18 July, 2024
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Nonostante l’incredibile impatto del disagio sanitario che tutti viviamo è difficile trovare un vero progetto per il ripristino del sistema assistenziale nei discorsi di chiamata al voto. Nei programmi sulla salute descritti da tutte le parti in causa si trova una flebile elencazione di lamenti, di desideri per il bene comune, con sentimenti moderati, paciosi e anche irenici.
Il tutto si riduce a ciò che dice i PNRR dei tempi di Mario Draghi:
– digitalizzazione della Sanità territoriale,
– evitare l’aumento della spesa corrente,
– interventi su attrezzature e miglioramento delle strutture murarie degli ospedali.
– vi è poi una sequenza di pii desideri per garantire la felicità dei malati, dei vecchi e dei bambini.
Ma nulla di concreto per imporre la marcia indietro ai fallimenti della politica passata in sanità.
Nella terminologia corrente, sia giornalistica che politica, si dà per acquisito che esista un apparato sanitario “centrale” e uno “periferico”. Nessuno protesta se si definisce un ospedale come “ospedale di periferia”. Questa catalogazione terminologica non esiste in nessuna legge dello Stato. L’acquisizione di tale linguaggio deriva dal fatto che nell’ultimo decennio è stata creata una sorta di catena di dominio sanitario che tiene correlate fra di loro strutture sanitarie predominanti (hub) e strutture sanitarie periferiche (spoke); quest’ultime sono in uno stato di sottomissione funzionale. Si è arrivati ad attribuire una sorta di scala sociale diversa agli ospedali a seconda della loro localizzazione territoriale.
Si parla, infatti, di ospedali centrali a Cagliari e Sassari e di ospedali periferici in tutte le altre province.
Alcuni ospedali sono altamente visibili mentre altri sono esclusi fino all’invisibilità. L’opera di marginalizzazione degli ospedali provinciali, inferiorizzati fino alle condizioni attuali, è ben descritta nelle cronache sanitarie quotidiane.
In passato non era così. Le USL (Unità Sanitarie Locali) erano, per legge, “articolazioni” del Sistema Sanitario Nazionale (SSN); ognuna aveva autonomia programmatoria, economica e amministrativa.
Quando si decise di passare dalle USL alle ASL (Aziende Sanitarie Locali) e quando si votò il referendum per l’abolizione di alcune Province sarde, ebbe inizio la emarginazione che comportò l’abolizione o la riduzione di servizi pubblici come la Giustizia e la Sanità provinciale che furono progressivamente concentrati a Cagliari e Sassari.
Si arrivò al massimo della emarginazione sanitaria quando si attuò la centralizzazione sanitaria in un’unica azienda regionale chiamata dapprima ATS e poi ARES. Per far nascere questo nuovo Ente si procedette allo svuotamento del cuore amministrativo delle ASL provinciali, dei loro fondi, del loro personale e delle loro competenze.
Dopo questa operazione iniziò la discesa delle ASL provinciali dalla posizione di Enti dotati di autonomia finanziaria e programmatoria a strutture marginali.
Un “antropologo del lavoro” saprebbe spiegarlo meglio: la “marginalità” in cui si trovano oggi le ASL di provincia corrisponde ad una volontà di “non integrazione” e di “non partecipazione” di questi enti, alle decisioni che sono oggi riservate a sedi lontane ed estranianti. E’ un meccanismo che ha trasformato i sistemi sanitari provinciali in sobborghi della Sanità. Eppure le leggi dello Stato non prevedevano questa involuzione ma tutt’altro.
La prima legge-madre che parlò di “autonomia” per i Comuni, le Province e le Regioni fu la Costituzione del 1948 agli articoli 116 e 119. Quegli articoli ci dettero l’autonomia organizzativa e finanziaria che vennero confermate 20 anni dopo dalle leggi 128 e 132 del 1968. Quelle leggi dettarono norme sull’ordinamento degli ospedali.
Gli ospedali pubblici vennero distinti in tre livelli:
– ospedale zonale,
– ospedale provinciale,
– ospedale regionale.
– L’ospedale zonale doveva fornire tutti i servizi di base come: Medicina Interna, Chirurgia Generale, Anestesia, Ostetricia, Pediatria, Traumatologia, Pronto Soccorso, Radiologia e Laboratorio.
– L’ospedale provinciale doveva fornire gli stessi servizi dell’ospedale zonale, in più era dotato di qualche altra specialità per garantire 24 ore su 24 l’urgenza ed emergenza.

– L’ospedale regionale aveva le stesse specialità dell’ospedale provinciale ma in più era dotato di altri reparti per patologie rare o poco comuni che necessitavano di personale e di attrezzature speciali. Il fattore “rarità patologica” comportava la necessità di “concentrare” in un’unica sede regionale tutti i casi. Si trattava di: neurochirurgia, trapianti d’organo, cardiochirurgia, chirurgia toracica, chirurgia vascolare, grandi ustionati, chirurgia plastica, chirurgia pediatrica, chirurgia ginecologica-oncologia, onco-ematologia, chemioterapia, radioterapia e altre strutture organizzative ultra-specialistiche assimilabili alle attuali “brest unity”, “prostate unity”, “pancreas unity”, etc. Erano gli unici casi in cui era ammessa la “centralizzazione”.
Negli ospedali zonali e Provinciali erano presenti tutti i servizi specialistici ospedalieri che curavano le condizioni patologiche più frequenti e comuni ed erano: Medicina generale, Chirurgia generale, Urologia, Pediatria generale, Ortopedia e Traumatologia, Neurologia, Ostetricia e Ginecologia,
Psichiatria, Neurologia, Nefrologia e dialisi, Geriatria, Pneumologia, Pronto Soccorso e Chirurgia d’Urgenza, Anestesia e Rianimazione; erano inoltre attivi i servizi di: Laboratorio, Anatomia patologica, Radiologia, etc.
La comune Traumatologia domestica ,della strada e del lavoro doveva essere immediatamente assistita dagli ospedali provinciali d’urgenza mentre i traumi del cranio, del torace, dei grandi vasi, venivano riservati agli ospedali regionali.
Anche le città capoluogo possedevano i loro ospedali zonali e gli ospedali provinciali. In tali città erano e sono tutt’oggi presenti le strutture ospedaliere universitarie che hanno lo scopo di fare ricerca e insegnare. Gli ospedali universitari sono in genere in prossimità o all’interno delle città capoluogo e sono a servizio di tutta la Sardegna. Così come gli ospedali universitari, anche gli ospedali regionali, che si trovano a Cagliari e Sassari, non hanno una città di appartenenza ma vanno identificati come strutture regionali, appartenenti a tutti i sardi  Questa precisazione, apparentemente ridondante, è utile per spiegare ciò che segue sulla evoluzione della rete ospedaliera sarda e anche per chiarire lo stato di diritto alla pari, di tutti i malati sardi in quegli ospedali.
La legge sulla nuova rete ospedaliera sarda del 2017 distingue gli ospedali in:
– Ospedali di Base (corrispondente agli ospedali zonali)
– Ospedali DEA di I livello (corrispondenti agli ospedali provinciali)
– Ospedali DEA di II livello (corrispondenti agli ospedali regionali).
Questa è la legittima dizione con cui si distinguono oggi gli ospedali. E’ cambiata la terminologia ma la sostanza è uguale. Chi utilizza l’espressione “ospedali periferici” commette un abuso di interpretazione, perché non esistono “ospedali territoriali periferici”: tutti gli ospedali hanno lo stesso valore di “centralità”.
Ogni ospedale, in ragione delle competenze attribuitegli dalla legge, deve essere, nell’ambito della propria competenza, “HUB” di se stesso (cioè “centrale”). Gli ospedali regionali sono “hub” esclusivamente per le specialità di Neurochirurgia, Cardiochirurgia, trapianti d’organo e patologie rare ed eccezionali.

In Sardegna, tra pubblico e privato, esistono 39 strutture ospedaliere, di cui:
– 4 centri ospedalieri universitari (Sassari e Cagliari),
– 2 aziende ospedaliere regionali (Brotzu di Cagliari),
– 7 ospedali provinciali DEA di I livello:
– Olbia (ospedale Giovanni Paolo II)
– Oristano (ospedale San Martino)
– Nuoro (ospedale San Francesco)
– Cagliari (SS Trinità)
– Cagliari (policlinico di Monserrato)
– Carbonia (Sirai e completamento DEA del CTO con funzioni di base di Iglesias)
– San Gavino Monreale (ospedale Nostra Signora di Bonaria)
– 2 Ospedali DEA di II livello (San Michele di Cagliari e SS Annunziata di Sassari)

– 11 case di cura private
– 14 ospedali di base
Totale: 39 ospedali.
I DEA di I livello sono di fatto gli ospedali “provinciali” della vecchia dizione (legge 128/1968).
Le competenze di questi ospedali sono: Chirurgia generale, Urologia, Ortopedia e Traumatologia, Ostetricia e Ginecologia, Medicina Interna, Terapia intensiva, Cardiologia. Emodinamica, Nefrologia, Dialisi, Pediatria, Gastroenterologia, Geriatria, Pneumologia, Neurologia, Psichiatria, Oncologia, Anestesia e Rianimazione, Anatomia Patologica, Dipartimento diagnostico per immagini, Laboratorio, Virologia, Immunologia, Centro trasfusionale, Riabilitazione e fisioterapia, Accettazione e Pronto soccorso DEA di I livello con astanteria per medicina e chirurgia d’urgenza, etc.
I DEA di I livello devono essere, nelle loro competenze, “Hub” di se stessi; cioè devono essere totalmente autonomi e autosufficienti, pronti ad affrontare patologie anche di altissima difficoltà.
I 7 ospedali DEA di I livello devono essere alla pari sia per dotazione di personale che di attrezzature ultra-sofisticate, e devono essere strutturati in modo completo e soddisfacente in modo da garantire un altissimo livello di assistenza, 24 ore su 24, nelle loro specialità.
Questi 7 ospedali (su 39) sono la vera struttura portante della rete ospedaliera sarda che, perfettamente e uniformemente compenetrata nel territorio, non lascia vuoti nell’assistenza di base e d’urgenza.
Gli Ospedali di Base, coadiuvati dalla Case di Cura, sono deputati a compiti di assistenza di base e non sono compatibili con le funzioni ininterrotte di emergenza-urgenza h24.
Quella testé descritta è la base di legittimità su cui si basa il disegno politico amministrativo descritto dalla legge regionale (rete ospedaliera 2017) affidato alle nostre autorità comunali, provinciali e regionali. Purtroppo, esistono deviazioni dallo spirito della legge che indica il corretto indirizzo verso cui vanno pilotati i nostri ospedali. Di tali deviazioni esistono dichiarazioni ufficiali autorevoli. Tali dichiarazioni sono state pubblicate e documentate in un documento pubblicato pochi giorni fa da ARES (agenzia regionale salute). Nel documento sul “Piano preventivo delle attività 2024-2026” la stessa ARES riconosce le difficoltà, e deficienze esistenti, e le denuncia con questa espressione: «…si evidenziano le criticità dei presidi ospedalieri della ASL Sulcis Iglesiente, caratterizzati da problemi come il pensionamento di Personale difficilmente sostituibile, un’età media elevata del Personale con limitazioni funzionali e lavori edili incompleti, e si sottolinea la necessità di una revisione dell’organizzazione ospedaliera…. in parallelo con la riconsiderazione della rete Ospedaliera Regionale, affinché possa rispondere in modo adeguato alle esigenze del territorio».
La dichiarazione che certifica le cause che sono alla base del deficit organizzativo che ARES ha reso pubblica necessita di provvedimenti. Essi vanno concentrati sulla legge di riforma sanitaria regionale del giugno 2020; tali provvedimenti possono essere presi solo dalla politica.
In quella legge esistono le disposizioni che hanno mandato in stallo la Sanità pubblica.
In essa esistono articoli che hanno totalmente invertito il senso della famosa legge 833 del 1978 che istituì per la prima volta la Sanità gratuita per tutti, il Sistema Sanitario Nazionale e il Fondo Sanitario Nazionale. Tutt’oggi quella legge è considerata la più grande legge della Repubblica dal dopoguerra ad oggi.
Il Sistema Sanitario Nazionale della 833/78 era basato sulle USL (Unità Sanitarie Locali). Le USL erano concepite come “articolazioni territoriali” del SSN. In base agli articoli 116 e 119 della costituzione le USL dovevano godere di “autonomia gestionale e finanziaria”. L’“autonomia” si concretizzava nella capacità di: programmare, acquistare e assumere personale autonomamente entro i limiti degli organici definiti dalla legge. L’“autonomia” veniva gestita dal “Comitato di gestione” e dal suo “Presidente” che venivano eletti dai Consigli comunali delle città del territorio provinciale.
La presenza di tali figure politiche territoriali garantiva il funzionamento di una “cinghia di trasmissione” delle istanze democratiche dalla popolazione al Sistema Sanitario.

Le USL entrarono rapidamente in competizione fra di loro in termini di efficienza, e si inaugurò il periodo di più rapida crescita del sistema sanitario con grande soddisfazione dei cittadini.
L’attuale sistema della ASL sarde è diversissimo:
– all’interno della amministrazione delle ASL provinciali non esiste più alcuna rappresentanza politica della popolazione;
– è esclusa la comunicazione continua e diretta tra politici locali e il centro regionale direttivo;
– le ASL provinciali non possono né assumere autonomamente il personale necessario, né fare acquisti diretti.
– le ASL sono prive di fondi propri ad hoc.
Un’Azienda che non può né assumere né acquistare, di fatto non ha alcuna autonomia.
La Grande Riforma 833/78 è stata capovolta. Di fatto esiste una catena di dominio che prevede un unico centro direttivo regionale che ha lo scopo di pianificare il programma pluriennale sanitario che, purtroppo, ignora la diversità dei territori sardi.
Il cuore del problema della Sanità sarda è esattamente quello su decritto: l’inesistenza di autonomia delle ASL.
Non si vede traccia di idee di soluzione del problema in nessuna dichiarazione programmatica esposta in questi giorni.
Al fine di riportare il cittadino al centro della Sanità sembrerebbe opportuno integrare qualche punto alla legge 24/2020 per:
1 – introdurre figure politiche territoriali tra gli organi della ASL,
2 – conferire autonomia finanziaria alle ASL al fine di liberarle dalla immobilizzazione per incapacità di spendere,
3 – consentire alle ASL la possibilità di assumere autonomamente il personale sanitario di cui ha bisogno.

Mario Marroccu

Si è svolta allo Stadium Genova della Fiumara nei giorni 2, 3 e 4 febbraio l’evento sportivo “Ju Jitsu Genoa open 2024”. Una gara internazionale a cura della Lino Team Ju Jitsu, affiliata alla Ju Jitsu international Federation, con in palio punti preziosi nella ranking list mondiale nella classe Adult, in vista della qualificazione ai Word Games del 2025 di Chengdu. Una manifestazione che ha visto in gara 500 atleti di 22 nazioni, inserite nel palinsesto di “Genova 2024 Capitale Europea dello Sport”. Dalla Sardegna l’unica società a partecipare la “Dojo Hiwashi Shinsei” di San Giovanni Suergiu. Tra i loro atleti, tre cittadini di Carbonia Jacopo Saba, Marco Iolo e Luca Iolo, che hanno partecipato anche al mondiale giovanile in Kazakistan nel mese di agosto 2023.

«Oradichiara la loro allenatrice Denise Pisuattendiamo le convocazioni per gli europei in Romania. È un vero peccato che il ju jitsu sia uno sport poco considerato, visti i grandi sacrifici che gli atleti e le loro stesse famiglie fanno a livello di tempo e spese.»

Luca Iolo, uno degli atleti in gara in Kazakistan, racconta l’esperienza vissuta con un entusiasmo contagioso. «E’ stata un’esperienza fantastica con la mia super coach Denise. Ho fatto amicizia con altri atleti di vari paesi arabi asiatici e europei. Sono arrivato alla gara stanco e provato dal viaggio e dalla dieta, ma mi sono divertito. La mia più grande prestazione l’ho avuta a febbraio a Genova, dove in una categoria difficile ho conquistato la medaglia d’argento. Il ju jitsu è uno sport che infonde autostima è ideale per tutti: magri, grassottelli, alti e bassi.»

E di autostima parla anche Marco Iolo, anch’egli atleta che ha vissuto l’esperienza in Kazakistan. «Ricordo che ho passato tutta l’estate con un caldo insopportabile ad allenarmi in palestra. In gara ho affrontato diversi atleti che provenivano da tutto il mondo e grazie a queste gare ho imparato diverse cose. Consiglio il ju jitsu perché è uno sport che infonde autostima e disciplina.»

Vedere come questi ragazzi fanno dello sport una pratica quotidiana fa sinceramente comprendere quanto sia importante per il corpo e per la mente praticare uno sport, garanzia per una vita sana ed equilibrata, oltre ad essere un importante strumento di inclusione che incoraggia l’incontro con culture diverse, fonte di arricchimento personale.

Per Jacopo Saba di 15 anni il Kazakistan è stato il primo mondiale. «E’ stata un’esperienza bellissima che non sarebbe stata possibile senza la mia coach Denise. Consiglio a tutti questo sport, perché è educativo ed insegna il rispetto per sé stessi e per gli altri.»

Leonardo Zottocco, 12 anni, pratica questo sport da quando ne aveva 6. «A Genova è stata la mia prima gara internazionale, un’esperienza che mi ha fatto crescere molto e mi ha insegnato tante cose. Sono felice di aver partecipato nonostante non sia arrivato sul podio, sono state giornate che porterò sempre nel cuore.»  

Anche Sofia Pisu racconta la sua esperienza a Genova. «Ho partecipato con altri 8 miei compagni ho gareggiato nel ne waza -52 kg in 14, ho avuto tre avversarie su tre incontri. Non è stato semplice perché la mia pull era molto difficile, le mie avversarie erano molto alte e forti. Non sono arrivata sul podio ma continuerò ad allenarmi con impegno per partecipare alle prossime gare.»

Il ju jitsu è un’antichissima arte marziale giapponese che coniuga disciplina, tecnica, coordinamento motorio e controllo. Un’arte marziale educativa che modella il carattere, insegna ad affrontare le avversità della vita e può trasformarsi in una vera e propria filosofia di vita.

Ju jitsu: come non consigliarlo!

Nadia Pische

Il Lions Club di Carbonia, come da tradizione ultratrentennale, ha onorato la memoria dei suoi soci defunti assegnando una borsa di studio destinata a uno studente delle Scuole Superiori che ha dimostrato eccellenza nel proprio percorso formativo.
Sabato 10 febbraio 2024, presso il ristorante “Tanit” di Carbonia, si è tenuta la cerimonia di consegna di questa prestigiosa borsa di studio. La bravissima studentessa è Alice Tidu, giovane di Carbonia che si è diplomata con il massimo dei voti, 100 e lode, al Liceo Scientifico dell’Istituto “Gramsci-Amaldi”.
Questa opportunità rappresenta un traguardo significativo per la giovane studentessa, che ha dimostrato impegno e dedizione nel suo percorso scolastico che continua presso la Facoltà di Chimica e Tecnologie Farmaceutiche dell’Università di Cagliari.
Alla cerimonia di premiazione erano presenti importanti figure, tra cui il presidente del Lions Club di Carbonia e, per l’Amministrazione comunale, l’assessore della Pubblica Istruzione, Alta Formazione, Ufficio Europa Carboniensi nel Mondo, Antonietta Melas. Tutti hanno espresso le loro congratulazioni ad Alice Tidu per gli eccellenti risultati conseguiti, augurandole altrettanto successo nella sua formazione universitaria.
L’assessore ha inoltre ringraziato il Lions Club Carbonia per il suo costante impegno nel promuovere la cultura e sostenere i giovani talenti della città. Durante l’evento, con grande solennità, si è svolta la prestigiosa cerimonia di ingresso di un nuovo socio nel Club: il dottor Alessandro Musu.

Questa mattina, nel parco Martiri delle Foibe, l’Amministrazione comunale di Carbonia, rappresentata dal presidente del Consiglio comunale Federico Fantinel e dall’assessora degli Affari gnerali Katia Puddu, ha celebrato “Il Giorno del Ricordo”, in cui sono stati ricordati migliaia di italiani trucidati e infoibati nelle cavità carsiche del Friuli e dell’Istria. Vittime innocenti, ammazzate da Tito per la sola ragione di essere italiani residenti nelle zone di confine ed oggetto di una spietata operazione di pulizia etnica.
Nel corso della cerimonia è stato deposto un mazzo di fiori in prossimità della stele dedicata ai martiri delle Foibe, per ricordare simbolicamente tutte le vittime di una tragedia di cui occorre sempre alimentare il ricordo e la consapevolezza per evitare di ripetere nel presente e nel futuro gli errori commessi nel passato.
In questo contesto meritano una menzione speciale i circa 140 sardi, molti dei quali minatori di Carbonia e del Sulcis trucidati nel bacino carbonifero dell’Arsa. Ed è evidente, in giornate come queste, quanto sia più che che mai necessario per tutti noi essere portatori di un messaggio di libertà, tolleranza, pace, giustizia, integrazione e lotta contro ogni qualsivoglia intolleranza, discriminazione e disuguaglianza.

Domenica 11 febbraio il Carbonia cerca il rilancio contro la vicecapolista Tempio, nella sesta giornata di ritorno del campionato di Eccellenza regionale. La squadra biancoblù non vince dal 28 ottobre, quando superando il Bosa per 2 a 1, salì al 7° posto in classifica. Da allora, in 13 partite, ha raccolto solo 6 punti, frutto di altrettanti pareggi, e ben 7 sconfitte, scivolando al terz’ultimo posto.

Diego Mingioni recupera Andrea Porcheddu, Ezequiel Cordoba e Tennyson Omoregie, i primi due reduci da squalifiche, il terzo da un infortunio. E’ ancora indisponibile, a causa di un infortunio, il capitano Gabriele Dore.

La situazione di classifica impone al Carbonia di interrompere la striscia negativa, per avviare la rimonta verso la quota salvezza. L’avversario, il Tempio di Giuseppe Cantara, è certamente molto forte, ma contrariamente a quanto sia riuscito a fare in casa fin qui, dove è ancora imbattuto, con 9 vittorie e 1 pareggio, in trasferta ha vinto solo 2 volte, collezionando 4 pareggi e ben 4 sconfitte. La seconda delle due vittorie l’ha ottenuta domenica scorsa a Li Punti, per 5 a 3.

Per centrare l’impresa, Andrea Porcheddu e compagni hanno bisogno anche del sostegno dei tifosi, attesi numerosi e calorosi sulla tribunale del “Carlo Zoboli”.

Giampaolo Cirronis

Alcune centinaia di persone stamane hanno manifestato al Sirai di Carbonia per rivendicare i diritti negati nella Sanità pubblica. Nel corso del sit-in, organizzato dalle segreterie CGIL, CISL e UIL, sono state denunciate tutte le criticità che affliggono il sistema sanitario pubblico nel territorio della ASL Sulcis: la mancanza di medici di famiglia, pediatri e guardie mediche, servizi di base per malati, anziani, bambini, giovani e famiglie; distretti sanitari svuotati di personale e professionisti, impossibilitati alla presa in carico sanitaria e sociale integrata con i PLUS; ospedali nel caos per la chiusura di reparti ospedalieri e del Pronto soccorso per la mancanza di medici e personale sanitario; fuga dei medici in servizio e dei medici di nuova assunzione verso le grandi Asl della Sardegna e gli ospedali privati, a causa della disorganizzazione in essere, sottoposti a turni, orari e lavoro non in sicurezza per loro e gli assistiti; mobilità obbligata dei pazienti verso le altre Asl, i servizi della sanità privata e fuori dalla Sardegna per essere curati; liste d’attesa lunghissime per interventi chirurgici, cura di malattie croniche e per la prevenzione; i livelli essenziali di assistenza non garantiti e i tempi previsti per le prestazioni non rispettati; rinuncia alle cure per malati che non hanno risorse economiche o sono anziani e soli con difficoltà a spostarsi dentro e fuori dall’Isola; la Sardegna è la regione che nel 2022 ha avuto il 21,9% di morti in più rispetto agli anni pre-pandemia e non sono decessi dovuti al Covid; tempi lunghissimi per il riconoscimento dell’invalidità per malati oncologici, non autosufficienti e bambini con disabilità; si muore prima di avere il sostegno economico e i permessi e diritti di legge; il Servizio sanitario pubblico, è l’ultima denuncia contenuta del manifesto delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, anche con la riforma della Sanità della Giunta Solinas non è garantito nel territorio ma è sempre più allo sbando nonostante il costo altissimo nel Bilancio regionale.

Allegate le interviste con i segretari Franco Bardi (CGIL), Salvatore Vincis (CISL) ed Efisio Aresti (UIL).

 

Una carrellata di personaggi e situazioni surreali. Antonio Cesare Gerini, medico in pensione, nel suo nuovo libro, “L’alba tra le brume”, edizioni Albatros, racconta episodi vissuti in prima persona, guardando al passato con dolcezza e ironia, ripescando nella memoria incontri e dialoghi che al pari di uno scalpello hanno scolpito e levigato il suo carattere, la sua persona.
Da giovane medico nel reparto di Ostetricia e Ginecologia a responsabile di un centro di salute mentale, il dottor Gerini ha condotto una lunga carriera ma a ben vedere ha sempre avuto a che fare con la vita nuova: aiutare una donna a dare alla luce un figlio non è tanto diverso dall’aiutare una madre, una sorella o una moglie a credere che un figlio, un fratello o un marito possano rinascere… che l’alba tra le brume possa sorgere e che la luce possa vincere le tenebre che avvolgono la mente di un uomo.
Una lettura che infonde speranza, suscita profonda commozione e simpatia e induce a riflettere sulla malattia mentale, sulla possibilità di riabilitare i pazienti e sulla necessità di sostenere le loro famiglie.

Antonio Cesare Gerini, medico in pensione, è stato psichiatra al Servizio di Diagnosi e Cura dell’ospedale di Carbonia, co-fondatore del centro di accoglienza “Don Vito Sguotti” a Carbonia, responsabile della comunità protetta pubblico-privata Usl-Aias di Cortoghiana, del Centro di salute mentale e del Dipartimento di salute mentale di Carbonia-Iglesias; attualmente è il presidente dell’organizzazione Albèschida per l’aiuto e il supporto alle attività risocializzanti dei pazienti psichiatrici.

Sue pubblicazioni sono apparse nella rivista trimestrale “Appunti Sparsi” e nella quadrimestrale “Oltre”.

Giovedì 15 febbraio, alle ore 17,00, presso la biblioteca comunale di Carbonia, nell’ambito della rassegna Carbonia Scrive, si terrà la presentazione del libro “La via di fuga”, di Francesco Rivano, edizioni Albatros. Converserà con l’autore, il giornalista Giampaolo Cirronis.
L’autore, Francesco Rivano, nasce nel 1980 nel profondo Sud Sardegna e cresce a Carloforte, unico centro abitato dell’Isola di San Pietro. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università degli studi di Cagliari, fa ritorno nell’amata isola dove vive, lavora e coltiva la grande passione per la scrittura. Circondato dal mare e affascinato dallo sport è stato travolto improvvisamente dall’amore per il basket. Ha collaborato come redattore con alcune riviste on line che si occupano principalmente di basket NBA, esperienza che lo ha portato a maturare le competenze per redigere e pubblicare la sua prima opera: nel 2020 ” Ricordi al canestro”, legata alla storia del Basket.
 
Il Libro racconta la vita di Sam, ragazzo orfano cresciuto per le strade di Boston, che riesce ad emergere nella vita grazie all’amore per lo sport. 
«South Boston, quartiere non facile della capitale del Massachussets: da quando il giovane Sam era fuggito dall’orribile orfanotrofio in cui aveva trascorso i primi anni della sua vita, la strada era diventata la sua casa. Non aveva radici, essendo stato abbandonato alla nascita nell’immondizia dalla madre, e aveva trovato l’unica parvenza di famiglia nell’amicizia con Drew, diventato per lui quasi un fratello maggiore, che cerca di trasmettergli la sua grande passioneper il basket. Lo sport della palla a spicchi fatica però a riscuotere inizialmente le simpatie di Sam, ma conquista progressivamente il suo interesse soprattutto grazie alle gesta dei grandi campioni della NBA, il campionato professionistico più importante del mondo. E che può forse promettere, nelle sue varie declinazioni, l’occasione di un riscatto sociale e di un futuro più luminoso se il ragazzo dimostrerà di voler realmente dare una sterzata al proprio presente.»

Ikea, multinazionale specializzata nella vendita di mobili, complementi d’arredo e oggettistica per la casa, assumerà nuovo personale da inserire presso i punti vendita presenti in Italia. Le figure maggiormente richieste dall’azienda sono gli Addetti alla Vendita, i quali dovranno assistere i clienti, identificare le loro esigenze e consigliare le soluzioni d’arredo che meglio soddisfano i loro bisogni, tenere la propria area di responsabilità pulita, ordinata, correttamente prezzata e conforme agli standard di qualità, analizzare e gestire gli spazi di vendita, scoprire le aree di interesse e il percorso che più si adatta alle qualità e ai propri interessi. Le altre figure ricercate riguardano Consulenti di Arredo, che dovranno fornire consulenza ai clienti e comprenderne le esigenze, collaborare attivamente con i colleghi, acquisire e mantenere rapporti commerciali duraturi con le imprese locali, utilizzare la gamma di prodotti e la competenza nell’Interior Design per creare soluzioni 3D e fornire soluzioni d’arredo eccellenti; Addetti al Controllo Qualità, che dovranno controllare gli ordini tramite sistemi informatici, interfacciarsi con colleghi di altri reparti per allineare i tempi di svolgimento delle attività e svolgere i propri compiti attenendosi scrupolosamente alle norme di sicurezza; Amministratori Persone e Cultura, che dovranno aggiornare i file del personale, compilare e amministrare i dati delle persone, preparare i contratti, gestire e organizzare i processi di assunzione, interagire con gli interlocutori all’interno dell’azienda, trovare nuove soluzioni e coinvolgere il team nella sperimentazione di nuove modalità di lavoro. Inoltre Ikea offre anche tante opportunità di stage.

Per verificare tutte le posizioni… : http://diariolavoro.com/ikea_6.html