22 November, 2024
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Sono punti pesantissimi in chiave salvezza quelli in palio questo pomeriggio sul campo di Mulinu Becciu tra Sant’Elena e Carbonia, divise in classifica da un solo punto (dirige Claudio Salvatore Marongiu di Sassari, assistenti di linea Pietro Fae di Ozieri e Mario Puggioni di Sassari). Le due squadre vi arrivano con stati d’animo differenti: il Sant’Elena sette giorni fa ha vinto un altro scontro salvezza a Bosa, interrompendo una lunga striscia negativa; il Carbonia domenica scorsa ha perso in casa con il Tempio e non vince dal 28 ottobre 2023 (2 a 1 sul Bosa, dopo il 2 a 1 ottenuto, sette giorni prima, proprio contro il Sant’Elena).

E’ un’Iglesias in piena emergenza, per squalifiche e infortuni, quella che alle 15.00 scende in campo al Monteponi contro la capolista Ilvamaddalena (dirige Samuele Giudice di Sassari, assistenti di linea Giovanni Meloni di Carbonia e Francesco Meloni di Cagliari). Giampaolo Murru in 90′, a Ghilarza, ha visto sfumare quasi certamente il sogno playoff che aveva alimentato con ben 11 risultati utili consecutivi e 25 punti, e ora attende una reazione della squadra e di tutto l’ambiente, dopo la bufera arrivata nel finale della partita di Ghilarza e in settimana, prima con le pesanti decisioni del giudice sportivo che ha fermato per tutto il campionato Mattia Pitzalis e per 4 giornate Lorenzo Isaia e Gioele Zedda, poi con la durissima presa di posizione del presidente Giorgio Ciccu nei confronti del comportamento tenuto dai suoi tesserati.

La Villacidrese cerca punti salvezza nel confronto casalingo con il San Teodoro Porto Rotondo (dirige Marco Spiga della sezione di Carbonia, assistenti di linea Nicolò Pili di Cagliari e Roberto Morgante della sezione di Carbonia). La squadra di Graziano Mannu è reduce dal pareggio di Calangianus che non è bastato per evitare il sorpasso in coda alla classifica da parte del Sant’Elena, impostosi a Bosa.

Sugli altri campi, si giocano Bari Sardo-Ferrini, Li Punti-Bosa e Tempio-Villasimius. Riposa il Ghilarza.

Nei due anticipi di ieri, la Tharros ha battuto 3 a 1 il Taloro Gavoi, l’Ossese s’è imposta 1 a 0 sul Calangianus.

 

Rodolfo Valentino fu il massimo attore di film muto degli anni ‘20. Fu tanto amato da suscitare, nei suoi fans, il primo fenomeno di massa mai visto: la “divinizzazione”, essendo ancora in vita. Da quel fatto, ancora oggi deriva l’espressione “divo del cinema”.
La sua fama mondiale era esplosa col film “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”, per effetto di una famosa scena in cui egli ballava il “tango argentino”. Morì a 31 anni nel più importante ospedale di New York, dopo un’operazione per appendicite acuta complicata da peritonite. In tutto il mondo, i suoi ammiratori dettero luogo a scene di disperazione isterica.
Nel 1977 si ricoverò nel reparto Chirurgia dell’ospedale Sirai di Carbonia il suo sparring partner. Anche costui era un pugliese che era emigrato in America da ragazzino. Aveva conosciuto Rodolfo Valentino a San Francisco e con lui aveva fatto squadra nelle gare di tango organizzate dalle balere americane. Erano gare pazzesche che duravano ininterrottamente per più giorni, senza dormire e senza fermarsi mai. Chi sopravviveva alla fatica vinceva cospicue somme di denaro. Quando costui si ricoverò al Sirai, a causa di una gangrena alla gamba destra, raccontò che talvolta in quelle gare vinceva Rodolfo Valentino e talvolta lui stesso. In valigia aveva articoli e fotografie di rotocalchi americani dell’epoca che lo ritraevano col “divino” e le mostrò con fierezza. Era tutto vero: era proprio il compagno di gare di Rodolfo Valentino. Invecchiando si ritrovò in solitudine e decise di tornare in Italia ma, non avendo più parenti in Puglie, decise di venire ad invecchiare a Carloforte.
Trascorreva le giornate fumando come aveva sempre fatto. In valigia, oltre ai rotocalchi americani degli anni ‘20, aveva stecche di sigarette americane. Il primario, professor Lionello Orrù, lo avvisò che per tentare di fermare la gangrena era necessario smettere di fumare lui, magrissimo, sempre sorridente e molto cortese, continuò a fumare nascondendosi in bagno o nei balconi. La suora ogni giorno gli sequestrava le stecche di sigarette ma l’indomani, sotto il materasso, si materializzavano altre stecche di Chesterfield e Pall Mall.
La gangrena peggiorò. I farmaci vasodilatatori erano chiaramente inutili e lui concordò: «Professore, non posso smettere di fumare e non posso più tollerare i dolori alla gamba. Me la tagli». Fu una scena incredibile. Lui, che aveva vissuto in virtù delle doti atletiche delle sue gambe nelle esibizioni di ballo col “divino”, preferiva rinunciare alla gamba destra piuttosto che alle sigarette. Il professore lo accontentò e dette disposizione ai suoi “aiuti” di eseguire l’amputazione a livello della coscia destra. Egli avrebbe seguito l’intervento. L’indomani il ballerino era sereno e sorridente. Continuò a fumare.
Non si capì mai chi gli portasse le sigarette: si trattava di un miracolo derivato dalla sua pensione in dollari americani. Dopo una settimana comparvero i segni della gangrena anche alla gamba sinistra. Il professor Lionello Orrù lo mise in guardia: «Se continua a fumare perderà anche l’altra gamba». Nei giorni successivi i dolori alla gamba sinistra peggiorarono e la gangrena salì dal piede alla caviglia. Nonostante tutto continuò a fumare e nessun discorso del Primario lo fece desistere. Fu lui stesso a risolvere il problema con questa proposta: «Professore mi tagli anche l’altra gamba perché io voglio continuare a fumare ma non tollero più i dolori che mi dà». Il professore lo accontentò e dette disposizione agli “assistenti” di eseguire l’intervento di amputazione, lui avrebbe seguito l’operazione. Il primario desiderava che tutti i chirurghi eseguissero correntemente quel tipo di intervento così come le operazioni per peritonite, per occlusione intestinale e per rottura traumatica di milza. Voleva che chiunque fosse presente in servizio, in sua assenza o in assenza degli “aiuti” più esperti, fosse in grado di eseguire con urgenza quel genere di operazioni salva-vita.
Era l’anno 1977 e l’ordinamento degli ospedali era ancora sotto le leggi Mariotti 132/ ‘68 e 128/ ‘69 ed esisteva nei reparti ospedalieri una struttura gerarchica dei medici ben definita; essa era formata dal primario, dagli “aiuti” e dagli “assistenti”. Tale struttura aveva un duplice fine. Primo creare una scala di responsabilità e di autorevolezza. Secondo: addestrare i medici e formarli alla professione.
La legge 128/’69 definiva esattamente, all’articolo 7, che il Primario aveva tutti i poteri, le responsabilità e tutti i doveri: doveva vigilare sul lavoro di medici ed infermieri e aveva la responsabilità di tutti i malati; era il giudice unico sui criteri diagnostici e terapeutici a cui dovevano attenersi gli “aiuti” e gli “assistenti”; formulava la diagnosi definitiva; doveva inoltre indicare la terapia medica o la tecnica chirurgica da adottarsi nel caso fosse necessaria un’operazione. Doveva eseguire personalmente sui malati gli interventi diagnostici e le operazioni chirurgiche curative che riteneva di non dover affidare ai suoi collaboratori; era l’unico che poteva autorizzare le dimissioni. Ne derivava che sui primari, con la loro responsabilità assoluta su tutto, ricadessero oneri ed onori; per tale ragione, i detrattori li definivano “baroni”. Un articolo successivo della legge 128 disponeva che il primario si impegnasse a mantenere elevato il livello culturale dei medici con una formazione continua sul campo. Egli era il caposcuola e la sua missione di insegnamento conferiva all’ospedale le funzioni di “ospedale di specializzazione”.
Insomma, per i medici il primario era il maestro e il parafulmine da tutti i guai. Gli “aiuti” venivano dopo il primario. Essi erano i medici più titolati, dotati di una certificazione di idoneità rilasciata da una commissione d’esame nazionale con sede a Roma. La legge disponeva che essi sostituissero il primario, in tutte le sue funzioni, ogni qualvolta fosse assente. Era come se la figura del “primario” fosse sempre presente e non se ne sentiva mai la mancanza. Al terzo livello erano classificati gli “assistenti”; si trattava dei medici più giovani, meno esperti, usciti da poco dall’Università, ma ancora da formare come professionisti specialisti.
Ogni Ospedale era una vera e propria scuola di formazione continua nella pratica medica. L’Università aveva fornito la cultura basilare portando gli studenti alla laurea in Medicina, e l’esame di Stato aveva garantito che il neonato medico fosse idoneo ad esercitare la professione come medico generico.
La costruzione professionale dei medici ospedalieri avveniva in ospedale ed era affidata al primario e agli “aiuti”. Mentre il primario era la figura carismatica autorevole che presiedeva la “scuola”, gli “aiuti” erano gli “istruttori” sempre disponibili e pronti a familiarizzare mentre addestravano gli “assistenti” alla professione.
La “scuola ospedaliera” di formazione alla professione di medico specialista (chirurgo, internista, ostetrico , traumatologo, pediatra, etc.) garantiva la costituzione di un perenne capitale culturale e umano all’interno dell’ospedale. Questo rapporto formativo continuo fra primario, “aiuti” e “assistenti” generava un rapporto di fidelizzazione tra medici, ospedali e territorio, e spesso induceva i medici venuti da lontano a trasferirsi nella città sede dell’ospedale, viverci tutta la vita e perfino formarvi le proprie famiglie. Le Amministrazioni ospedaliere favorivano e proteggevano questa funzione docente all’interno dell’ospedale perché così si garantiva la reputazione, la fiducia e il mantenimento di una sicura forza professionale che si sarebbe replicata, da una generazione all’altra di nuovi arrivati, senza temere mai l’abbandono degli ospedali da parte dei medici. Fin dall’inizio fu tale l’interesse che aveva l’Amministrazione ospedaliera a fidelizzare i medici e, soprattutto, i primari venuti da lontano, da costruire per essi, in prossimità dell’ospedale, degli appartamenti per la residenza loro e delle loro famiglie. Oggi non è più così.
Anche nella Medicina territoriale avveniva lo stesso fenomeno: i medici più anziani e più esperti contribuivano alla formazione professionale di altri medici, e anche lì si realizzava una catena solidale che assicurava la continuità.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso, in conseguenza della grave crisi economica dello Stato, esplosa nel 1992, il Governo Amato tentò di arginarla con la privatizzazione delle Partecipazioni statali, ed avviò il processo di privatizzazione anche della Sanità pubblica. Le USL divennero ASL; i presidenti delle USL, che in genere erano sindaci del territorio, vennero sostituiti dai manager e tutto cambiò. Il ministro Francesco di Lorenzo fu l’artefice della legge 502 di controriforma; le ministre Maria Pia Garavaglia e Rosy Bindi modificarono l’assetto degli ospedali e abolirono le diversificate figure dei medici: gli “aiuti” e gli “assistenti” vennero posti ad uno stesso livello, dichiarati “dirigenti medici” e messi, praticamente, alle dipendenze del sistema burocratico. I primari vennero declassati a livello di precari, e ridefiniti col titolo di “direttori di Struttura complessa”, con incarico a termine della durata di 5 anni.
L’incarico poteva essere rinnovato previa valutazione dell’Amministrazione della ASL. Se non confermati venivano riclassificati ad un livello inferiore. Lo stipendio era uguale fra tutti i medici, corretto per anzianità, e con l’aggiunta di un’“indennità” di dirigenza per il direttore del reparto. I reparti e le Divisioni ospedaliere cessarono di esistere e furono sostituite dalla dizione “Unità operative complesse”. Terminologia usata anche per gli Uffici amministrativi. Era finita un’epoca. Del periodo che precedeva il 1992 ai medici era rimasta soltanto la “responsabilità medico-legale”. L’instabilità e l’incertezza, che ricaddero come una spada di Damocle sul loro futuro, ebbero conseguenze.
Il nuovo tipo di “direttore” non aveva più gli “aiuti” che lo coadiuvassero o lo sostituissero. Non aveva più le funzioni di “addestratore” delle nuove generazioni di medici e, in quanto sostituibile da chiunque ogni 5 anni, non aveva alcun interesse a crearsi un “competitor”.
Oggi l’improvvisa assenza del “direttore” per pensionamento o per trasferimento crea uno scompenso organizzativo, non esistendo più gli “aiuti”. Tale vuoto gerarchico e l’instabilità del primario “a tempo”, comportano un vuoto di autorevolezza e operativo.

Adesso stiamo assistendo alla crisi degli ospedali per mancanza di medici specialisti. Tale fenomeno non è dovuto solo alla “scarsità” di nuovi laureati; dipende anche dal fatto che nessun giovane medico si sente sicuro a lavorare in un reparto in cui manca il primario-direttore perché i rischi medico-legali che comporta ogni decisione, soprattutto, se presa in solitudine, sono molto, molto, molto pericolosi; meglio starsene nel territorio o nelle cliniche private. In passato la funzione del Primario era principalmente quella di prendere decisioni ad ogni momento della giornata; da essa derivava la salvezza o no del malato.
L’urgenza-emergenza era sempre in agguato. Il processo clinico che portava alla formulazione della diagnosi e del programma terapeutico costituiva di per sé lo strumento di addestramento dei nuovi medici alla professione ed era la base dalla “scuola-ospedale”. L’addestramento alle responsabilità medico-legali era una formazione imprescindibile: era l’esercizio che faceva la differenza tra il periodo dell’apprendimento universitario e il periodo della formazione professionale in ospedale.
Gli studiosi di “psicologia delle decisioni” nei dipendenti pubblici, hanno concluso ricerche che dimostrano come il sospetto che in tutto ci sia del “marcio”, dal 1992 in poi, ha indotto il ceto politico a produrre leggi che hanno generato un atteggiamento di alta avversione al rischio. Erano gli stessi anni in cui vennero soppresse e sostituite le figure gerarchiche dei primari e degli “aiuti” negli ospedali. Il timore dei dipendenti pubblici a prendere decisioni portò dapprima al rallentamento, poi alla quasi paralisi operativa. Questo è ciò che stiamo sperimentando. Gli illustri studiosi sostengono che l’alta percezione del rischio e delle conseguenze professionali genera il tipico comportamento di astensione prudenziale e il blocco decisionale.
Non è vero che la crisi sanitaria che stiamo vivendo sia da attribuirsi solo alla diminuzione dei nuovi laureati in medicina o ai pensionamenti. Questo fenomeno di decadenza dell’assistenza ospedaliera non ha solo motivazioni contabili.
Fra le cause assumono molta importanza il sovvertimento della politica sanitaria territoriale, sostituita dalla burocrazia e l’ inconsistenza delle gerarchie mediche negli ospedali, dominate anch’esse dalla burocrazia.
Prima o poi si prenderà atto che oltre al valore della contabilità esistono anche i professionisti e i loro principi etici. E’ auspicabile che venga agevolato il libero ritorno ai valori non contabili come: lo spirito critico, l’indipendenza dall’egocentrismo dei poteri centralizzati, lo spirito civico, la coscienziosità, l’altruismo, l’impegno e il sentimento di identità col territorio in cui si opera.
Adesso è urgente, per gli ospedali, ricostituire le figure dei “primari-guida” mancanti nelle Unità operative in crisi. Poi saranno loro ad attirare, con il loro prestigio, i nuovi medici.

Mario Marroccu

«Sono nata il 17 febbraio del 1915, a Carloforte… Mi sono sposata a 36 anni, con Luigi Quaquero, senza la c», ci tiene a precisarlo Luisetta Mercalli questa fantastica signora, elegante e impeccabile come sempre, che oggi ha tagliato lo straordinario traguardo dei 109 anni e nella terra dei centenari, è la seconda più longeva della Sardegna, dopo la signora Amelia Addari, che di anni ne ha 112! E la festa, per Luisetta, la donna più anziana della città di Cagliari e la 50ª in Italia, nella RSA di Su Planu è stata la festa di tutti, con un senso gioioso di appartenenza e di grande affetto da parte di questa piccola comunità.

Circondata dalle amate figlie Angela e Myriam con le nipoti Alice, Elena e Francesca ha spento le 109 candeline: «A nome dell’Amministrazione comunale, del sindaco e mio personale con molto orgoglio facciamo i migliori auguri della città di Cagliari alla signora Mercalli per i suoi 109 anni», così Edoardo Tocco, presidente del Consiglio comunale di Cagliari, che ha consegnato a Luisetta Mercalli una targa con una medaglia e la fascia tricolore.

A Cagliari Luisetta arrivò a 12 anni e mezzo nell’Istituto delle Suore Carlo Felice per studiare e si diplomò prestissimo a 16 anni nella Scuola di Metodo per l’Educazione Materna, oggi Istituto Pedagogico. Luisetta in questi anni ha raccontato con naturalezza e semplicità e con una memoria straordinaria le notizie sulla sua vita intensa e piena, dedicata al lavoro e alla famiglia, ma attraversata dagli eventi più drammatici del secolo scorso, dalla prima alla seconda guerra mondiale, con i bombardamenti di Carloforte del 4 aprile del ’43, con 13 morti e tanti feriti a cui lei fece assistenza, anche seguendoli in ospedale a Iglesias. Ma Luisetta ha superato anche la tragedia delle pandemie, da un millennio all’altro: superò la terribile spagnola a 3 anni e ha superato indenne anche quella del Covid in questo millennio. Vera pioniera per quel periodo, iniziò a insegnare giovanissima a soli 17 anni, perché, come racconta sorridendo, “fu costretta” dal preside ad accettare una supplenza di 15 giorni, proprio a Carloforte, come insegnante alla Scuola di Avviamento Professionale, e da allora non si è fermata più fino a 62 anni, con 46 anni di servizio: ma piccolo particolare, nel 1938 dovette andare a Padova a conseguire il titolo specifico al Magistero Professionale per la Donna e a Roma a fare l’esame di Stato.

Luisetta si sposò a 36 anni, il 28 giugno 1951, con Luigi Quaquero, ufficiale di artiglieria, anche lui di Carloforte, e si trasferì a Cagliari, insegnando educazione tecnica nelle scuole di avviamento a Cagliari e Monserrato, che non era ancora comune autonomo, e dopo la riforma nel 1963 che le soppresse ha insegnato Educazione Tecnica nella scuola Media Alfieri fino al 1979.

Da Luisetta Mercalli, figlia di Piergiorgio Mercalli e Limbania Rivano, un messaggio forte che dal secolo scorso arriva fino ai nostri giorni: la realizzazione della vita fra lavoro e famiglia, per realizzare appieno i propri sogni e progetti.

Dopo le pesanti sanzioni inflitte dal giudice sportivo, il presidente dell’Iglesias, Giorgio Ciccu ha preso le distanze e si è scusato, in un comunicato stampa diffuso alcuni minuti fa, «per il comportamento non consono tenuto da tesserati domenica scorsa in occasione della trasferta di Ghilarza».

«Personalmente mi sento offeso e sto valutando le più incisive ripercussioni disciplinari, oltre quelle già inflitte dalla Giustizia Sportiva a carico dei responsabiliaggiunge Giorgio Ciccu -. Tali atteggiamenti sono da stigmatizzare perché non rispecchiano la cultura sportiva mia e del club che così faticosamente rappresento. Un direttore di gara e i suoi collaboratori possono sbagliare al pari di giocatori, tecnici e dirigenti. Tuttavia, nessuno ha il diritto di offendere e, soprattutto trascendere, questo comportamento resta ingiustificabile, sempre!!!»
«È vero che l’arbitro domenica scorsa l’ha fatta grossa e, probabilmente come spesso capita, nel tentativo di compensare ha finito per perdere l’equilibrato controllo della gara ma rimane inqualificabile il comportamento dei miei giocatori e collaboratori. Il pubblico, purtroppo, è più difficile da gestire per una Società ma con i tesserati sarò irreprensibile – conclude il presidente dell’Iglesias Giorgio Ciccu -. Chiedo scusa, soprattutto, a nome di tutta la città di Iglesias, da sempre esempio di impegno e sportività in tutta la Sardegna.»

Mano pesante del giudice sportivo sull’Iglesias dopo la trasferta di Ghilarza, dove la squadra di Giampaolo Murru ha terminato la partita in 8 uomini per 3 espulsioni: campionato finito per Mattia Pitzalis, fermato fino al 1 maggio 2024 (la stagione regolare terminerà il 28 aprile 2024), 4 giornate di squalifica per Lorenzo Isaia e Gioele Zedda.

Mattia Pitzalis è stato squalificato fino al 1 maggio 2024 con la seguente motivazione: «E’ stato espulso per aver contestato una decisione del direttore di gara rivolgendogli una frase irriguardosa e offensiva, alla notifica del provvedimento disciplinare cercava di colpire intenzionalmente l’ufficiale di gara con uno sputo, senza peraltro riuscirvi. Sanzione ai sensi dell’art. 36 del Codice di Giustizia Sportiva aggravata dalla successiva deprecabile condotta». Salterà le restanti 10 partite (le giornate che mancano sono 11 ma l’Iglesias deve ancora riposare).

Lorenzo Isaia e Gioele Zedda sono stati squalificati per 4 giornate con l’identica motivazione: «Contestava una decisione arbitrale proferendo un’espressione ingiuriosa nei confronti del direttore di gara. Sanzione ai sensi dell’art. 36, comma 1/a del C.D.S. nella misura del minimo edittale».

I provvedimenti post Ghilarza-Iglesias non si fermano alle tre maxi squalifiche dei calciatori dell’Iglesias.

L’Iglesias Calcio è stata punita con un’ammenda di 300,00 euro per il comportamento di suoi sostenitori nei confronti del direttore di gara.

Il massaggiatore Carlo Emanuele Pusceddu è stato squalificato fino al 13 marzo 2024 «per aver rivolto alla terna arbitrale una frase limitatamente offensiva che, per la esigua portata lesiva, giustifica la misura dell’inibizione al di sotto del minimo edittale…»

L’allenatore del Ghilarza Angelo Giacomo Demartis è stato squalificato per una gara per recidività in ammonizioni.

Il calciatore del Ghilarza Andrea Chessa, espulso nel corso della partita quando l’Iglesias si trovava in vantaggio 1 a 0, è stato squalificato per due gare effettive.

Domenica l’Iglesias affronterà la partita casalinga con la capolista Ilvamaddalena con una formazione ampiamente rimaneggiata. Oltre agli squalificati Mattia Pitzalis, Lorenzo Isaia e Gioele Zedda, saranno indisponibili perché ancora infortunati, Fabio Mastino e Bruno Wellinton Caverzan.

 

Domenica 18 febbraio, alle ore 21.00, andrà in scena il quarto appuntamento della nuova stagione 2023-2024 de La Grande Prosa e Danza organizzata dal CeDAC/ Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna al Teatro Centrale di Carbonia con il patrocinio e il sostegno del comune di Carbonia, della Regione Sardegna e del MiC/Ministero della Cultura e con il contributo della Fondazione di Sardegna.

Sul palco del Teatro Centrale andrà in scena lo spettacolo intitolato “Il Cacciatore di Nazisti – L’avventurosa vita di Simon Wiesenthal” con Remo Girone, drammaturgia e regia di Giorgio Gallione. Il celebre attore di teatro e cinema, l’indimenticabile Tano Cariddi della fiction “La Piovra” vestirà i panni di un ingegnere ebreo, tra i pochi sopravvissuti ai campi di concentramento, impegnato per tutta la vita nella cattura e nella condanna dei responsabili della Shoah.

Mentre prosegue ininterrotto il tragico massacro dei palestinesi nella striscia di Gaza, continuando a porre sotto gli occhi di tutti la feroce stupidità della stirpe umana, milioni di donne e di uomini si accordano, in questi giorni così tristi, in molte vie e piazze di innumerevoli località, per urlare (magari in silenzio) il loro bisogno di Pace, che non si può mai disgiungere da Giustizia e da Fraternità.
Anche la gente di Iglesias e di Carbonia ha bisogno di gridare questo bisogno, con la compostezza e la risolutezza che la gravità della situazione richiama.
Per questo motivo, 15 organizzazioni della società civile, dopo essersi incontrate per settimane in una parrocchia iglesiente, hanno deciso di convocare un sit-in in Piazza Sella, per sabato 17 febbraio, dalle 10.30 alle 12.30.
Tutta la popolazione è invitata a partecipare, al di là di qualsiasi genere di divisione, riunita sotto l’unica bandiera dalla pace e della non violenza, l’unico metodo che potrebbe davvero far finire tutti i conflitti
armati e far trionfare la ricerca del bene comune.

Parrocchia Cuore Immacolato di Maria – Iglesias

ANPI Iglesias e Carbonia
Scuola Civica di Politica – La Città in Comune

Lega Spi CGIL Iglesias
Centro Sperimentazione Autosviluppo

Comitato riconversione Rwm per la Pace e il Lavoro sostenibile
Movimento dei Focolari – comunità di Iglesias
Gruppo Scout Agesci Iglesias 1
Amici di San Francesco
Partito Comunista Italiano – Sulcis Iglesiente
WarFree – Liberu dae sa gherra
CIC Arci Iglesias

Le radici del sindacato Sardegna – Area programmatica CGIL

Scuola Civica di arte contemporanea
Giuseppe Frau Gallery

A partire da sabato 17 febbraio, per consentire l’esecuzione delle fasi finali di realizzazione dell’opera, verrà istituita la circolazione a rotatoria in località ‘S’Acqua Cotta’, nell’intersezione tra le statali 196 “Di Villacidro” e 293 “Di Giba”, nel comune di Villacidro.

La nuova viabilità sarà predisposta temporaneamente in modalità di cantiere per consentire il prosieguo dei lavori, la cui conclusione è prevista entro la prima decade del mese di marzo. L’opera, del valore complessivo di un milione di euro, ha un diametro di 40 metri e una volta conclusa sarà illuminata da 28 punti luce.

Il digiuno dell’inverno è il sessantaquattresimo volumetto della “Piccola collana di memorie”, ideata da Salvatore Tola e pubblicata dalla Soter editrice di Villanova Monteleone; una plaquette di poesie in cui si ripropongono – in distinte brevi sillogi e dopo aver condiviso nel 2016 la pubblicazione lirica Sguardi incompiuti, primo numero nella collana di poesie “Zaum”, còrdovaedizioni, Milano-Tempio – i tempiesi Jean Òre, pseudonimo di Gianfranco Orecchioni, e Francesco Pasella. Le idealità e manifesto del progetto “Zaum” di avanguardia letteraria si proponeva la promozione dell’Arte e della Parola come elementi delle “coraggiose virtù dell’uomo”, per riaffermare il “vero e sincero intento della poesia” e creare-reinventare, attraverso il comunicativo riflettere, “un luminoso linguaggio lirico” per l’attuale momento storico ed esistenziale.
Nell’accomunante silloge Il digiuno d’inverno, il periodo tempo è osservato come momento di attenzione introspettiva, chiarificatore esistenziale e di ricerca interiore e dei sensi per riconciliarsi con l’origine e pura “nostra natura” primordiale. Lo scandaglio dei versi, ed il versificare operato, riporta alla luce gli elementi delle nostre anime collettive, facendo emergere i significati, e significanti autentici, della nostra stessa esistenza. La poesia si fa memoria ed essenzialità che testimonia il nostro ed l’altrui tempo, alimentando anche lo scorrere dei silenzi e governando i sentimenti da rappresentare ed esprimere
con genuinità di linguaggio e parole vere di sincerità.
Le due sillogi di Jean e Francesco, titolate rispettivamente Illuminazione all’ora terza e Eppure ho visto, si amalgamano e fondono in unico crogiolo; evidenti i segni di modernità letteraria e di suggestive sperimentazioni, che penetrano il tessuto dei paradigmi abituali di scrittura, per aspirare alla costruzione di un modello poetico di linguaggio ulteriore. I due poeti, in modo imprevedibile ed informale, scrivono per esplorare se stessi. Sono alla ricerca di una rivelazione dell’espressione più autentica personale e di dissenso nei confronti di una società che genera illusioni e disillusioni; un percorso esistenziale in cui è facile perdersi e ancor più difficile ritrovare se stessi. C’è timore nel divenire e arriva la poesia salvifica ad alimentare la coscienza e libertà interiore.
“L’ora terza”, dal chiaro riferimento alla crocifissione del Cristo, è intesa come tempo presente dell’umanità e della natura; natura-ambiente deificato ma in piena devastazione globale, causata da una incomprensibile e mal interpretata immortalità dell’umanità e della madre Terra. E corre un richiamo, al logico pensiero lirico di Pasolini che “Non esiste più un cielo azzurro azzurro!”. Per fortuna, il salvifico “fiume della conoscenza scorre/ lungo le nostre vene…” e spalanca nuovi “scenari oltre la polvere/ e forse oltre le dolci stelle. Uh!”.
Una ricerca attraverso gusci protettivi (In gusci castelli/ cerchiamo protezione,/ di anestetizzare l’ansia/ e l’inquietudine…/ almeno per qualche ora.//) che, nello scorrere degli anni, “ci stravolgono,/ ci appassiscono.”; labirinti di vita da percorrere e domarli con il rigore del sorriso e con la capacità di mutare “il nostro cammino” intrapreso. Affondano i versi sul corpo martoriato, e ambiguo, delle tante ideologie di far arte con spirito inquieto ed avanguardista, con tutte le contraddizioni e interpretazioni possibili del termine.
Francesco e Jean ci sorprendono con le loro scritture ed esperienze di vita letteraria. Sulle molteplici vie della sperimentazione, emozioni (Eppure ho visto/ fiori di mandorlo pietrato,/ sono rimasto,/ ma forse non sono andato/
oltre.//), sogni (Oltre un certo orizzonte/ vedo qualcosa d’azzurro/ è tutto quel che mi resta.//) e sentimenti (se avessimo un cuore e un’anima.), che in comunanza ci riserveranno ancora in futuro.

Cristoforo Puddu

Dopo il grande successo della tournée che li ha visti protagonisti negli stadi, arene e palasport di tutt’Italia nel 2023, i Pooh si preparano ad incantare il pubblico della Forte Arena sabato 10 agosto 2024, alle ore 21.00.

Inserito nel live tour “Pooh – Amici x sempre Estate 2024”, che conta oltre 20 date nelle location più suggestive d’Italia, il concerto si presenta come un affascinante viaggio nella grande bellezza italiana attraverso i successi senza tempo della band che ha segnato la storia della musica nel nostro Paese, da “Amici per sempre” a “Tanta voglia di lei”, da “Parsifal” (capolavoro della band uscito nel 2023 in una speciale versione per il 50° anniversario) a “Dammi solo un minuto”, solo per citarne alcuni.

«È tempo di ripartire e ci aspetta un’estate di rinnovati abbracci con tutti voi che, da sempre, amate la nostra musica e ci avete stimolato a proseguire il tour AmicixSempre dichiarano i Pooh -. Per ringraziare la vostra passione e onorare la nostra musica abbiamo scelto una serie di location esclusive, dove tutto prende un senso e diventa magia. Vi aspettiamo per cantare e condividere una storia che oramai appartiene a tutti voi.»

I biglietti per il concerto del 10 sgosto alla Forte Arena di Santa Margherita di Pula sono già disponibili nei canali di vendita di Box Office Sardegna e Ticketone.

RTL 102.5 è la radio partner degli eventi live “Pooh – Amici x sempre Estate 2024”.