Tutti sono chiamati a fornire un contributo d’idee per concepire il progetto dell’ospedale del futuro. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) oltre un anno fa avviò un concorso internazionale di idee per produrre le linee guida sul come progettare i futuri ospedali. A tal fine, alcuni mesi fa venne organizzato un convegno di esperti a Baku in Azerbaijan, a cui partecipò l’Italia, con il Politecnico di Milano.
Il relatore fu l’ingegner Stefano Capolongo, che espose un progetto curato dal “Design and Healt Lab” del dipartimento di Ingegneria e Architettura.
A conclusione di quel convegno la OMS decise di raccomandare a tutti i progettisti l’uso delle linee Guida del Politecnico di Milano.
I criteri di quelle linee guida risentono moltissimo dell’esperienza Covid e, in sintesi, raccomandano:
– infrastrutture flessibili
In particolare, il prof, Stefano Capolongo si è soffermato su:
– Scelta dell’area in cui situare il nuovo ospedale (città o periferia).
– Aree più vaste da destinate alle strutture ospedaliere.
– L’ospedale del futuro dovrebbe avere parti flessibili e rimodulabili col variare delle esigenze.
– Ospedali a strutture multiple a monoblocco verticale, distinte per funzione ma inter-comunicati.
– Sinergia con la rete sanitaria territoriale.
– Aumentare le strutture per i servizi di medicina locale.
– Gestione dell’energia e delle risorse.
– facilità di adattamenti e ampliamenti.
– Sicurezza generale (da incendi o eventi sismici e idrogeologici).
– Riduzione rischi di infezione e contagio.
– Comfort (umanizzazione e standard igienici elevati)
Gli esperti di Paesi bassi e Scandinavia hanno proposto ospedali con camere singole allo scopo di ridurre il rischio delle infezioni ospedaliere e dei contagi.
E’ emersa la proposta di distinguere gli ospedali in base ai tempi di intervento sanitario. Per esempio, vengono distinti gli ospedali ambulatoriali destinati a day Surgery, dagli ospedali stanziali destinati a ricoveri prolungati. A questi si assocerebbero gli Hotel per pazienti destinati ad ospitare i dimessi che non voglio rientrare al proprio domicilio e preferiscono risiedere temporaneamente in prossimità dell’ospedale.
Lo svizzero Eugen Schroeder, direttore dell’ospedale universitario di Zurigo, ha proposto il modello di ospedale a padiglioni con camere singole, situati in campagna, circondati dal verde dei parchi.
Tuttavia, i convenuti hanno fatto notare che nelle strutture modulari a padiglioni sorgerebbero criticità dovute alla difficoltà di gestione del personale che dovrebbe essere numerosissimo e impiegare tempi di percorrenza da un padiglione all’altro, troppo lunghi.
Tutti sono stati concordi sulla necessità di adattare gli spazi alle necessità sanitarie; spesso si è fatto il contrario.
Le discussioni di quel convegno hanno rinforzato l’idea che sia urgente e necessario redigere i criteri nazionali e internazionali a cui devono fare riferimento i committenti dei nuovi ospedali e i progettisti.
Ben 20 anni prima della pandemia, nel 2.000 il professor Umberto Veronesi dette l’incarico a Renzo Piano di progettare l’ospedale del futuro, formulandone i criteri. Oggi, in campo europeo e internazionale stanno prevalendo i “criteri” dell’ingegner Stefano Capolongo, del “Centro nazionale di edilizia ospedaliera”. Il prof. Stefano Capolongo ritiene che in fase iniziale sia imprescindibile creare un modello condiviso tra i vari attori interessati che sono: La Politica, l’Opinione pubblica, le Istituzioni sanitarie, le Aziende sanitarie. Per far ciò è necessario mettere sotto osservazione le esperienze più recenti di costruzioni di ospedali.
Tra gli ospedali più recenti in Italia, c’è il “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. Si tratta di un ospedale da 1.024 posti letto, composto da 7 torri di 5 piani ciascuna. Le torri sono collegate fra loro da percorsi.
La superficie complessiva è di 320.000 mq (32 ettari).
La concezione del Papa Giovanni si basa su una versione rivisitata dell’ospedale a padiglioni ottocentesco. A Bergamo i padiglioni sono spariti lasciando lo spazio alle più moderne torri. Nella città più colpita dal Covid, questa struttura ha consentito, durante la fase peggiore dell’epidemia, di
continuare a gestire i pazienti senza tralasciare le altre patologie, in particolare quelle oncologiche.
Questa esperienza, che ha testato le strutture a torri, è piuttosto interessante.
L’ingegner Stefano Capolongo ha fatto notare che purtroppo gli ospedali nella prima ondata si dedicarono per il 90% al Covid, dimenticando tutte le altre patologie. Questa consapevolezza ha accelerato la riflessione e lo studio di nuovi processi tecnologici. L’esempio di Wuhan e degli ospedali tenda in Italia inducono a catalogare fra i criteri la “Flessibilità” e la “Resilienza”.
Flessibilità.
Questo concetto deriva proprio dalle osservazioni delle modifiche apportate attorno agli ospedali con l’edificazione di strutture mobili, ampliabili e trasformabili. Tali strutture di ricezione, degenza e cura, possono essere create con pareti mobili formate da pannelli metallici rivestiti in PVC e calamitati fra di loro. In questo modo le pareti si possono spostare velocemente al bisogno. Con questo metodo a Wuhan venne costruito un ospedale in due settimane.
Impiantistica.
L’avaria degli impianti all’interno degli ospedali, e la loro riparazione, può provocare gravi disagi al personale e ai degenti. Per evitarli occorre creare per tutta l’impiantistica, spazi dedicati in cavedi tecnici orizzontali o verticali, progettati in modo tale da non interferire con le aree destinate alle attività sanitarie. Per esempio si possono costruire edifici affiancati agli ospedali per potervi contenere impianti facilmente accessibili ai tecnici senza entrare nelle aree di degenza. Il progetto dovrebbe prevedere l’esistenza di un secondo edificio parallelo alla struttura principale che si sviluppi in verticale, connesso all’ospedale attraverso i controsoffitti. In questo modo gli impianti sarebbero autonomi rispetto all’ospedale.
La questione energia.
Questo argomento venne affrontato dal Politecnico di Milano per dare un significato concreto all’espressione “ospedale sicuro e sostenibile” contenuta nel PNRR. Si concluse che bisogna partire dall’idea che un ospedale è come una città che lavora e vive h/24 e pertanto è fortemente energivoro. Esiste l’esigenza dell’isolamento termico e il problema del risparmio energetico, per l’illuminazione, per il riscaldamento.
Una buona pratica è quella messa in campo dall’ospedale pediatrico Mayer di Firenze dove il progettista ha pensato di portare il più possibile la luce naturale dentro l’ospedale e prevedere in aggiunta un impianto fotovoltaico. Stefano Capolongo nella sua relazione ha sostenuto che si debba andare in questa direzione. Infine, Stefano Capolongo, convinto che i padiglioni non siano l’opzione migliore, ha affermato che i padiglioni sono utili solo per contenere le malattie infettive epidemiche, motivo per cui si svilupparono soprattutto nel 1800, quando si scoprì l’esistenza dei microbi e i modi di trasmissione dei contagi. La loro necessità è giustificata solo dalla norma del “distanziamento”.
Il Nuovo Policlinico di Milano
Il Policlinico di Milano è conosciuto anche come “Ospedale Maggiore” o “Ca’ Granda”; è specializzato in materno infantile, malattie rare, trapianti, dermatologia, gastroenterologia, epatologia, medicina del Lavoro.
La sua struttura verrà modificata: sarà composta da 7 piani: piano terra, tre piani di blocco centrale, due piani di parcheggio interrato. L’edificio Sud sarà dedicato a donne e bambini, ma la vera particolarità saranno le “Case parto”. Le case parto saranno dei veri e propri mini-appartamenti che daranno la possibilità alle donne di vivere l’esperienza di partorire in casa, rimanendo in ospedale. Esisterà un “giardino terapeutico” sopraelevato sul tetto dell’edificio.
Questa evoluzione della struttura degli ospedali concepita in chiave moderna iniziò nel 1456 con l’Ospedale Maggiore di Milano, progettato e realizzato dal Filarete su commissione di Enrico Rampini.
Nel 1700 si diffusero in Europa gli ospedali a padiglione, composti da più edifici immersi nel verde, distinti secondo la patologia dei pazienti.
In seguito, colla riduzione del problema dei contagi si studiarono nuove soluzioni per risolvere un’altra problematica: il consumo di tempo impiegato dal personale per percorrere le lunghe distanze tra i padiglioni dell’ospedale.
La soluzione si trovò con gli ospedali monoblocco, ovvero edifici più compatti che si sviluppano in verticale e a dipartimenti.
Negli anni dal 1950 in poi si svilupparono gli ospedali a piastra-torre, cioè edifici con una base più ampia in cui si collocavano i servizi ambulatoriali, mentre le degenze si collocavano nella torre.
Sicuramente i futuri progettisti di ospedali dovranno tener conto dei “criteri aggiuntivi” maturati con l’esperienza della pandemia. All’esigenza di nuovi ospedali si somma oggi la carenza di strutture ospedaliere efficienti a causa dei mancati ripristini provocati dalle ridotte disponibilità di finanziamenti per la sanità. Si calcola che dagli 8 miliardi annui destinati alla Sanità ospedaliera nel 2008, sia avvenuta una decrescita annuale del finanziamento, fino ai 5,5 miliardi nel 2017.
Si stima che saranno necessari altri 32 miliardi per intervenire sulle strutture sanitarie dell’intero paese. Quando si passerà alla realizzazione dei nuovi ospedali, oltre ai “criteri generali” che dovranno ispirare i progettisti (umanizzazione, economicità, sicurezza, igiene, rapidità di intervento, etc..), si dovranno considerare i “requisiti” strutturali imposti dalle leggi vigenti.
La legge di riferimento più nota del ventesimo secolo è il DCG del 20 luglio 1939. Esso detta norme su:
– Elementi generali da tener presenti nella costruzione degli ospedali.
– Scelta dell’area secondo parametri d’obbligo (dati meteorologici della località, temperature minime e massime dell’anno ed escursioni giornaliere, umidità, stabilità dei suoli, andamento altimetrico e planimetrico del terreno, direzione e velocità dei venti dominanti, durata dell’insolazione media, presenza di acque superficiali, profondità della falda freatica, libera esposizione a sud-est, possibili inquinanti nell’aria, rumorosità ambientale).
– Ampiezza dell’area: non meno di 75 mq per posto letto.
– Approvvigionamento idrico e smaltimento liquami
– Numero posti letto adeguato alle finalità dell’ospedale.
– Sviluppo verticale a monoblocco o poliblocco
– Requisiti costruttivi (doppio corpo, orientamento sec. l’arco solare, illuminazione, aereazione).
-Elementi funzionali (servizi generali, direzione sanitaria, cucine, lavanderia, centrale termica).
– Servizi di accettazione.
– Locali di degenza.
Alle legge del 1939 si sono aggiunte negli anni nuove disposizioni che rendono ancora più complessa la normativa per la realizzazione di un ospedale:
– Legge 833/78; legge 502/1992; DPR 503/1996; DPR 380/2001 (barriere architettoniche);
– DM 5 luglio 1975 (requisiti igienico-sanitari)
– D.L. 396/1993 (disposizioni in materia edilizia;
– DPR 14 gennaio 1997 (requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi minimi per servizi sanitari).
Inoltre, sarà necessario verificare che il progetto soddisfi tutti i “criteri urbanistici” definiti dal “Piano regolatore” di riferimento, con rispetto di parametri come la “densità edilizia”, le “altezze” degli edifici, la “distanza tra fabbricati” e la “destinazione d’uso”.
L’intento dichiarato, nei programmi politici, di costruire nuovi ospedali è semplice da scrivere su delibere di poche righe, ma è piuttosto difficile da concretizzare in opere compiute.
Tra l’intento e la realizzazione c’è di mezzo il “tempo disponibile”. Questo fattore, stante la richiesta pressante di sanità, è l’incognita dell’equazione che si frappone tra le esigenze sanitarie dell’attuale generazione e l’ospedale del futuro.