C’è un legame tra spopolamento, inquinamento ambientale, tumori e “Sanità differenziata sarda“ – di Mario Marroccu
L’Italia conta, dal primo gennaio 2024, 58 milioni di abitanti. I nati del 2023 sono stati 379.000. Appena 8 anni fa furono 473.000 (quasi 100mila in più). Il Sulcis Iglesiente che due anni fa aveva 119.000 abitanti, ne ha perso il 2% l’anno; dovrebbe essere oggi intorno ai 117mila. Fra 15 anni la nostra popolazione provinciale scenderà a 100.000 abitanti e sarà composta prevalentemente da ultra-sessantacinquenni. Vi saranno pochissimi bambini e pochi adulti in età lavorativa e, fra 40 anni, la Sardegna sarà severamente spopolata. Un cambiamento regressivo del genere non avverrà in Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Nord Europa, Inghilterra e Stati Uniti. Avverrà solo da noi in tutto il mondo occidentale.
La regressione avverrà in modo limitato nel Nord Italia, dove esiste un rapporto di quasi due bambini per coppia; avverrà un po’ di più nel Centro Italia e Sud, dove nascono 1,2 bambini per coppia; sarà grave in Sardegna, con la nascita di 0,9 bambini per coppia; sarà molto grave nel Sulcis Iglesiente dove nascono 0,8 bambini per coppia. Sembra incredibile che il Sulcis possa perdere tanti abitanti, eppure è un fenomeno già visto in altre specie animali familiari.
Fino al 1970 sembrava impossibile che potessero scomparire le rondini ma da allora iniziò un progressivo calo dei loro arrivi. Gli studiosi scoprirono che la riduzione del numero delle rondini era dovuto ad un calo della fertilità dei maschi. Il fatto venne attribuito all’aumento della radioattività terrestre, conseguente ai numerosi esperimenti nucleari nel deserto africano. Nonostante l’avvio degli accordi per la cessazione degli esperimenti nucleari, la fertilità delle rondini peggiorò; allora si scoprì che le rondini stavano ulteriormente perdendo fertilità anche a causa dei prodotti chimici ampiamente utilizzati in agricoltura. Oggi le rondini sono una rarità. Il fenomeno dell’inquinamento ambientale tossico per l’uomo divenne chiaro per la prima volta nel 1915, con l’impiego del gas “Iprite” da parte dei tedeschi durante la prima guerra mondiale. Un inquinamento ambientale massivo avvenne in Sardegna nel 1950, quando fu avviata la grande operazione Rockfeller, con l’impiego di agenti chimici per eradicare la malaria. Per estinguere la zanzara anofele, la Sardegna venne irrorata con quantità colossali dell’insetticida DDT. La malaria venne eradicata ma il DDT inquinò la terra, le acque e l’ambiente vegetale; le quantità di DDT che arrivarono al mare attraverso lo scolo delle acque piovane fu talmente grande che ne arrivò perfino al polo Nord. Si rinvenne l’insetticida anche nel grasso delle foche e degli orsi bianchi che si nutrivano di pesci che rientravano dal Mediterraneo dopo avervi deposto le uova. Contemporaneamente iniziò a diminuire la fertilità dei maschi umani. Gli scienziati scoprirono poi che il DDT ingerito con gli alimenti possiede sull’uomo un effetto antiandrogeno, cioè blocca il sistema ormonale delle ghiandole della fertilità. Successivamente, si scoprì che anche gli anticrittogamici organofosforici dell’agricoltura hanno effetti ormonali femminilizzati per il maschio. Senza saperlo, era stata attuata un’opera di depressione della fertilità maschile attraverso l’inquinamento chimico ambientale. Oltre all’infertilità nelle coppie, negli stessi decenni del dopoguerra e del “miracolo economico” si iniziò a registrare un aumento dei tumori in generale. L’osservazione corrisponde cronologicamente allo sviluppo delle industrie chimiche, alle estrazioni minerarie e alle industrie di trasformazione metallurgiche, soprattutto dei metalli pesanti. Quei fenomeni patologici evolvettero in parallelo con l’inquinamento ambientale da causa industriale e, come si sa, le vie del passaggio degli inquinanti dalle industrie all’uomo sono infinite.
Le persone di una certa età ricorderanno che negli anni ‘50-’60 era pericoloso fare un viaggio a Milano indossando una camicia bianca perché il colletto della camicia diventava rapidamente grigio-scuro a causa del deposito di “smog”. Questo termine indica le polveri sottili emesse dai camini delle industrie, commiste all’umidità dell’aria. Milano, la città dei camini industriali perennemente fumanti, attuò un programma di ricollocamento in altra sede delle industrie e dei relativi camini per motivi di salute pubblica. Era contemporaneamente il periodo della crisi delle miniere del Sulcis e dell’Iglesiente. L’esigenza del Nord Italia di liberarsi dall’inquinamento ambientale e l’esigenza di posti di lavoro nel Sud Sardegna imposero alla bussola della politica la direzione da prendersi. Così le industrie vennero portate in Sardegna e nacque il polo industriale più grande e più inquinante d’Italia: quello di Portovesme. L’inquinamento ambientale non era una novità per la nostra provincia, dove da secoli si coltivavano miniere di metalli pesanti e da molti decenni si coltivavano le miniere di carbone Sulcis, portatrici di malattie degenerative, silicosi, tumori, TBC.
I sanitari che hanno lavorato negli ospedali di Carbonia e Iglesias sanno che in questo territorio esistono un numero di tumori e una varietà di malignità istologiche che ha pochi paragoni in Europa. Non se ne conosce il dato statistico certo per la carenza storica di un registro dei tumori locale, pertanto, ciò di cui si tratta riguarda osservazioni dei medici e degli anatomopatologi che si sono confrontati con i tumori del Sulcis Iglesiente dal 1950 ad oggi. Ciò che viene riferito è coerente con le preoccupazioni esplicitate dal Governo nel 1990 nell’atto di dichiarazione del Sulcis come “Area ad alto rischio di crisi ambientale”. Un esempio di patologia molto nota è dato da un particolare tipo di cancro urologico. Si tratta del carcinoma uroteliale che colpisce frequentemente la vescica e raramente il rene. Diversi anni fa una rivista pubblicò che nel Nord Italia quel tipo di cancro colpiva il rene nel 3% di tutti i cancri renali. Confrontando con i dati dell’ospedale Sirai di Carbonia, si scoprì che nella nostra area invece quel tipo di tumore è percentualmente molto più frequente rasentando il 30%, cioè 10 volte tanto che a Milano.
Considerato che il carcinoma uroteliale è in diretto rapporto con l’inquinamento da causa industriale e ambientale, si comprende quanto maggiore sia stata la nostra esposizione rispetto ai milanesi. Questa esperienza è un’ulteriore conferma del danno ambientale e alla salute che ci pervenne con il ricollocamento delle industrie inquinanti dal Nord Italia al Sud Sardegna.
Il trasferimento di materiali inquinanti da altri luoghi verso il Sulcis non è mai finito. Pochi giorni fa una nave ha scaricato, destinati a Portovesme, 8 containers pieni di “fumi d’acciaieria” con livelli radioattivi oltre i limiti consentiti, fermati ai controlli. Si tratta di materiali di risulta provenienti da fonderie o industrie a noi sconosciute contenenti: mercurio, vanadio, arsenico, berillio, rame, cobalto, cesio, e chissà che altro. In genere la provenienza è dall’Est Europeo. Circa 30 anni fa ad una nave simile venne impedito di scaricare un carico radioattivo formato da “fumi d’acciaieria” che pare provenissero dalla centrale nucleare ucraina di Chernobyl.
Nella delibera sulla dichiarazione di “ Zona ad alto rischio di crisi ambientale” pubblicata dal ministro dell’Ambiente il 30 novembre 1990, sta scritto che dai camini del polo industriale di Portovesme allora venivano eruttati nei nostri cieli tre tonnellate di polveri ogni ora. Un’enorme quantità di polveri, provenienti dalla lavorazione di materiali inquinanti, pari a 70 tonnellate emesse ogni giorno poi ricadeva sulle case, sulle piante, sui suoli, sulle colture, sui prati dei pascoli, sui corsi d’acqua e in mare. L’erba assorbiva le sostanze tossiche, gli animali al pascolo se ne nutrivano, noi mangiavamo carni e latte di tali animali assumendone le sostanze chimiche incluse. Similmente avveniva con frutta, ortaggi e cereali. Ciò avvenne per 20 anni. Nel mare della laguna di Santa Caterina i mitili oggi sono scomparsi; i piccoli crostacei, i muscoli e i pesci si sono rarefatti. Esiste un’ordinanza che vieta la pesca di arselle e muscoli della laguna a causa dell’alto tasso di metalli pesanti nelle loro polpe. Nonostante la solenne promessa di grandi finanziamenti da parte dallo Stato per disinquinare il nostro ambiente, il danno è ormai perenne e irrisolvibile. L’unico provvedimento assumibile da parte dello Stato è l’impegno alla sorveglianza sanitaria continua della popolazione e alla cura immediata in loco. Purtroppo, però, nonostante l’impegno di salvaguardia della salute preso con noi dal ministero dell’Ambiente nel 1990, oggi sta avvenendo il contrario.
In contrasto con l’evidenza dell’alto rischio patologico che corriamo, stiamo tutti assistendo alla chiusura progressiva dei nostri ospedali, alla sottrazione di personale sanitario, alle lunghe liste d’attesa. Per curarci dobbiamo migrare verso altri territori, spesso, a nostre spese.
Tale condizione è diventata obbligata dopo l’avvenuto depotenziamento degli 8 ospedali provinciali delle 8 province sarde (Olbia/Tempio, Sassari, Nuoro, Oristano, Ogliastra, Medio Campidano, Sulcis, Cagliari). Il depotenziamento di 6 Asl è avvenuto per sottrarne le funzioni e accentrarle nell’unica super-ASL di Cagliari. Ciò fu attuato per ridurre le spese di tutta la Sanità sarda e per farlo si creò un’unica ASL sovrana, a Cagliari. Ci eravamo illusi che la democrazia sanitaria realizzata dalla legge 833/78 sarebbe durata nel tempo.
Oggi, dopo aver vissuto l’inefficacia della “Dichiarazione di zona ad alto rischio di crisi ambientale” che avrebbe dovuto garantire la sorveglianza della salute nell’area comprendente i territori di Carbonia, Portoscuso, Gonnesa, San Giovanni Suergiu, Sant’Antioco, stiamo per vedere di peggio: sta avvenendo che tre regioni del Nord Italia ci vogliono tagliare fuori dalle garanzie dell’articolo 116 e 117 della Costituzione che dettero alla Sardegna lo status di “Regione Autonoma Speciale” con il diritto alla protezione economica garantita dal “Fondo Perequativo”. Tale fondo nacque per equipararci, dal punto di vista “strutturale”, alle regioni più dotate nei seguenti campi: Sanità, Istruzione, Trasporti pubblici locali. Quel dettato costituzionale non venne mai realizzato e non risulta a tutt’oggi rispettato. Per quanto riguarda la Sanità del Sulcis Iglesiente, non abbiamo avuto reali miglioramenti rispetto alle strutture ospedaliere del dopoguerra (nel dopoguerra avevamo 750 posti letto ospedalieri tra Carbonia e Iglesias, oggi ne abbiamo molto meno di 300). I trasporti pubblici oggi sono costituiti da una poverissima rete ferroviaria e da trasporti aerei e navali costosi e insufficienti, e con la sostanziale assenza del rispetto del diritto alla “continuità territoriale col continente”. Con la proposta di legge di “Autonomia regionale differenziata” in discussione in Parlamento. potrebbe avvenire il declassamento delle scuole e, soprattutto, delle Università sarde. Se avvenisse un inferiore finanziamento delle nostre Università, i titoli di laurea sardi potrebbero valere molto meno di quelli acquisiti nelle università del Nord Italia. Si capisce cosa avverrebbe ai concorsi tra i candidati sardi e quelli del Nord Italia. Questa legge sull’Autonomia differenziata sta inventando un’anomalia dell’amministrazione dello Stato non prevista dalla Costituzione: sta inventando le “Regioni sovrane” del Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) che non avranno bisogno né del Parlamento per varare leggi né dell’Italia unita per formare un’unica Nazione.
Così va la Storia. Noi sardi nel 1854-56 facemmo la guerra di Crimea per ingraziarci i francesi e ottenere il loro appoggio per liberare il Lombardo Veneto quando era l’estrema periferia del dominio Austroungarico. Poi ci prendemmo le industrie inquinanti del Nord per salvarle dall’inquinamento e cedemmo a quelle industrie la nostra salute in cambio di lavoro. Da quella nostra disponibilità sono poi derivati l’inquinamento, i tumori, lo spopolamento, il mancato rispetto del nostro Statuto e oggi il mancato diritto al “Fondo Perequativo” costituzionale.
Nel 2024 non abbiamo più i nostri ospedali provinciali, i nostri tribunali, la nostra rete ferroviaria e i porti ad essa afferenti. Fra 40 anni non avremo più la nostra popolazione, estinta a causa di una politica che sta ignorando le regole democratiche della partecipazione popolare e che sta consentendo progetti di sfruttamento delle risorse naturali di questa terra e delle persone che la abitano.
Mario Marroccu
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