ai 125mila abitanti del Sulcis Iglesiente. Esattamente appartiene a 23 Comuni della provincia. 23 comuni sono una forza contrattuale importante, per peso elettorale, meritevole di molto rispetto. Si dovrebbe sommessamente riconoscere che anche questi 23 Comuni sono parimenti responsabili per mancato controllo di quanto avveniva sui tavoli dove si suddividevano i fondi del Piano sanitario Regionale, sia durante le precedenti Amministrazioni sia durante l’attuale.
Ciò premesso, la solidarietà impone che si approvino senza alcun dubbio tutte le richieste avanzate sia dal Distretto di Iglesias che dai Distretti di Carbonia e delle Isole. Richieste che appaiono fra loro compatibili e complementari.
Ora c’è da chiedersi: i nostri Ospedali riusciranno a far funzionare bene tutte le Unità Operative richieste? La risposta dipende dall’entità dei finanziamenti, dal numero dei posti letto messi a disposizione, dal personale che potrà essere assunto e anche dalle reali richieste avanzate dall’utenza. Se vi sarà un eccesso di richiesta sanitaria da parte della popolazione rispetto alla possibilità di offerta, si andrà incontro al fallimento, e i cittadini continueranno ad andare a Cagliari per ottenere le cure. In caso contrario, se vi sarà poca richiesta di certi servizi, le Unità Operative che resteranno sottoutilizzate e non garantiranno la produttività prevista dalla legge, verranno cassate dal piano di Ferruccio Fazio del 2010 e dalla legge del 2012 del Ministro Renato Balduzzi. Se non bastassero quelle leggi, le Unità operative inefficienti verranno chiuse in esecuzione del DM 70/ 2015 di Beatrice Lorenzin. Ne consegue che non ci conviene assolutamente fare programmi impossibili da rispettare. Se andassimo fuori dalle previsioni di produttività imposte dalle leggi rischieremmo di predisporci a diventare anatre zoppe per errore di valutazione. In previsione di questa evenienza il Piano Regionale già dispone che i posti letto delle Unità Operative soppresse debbano essere trasferiti nella ASL più vicina, che ne diverrà la titolare definitiva. Ci troveremmo nella condizione del vecchio adagio per cui “fra due litiganti il terzo gode”.
Esistono anche altri aspetti a cui prestare attenzione. Prendiamo il caso del Sirai che deve assolutamente essere adeguato all’aumento di richiesta dalla parte dell’utenza. Questo Ospedale è destinato alle Urgenze ed Emergenze per tutt’e tre i Distretti: quello del Sulcis, quello delle Isole, e quello dell’Iglesiente. Tutte le Unità operative dovranno obbligatoriamente essere sufficienti per soddisfare le richieste di trattamenti in urgenza tutti i giorni, 24 ore su 24, senza interruzioni durante l’anno né per le feste, né per le ferie, né per le epidemie.
L’organizzazione che stiamo dando a questo Ospedale è adeguata alle richieste di tutto il territorio?
I reparti d’urgenza hanno il numero di posti letto sufficiente ad accogliere tutti i richiedenti?
Sono stati predisposti i Servizi Specialistici che devono fisicamente affiancarsi alle Unità Operative?
Il Personale Medico ed Infermieristico è sufficiente per coprire i turni, in presenza, sia del mattino, che della sera, che della notte, compresi i festivi? è necessario che tutti i cittadini entrino in sintonia con questi problemi perché se non li risolviamo adesso avremo tutti da soffrirne, prima o poi.
Per entrare nell’emozione del dramma che accompagna tutte le emergenze, fatta di ansia, di solitudine e di speranze destinate spesso ad essere disattese, senza distinzione di censo, di genere, o d’età, racconto un episodio. Un paziente di rango politico rilevante ebbe un ittero ostruttivo gravissimo; di quel tipo che porta a morte in poco tempo. L’ittero, come è noto, è quel colore giallo della pelle che compare a causa della ostruzione della via biliare, il canalicolo che porta la bile dal fegato all’intestino. Se il canalicolo non viene disostruito il paziente muore. Per fortuna può essere disostruito con una procedura endoscopica inserendovi un tubino che si chiama stent. Il paziente si rivolse a Carbonia ma non trovò quel servizio in funzione, poi andò ad Iglesias ma non venne accolto. I nostri Servizi erano deficitari ed incapaci di prendersi cura di lui. Allora chiese l’intervento di un suo amico che in quel tempo era a capo di una struttura ospedaliero-universitaria di Cagliari. Attraverso quell’interessamento trovò un posto nell’Ospedale di San Gavino Monreale. Là venne trattato e, in pochi, giorni tornò a casa in buone condizioni. Quel che ho descritto successe ad un uomo conosciuto e importante. Se fosse capitato ad un cittadino comune del Basso Sulcis, o di Carloforte, o di Buggerru, senza conoscenze in alto loco, coma sarebbe finita? Non lo so. Certamente avrebbe avuto ancora più difficoltà ed una sorte molto diversa.
In passato il problema dell’ittero ostruttivo sarebbe stato risolto subito, e bene, in casa nostra.
Debbo dire che nella Chirurgia Generale di Carbonia esisteva una Endoscopia digestiva di livello avanzato che per 20 anni eseguì tali procedure, ad ogni ora del giorno e della notte, salvando molte vite.
Non si limitava solo a questo. Con grande frequenza quei bravi colleghi trattavano pazienti emorragici che perdevano sangue in quantità inimmaginabili da varici esofagee rotte o da ulcere o da cancri dello stomaco; riuscivano a fermare l’emorragia con le procedure endoscopiche e spesso li salvavano.
Oggi, questo servizio non esiste più. Tuttavia può essere ricostituito immediatamente e reso operativo all’interno della Chirurgia Generale d’Urgenza che si organizzerà al Sirai.
E’ immaginabile l’esistenza di un Ospedale d’Urgenza che non può disostruire una via biliare ostruita o non può fermare un’emorragia irrefrenabile del tubo digerente? Assolutamente no.
Un Ospedale così sarebbe un’anatra zoppa e finirebbe la sua corsa prima di iniziarla.
Perdere la vocazione ospedaliera delle città di Carbonia e Iglesias sarebbe grave: metterebbe ancora di più i nostri malati nelle condizioni umilianti ed impietose di chi soffre e viene rifiutato.
E’ necessario proteggere subito il territorio dal pericolo di perdere altra sanità.
Questi nostri ospedali potrebbero risalire ad alta quota se, senza indugio, si dovessero soddisfare tutte le richieste avanzate dai Sindaci dei 23 Comuni, ad una condizione imprescindibile: che si proceda immediatamente alla definizione di un atto che descriva con precisione numerica la dotazione degli Organici del Personale dei vari Servizi. Senza tale atto, che deliberi l’assunzione immediata di tutto il Personale che serve, la riforma degli Ospedali è solo “chiacchiera”. Ciò che sta succedendo alla Dialisi del Sirai, ne è un monito. Dopo la Dialisi, come birilli, cadrebbero anche tutti gli altri reparti.
E’ un momento cruciale e dobbiamo stare uniti.
E’ necessario che i Politici guardino al Sulcis Iglesiente come ad un’unica entità indivisibile e solidale.
In tal modo, forse, eviteremo che altri reparti ospedalieri vengano chiusi ed i loro posti letto (ed i proporzionali posti di lavoro che assicureremmo per il Personale) trasferiti in altre città, distanti poche decine di chilometri.