Modesto Melis: da Carbonia a Mauthausen, la triste e drammatica realtà di una guerra
Sabato 8 giugno 2013, presso la biblioteca comunale di Portoscuso, è stato presentato il libro di Giuseppe Mura “L’animo degli offesi”. Presenti tra i molti, il vicesindaco Ignazio Atzori e l’assessore Orietta Mura che hanno dato via ai lavori. Sempre presente e non solo fisicamente, l’editore Giampaolo Cirronis a cui va un sentito ringraziamento per il serio ed efficace lavoro culturale a favore del Sulcis Iglesiente. La relatrice Loriana Pitzalis, attraverso la voce di Carla Basso, ha dato lettura di alcune pagine salienti dell’opera. Accesi i riflettori su testimonianze di situazioni realmente avvenute, si è respirato l’odore della malvagità e l’indignazione per far sì che nessuno dimentichi ma, soprattutto, che le nuove generazioni, che non hanno conosciuto gli eventi, sappiano e meditino sopra gli orrori della guerra. La lettura ha poi lasciato spazio all’autore Giuseppe Mura con cui ci complimentiamo per aver stigmatizzato e dato voce alla soggettività di quegli avvenimenti, senza la quale sarebbero solo cenni di una conoscenza storica oggettiva realmente accaduta. Il protagonista Modesto Melis ha continuato la narrazione; sopravvissuto agli orrori dell’olocausto, ha testimoniato con straordinaria lucidità quei tragici momenti successivi all’armistizio, quando anche per lui iniziò la vera e disumana guerra. In netta contrapposizione alla Shoah, che rappresenta il concetto di ineluttabilità, di un destino contro cui non si può lottare, Modesto ci ha invece dimostrato che, lottare e combattere, è davvero possibile: gli crediamo. Nel ‘43, dopo l’armistizio, le truppe tedesche misero in esecuzione il piano che prevedeva “arresto esercito” e successiva deportazione. L’8 settembre l’esercito fu di fronte a tre alternative: collaborare con i tedeschi, consegnare le armi o lottare contro i tedeschi. Molti soldati riuscirono a fuggire e diventare partigiani. Modesto, né consegnando le armi né scegliendo l’impensabile collaborazione, venne considerato nemico dei tedeschi e quindi schedato come attivista partigiano, così come in effetti era. Collaborò al rifornimento d’armi sostenendo la resistenza armata. La fase di sbandamento successiva all’8 settembre, che subì l’esercito, fu ben evidenziata nel racconto dalla deriva a cui lui stesso andò incontro. A Firenze, infatti, si trovò sbandato, a vivere di espedienti, fra rischi ed insidie: erano il triste risultato di un esercito disperso, allo sbando, senza direzione e comando. È in quella città stessa che venne catturato dai fascisti e deportato a Mauthausen sino al 5 maggio del 1945 quando, con l’arrivo degli alleati liberatori, ritrovò la libertà. Fiero di appartenere al nobile corpo dei paracadutisti, riconoscerà di aver avuto in dotazione un paracadute che si è sempre aperto. È stata una narrazione inedita, per certi aspetti di annientamento della personalità umana, sia in senso fisico che morale. Una tragica lotta giornaliera per la sopravvivenza come fossero stati dei primitivi. L’esperienza traumatica dei lager ha alterato profondamente la sensibilità umana. L’abilità personale e l’astuzia, ci racconta il protagonista, hanno svolto un ruolo determinante per sopravvivere ai soprusi ed agli insulti alla dignità dell’uomo di altri uomini. La vita nel campo, non aveva più nulla di umano e a volte, gli internati, spinti dalla disperazione, trovavano il coraggio di suicidarsi, andando a toccare i reticolati ad alta tensione del campo. Ma furono le epidemie nei diversi campi di concentramento, di cui Auschwitz era il simbolo, a rappresentare una gran parte dei decessi per infezioni varie. I racconti dei sopravvissuti, di ciò che avevano visto e vissuto nei lager inizialmente non furono creduti. Lo stesso Modesto ha impiegato decenni prima di aprirsi ai suoi dolorosi ricordi. Altri invece non sono riusciti neppure a narrare l’orrore che avevano vissuto. Per questo, senza le testimonianze dirette di quei tragici avvenimenti e ben documentate dalle truppe americane, ci risultano incomprensibili. Il valore di questo lascito è la conservazione della memoria attraverso una rievocazione di avvenimenti ed immagini indelebili, ricco di forti dettagli dolorosi che nemmeno possiamo immaginare. Modesto ha inoltre risposto con garbo e precisione alle numerose domande dei presenti, ricordando, tra le altre cose, gli anni in cui partì giovanissimo e con grande entusiasmo verso Carbonia. Nemmeno la partenza per il fronte fu fonte di preoccupazione, grazie all’incoscienza dei vent’anni. Ha anche precisato di non essere mai ritornato nel campo di concentramento, cosa che anche seppur con amarezza, vorrebbe fare a breve. Modesto è riuscito a far rivivere a chi lo ha ascoltato, i momenti di tensione che si presentavano ad ogni allarme. Lo ha fatto attraverso una sirena antiaerea manuale, cimelio di quei campi, che continua a mostrare soprattutto ai giovani studenti. Generando con una manovella il sibilo terrorizzante, quasi ad avvertirci di possibili attuali pericoli è riuscito a far provare quel senso di angoscia che lo ha turbato per anni. Quello che Modesto ed altri reduci ci hanno raccontato è la realtà che è stata non un film, non una fiction sulla guerra o l’olocausto ma una paura, un terrore che non finisce pigiando il tasto della tv o chiudendo le pagine di un libro. Episodi e stragi che ancora oggi si compiono in nome di una falsa modernità, ci suggeriscono che le conquiste che diamo per scontate potrebbero esserci tolte in ogni momento. Al termine della manifestazione si è raggiunto “Su Pranu” antistante la chiesa di Santa Maria D’Itria, dove, nei suoi locali, è stata inaugurata la mostra di Alessandro Spiga: una raccolta di immagini di reduci della tragica guerra.
Ernesto Valdes
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