22 November, 2024
HomeRegioneSicurezza del cittadino e del territorioM.G. Caligaris: «Nel carcere di Buoncammino ci sono un’ottantina di detenuti tossicodipendenti e con gravi problemi psichici, su poco più di 350 ristretti tra uomini e donne».

M.G. Caligaris: «Nel carcere di Buoncammino ci sono un’ottantina di detenuti tossicodipendenti e con gravi problemi psichici, su poco più di 350 ristretti tra uomini e donne».

«Un’ottantina di detenuti tossicodipendenti e con gravi problemi psichici, su poco più di 350 ristretti tra uomini e donne, rendono particolarmente difficile il lavoro degli operatori della #Casa Circondariale di Cagliari. Una condizione intollerabile che si aggiunge a quella di un’altra trentina di pazienti-detenuti che manifestano profondo disagio relazionale a causa della tossicodipendenza o di malattie mentali.»

Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento a diversi episodi critici, compresi alcuni tentativi di suicidio, verificatisi nel #Penitenziario di viale Buoncammino.

«Si tratta di due tipologie di cittadini privati della libertà, quelli in singola o doppia diagnosi che, per le condizioni di salute fisica e/o psichica, dovrebbero trovare una collocazione in strutture alternative. Il disagio mentale grave, spesso accompagnato da condizioni socio-economiche e affettive precarie, porta a episodi di autolesionismo difficilmente scongiurabili e talvolta altamente rischiosi per l’incolumità delle persone sofferenti. Diversi ristretti per lenire l’ansia che li assale – sottolinea Maria Grazia Caligaris – compiono improvvisi atti contro se stessi procurandosi ferite, non sempre superficiali, alle braccia, alle gambe e al petto. L’intervento dei Medici può risolvere temporaneamente il problema che tuttavia si ripresenta con regolarità non appena viene nuovamente sperimentato un momento di difficoltà. Si tratta di persone fragili con alle spalle condizioni familiari e sociali precarie, talvolta senza parenti, che non sono in grado di controllare i propri impulsi autolesionistici mettendo così a rischio l’equilibrio, peraltro sempre precario, della vita dietro le sbarre.»

«La problematica – osserva la presidente di SDR – non può essere gestita dalla Polizia Penitenziaria, che pure deve salvaguardare l’incolumità dei ristretti, e neppure dagli psichiatri. L’assenza di attività specifiche per queste persone, porta alcune di loro a permanere nelle celle provocando talvolta dei diverbi o delle reazioni da parte dei compagni di stanza. L’intervento degli Agenti per dirimere le controversie può talvolta rivelarsi pericoloso.»

«La presenza di elementi così difficili da gestire deve essere riconsiderata anche perché il trasferimento nel #Villaggio Penitenziario di Uta non avrà su di loro alcun effetto positivo. Non si tratta di metterli in libertà o ai domiciliari, anche perché neppure le famiglie quando ci sono possono farsene carico, ma di disporre di strutture alternative con operatori in grado di attivare un costante monitoraggio e di promuovere iniziative di sostegno affinché la detenzione non restituisca alla società una persona uguale o peggio di prima. La vita dentro un penitenziario purtroppo non abbatte la recidiva e qualunque pena, benché severa, ha un termine, soprattutto quando i reati non sono gravi. Se però il tempo trascorso fuori dalla società non ha cambiato almeno in parte la persona allora – conclude Caligaris – è stato inutilmente sprecato insieme alle risorse. Nuove modalità di recupero sono diventate necessarie per la sicurezza della comunità e possono creare nuovi posti di lavoro in ambito sociale.»

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