Ospedali come rane in pentola – di Mario Marroccu
La “rana” di Noam Chomshy non può salvarsi. Se volessimo salvarla bisognerebbe fermare la mano del “cuoco”. Chi volesse salvare gli Ospedali di Carbonia e Iglesias potrebbe farlo leggendo l’articolo di Antonello Cuccuru nella versione online de “la Provincia del Sulcis Iglesiente” e il documento del “Movimento Sanità nel Sulcis” di Tore Arca che analizzano i fatti e propongono percorsi di recupero.
La metafora della rana che viene cotta lentamente affinché non scappi, è nota a tutti, tranne che alle rane. Per un semplice motivo: perché le rane messe in pentola dal cuoco muoiono tutte e nessuna sopravvive per svelare alle altre rane quanto sia subdolo l’inganno dell’acqua che viene scaldata lentamente. Il cuoco fa credere, a te rana, di volerti immergere a sguazzare in un laghetto tiepido, invece ti mette nell’acqua di una pentola e fa salire lentamente la fiamma fino a cucinarti per bene. Siamo tutti rane, bravi a cantare, ma non a reagire. Il cuoco si trova nell’apparato di potere centralizzato della Regione. Noi siamo le vittime, ma anche i colpevoli, perché abbiamo accettato distrattamente di tornare ad una cultura di sudditanza che ingannò i popoli fino al 1789. Fino ad allora ci avevano fatto credere che i re avessero il potere sovrano per incarico divino, e che quel potere non fosse criticabile. I francesi, accortisi dell’inganno, fecero la Rivoluzione, e da allora sono ancora a Place de la Concorde a ribellarsi. Il primo atto della presa di coscienza popolare fu la promulgazione della “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 26 agosto 1789″. Allo articolo 16 di quel documento che svegliò il mondo venne espresso un concetto illuminante: «Ogni società in cui la garanzia dei Diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una Costituzione». Abbiamo sì il testo scritto della Costituzione Italiana del 1° gennaio 1948, ma il suo articolo 32 che dichiara che la Salute è un diritto del Cittadino e interesse della Nazione, pare sia solo formale. Così pure l’articolo 3 sull’uguaglianza fra i cittadini. Per la verità un tentativo eccellente di applicarlo venne fatto nel 1978 con la legge 833 proposta dalla Commissione presieduta da Tina Anselmi. Con quella legge venne garantito un uguale diritto alla Salute a tutti i cittadini indistintamente attraverso l’istituzione del Fondo Sanitario Nazionale e la redazione del primo Piano Sanitario Nazionale. Inoltre, secondo il principio giuridico fondamentale della separazione dei poteri nello Stato di diritto di una democrazia liberale, si stabilì che, riservato il potere legislativo allo Stato, si attribuiva il potere amministrativo esecutivo alle Aziende sanitarie locali (Asl) in qualità di “articolazioni dei Comuni”. Allora la Sanità nazionale fu concepita come una “federazione” di ASL controllate dai Comuni. Gli Italiani erano riusciti ad applicare alla Sanità pubblica lo spirito dell’articolo 16 della “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” con la separazione dei poteri sul governo della Salute; il metodo fu: Decentralizzazione dei poteri dello Stato e Federazione delle ASL. In quegli anni tutti gli Ospedali delle ASL sarde brillarono per efficienza. Non si era visto mai in tutta la Storia un miglioramento della qualità delle cure al ritmo di allora. Poi noi rane siamo stati messi in pentola dalle leggi di marcia indietro che riformarono la Legge 833 e, infine, i cuochi della politica regionale, dal 2001, sollevarono lentamente la potenza della fiamma finché oggi, dopo 22 anni, siamo all’ebollizione, e le rane sono tutte lesse.
Seguendo l’evoluzione sembrerebbe che gli atti più gravi che hanno portato alla condizione attuale siano stati la legge 229/1999, che trasformava le ASL da articolazioni dei Comuni in articolazioni delle Regioni, e la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 che, messi insieme, ebbero l’effetto di accentrare nelle Regioni tutti i poteri, legislativo, amministrativo ed esecutivo. Venne fatto l’esatto contrario di quel principio della separazione dei poteri proclamato dalla Dichiarazione dei Diritti del Cittadino e poi accettato dalle Costituzioni di tutti gli Stati democratici e liberali. Il potere legislativo ed esecutivo furono assommati, in un unico Ente, la Regione, esattamente come li assommava in sé il re di Francia prima che nel 1789 il popolo glielo contestasse.
Per smontare la centralizzazione monarchica i francesi si rivolsero ad un medico geniale, il dottor Joseph Ignace Guillotin, che inventò uno strumento chirurgico per risanare i mali generati da quel conflitto di interessi legalizzato.
I documenti di Antonello Cuccuru e di Tore Arca vanno letti. Il primo analizza lo stato di grave disagio popolare in sanità riportato da articoli autorevoli. Il secondo, utilizzando le leggi regionali pubblicate dal BURAS, avanza proposte logiche sui provvedimenti riparatori da adottarsi nell’immediato, non cadendo nelle illusioni prospettate da piani sanitari regionali belli ma fantasiosi.
La fotografia dello stato sanitario pubblico che ne risulta è questa: annullamento quasi completo degli splendidi ospedali iglesienti di 20 anni fa; degrado fino all’impotenza funzionale dell’apparato ospedaliero di Carbonia; mancanza di un efficiente sistema sanitario pubblico nel territorio; impossibilità a realizzare il sogno della medicina di prossimità con case della salute e ospedali di comunità per la mancanza del personale che dovrebbe operarvi.
Chi pratica la professione sanitaria sa che, sia durante l’epidemia Covid che oggi, le uniche strutture ospedaliere che sono in grado di prendere in cura in tempi ragionevoli i malati sono le case di cura convenzionate. Per capire questo fenomeno esiste un motivo ben preciso: le case di cura non sono soggette al dovere di ricevere malati in stato di urgenza ed emergenza. L’urgenza assorbe totalmente le energie dell’ospedale pubblico e gli impone un impegno ad altissima intensità. E’ un impegno faticosissimo, fortemente coinvolgente sul lato emotivo e medico-legale, inoltre non è remunerativo. Le case di cura private invece hanno il vantaggio di potersi dedicare esclusivamente alle malattie d’elezione. Ciò consente una facile programmazione del lavoro con turni di piena attività nelle ore del mattino, mentre la sera, la notte e nei giorni prefestivi e festivi il lavoro si riduce alle guardie interne e al controllo. Per tale differenza di impegno del personale, ne consegue l’esistenza di organici più ridotti nelle case di cura. Inoltre i turni di lavoro così agevolati attirano i medici specialisti esperti, messi in quiescenza dagli ospedali pubblici, facendo loro guadagnare senza sforzo un capitale culturale e di esperienza impareggiabile. Detto questo si capisce il motivo per cui le case di cura private sono state una manna per la Sanità durante il Covid, quando gli ospedali pubblici erano in profonda crisi. Precisato l’aspetto positivo esiste tuttavia un altro aspetto che riguarda la Medicina in generale: il pericolo che si passi dalla attuale assistenza sanitaria pubblica ad una forma di Sanità del tutto privatizzata, all’americana, in cui, al posto dello Stato, si finisca nel dover acquistare a caro prezzo la salute dalle assicurazioni private. Questa sarebbe una svolta preoccupante.
Da queste osservazioni ne discende l’urgenza di risolvere il problema del cuoco instancabile che continua a immergere le rane in pentola. Il cuoco è l’apparato regionale che ha concepito un sistema sanitario duro da digerire in un regime democratico: il sistema di conduzione della sanità pubblica “centralizzato”, senza contrappesi politici a rappresentare gli interessi del territorio. La “centralizzazione”, per definizione, è quel fenomeno politico basato sull’accentramento dei poteri in un unico gruppo di entità governative e amministrative connesse fra di loro nel capoluogo, e ne esclude la provincia. La conseguenza della mancata separazione tra potere legislativo e amministrativo in Sanità si è tradotto in un comportamento da conflitto di interessi, che porta a vantaggi per abuso di potere, per cui assistiamo ad una vera e propria “obesità” sanitaria del capoluogo che è avvenuta per prosciugamento di risorse dal territorio provinciale. All’eccesso di posti letto, di ospedali, di medici e infermieri nel centro regionale, corrisponde un vistoso stato miserevole delle deperite strutture sanitarie della periferia. E’ stata un’operazione lenta durata vent’anni e le popolazioni si sono adattate al peggio non accorgendosi che, intanto, venivano svuotate del diritto d’accesso alla Sanità, alla Giustizia, e anche all’Istruzione, nelle città provinciali. Lo sbilanciamento è estremo.
E’ un fatto gravissimo ed è ancora più grave che i politici regionali siano ciechi davanti al fatto che l’accentramento dei poteri e dei servizi è la causa dello spopolamento del Sulcis Iglesiente, ed è gravissimo che nessuno dei governanti abbia prestato attenzione al fatto che nel nostro territorio stia avvenendo un crollo demografico per cui oggi, abbiamo un indice di invecchiamento del 293%, e mentre in Francia nascono 12 bambini ogni 1.000 abitanti, e in Nord Africa una media di 40 bambini ogni 1.000 abitanti, nel Sulcis Iglesiente sta avvenendo esattamente il contrario. Questo fatto gravissimo sta avvenendo a noi, e solo a noi, in tutta la Sardegna. Nessuno si assume la responsabilità della fuga delle giovani coppie in età fertile dal Sulcis Iglesiente, avvenuta per mancanza di servizi e prospettive per i figli, per cui nel 2021 abbiamo avuto 5,2 nati ogni 1.000 abitanti: la più bassa natalità del mondo. E’ talmente grave che il patron di Tesla e Twitter, il magnate Elon Musk, ha voluto rilasciare su tale anomalia una dichiarazione ai giornali sostenendo che di questo passo in pochi decenni scompariremo. Ci ha ridotto in questo stato demografico un tipo di cattiva politica molto simile a quella che venne applicata nella “fattoria degli animali” di George Orwell. Ricordiamoci a chi finì il potere.
Bellissimo il documento di Tore Arca che fa alcune considerazioni e perviene a conclusioni concrete. Le sue considerazioni mettono in dubbio le promesse di costruzione di un “ospedale unico” e il funzionamento di quelle strutture territoriali di medicina di prossimità proposte nel PNRR, nel piano ospedaliero regionale e nelle bozze rese pubbliche di atto aziendale della ASL 7. Molto concretamente, glissando le illusioni, egli propone:
– che si proceda alla definizione, con delibera, del numero esatto degli organici di medici e infermieri che servono per far funzionare davvero gli ospedali e le strutture distrettuali;
– che la nostra ASL sia libera di assumere senza interferenze regionali;
– che si deliberi l’entità della somma destinata ai lavori di adeguamento dell’ospedale Santa Barbara per tutti i servizi promessi;
– che si proceda ad istituire una scuola provinciale di formazione per infermieri professionali;
– che si metta a punto il piano operativo per la realizzazione delle strutture distrettuali descritte nel PNRR specificando l’entità dei finanziamenti realmente stanziati per le strutture, gli strumenti e il personale da assumere a tempo indeterminato;
– che il personale certamente destinato al Sulcis Iglesiente, non ci venga più sottratto a beneficio del capoluogo regionale già abbondantemente dotato;
– che si chieda l’immediata attivazione della Commissione provinciale sanitaria dei 23 sindaci per rapportare il nostro territorio direttamente con il centro di potere regionale.
L’esame sulla gravità in cui versa Il Sistema Sanitario dei tre distretti del Sulcis Iglesiente e le semplici ma efficaci proposte avanzate necessitano di un grande sostegno politico. Finora nessun politico del posto, delegato dai cittadini alla Regione, è riuscito a fermare il crollo degli ospedali delle due città.
Per le prossime elezioni regionali dovremmo contrattare bene il nostro voto con i candidati che verranno a chiedercelo. Non importa di quale parte politica saranno o quale sarà la città del Sulcis Iglesiente da cui proverranno. Ci servono tutti, Ci interessa che siano consapevoli della colpa che abbiamo tutti insieme indistintamente per non aver fermato la predazione attuata sui nostri reparti ospedalieri e sugli altri servizi pubblici essenziali. Il successo non è assicurato ma, se non ci riusciranno, il Sulcis Iglesiente si svuoterà, non per infertilità, ma per una penuria di sicurezza sanitaria, sistematicamente indotta dal centro che ci governa, che non vuole fermarsi.
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