4 January, 2025
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Anche quest’anno, sotto il cielo di Sant’Antioco, è possibile ammirare il bellissimo presepe del maestro Gianni Salidu. Organizzata dall’associazione culturale “Sant’Antioco abbraccia il mare”, è una mostra da non perdere: un connubio tra arte, cultura e antiche tradizioni. Dall’anima più profonda e dura della pietra di basalto, trachite di onice e di ciotoli trovati nelle spiagge della sua isola prende forma in tempi diversi il presepe dell’artista che pur essendo scomparso ormai da diversi anni, continua a far sentire la sua essenza attraverso l’impegno della moglie Pinella Bullegas che ogni anno gli dedica amore e dedizione, passione e tempo.

Nadia Pische

 

Il collegio regionale di garanzia elettorale ha dichiarato Alessandra Todde decaduta dalla carica di consigliere regionale e, conseguentemente, da quella di presidente della Regione. All’origine della clamorosa decisione del collegio regionale di garanzia elettorale c’è la contestazione della rendicontazione delle spese sostenute nella campagna elettorale della candidata presidente, poi risultata eletta.

«La notifica della corte d’appello è un atto amministrativo che impugnerò nelle sedi opportune. Ho piena fiducia nella magistratura e non essendo un provvedimento definitivo continuerò serenamente a fare il mio lavoro nell’interesse del popolo sardo», ha detto la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde.

Come è possibile che in una serata freddissima a Carbonia si sia sentito un “brivido caldo” che ha infiammato il cuore dei presenti. Ebbene sì era il 30 dicembre e sul palco di Piazza Roma si esibiva il gruppo “The Lords” Zucchero Cover Band. Musicisti d’eccellenza, coristi travolgenti, pezzi d’autore brillantemente interpretati. Una band con in scena Andrea Busonera alla voce, Paola Mistroni voce e cori, Roberto Ionta chitarra e cori Raffaele Pillai basso e cori, Gianni Peloso tastiera e cori, Marco Piludu alla batteria. Se non li conoscete ancora provate a seguirli e sarà subito amore…

Di seguito alcuni scatti della serata.

Nadia Pische

   

Lo spettacolo “Il Mistero della magia” con tema Harry Potter in programma il 7 gennaio, alle 19.00, al Teatro Centrale di Carbonia, è stato rinviato a data da destinarsi, per cause indipendenti dalla volontà dell’Ente.
L’Amministrazione comunale comunicherà la nuova data in cui si svolgerà l’evento.

Questo pomeriggio il campo comunale di Giba ospita le semifinali della 33ª Coppa Capodanno per giovanissimi, torneo organizzato dalla delegazione di Carbonia Iglesias della Lega Nazionale Dilettanti. Alle 15.30 si affrontano il Carbonia Calcio e il Carloforte, alle 17.00 l’astra Carbonia e la Marco Cullurgioni Giba.

Le vincenti di affronteranno nella finalissima, sempre sul campo in erba sintetica del Comunale di Giba, martedì 7 gennaio, con inizio alle ore 16.00.

La fase finale del torno è stata organizzata con la collaborazione dell’Amministrazione comunale di Giba guidata dal sindaco Andrea Pisanu.

7 persone denunciate all’Autorità giudiziaria per illeciti in materia di armi e fauna. 5 fucili, 4 cinghiali, 1 lepre, 35 turdidi, 21 reti per uccellagione, 150 lacci per cattura ungulati e 350 per uccellagione sottoposti a sequestro. Numerose violazioni amministrative contestate. Questo è il bilancio di un’operazione del Corpo forestale – Servizio territoriale di Cagliari, attivata durante le festività per intensificare il controllo dell’attività venatoria e contrastare bracconaggio e uccellagione.

L’operazione, coordinata dal Servizio territoriale di Cagliari, ha coinvolto tutti i reparti. Particolare attenzione è stata rivolta al controllo dell’attività venatoria e delle battute di caccia grossa, anche in seguito ai numerosi incidenti verificatisi nell’ultimo periodo. Tra il 15 e il 29 dicembre sono state controllate 250 persone e accertate diverse violazioni.

I fatti

– In agro di Villacidro, il Nucleo Investigativo e la sStazione forestale di Villacidro hanno sorpreso due persone che cacciavano nell’Oasi permanente di protezione faunistica di Monti Mannu. I forestali hanno sequestrato 3 cinghiali abbattuti con munizione vietata (pallettoni), 2 fucili calibro 12 e 25 cartucce. I due erano privi di licenza di porto di fucile e già noti per bracconaggio, con licenza revocata. Sono stati denunciati per porto illegale d’arma, caccia in zona proibita e uso di munizioni vietate. Una terza persona, proprietaria dei fucili ceduti a soggetti privi di titolo per utilizzarli, è stata denunciata per omessa custodia delle armi.

– In agro di Quartucciu, alle pendici dell’Oasi dei Sette Fratelli, la stazione forestale di Sinnai ha sorpreso 4 persone impegnate in una battuta di caccia. Una di queste, priva di licenza di porto d’armi, è stata fermata. L’arma recuperata era clandestina, priva di segni identificativi. La persona è stata denunciata per detenzione illegale di arma clandestina e illeciti venatori.

– In agro di Pula, la stazione di Teulada ha fermato una persona in possesso di un cinghiale abbattuto con munizione vietata. L’individuo è stato denunciato per caccia con munizioni vietate e il fucile, le munizioni e il cinghiale sono stati sequestrati.

– In agro di Arbus, la stazione forestale di Guspini ha sequestrato una lepre abbattuta fuori stagione. Il cacciatore è stato denunciato per caccia a specie non consentite e segnalato per sospensione o revoca della licenza.

– In agro di Capoterra, in località Santa Barbara, una persona è stata sorpresa a posizionare lacci per la cattura di tordi. Denunciato per uccellagione, con pena prevista fino a un anno di reclusione.

– In agro di Sinnai, nel massiccio dei Sette Fratelli, le stazioni Forestali di Campuomu e Castiadas hanno bonificato un’area nella quale erano piazzate 21 reti per uccellagione, sottoponendole a sequestro.

Le violazioni amministrative

Numerose le sanzioni amministrative, per un totale di 7.000 €, contestate a Pula, Villanovatulo, Guspini, Arbus e Teulada per:
– mancata raccolta dei bossoli;
– omesso pagamento di tasse e contributi regionali;
– uso di richiami acustici vietati;
– caccia a distanza non regolamentare da strade o fabbricati;
– mancato utilizzo di giubbino ad alta visibilità per caccia grossa.

Il bilancio

L’operazione, parte delle attività del Corpo forestale a tutela dell’ambiente e della biodiversità, ha rilevato gravi irregolarità, con un incremento delle violazioni sulle armi e sull’attività venatoria. In calo le attività di bracconaggio e uccellagione.
Il Corpo forestale raccomanda di segnalare tempestivamente al numero 1515 ogni situazione di pericolo per l’ambiente e la biodiversità.

Il comune di Carbonia ha deciso di aderire al GAL Sulcis Iglesiente, venerdì 10 gennaio arriverà l’ufficialità dal Consiglio comunale, convocato dal presidente Federico Fantinel in seduta straordinaria e
pubblica alle ore 15,00 in prima convocazione, ed eventualmente alle ore 16,00 in seconda convocazione.

La Sardegna si conferma ai vertici nazionali per la gestione dei rifiuti. Nel 2023, la percentuale media di raccolta differenziata nell’isola ha raggiunto il 76,46%, avvicinandosi all’ambizioso obiettivo fissato per il 2029, ovvero l’80%, con alcune realtà territoriali che hanno già superato questo dato. Tra le performance più rilevanti si segnalano la provincia del Sud Sardegna e la provincia di Oristano, che hanno registrato rispettivamente il 79,7% e l‘81,5%, consolidando la loro posizione come esempi di eccellenza regionale. Anche la Città Metropolitana di Cagliari ha ottenuto risultati significativi, raggiungendo il 78,2% e dimostrando margini di ulteriore crescita.
Tra i comuni con oltre 30.000 abitanti, Nuoro e Oristano si distinguono con percentuali di raccolta rispettivamente pari a 83,47% e 80,91%, confermando che anche le realtà urbane possono eccellere nella gestione dei rifiuti. Tra i comuni medi e piccoli, spiccano Carloforte (89,46%, il comune con il dato più alto della provincia del Sud Sardegna), Palau (88,31%, il comune con il dato più alto della provincia di Sassari), Gonnostramatza (85,04%, il comune con il dato più alto della provincia di Oristano), e Villaputzu (88,03%), esempi virtuosi di sostenibilità e ottimizzazione dei servizi. Tra i comuni della Città Metropolitana di Cagliari, il dato più alto è quello di Settimo San Pietro, con una percentuale dell’83,87%, a conferma del valore di un’organizzazione locale efficace.
«Questi risultati straordinari sono motivo di orgoglio per tutta la Sardegnaha dichiarato l’assessore della Difesa dell’Ambiente, Rosanna Laconi -. Dimostrano che la nostra isola è in grado di porsi come modello per il resto del Paese, grazie all’impegno congiunto di istituzioni, amministrazioni locali e cittadini.»
Dal 2021, la Sardegna ha dimostrato stabilità e continuità nei risultati, consolidandosi tra le prime tre eccellenze italiane. Tuttavia, altre regioni già virtuose, come il Veneto e l’Emilia-Romagna, hanno registrato incrementi più significativi, rafforzando o migliorando le loro posizioni. Nonostante ciò, la Sardegna resta una delle regioni più performanti, ben al di sopra dell’obiettivo nazionale del 65% di raccolta differenziata. In sintesi, la Sardegna si distingue come una top performer tra le regioni italiane, dimostrando un impegno continuo e virtuoso nella gestione dei rifiuti, pur con una crescita moderata rispetto ad altre regioni leader.
Nonostante i numeri incoraggianti, permangono alcune sfide, come dimostra il caso del Ccomune di Sassari, che ha registrato ritardi nella piena attuazione del servizio di raccolta differenziata, attestandosi al 60,96%.
«Siamo fiduciosi che le intenzioni della nuova amministrazione comunale di Sassari si tradurranno rapidamente in azioni concreteha commentato l’assessore Rosanna Laconi -. La Regione è pronta a supportare ogni sforzo per colmare il gap e consentire anche a Sassari di contribuire al successo collettivo della Sardegna.»
La Sardegna continua a dimostrare che la sostenibilità ambientale è un obiettivo raggiungibile attraverso politiche integrate e una partecipazione attiva delle comunità locali.
«Questo successo ci spinge a continuare sulla strada intrapresa, consolidando i traguardi raggiunti e lavorando sulle criticità ancora presentiha concluso l’assessore Rosanna Laconi -. È un impegno verso le generazioni future, affinché la nostra isola resti un esempio di equilibrio tra progresso e rispetto per l’ambiente.»

Iglesias, finalmente! Dopo tre finali perse nelle ultime tre edizioni, la squadra rossoblù trionfa nella finalissima della Coppa Santa Barbara – Trofeo Aldo Carboni, giunto quest’anno alla 61ª edizione, con un risultato, 4 a 0, riscontro fedele della differenza di valori emersa sul terreno di gioco dello stadio Comunale “Carlo Zoboli” di Carbonia, scelto per l’indisponibilità dello storico campo Santa Barbara di via G.M. Angioy, organizzata con la collaborazione del Carbonia Calcio. L’Iglesias, sconfitta proprio dalla Fermassenti un anno fa nella finalissima della fase regionale 4 a 3 ai tempi supplementari (3 a 3 al termine dei tempi regolamentari), è tornata così ad imporsi nella storica manifestazione riservata alla categoria allievi, dopo ben 18 anni (edizione provinciale 2005/2006, A.S.D. 2000 Monteponi-U.S. Sporting Gonnesa/Bindua 1 a 0; tre anni prima si era imposta nella finale della fase regionale, 2 a 1 sull’A.C. San Giovanni).

Iglesias e Fermassenti si erano qualificate per la finalissima, superando in semifinale sul terreno di gioco di Cortoghiana, rispettivamente l’Isola di Sant’Antioco (3 a 2) e il Carbonia (1 a 0).

E’ stata la Fermassenti ad andare per prima vicina al goal del vantaggio, con uno perentorio stacco di testa di Matteo Pillittu, al quale s’è opposto il portiere Christian Zucca, poi aiutato dai compagni della difesa in un’azione molto confusa, e l’equilibrio del risultato tra le due squadre è durato una dozzina di minuti.

 

L’Iglesias ha cambiato marcia e in soli 13′ è andata a segno ben tre volte, approfittando delle indecisioni della difesa della Fermassenti e chiudendo praticamente i conti. Al 12′ è stato Francesco Tiddia a sbloccare il risultato, al 17′ ha raddoppiato il capitano Yari Pitzeri, al 25′ ha triplicato Thomas Corrias.

La Fermassenti è stata scossa dai tre goal subiti ed il suo tecnico Piero Fele ha chiesto ai suoi ragazzi di reagire con orgoglio, per tentare una complicatissima rimonta e, comunque, evitare un passivo ancora più severo. La reazione c’è stata, la squadra ha creato anche qualche problema alla difesa dell’Iglesias, ma il passivo pesante è risultato inevitabilmente un ostacolo insormontabile, sia nella parte finale del primo tempo, sia in quella iniziale del secondo tempo.

A metà ripresa l’Iglesias è rimasta in dieci per l’espulsione diretta di Thomas Corrias, punito dall’arbitro Annamaria Sabiu per una reazione verbale ad un fallo commesso da Andrea Guidotti, punito “solo” con il cartellino giallo.

L’Iglesias non ha accusato in modo particolare l’inferiorità numerica, riuscendo ad arrotondare il risultato con il goal di Amine Bahlaouan (fratello gemello di Aymane, alla fine premiato come migliore in campo), al 65′. Sul 4 a 0 la partita non ha avuto più storia e al triplice fischio finale è esplosa la gioia dell’Iglesias per aver raggiunto il traguardo a lungo inseguito.

Al termine, sono state effettuate le premiazioni, alla presenza del sindaco di Carbonia Pietro Morittu, degli assessori dello Sport del comune di Carbonia Giorgia Meli e dell’Urbanistica del comune di Iglesias Giorgia Cherchi.

Il premio in memoria di “Tino Biccheddu” per il miglior portiere della finalissima è andato a Patryk Soddu della Fermassenti; il premio in memoria di “Giancarlo Boi” per il miglior calciatore della finale ad Amine Bahlaouan dell’Iglesias. Una targa è stata consegnata alla terna arbitrale e ai familiari di Tino Biccheddu (ex portiere del Carbonia) e di Giancarlo Boi (uno dei tecnici più apprezzati del calcio giovanile del Sulcis Iglesiente per oltre mezzo secolo). Le premiazioni si sono concluse con la consegna delle coppe alle squadre seconda e prima classificata, dopo l’intervento del presidente dell’Iglesias, Giorgio Ciccu.

   

All’arbitro, ai due assistenti e alle due squadre, infine, è stata consegnata una copia del libro sulla storia della Coppa Santa Barbara, di Franco Reina, pubblicato nel 2008 e donato nell’occasione da Giampaolo Cirronis Editore.

Fermassenti: Soddu, Fele (Bertone), Frongia, Guidotti (Fiori), Cani, Mereu, Desogus (Laudicina Francesco), Loi (Etzi), Colasanto (Basciu), Melis, Pillittu (Perseo). A disposizione: Laudicina Federico, Pippia. All. Piero Fele.

Iglesias: Zucca, Dentis, Cerniglia (Cera), Bahlaouan Aymane (Spanu), Daga, Corrias, Tiddia, Pitzeri, Scarpa (Zuddas), Bahlaouan Amine, Sanna. A disposizione: Floris, Pintore, Callia, Pintus, Porru, Trudu A.. Pietro Piras.

Arbitro: Annamaria Sabiu di Carbonia.

Assistenti di linea: Giovanni Ortu e Samuele Congiu di Carbonia.

Marcatori: 12′ Tiddia (I), 17′ Pitzeri (I), 25′ Corrias (I), 65′ Bahlaouan Amine (I).

La storia della Chiesa è segnata da vicende che spesso hanno intrecciato il sacro col profano, la politica con la teologia, la verità con la menzogna. Tra queste spiccano due casi emblematici, separati da oltre quattro secoli ma accomunati dalla dinamica di accuse sospette, mirate a ostacolare potenziali candidati al soglio pontificio: il cardinale Giovanni Gerolamo Morone nel XVI secolo e il cardinale Giovanni Angelo Becciu ai giorni nostri. Entrambi i prelati si sono trovati al centro di processi controversi che sollevano interrogativi sul potere, la trasparenza e la giustizia all’interno della Chiesa.
Il caso Morone: l’eresia come arma politica al tempo dell’Inquisizione
Il cardinale Giovanni Morone (1509-1580) fu un diplomatico di spicco e un protagonista del difficile dialogo con i protestanti durante la Riforma. Servì diversi papi, svolgendo un ruolo importante nel Concilio di Trento; la sua carriera però fu bruscamente interrotta dall’elezione del papa Paolo IV (Pietro Carafa), figura intransigente e ostile alle aperture di Morone.
Già prima di salire al soglio pontificio, quando era capo dell’Inquisizione romana, Paolo IV aveva avviato indagini contro Morone, ufficialmente per sospetti di eresia, ma in realtà per neutralizzare un rivale nella corsa al papato, a cui aspirava. Una volta eletto, Paolo IV lo accusò formalmente di aderire alla dottrina luterana della «salvezza per fede», condannata dal Concilio di Trento nel 1547, e dette l’ordine al cardinale «nepote» Carlo Carafa di farlo arrestare e imprigionare a Castel Sant’Angelo. L’ordine fu eseguito il 31 maggio 1557.
Dopo l’arresto del Morone, Paolo IV affidò la conduzione del processo contro di lui a una commissione di cardinali presieduta dal nuovo capo dell’Inquisizione romana, Antonio Ghislieri, la quale ne dichiarò però l’ortodossia. Ciononostante, Paolo IV continuò a considerarlo sospetto, offrendogli una grazia che egli rifiutò, preferendo difendersi con una dettagliata memoria in cui confutava tutte le accuse rivoltegli e dichiarava la propria innocenza. Restò perciò prigioniero a Castel Sant’Angelo fino alla morte del pontefice, avvenuta il 18 agosto 1559.
Per scongiurare un’eventuale futura elezione a papa del Morone, Paolo IV, prima della sua morte, emanò la bolla «Cum ex apostolatus officio» del 15 febbraio 1559, che sanciva l’ineleggibilità al soglio pontificio di chiunque fosse stato sospettato di eresia.
Dopo la morte di Paolo IV, i cardinali presenti a Roma decisero, con la maggioranza di 13 voti su 25, di liberare il Morone e di ammetterlo al conclave, che si tenne dal 5 settembre al 25 dicembre 1559, nel quale risultò eletto il cardinale Giovanni Angelo Medici, che prese il nome di Pio IV. Il nuovo pontefice impresse una brusca svolta alla politica del suo predecessore, facendo arrestare e processare il cardinale Carlo Carafa, che fu condannato a morte per omicidi, malversazioni e abusi vari nonché per eresia con sentenza del 4 marzo 1560, eseguita il giorno successivo tramite strangolamento. Contemporaneamente Pio IV impose una rapida conclusione del processo contro il Morone, che fu assolto da ogni imputazione, con sentenza del 6 marzo 1560, sottoscritta personalmente dal cardinale Ghislieri per volontà del papa, affinché questi restasse vincolato alla stessa anche in futuro.
Nonostante la riabilitazione, le ombre del passato preclusero però al Morone la possibilità di diventare papa. Nel conclave tenuto dopo la morte di Pio IV per l’elezione del nuovo pontefice, uno dei maggiori favoriti risultò, a un certo punto, il cardinale Morone che stava per essere eletto per acclamazione. Alla sua elezione, però, si oppose il cardinale Ghislieri che lo aveva fatto incarcerare e lo aveva inquisito per eresia ai tempi del pontificato di Paolo IV. Ghislieri fece presente che non era opportuno elevare al soglio pontificio un cardinale che era stato sospettato di eresia e la cui innocenza, sebbene fosse stato assolto, non era stata del tutto provata, come risultava dagli atti del processo ancora in suo possesso. Con questa manovra riuscì a sventare l’elezione del cardinale Morone, che considerava suo avversario, e a favorire quella propria, che avvenne il 17 gennaio 1556, consentendogli di ascendere al soglio pontificio col nome di Pio V. Ancora una volta, un’accusa senza fondamento solido si rivelava un’arma per sventare l’ascesa di un avversario.

Seguendo le orme di Paolo IV, Pio V condusse una lotta senza quartiere contro quella che definiva la «peste dell’eresia», ritenendo che essa avesse contaminato persino i vertici della Chiesa, come dimostrava, a suo dire, il caso del cardinale Morone. Sebbene l’ortodossia di Morone fosse già stata accertata, Pio V riaprì le indagini contro di lui, intenzionato a farne un esempio per dissuadere ogni possibile deviazione dottrinale tra i massimi esponenti ecclesiastici.
Un episodio cruciale della lotta antiereticale di Pio V fu il processo contro Pietro Carnesecchi – ex segretario di Clemente VII e amico del Morone – che venne condannato a morte per eresia.
Durante gli interrogatori, Pio V offrì a Carnesecchi la possibilità di avere salva la vita, a patto che fornisse prove incriminanti contro Morone. Carnesecchi, tuttavia, scelse la via del martirio, dichiarando fino alla fine della sua vita l’ortodossia del cardinale. Il 1° ottobre 1567, egli fu giustiziato in modo brutale a Castel Sant’Angelo: non essendosi staccata la testa dal collo al colpo della mannaia, il boia dovette completare la decapitazione con una spada, e il corpo venne poi bruciato lentamente su un rogo ostacolato dalla pioggia. Le sue ceneri furono probabilmente gettate nel Tevere. Lo stesso giorno, Pio V convocò i cardinali in Vaticano – che poteva essere raggiunto solo passando per Castel Sant’Angelo – obbligandoli a contemplare il macabro spettacolo del corpo carbonizzato di Carnesecchi, un monito severo contro l’eresia. Il cardinale Morone, però, evitò di presenziare al concistoro, scegliendo di rimanere fuori Roma per non assistere alla tragica fine del suo amico.
Solo con la morte di Pio V e l’elezione di Gregorio XIII nel 1572, il cardinale Morone vide riconosciuta pienamente la sua innocenza. Riabilitato, tornò a ricoprire un ruolo di rilievo nella diplomazia della Santa Sede, confermando la sua fedeltà alla Chiesa nonostante le dure prove subite.
Il caso Becciu: la corruzione come arma politica contemporanea
Il cardinale Angelo Becciu, nato nel 1948, ha ricoperto ruoli di primo piano nella Curia romana, incluso quello di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Tuttavia nel 2020 è stato accusato di peculato e truffa aggravata. A differenza del cardinale Morone, Becciu non è stato incarcerato, ma è stato destituito dai diritti connessi al cardinalato con un provvedimento controverso che ha suscitato clamore e sconcerto. La destituzione di Becciu, presentata come «rinuncia», è avvenuta con modalità che richiamano più il potere assoluto di un monarca medievale che le garanzie di un sistema giuridico moderno.
Le accuse contro Becciu riguardano presunti favori economici concessi ai propri familiari e irregolarità nella gestione dei fondi vaticani. Il processo che lo coinvolge è stato segnato da un’opacità che ha alimentato dubbi sulla trasparenza della giustizia vaticana. Anche in questo caso, il contesto suggerisce che le accuse siano strumentali a dinamiche di potere interne alla Curia. Il Vaticano, infatti, oggi come ieri, è teatro di lotte intestine tra fazioni opposte, e il caso Becciu è un esempio di giustizia piegata a fini politici.
Secondo la sentenza del tribunale vaticano, emessa il 16 dicembre 2023, il cardinale Becciu avrebbe commesso due peculati e una truffa aggravata. Il primo peculato sarebbe consistito nella sottrazione alla Santa Sede della somma di 200.500.000 dollari USA a favore del finanziere Raffaele Mincione ed altri, con la motivazione dell’acquisto di un palazzo sito in Londra, 60 Sloane Avenue, che sarebbe risultato vantaggioso per le finanze vaticane. Il secondo peculato si sarebbe concretizzato con l’appropriazione della somma di 125.000 euro per trasferirla al fratello Antonino, con l’intermediazione della Caritas della diocesi di Ozieri. La truffa aggravata sarebbe consistita nell’erogazione della somma di oltre 570.000 euro, sottratta alle casse della Segreteria di Stato, alla signora Cecilia Marogna con la motivazione che fosse destinata alla liberazione di una suora sequestrata in Mali, mentre in realtà serviva per le spese personali della stessa. Becciu è stato condannato perciò a cinque anni e sei mesi di reclusione, a una multa di 8.000 euro e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Dagli atti del processo però emerge un paradosso perché risulta che non ha trattenuto per sé neppure un euro. Come hanno dimostrato i suoi difensori nel corso del processo, Becciu non ha commesso alcun peculato né alcuna truffa, perché nel caso specifico mancano sia l’elemento oggettivo che soggettivo dei reati. Il peculato consiste nell’appropriarsi a proprio vantaggio o di altri di una somma di denaro o di altro bene della pubblica amministrazione in modo doloso, cioè con la consapevolezza e l’intento di arrecare ad essa un danno per trarne un profitto illecito per sé o per altri. Ebbene, dal processo non è emersa alcuna prova che Becciu abbia agito per procurare a sé, a Mincione e al proprio fratello un profitto illecito a danno della Santa Sede. In relazione al reato di truffa, va osservato che, se esso fosse stato commesso, Becciu avrebbe assunto il ruolo del truffato e non del truffatore. Le somme versate alla signora Marogna erano infatti destinate alla liberazione di una suora sequestrata. Eventuali utilizzi impropri di tali fondi per scopi personali, avvenuti all’insaputa di Becciu, non possono in alcun modo essere a lui imputati. Dal processo è emerso che le azioni di Becciu non erano finalizzate al perseguimento di interessi personali o privati, ma solo ed esclusivamente alla realizzazione degli obiettivi istituzionali della Santa Sede: nel primo caso, un investimento; nel secondo, un’iniziativa caritativa.
La sentenza che ha condannato Becciu solleva seri dubbi sulla correttezza del processo e sulla imparzialità del sistema giudiziario vaticano, dal punto di vista sia procedurale che sostanziale, perché le regole sono state cambiate in senso sfavorevole all’imputato mentre il processo era in corso e la condanna è stata basata sull’interpretazione arbitraria ed estensiva dell’articolo 1284 del Codice di Diritto Canonico che non configura un reato penale, ma ha una valenza solo civile.
Questa decisione risuona come un duro colpo per l’immagine del cardinale e del Vaticano.
Ciò che desta particolare stupore, in questa vicenda, è il silenzio mantenuto da papa Francesco. La domanda che sorge spontanea è se il Pontefice desideri che il cardinale Becciu sia assolto o condannato. In qualità di diretto superiore del cardinale e garante ultimo delle decisioni amministrative e operative compiute sotto il suo pontificato, papa Francesco è probabilmente l’unico in grado di conoscere a fondo l’operato di Becciu. Non si può escludere che sia stato proprio l’aver eseguito fedelmente i suoi ordini a renderlo oggetto di ostilità e trame interne al Vaticano. La questione solleva interrogativi sulla possibilità che il papa intervenga per correggere un evidente errore giudiziario. Papa Francesco troverà il coraggio di ristabilire la giustizia o il cardinale Becciu dovrà attendere la sua morte per vedere riconosciuta la propria innocenza, come avvenne per il cardinale Morone, che fu riconosciuto innocente solo dopo la morte di Paolo IV?
Parallelismo tra due vicende: l’abuso di potere nella Chiesa
L’analisi comparativa del caso Morone e del caso Becciu rivela un inquietante denominatore comune: l’utilizzo strumentale della giustizia come arma politica all’interno della Chiesa cattolica.
Mentre il caso Morone si inscrive nel contesto storico dell’Inquisizione, caratterizzato da una forte centralizzazione del potere e da un’applicazione rigida dell’ortodossia, il caso Becciu si inserisce in un’epoca caratterizzata da una maggiore consapevolezza dei diritti umani e dei principi di legalità.
Tuttavia, le modalità con cui è stato gestito il processo a carico di Becciu evidenziano come le dinamiche di potere all’interno della Chiesa siano rimaste sostanzialmente inalterate. Nel caso di Morone, l’accusa di eresia servì a Paolo IV per eliminare un rivale potenziale. Nel caso di Becciu, l’accusa di corruzione si intreccia con le lotte di potere interne alla Curia, dove le fazioni utilizzano strumenti mediatici e giudiziari per consolidare il proprio dominio. Morone e Becciu restano due vittime illustri, accomunate dall’essere state travolte da una  macchina del potere che, in nome della salvaguardia dell’ordine interno, non ha esitato a sacrificare l’individuo per ragioni che appaiono lontane non solo dai principi di giustizia ma anche dal Vangelo. Questi due casi evidenziano un problema più profondo: la necessità di maggiore trasparenza e giustizia all’interno della Chiesa.
L’opacità con cui vengono gestite queste vicende non solo danneggia le persone coinvolte, ma mina anche la credibilità dell’istituzione ecclesiastica agli occhi dei fedeli e del mondo. È urgente pertanto avviare una profonda riforma delle istituzioni ecclesiastiche. Un’istituzione che dice di fondarsi su principi universali come la giustizia e la verità non può tollerare che il potere venga utilizzato per manipolare i processi e perseguitare i propri avversari. La credibilità della Chiesa, già messa a dura prova, dipende dalla sua capacità di garantire trasparenza, equità e un sistema giudiziario realmente indipendente.

Alberto Vacca