25 November, 2024
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Turchi e algerini a caccia di energia nel mare sardo. Storici rancori con i Sulcitani – di Mario Marroccu

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Le notizie riportate in questi giorni dal giornale l’”Unione Sarda” riguardo alla ZEE (Zona Economica Esclusiva) algerina sul Mar di Sardegna, che si estende dalle coste africane fino a 13 chilometri da Sant’Antioco e, più su, fino ad Oristano e Alghero nel suo lato Est, mentre si estende a Nord fino alle isole Baleari nel lato Sud-Ovest, fino alle coste della Spagna Meridionale, ci impone di rivedere i ricordi dei nostri secolari rapporti con l’impero turco del Nord-Africa.

Fino a pochi decenni fa i sardi, sentendo nominare i turchi rivolgevano subito il pensiero a San Antioco martire e alla Madonna di Bonaria supplicandone l’intercessione.

Erdogan, l’attuale presidente della Turchia, recentemente interrogato dai giornalisti sul suo interventismo in Libia, ha risposto che la Turchia si sente obbligata ad intervenire nella guerra intestina libica perché possedette quella provincia, ai tempi dell’Impero, per 500 anni.

Dato che un vicino del genere, dopo aver portato truppe in Libia si è recato in Algeria per rinsaldare gli antichi vincoli, potrebbe rivelarsi molto ingombrante, è utile rivedere alcuni passaggi storici tra i turchi e noi occidentali sulla frontiera africana.

Mille anni fa vennero gettati le basi del nostro indebolimento fino alla situazione di oggi.                                                        

Nell’anno 1054 il Patriarca di Costantinopoli, Michele Cerulario, attuò lo “scisma” tra la chiesa cattolica di Roma e la chiesa Ortodossa di Bisanzio. Questa spaccatura fu esiziale per l’Occidente. L’Impero Bizantino divenne ortodosso, mentre l’Italia e l’Europa rimasero Cattolici. La Sardegna ed il Nord-Africa, che erano parte integrante dell’Impero Bizantino, rimasero nella sfera ortodossa a fronteggiare l’Africa musulmana.

Nell’anno 1071 l’Impero Bizantino, indebolito, venne attaccato da orde di un popolo d’origine mongola, e battuto nella gravissima battaglia di Manzicerta. La notte precedente la battaglia, sul cielo si stagliava una luminosissima mezza luna con al di sopra una stella. Quel popolo vincitore dei Bizantini erano i “Turchi”. Da allora adottarono come bandiera nazionale un panno rosso con, al centro, una mezzaluna sormontata da una stella. Quel simbolo viene utilizzato tutt’oggi.

Con il trattato di pace i Turchi si installarono in territorio bizantino e, pian piano, intaccarono le difese della grande potenza cristiana fino a batterla conquistando Costantinopoli nel 1453. Fu la fine dell’impero Bizantino.

Per arrivare alla città di Costantinopoli, nei crocevia c’erano cartelli indicatori con su scritto “Isten polis”, che in greco significa: «Quella è la città». I Turchi pronunciavano “Istanbul”, e questo divenne il nome definitivo.

Nel 1492 la Spagna aveva scoperto l’America con Cristoforo Colombo, ed aveva avviato, in patria, una campagna di espulsione di musulmani ed ebrei.

Contemporaneamente la “Sublime porta” di Istanbul aveva dato disposizioni ai suoi eserciti di occupare tutte le province bizantine in Nord Africa, fino all’Algeria. Tuttavia l’avanzata turca fallì nel tentativo di occupare l’Europa. I Turchi furono infine definitivamente fermati dai Cristiani Cattolici con la battaglia navale di Lepanto nel 1571. Vi parteciparono anche truppe sarde.

La Libia, che era stata occupata dalla Spagna nel 1510, e affidata ai Cavalieri di Malta, venne poi conquistata dai turchi nel 1551. Da allora l’Impero turco fu il vicino ingombrante di noi sulcitani.

La Reggenza di Algeri era diventata turca nel 1525. Essa fu il principale centro dell’Impero Ottomano nel Maghreb e divenne la base stabile delle navi corsare per i lucrosi affari che si facevano con la cattura delle navi commerciali europee. Era il principale centro della pirateria.

Nel 1574, 3 anni dopo Lepanto, finite le mire sull’Europa, la Turchia occupò militarmente  la Tunisia, fermando definitivamente la conquista spagnola del Nord Africa. Al governo della Tunisia venne incaricato il Bey di Tunisi, reggente della Sublime Porta.

I Pashà di Algeri, Tunisi e Tripoli conducevano abili rapporti diplomatici col governo turco e le loro finanze derivavano quasi esclusivamente dalla protezione della pirateria. Dal 1500 al 1700, nei mercati degli schiavi di quelle reggenze, furono venduti da 1 milione a 1 milione e 500.000 schiavi bianchi. Si calcola che fino al 1815 venissero trattati in quelle piazze circa 20.000 schiavi l’anno. Gli studiosi hanno trovato negli archivi di Stato di Cagliari, Barcellona e Madrid, diverse lettere d’affari tra Sardegna e Spagna. In una lettera inviata nel 1600 dal commerciante cagliaritano Antonio Porta al re di Spagna per chiedere l’infeudazione del mare di Portoscuso per impiantarvi una tonnara, esiste, scritta in spagnolo, una frase che tradotta in italiano suona così: «Nell’isola di san Pietro attraccano navi corsare saracene che trafficano tanti cristiani fatti schiavi che, così numerosi, non si vedono neppure a Madrid».

Oltre alla tratta degli schiavi vi era un’altra attività piuttosto lucrosa: i Turchi avevano istituito un sistema di rilascio di salvacondotti a pagamento per le navi europee che solcavano il Mediterraneo. Chi pagava non veniva attaccato. Gli stessi Stati Uniti d’America, appena costituiti, nel 1795 con un trattato a firma di Giorgio Washington, si erano accordatI coi Bey di Algeri, Tunisi e Tripoli, per la somma colossale di 1 milione di dollari l’anno purché le navi commerciali americane, che vendevano i loro prodotti agricoli in Mediterraneo, non venissero attaccate dai corsari.

Ben si comprende in quale stato di pericolo perenne si trovassero la popolazioni costiere del Sulcis e del Cagliaritano che erano proprio al centro di una morsa: a Sud vi era la minaccia turca. A Nord vi erano gli Stati europei in lotta perenne fra di loro, e perennemente assetati di danaro, tonno sotto sale, grano e uomini da arruolare forzatamente per le loro guerre interminabili.

La dominazione turca era interessata alle città costiere del Nord Africa, porto sicuro per i corsari, mentre era carente la sua presenza nelle oasi sahariane. Qui le tribù berbere gestivano in completa autonomia il commercio di schiavi africani. Vocazione commerciale mai perduta.

La “Guerra da Corsa” venne dichiarata illegale dal Congresso di Vienna nel 1815. La sua cessazione venne imposta  col bombardamento di Algeri e Tripoli nel 1816 de parte della flotta anglo-olandese comandata dall’ammiraglio Lord Exmouth, attuata per ritorsione all’incursione berbaresca su Sant’Antioco il 16 ottobre 1815.

Avendo perso i proventi assicurati dalle mercanzie delle navi catturate, l’unica risorsa rimasta a quei beycati fu il commercio degli schiavi. Ma anche questo introito entrò in crisi quando nel 1830 la Francia conquistò l’Algeria e le Società antischiaviste inglesi imposero al Sultano di Istanbul di fermare la pratica dello schiavismo. Ma solo nel 1855 il Sultano interdisse l’imbarco di schiavi nei porti di Tripoli, Bengasi e Derna.

Nonostante ciò la schiavitù non fu abolita per altri 50 anni. Si estinse definitivamente nei porti libici nell’anno 1911 quando gli italiani conquistarono la Libia con la Guerra Italo-Turca.

Invece a livello tribale, nel Maghreb Sahariano, la schiavitù è tristemente sopravvissuta fino ai giorni nostri.

***

La Sardegna, per secoli, subì le incursioni dei pirati nord-africani a caccia di merci e di schiavi. E’ stato calcolato da recenti ricerche che il 90 per cento delle incursioni in Sardegna avvenne tra Capo Carbonara ed il Sulcis. Questa costante minaccia alle città costiere ne aveva determinato la scomparsa. Le scarse popolazioni si rifugiarono all’interno. Karales dall’anno 704 iniziò ad essere abbandonata e i suoi abitanti costruirono un nuovo centro abitato nell’isolotto di San Simone, nella laguna di Santa Gilla. La città venne poi fortificata con mura; ebbe una cattedra vescovile e fu sede di un giudice sovrano del Giudicato di Calari. La città giudicale si chiamò Santa Igia (Cecilia) (Coroneo, Casula).

Nell’anno  704 (Coroneo, Boscolo, Mohamed Bazama), la città di Sulci venne attaccata da una squadra navale saracena. La città non si risollevò mai più da quella distruzione. Un piccolo nucleo abitato si sviluppò intorno alla Basilica del Santo Antioco. Eravamo nell’alto Medio Evo, in piena amministrazione bizantina ortodossa.

Contemporaneamente anche la città di Tharros, per gli stessi motivi, venne abbandonata e il vescovo, con tutta la popolazione si spostò verso la tenuta agricola di Oristano. Eravamo nel periodo di transizione dal bizantino al giudicale.

L’isola Plumbaria (di Sulci) nel 1300 assunse il nome di isola di Sant’Antioco ed era deserta. Nonostante ciò la Basilica non si deteriorò. Venne sempre curata. Sant’Antioco era considerato protettore della Sardegna intera, efficace intercessore contro le calamità naturali, le epidemie e le orde barbaresche. Almeno due volte l’anno: nel dies natalis (13 novembre) e poi nel lunedì successivo alle due settimane dopo il lunedì dell’Angelo, una gran folla di fedeli tornava nell’isola per impetrare le grazie del Santo.

Nonostante l’isola fosse perennemente infestata dai pirati magrebini, in quei giorni di festa non avvenivano aggressioni ai pellegrini. Gli stessi pirati avevano un certo rispetto per il Santo. Le storie più note di miracoli del Santo a protezione dai pirati vengono raccontate sia da storici musulmani che da storici nostrani come il Vidal e padre Filippo Pili. Il Vidal era sacerdote e storico di grande cultura, nato a Maracalagonis nel 1575. Viaggiò per molti anni predicando in diverse città di Spagna e Italia.  Al termine dell’elenco di un nutrito numero di miracoli operati dal santo egli scrisse, a proposito dei rapporti tra sardi e turchi: «Tralascio per brevità una infinità di altri miracoli operati dalla misericordia del Signore, per intercessione e i meriti del glorioso martire Antioco. Se non ci fossero stati miracoli, basterebbe il concorso che si verifica ogni anno delle moltitudini che vanno pellegrinando all’isola di Sulci, un’isola deserta, spopolata, ma anche molto frequentata dai corsari di Berberia; né mai è avvenuto che qualche persona si stata fatta schiava; né mai si è visto corsaro alcuno che sia sceso a terra e abbia osato fare saccheggi ed assalire coloro che vanno o ritornano dalla festa; che se qualche volta qualcuno ci ha provato, ha pagato ciò duramente…»  

Inoltre racconta: «Antiogu Pretu di Maracalagonis, da ben 30 anni schiavo nelle galere di Algeri, mi disse che, essendo andati una volta i Mori a Sulci per prendersi il bestiame appartenente all’opera del santo, molti tornarono malconci o morti, tanto che il Rais inviò un grande vaso d’olio alla chiesa del Santo (per le lucerne) e minacciò i suoi corsari che avrebbe inflitto loro delle pene severe se avessero toccato le proprietà del Santo perché Antiogo “star diavolo”».

I sardi non avevano una flotta per la difesa in mare, né strutture fortificate sufficienti a terra. In mare provvedevano a questa funzione le navi armate dei cavalieri di Malta che pattugliavano il Mediterraneo. Tuttavia, erano insufficienti. All’uopo interveniva in soccorso delle vittime di rapimento l’ordine dei Frati di Santa Maria della Mercede: i Mercedari. Era un Ordine questuante e armato che raccoglieva fondi per il riscatto degli schiavi. Un altro aiuto importante era dato dalla Madonna di Bonaria di Cagliari. Veniva invocata affinché desse buon vento alle vele (bona aria) per sfuggire ai pirati turchi. Quando il miracolo si realizzava l’equipaggio si recava in pellegrinaggio al Santuario di Cagliari per sciogliere il voto per la protezione ottenuta. Per questo la Madonna di Bonaria divenne la Patrona dei Mari di Sardegna e il suo simulacro regge con la mano destra una navicella d’avorio a vele spiegate.

Questo fu il massimo della reazione dei sardi alla minaccia turca, tranne che in due episodi. Il primo fu quello dell’incursione barbaresca su Carloforte il 2 settembre 1798, che costò 930 rapiti. In quel caso, oltre alle trattative dei Mercedari, all’intervento del Papa, dello Zar di Russia e dello stesso Napoleone,  potè maggiormente  l’insistenza di Giovanni Porcile, duca di Carloforte e conte di Sant’Antioco, presso il Bey di Tunisi. Ma forse ancora di più potè il giovane  Vittorio Porcile che armò un vascello e si diede alla guerra da corsa sulle coste africane onde fare prigionieri e scambiarli con i carlofortini rapiti.

Il secondo episodio è quello dell’incursione barbaresca su Sant’Antioco del  1815. In quel caso i miliziani antiochensi, asserragliati sul forte, uccisero 300 pirati barbareschi. Vi furono 130 sequestrati, che vennero poi messi in vendita al mercato di Tunisi e Algeri.

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Oggi le notizie giornalistiche sulla formale occupazione del Mar di Sardegna dall’Africa fino a 13 chilometri dalla costa di Sant’Antioco (in prossimità dell’isola del Toro) attuata dall’Algeria, con l’evidente silenzio-assenso della Turchia di Erdogan, non ci deve sorprendere. Ciò però deve indurre ad un’adeguata reazione. Sicuramente, se questa azione fosse stata compiuta a danno degli interessi degli Stati Uniti, sul mare sarebbe già in loco la Sesta Flotta. Ma noi non siamo da meno. In mancanza d’altro possiamo pur sempre schierare Sant’Antioco Martire e la Madonna di Bonaria, mitragliando “coggius” contro “su paganu “.

Mario Marroccu

Alessandra Todde (Mi
Carbonia: prorogata

giampaolo.cirronis@gmail.com

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