1 November, 2024

Piove dentro casa e mettiamo secchi e pentole per terra prima che l’acqua bagni i tappeti. Stiamo facendo la stessa cosa nella Sanità Pubblica dal 1992.
Quando Oscar Luigi Scalfaro si accorse che l’Italia correva il rischio del dèfault economico dette l’incarico di Governo a Giuliano Amato che ci salvò. Egli prese provvedimenti d’emergenza che erano giustificati ma che adesso, da almeno 25 anni, non lo sono più. Per risparmiare sulla spesa sanitaria egli dette l’incarico di ministro della Sanità a Francesco De Lorenzo che, da buon liberale, approntò una legge neo-liberista: la 502 del 30 dicembre 1999. Quella legge abolì il principio cardine della più grande legge italiana dopo la Costituzione: la legge sanitaria 833 di Tina Anselmi. Ne smontò il principio di uguaglianza, equità, universalità e gratuità della Sanità pubblica per tutti nella Nazione. Abolì gli organi democratici di governo delle Unità Sanitarie Locali e le trasformò in “Aziende” di tipo privatistico, con un “Manager”.
Fin qui si può capire e anche approvare quel metodo, data la confusione politica di quegli anni  Non si è mai capito, però, per quale motivo quella linea liberista, in campo pubblico, sia stata mantenuta e aggravata da ministri della stessa area politica riformista a cui apparteneva Tina Anselmi.
L’aziendalizzazione di tipo privatistico applicata alla Sanità pubblica peggiorò nel 2001 con la modifica del Titolo V della Costituzione, poi col Governo Berlusconi del 2003, col Governo Monti del 2010 (che fece leggi che indussero la riduzione di reparti ospedalieri e la chiusura di ospedali) e col governo Renzi che emanò norme ancora più restrittive per gli ospedali pubblici (DM 70/ 2015).
Tina Anselmi nel 1978 aveva abolito le Casse Mutue e l’ampio uso dell’ospedalità privata e caritativa, concentrando tutta la sanità negli ospedali pubblici ed aveva ottenuto grande soddisfazione nella popolazione. I Governi dal 1992 in poi fecero il contrario: tolsero all’ospedalità pubblica la centralità sanitaria e la suddivisero con gli ospedali privati (case di cura). Così la parola “Servizio” scomparve dall’acronimo SSN (Servizio Sanitario Nazionale) e venne sostituita dalla parola “Sistema” (Sistema Sanitario Nazionale – SSN). Allora non ci accorgemmo di quel cambiamento apparentemente insignificante, invece esso conteneva la sostanza di un cambiamento enorme: da allora la Sanità privata cominciò a lavorare facendo “Sistema“ con la Sanità pubblica. La riforma di Tina Anselmi era finita.
Fino ad allora il “Fondo Sanitario Nazionale” era stato riservato alla sola Sanità pubblica. Da allora il “Fondo sanitario” venne suddiviso fra Sanità pubblica e Sanità privata. Per pagare la sanità privata si attinse dallo stesso unico fondo a cui attingeva la Sanità pubblica.
La Sanità privata fu sempre efficiente. Si è vista, per esempio, la sua efficienza durante l’epidemia di Covid. Nel tempo, man mano che aumentava la percentuale di Fondo sanitario destinato a pagare la sanità privata, inevitabilmente, diminuì la quota rimasta per quella pubblica. Si capisce che con l’aumento della spesa per la Sanità privata, la Sanità pubblica è destinata ad essere progressivamente sottopagata. Alla fine la pubblica va in crisi per deficienza di fondi.
In Sardegna, in particolare, a questo meccanismo di morte lenta per deficit di finanziamento degli ospedali, si è aggiunto un altro meccanismo anche peggiore: la “Centralizzazione “ della Sanità ospedaliera nelle due città di Cagliari e Sassari e il depotenziamento dei 6 ospedali delle altre Province. In particolare, l’accentramento sanitario regionale è stato concentrato nell’ARNAS Brotzu di Cagliari.
La spiegazione per cui venne avviato questo progetto accentratore era semplice: «Visto che l’evoluzione della tecnologia sanitaria è costosissima, per contenere i costi ci conviene centralizzare la spesa in uno o due ospedali regionali». Questa teoria fu micidiale per gli altri 6 ospedali provinciali. Ne conseguì che i direttori generali delle altre ASL sarde ebbero il mandato di «ridurre le spese». Chi più riduceva, più veniva premiato e i direttori generali potevano, in base all’entità del risparmio, ottenere un premio economico. Ne conseguì che ci fu una gara al risparmio proprio negli ospedali provinciali e i fondi regionali si concentrarono, soprattutto, sulle due città universitarie di Cagliari e Sassari. Intanto, a causa della defunzionalizzazione progressiva dei nostri ospedali di provincia, i malati sardi cominciarono a riversarsi su Cagliari. Tuttavia l’ospedalità cagliaritana, e il Brotzu in particolare, non avevano una capacità di posti letto e personale adeguati all’aumentata richiesta. Così il Brotzu, nella notte fra il 13 e 14 luglio 2024 andò in crisi gravissima, con file di barelle alle sue porte, e vi fu una protesta pubblica di tutti i Capi dipartimento medici che si scoprirono inadeguati e impotenti davanti al fenomeno.
Per di più negli ospedali provinciali, come una valanga che si forma lentamente, i medici hanno cominciato ad andarsene. Il danno è grave perché non abbiamo medici giovani, formati ed esperti, pronti alla loro sostituzione.
Contemporaneamente, i medici di base dei territori, privati dei loro ospedali di riferimento provinciali, hanno cominciato a disdire i loro contratti con lo Stato, andando in quiescenza.
Oggi gli ospedali privati del Cagliaritano, presi d’assedio da una gran massa di pazienti rifiutati dagli ospedali pubblici, hanno liste d’attesa di molti mesi, e non riescono a compensare la carenza pubblica.
La scontentezza aumenta e a pagarne il conto sono i Pronto Soccorso. Lì, non essendo possibile assistere tutti contemporaneamente, si creano file di pazienti in attesa per ore. Alla fine, arriva la contestazione proprio contro chi non ha responsabilità.
Questa sintetica ricostruzione storica dell’origine del malcontento sanitario, dimostra che Tina Anselmi aveva ragione a puntare tutto sulla Sanità pubblica così come l’aveva formulata lei.
Aveva ragione anche Francesco De Lorenzo nel momento di quell’emergenza, così come hanno ragione coloro che mettono secchi e pentole per terra per raccogliere l’acqua piovana quando il tetto si rompe.
Nel primo momento è giusto così; tuttavia, per affrontare le piogge successive, è più corretto riparare, cioè “ri-formare” il tetto rotto. Non si può continuare a mettere secchi.
Pochi giorni fa, il governo regionale ha deliberato la spesa di 7 milioni di euro a favore degli ospedali per ridurre le “liste d’attesa”; ha anche deliberato lo stanziamento di 5 milioni di euro per le case di cura private per lo stesso motivo.
Tutto questo, in emergenza, è necessario. Finita l’emergenza si fa programmazione.
Per il futuro bisognerebbe mettersi nelle condizioni di non dover disporre secchi e pentole sotto il tetto rotto per contenere l’acqua piovana. Sarebbe auspicabile riparare il tetto e approntare una Riforma sanitaria regionale che consideri l’immediata:
– attivazione dei 6 ospedali provinciali;
– l’integrazione ospedali provinciali/territorio attraverso le strutture intermedie (case della salute).
– il decentramento sanitario e il coinvolgimento dei territori.

Mario Marroccu

Il Consorzio Turistico Ogliastra Blue Zone ha dato vota all’Ogliastra Guest Card. Si tratta di uno strumento innovativo che permetterà al visitatore una vacanza più comoda e tanti vantaggi per adulti e bambini e che consentirà escursioni, trekking, gite in barca, visite ai siti archeologici, eventi e tante altre iniziative. Sarà acquistabile anche sul sito www.ogliastrabluezone.it .

«Si tratta di un progetto triennale che ha l’obiettivo di promuovere anche con questo mezzo la destinazione Ogliastra. Uno strumento innovativo che ci consentirà di fare il salto di qualità e al progetto di essere sostenibile nel tempo dichiara il direttivo del Consorzio Turistico Ogliastra Blue Zonela pianificazione è infatti fondamentale e per questo il progetto è strutturato sui tre anni. L’Ogliastra Guest Card sarà presentata agli operatori turistici nel mese di novembre finalmente un obiettivo comune e soprattutto la possibilità di pianificare in anticipo la stagione turistica. Crediamo fortemente in una cabina di regia, auspichiamo che possa crearsi quanto prima tra operatori ed ente pubblico.»
Antonio Caria

L’Iglesias ospita l’Alghero allenato dall’iglesiente Gian Marco Giandon (ex con 90 presenze e 3 goal con la maglia rossoblù) nella quarta giornata del campionato di Eccellenza regionale 2024/2025. Dirige Francesco Succu di Nuoro, assistenti di linea Francesco Collu di Oristano e Marco Navarra di Carbonia.

Reduce dalla bella vittoria di Ossi, risultato non ancora omologato per il ricorso presentato dall’Ossese, la squadra di Giampaolo Murru cerca i primi punti davanti ai propri tifosi, dopo l’immeritata sconfitta subita con il Monastir. Ancora assente Mauricio Bringas, chiamato a scontare la quarta e ultima giornata di squalifica ricevuta in eredità dalla passata stagione, Giampaolo Murru deve fare a meno anche di Fabricio Alvarenga, squalificato per una giornata dopo l’espulsione rimediata a Ossi per doppia ammonizione. La squadra è in crescita dopo il completamento dell’organico, e oggi è attesa ad una nuova conferma.

Gian Marco Giandon, da parte sua, non potrà disporre del difensore Roberto Sini, squalificato per una giornata dopo l’espulsione rimediata la settimana scorsa nella trasferta di Li Punti e deve valutare le condizioni di alcuni dei giocatori che hanno saltato la partita precedente. Rientra Leonel Serna, dopo aver scontato una giornata di squalifica.
«Sappiamo che affronteremo una squadra in salute con rinnovate ambizioni, soprattutto dopo la vittoria di domenica a Ossi. Noi, dal canto nostro, dobbiamo iniziare a cambiare passo in termini di personalità, maturità e coraggio. Non so se riusciremo a recuperare qualche infortunato ma ho piena fiducia nei ragazzi che avrò a disposizione», commenta l’allenatore giallorosso Gian Marco Giandon.

Si conclude martedì 8 ottobre, con una mattinata di lavori all’Horse Country Resort di Arborea, il progetto ‘Gocce di Vita’, promosso dal Consorzio di Bonifica Oristanese, col supporto dell’ANBI e la costruttiva collaborazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Oristano, per sensibilizzare la comunità scolastica sull’importanza della gestione sostenibile dell’acqua e dei problemi connessi al cambiamento climatico. 

Saranno presenti esponenti del mondo politico, rappresentanti della Giunta regionale, i vertici delle associazioni agricole, dirigenti scolastici ed i sindaci dei comuni ubicati nel comprensorio consortile. Protagonisti saranno, però, gli studenti di otto classi di diversi Comuni dell’Oristanese (Ghilarza, Mogoro, San Nicolò d’Arcidano, Sedilo e Uras) che, nell’ambito del progetto, hanno partecipato ad un concorso sul valore della risorsa idrica e sull’adattamento al cambiamento climatico.

«Disponibilità e gestione sostenibile dell’acqua rappresentano il 6° Obiettivo dell’Agenda Onu 2030spiega Carlo Corrias, presidente del Consorzio -, da raggiungere anche con il supporto alle comunità locali nell’educazione a una gestione migliore degli impianti e delle risorse. Con Gocce di Vita abbiamo voluto rivolgerci direttamente al mondo della scuola, agli insegnanti e agli studenti: siamo partiti con seminari didattici nel corso dei quali è stato affrontato il tema dell’acqua come risorsa finita, e del cambiamento climatico. I ragazzi hanno poi continuato il lavoro in classe realizzando degli elaborati sul tema (uno per classe), con proposte orientate alla corretta gestione dell’acqua. Siamo assolutamente soddisfatti per l’entusiasmo con il quale le scuole hanno aderito al nostro progetto e per l’impegno dimostrato da tutti gli studenti, non solo da quelli delle classi che hanno presentato le idee ritenute più convincenti dalla giuria di esperti. Con Gocce di vita volevamo tenere viva, nelle nostre Comunità, l’attenzione sull’importanza della gestione sostenibile della risorsa idrica e possiamo dire di aver raggiunto l’obiettivo.»

I lavori, martedì 8 ottobre, inizieranno alle 10.00, saranno moderati dal giornalista Giuseppe Deiana e introdotti dal presidente del Consorzio. Saranno presenti gli studenti delle scuole coinvolte, con i rispettivi professori. Dopo i saluti del Comune ospitante rappresentato dalla sindaca Manuela Pintus, il progetto “Gocce di vita” sarà illustrato dal Dirigente Scolastico Provinciale Fabrizio Floris, quindi, saranno le otto classi partecipanti a presentare i propri elaborati, spiegandone contenuto e obiettivo.

Prima della fase di premiazione sono previsti gli interventi dell’assessore regionale dell’Agricoltura, Gianfranco Satta, dell’assessora regionale della Pubblica Istruzione, Ilaria Portas (o un suo delegato), dell’assessora regionale della Difesa dell’Ambiente, Rosanna Laconi (o un suo delegato), del presidente della Commissione Attività Produttive Antonio Solinas, del Presidente della Commissione Bilancio Alessandro Solinas, della Presidente della Commissione Lavoro e Cultura Camilla Soru, del Vicepresidente della Commissione Attività produttive Emanuele Cera, di Antonio Vittorio Sanna, presidente provinciale di Confagricoltura e Giancarlo Capraro, vicepresidente provinciale di Coldiretti.

Al termine degli interventi programmati verrà proiettato un video fuori concorso, realizzato dall’Associazione Casa Mia, che a Terralba gestisce un centro diurno per persone con disabilità.

In chiusura le premiazioni, affidate al presidente regionale di ANBI (l’Associazione che riunisce i Consorzi di Bonifica), Gavino Pietro Zirattu, al direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale Francesco Feliziani e al direttore del Consorzio di Bonifica Maurizio Scanu.

Presto sarà attiva anche nella Asl Sulcis Iglesiente una struttura ambulatoriale dedicata ai pazienti tumorali e ai pazienti ricoverati, ponendo fine alle trasferte verso altri centri cagliaritani.
L’obiettivo principale dell’ambulatorio è quello di fornire ai pazienti un accesso venoso affidabile e duraturo attraverso l’inserimento di cateteri venosi centrali a lunga permanenza, noti come Picc (peripherally
inserted central catheter o anche catetere centrale a inserzione periferica).
L’istituzione di tale servizio, a gestione infermieristica, prevede un percorso formativo con uno specifico corso che consente di acquisire le skills necessarie, unite all’esperienza professionale di almeno 5 anni nel
profilo di infermiere.
Grazie alla determinazione del direttore della Struttura complessa dell’anestesia e rianimazione, dott. Aldo Clemenza e del direttore della Struttura complessa delle professioni sanitarie dott. Antonello Cuccuru, unitamente al dirigente delle professioni sanitarie dott. Giuseppe Lojacono, è stato portato a compimento il percorso formativo, fortemente voluto dalla Direzione Generale, che il 4 ottobre ha permesso alle due infermiere dell’Anestesia e Rianimazione, dott.ssa Claudia Puddu e dott.ssa Francesca Chessa, di conseguire il certificato di impiantatore di PICC, secondo le raccomandazioni della Consensus del G.I.P.E. (Gruppo Italiano PICC Expert) pubblicate nel 201 e alla Consensus evidence-based del WoCoVa (World Congress of Vascular Access) – pubblicata nel 2013 sul British Journal of Anaesthesya -, presso l’istituto di Medicina Didattica Srl (I.Me.D.) di Siracusa.
Il percorso professionalizzante intrapreso dalle due professioniste è iniziato il 22 gennaio 2024 con un corso di formazione presso l’istituto di Medicina didattica I.Me.D. di Siracusa, al quale è seguita la formazione sul campo, con invio in comando presso l’ambulatorio di accessi vascolari del presidio ospedaliero Marino della Asl di Cagliari, con il tutoring del dott. Paolo Congia, abilitato formatore GAVeCeLT (Gli Accessi Venosi Centrali a Lungo Termine), e delle dottoresse Cristina Mura e Carlotta Spettu. Una curva di apprendimento che si è conclusa ieri con l’audit finale presso il Centro di formazione didattico di Siracusa.
Sarà compito della direzione sanitaria attivare il team di gestione degli accessi vascolari di concerto con la Direzione di anestesia e rianimazione e quella delle professioni sanitarie.
«Un servizio importantedice il direttore sanitario della Asl Sulcis Iglesiente dott. Giuseppe Pirasper gli utenti che vengono sottoposti a chemioterapia non solo presso il presidio ospedaliero Sirai ma anche per i pazienti che effettuano chemioterapia in altre Asl ma che sono residenti sul territorio della Asl Sulcis Iglesiente, evitando così lunghi viaggi verso altri ospedali.»

 

Anita Likmeta per la Narrativa e Ida Travi per la Poesia sono le vincitrici della trentanovesima edizione del Premio “Giuseppe Dessì”.

La scrittrice di origini albanesi Anita Likmeta, in lizza con Deborah Gambetta ed Helena Janeczek, ha ottenuto il riconoscimento per la sezione Narrativa con il romanzo Le favole del comunismo (Marsilio) e la poetessa bresciana Ida Travi, giunta alla finale con Laura Accerboni e Donatella Bisutti si è aggiudicata la palma per la sezione Poesia, con I Tolki (il Saggiatore).

Sono stati assegnati anche i due riconoscimenti annunciati: il Premio Speciale della Giuria, riconoscimento tributato a un autore o a un’opera di vario genere culturale e letterario, andato ad Alessandro Bergonzoni; e il Premio Speciale della Fondazione di Sardegna, destinato a un personaggio del panorama culturale e artistico per l’attività svolta nell’annualità di riferimento, che quest’anno è stato attribuito a Dori Ghezzi.

La serata, presentata dal giornalista e conduttore radiofonico John Vignola, è stata inframezzata dagli interventi musicali dei Perturbazione tratti dal loro repertorio e dalla reinterpretazione de La buona novella, capolavoro di Fabrizio De André, a 25 anni dalla sua scomparsa.

«Questa cerimoniaha ricordato il sindaco di Villacidro, Federico Sollai chiude un’edizione del premio di altissimo profilo, che per numerose settimane ha posto la cultura al centro delle attività di Villacidro: un susseguirsi di appuntamenti di primo livello che si sono distinti per la qualità, la vivacità e l’eccellenza artistica dei partecipanti.»

La presidente della Fondazione Dessì, Deborah Aru, a margine dei ringraziamenti, ha ricordato «il percorso di modernizzazione imboccato dalla Fondazione Dessì con il consolidamento della sua struttura organizzativa, allo scopo di rafforzare i legami tra le attività proposte e il territorio, con particolare riferimento al coinvolgimento e alla partecipazione dei giovani». Presente alla cerimonia anche l’assessora regionale della Cultura, Ilaria Portas, che è così intervenuta: «”Siamo le storie che ci raccontiamo”, come hanno cantato poco fa i Perturbazione, e noi, come assessorato alla Cultura abbiamo il dovere di diffondere ciò che di bello e positivo avviene attorno a noi. Il premio Dessì rappresenta un gioiello per la Sardegna, e oggi il Paese d’ombre si è illuminato, grazie al faro della cultura».

Narrativa. Likmeta racconta nel suo potente romanzo d’esordio il periodo di tumultuosa transizione politica, economica e sociale nell’Albania di fine Novecento, dopo i quarant’anni del regime di Enver Hoxha. La protagonista è Ari, che narra in prima persona i suoi anni da bambina cresciuta – a cavallo tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta – in un villaggio rurale albanese, descrivendo in modo sinceramente ingenuo i disagi che lei e i suoi compaesani si trovano ad affrontare, sullo sfondo delle contraddizioni di un sistema illiberale.

Poesia. Con la saga poetica premiata oggi, Travi ha portato a termine un vasto ciclo poetico cui ha lavorato ininterrottamente per quindici anni. I Tolki (un’invenzione linguistica giocata sulla sonorità del verbo inglese to talk) sono esseri parlanti e la loro esistenza è marchiata dal linguaggio, il loro mondo parallelo ha molti punti di contatto con il mondo reale, ma allo stesso tempo è un universo “altro”. Nella poesia di Travi, la parola viene riportata alla sua essenza più pura e semplice, grazie a un processo di spoliazione che dona al linguaggio una nuova trasparenza.

Bilancio. Nell’anno che precede il traguardo della quarantesima edizione il Premio ha confermato il successo della nuova formula che differisce gli eventi in cartellone distribuendoli su tre settimane diverse, gradita dal pubblico e in grado di tenere più a lungo i riflettori accesi sugli appuntamenti culturali del Paese d’ombre.

Domani, domenica 6 ottobre), l’appuntamento con i finalisti e i vincitori che incontreranno il pubblico, a partire dalle 10.00 nel cortile di Casa Dessì, chiuderà il sipario dell’edizione 2024 del Premio.

 

Diversi anni fa, quando sono stato nominato direttore della Struttura complessa delle professioni sanitarie, ho ricevuto in regalo un libro – da alcuni colleghi dell’area dell’emergenza, da cui provenivov-: “Il nostro iceberg si sta sciogliendo” di John Kotter e Holger Rathgeber.
Un testo che mi è piaciuto subito e che nella vita ho usato diverse volte, soprattutto, negli incontri con il middle management (livello intermedio costituto dagli ex coordinatori assistenziali) o nelle lezioni ai corsi di laurea delle professioni sanitarie.
“Il nostro iceberg si sta sciogliendo”, è una favola che insegna ad affrontare in modo efficace la sfida del cambiamento. Questa favola, apparentemente semplice, racconta la storia di una colonia di pinguini che da sempre abitano su un iceberg in Antartide.
La storia ruota intorno a 6 personaggi principali, 6 caratteri e 6 modi di reagire all’inevitabile cambiamento che la colonia di pinguini dovrà affrontare: Fred, Alice, Louis, Buddy, il Professore e NoNo sono come le persone che ci circondano quotidianamente. La storia fa sorridere, perché ognuno di noi può ritrovarsi in uno di questi pinguini ed ognuno di noi può ritrovare un collega, un amico, un sindacalista o un manager.
I nostri amici pinguini sono convinti che quella che per generazioni è stata la loro casa (o il loro ospedale, nel nostro caso) lo sarà per sempre, ma un giorno Fred, curioso e osservatore, scopre che l’iceberg si sta sciogliendo e rischia di spaccarsi in mille pezzi mettendo a serio rischio la sopravvivenza di tutti.
Deve assolutamente fare qualcosa, ma lui è un pinguino qualunque e teme di non avere sufficiente autorevolezza per farsi ascoltare da tutta la comunità. Preoccupato per la gravità della sua scoperta, decide di farsi coraggio e di informare il Consiglio direttivo, detto anche il Gruppo dei Dieci, composto dai leader della colonia. Coinvolge Alice, una pinguina concreta e tenace, il membro del Consiglio che è disposta ad ascoltarlo ed a prenderlo seriamente in considerazione.
Insieme verificano l’effettiva gravità del pericolo che li minaccia e decidono di informare tutti i membri del Consiglio direttivo, compreso il Pinguino capo.
Si verifica ciò che molto spesso accade anche nella nostra realtà lavorativa: scetticismo, ostacoli, paura dell’ignoto, fermezza sulle proprie posizioni anche di fronte all’evidenza. Non sarà facile convincere i leader a comprendere che il loro mondo sta cambiando e che tutta la comunità dovrà adattarsi al cambiamento prendendo rapidamente delle decisioni importanti.
Non è facile accettare che tutto ciò che hai costruito negli anni, tutto ciò che sei abituato a vivere (il lavoro a due passi da casa), vedere e riconoscere come familiare, d’un tratto non sia più lì, non sia immutabile e invulnerabile.
Sempre con l’apparente semplicità di una favola, ma in realtà densa di concetti, la storia prosegue raccontando, con semplicità e chiarezza, come la colonia di pinguini riesce a comprendere il problema, a mettere in atto un’efficace comunicazione per informare tutta la comunità senza diffondere il panico, ad analizzare insieme la situazione individuando vantaggi e svantaggi delle scelte possibili, e ad impostare con impegno e passione un buon lavoro di squadra, per motivare tutti a trovare la soluzione migliore e metterla in pratica con successo.
Quella dei pinguini è una storia di resistenza al cambiamento, di un’eroica vittoria su ostacoli apparentemente insormontabili, di confusioni, di intuizioni, di problemi, di tattiche ingegnose per superarli. E’ la storia di un tempo in cui il cambiamento non può essere più evitato.

La resistenza al cambiamento è l’ostacolo più grosso alla nostra sopravvivenza e, mi sia consentito, sia di quella professionale che di quella personale. Applicando la metafora alla nostra sanità locale, ci rendiamo conto che anche la sanità del Sulcis Iglesiente rischia di sciogliersi e di sbriciolarsi in tanti pezzi. In questo ultimo anno abbiamo temporaneamente sospeso (dire chiuso è pericoloso e rimanda a realtà di finitudine) le attività della Rianimazione di Iglesias, dell’Ortopedia e Traumatologia del Sirai e Cto, dell’Urologia e della Neurologia e, nei prossimi mesi, rischiamo di perdere altri pezzi per mancanza di specialisti. Tutto questo impone un cambiamento urgente della nostra organizzazione.
John Kotter e Holger Rathgeber  hanno usato la metafora della colonia di pinguini su un iceberg che si sta sciogliendo per identificare le tappe necessarie a un pinguino marginale alla colonia (Fred) per convincere gli altri ad avviare una strategia di cambiamento. A tal fine, Fred ha bisogno di creare un “senso di urgenza” rispetto alla necessità del cambiamento e all’importanza di agire tempestivamente, di costituire un gruppo coeso di promotori del cambiamento, di sviluppare una strategia di cambiamento efficace (nel caso, spostarsi su un altro iceberg), di adottare una strategia comunicativa capace di rimuovere le resistenze e di motivare i membri alla partecipazione attiva. Fred e i suoi compagni, infine, si trovano nella necessità di istituzionalizzare una cultura del cambiamento, in modo da rendere l’organizzazione capace di adattamenti continui.
Il cambiamento non è, dunque, frutto di strategie pertinenti, quanto di un’azione organizzata rivolta al superamento delle resistenze al cambiamento stesso, ovvero dei tentativi di rimandare, rallentare o impedire l’adozione di innovazioni organizzative (Ansoff, McDonnell, 1990). Nell’attuale spaccato di sgretolamento della sanità del Sulcis iglesiente, ma consentitemi di dire dell’intera Regione Sardegna, sarebbe facile scegliere di chiedere di più, invocare maggiori risorse. Ma sappiamo che le nostre richieste sarebbero destinate a non sortire gli effetti sperati.
In un contesto caratterizzato da un dibattito pubblico che raramente fa i conti con numeri ed evidenze, sono convinto che il management della sanità dovrebbe assumersi le responsabilità di un esercizio di realismo.
Quando diciamo che bisogna cambiare rotta per il futuro della sanità pubblica, pensiamo in primo luogo alla necessità di dire la verità, per riuscire a ragionare pragmaticamente su cosa fare per continuare a garantire la sostenibilità del SSN nel quadro di compatibilità dato. Questa operazione verità è necessaria e indispensabile per ricreare intorno al servizio sanitario pubblico quella cornice di condivisione collettiva di motivazioni e obiettivi comuni che è stata alla base dell’introduzione, nel 1978, della copertura universalistica della salute dei cittadini e, da ultimo nel 2020, della tensione positiva che ha permesso di superare, tutti insieme, una emergenza sanitaria violenta e inaspettata come quella da SARS-CoV2. Non possiamo continuare a organizzare i nostri servizi come se l’unica garanzia possibile dei LEA fosse affidata all’offerta di prestazioni. È necessario cambiare iceberg, abbandonare la logica della rincorsa alle prestazioni e puntare su un governo deciso della domanda. È questa, probabilmente, la strada obbligata per continuare ad assicurare l’universalismo del SSN, garantendo a ciascuno ciò di cui ha effettivamente bisogno nel momento in cui ne ha necessità, e coniugando appropriatezza e sostenibilità con produzione di valore per il singolo cittadino e la collettività.
Le strutture territoriali previste dal PNRR, Case e Ospedali di comunità e Centrali operative territoriali, così come la digitalizzazione, sono una straordinaria opportunità per trasformare i servizi che offriamo ai cittadini, mettere in discussione una volta per tutte le logiche prestazionali, ripensare i modelli di presa in cura e puntare con decisione sulla medicina di iniziativa, sull’integrazione dei percorsi e sull’appropriatezza.
Non possiamo accontentarci di aggiungere queste nuove strutture territoriali al nostro sistema di offerta dei 3 Distretti socio sanitari, dobbiamo cogliere questa occasione per ripensare modalità e obiettivi della presa in cura, soprattutto delle cronicità e delle fragilità, anche valorizzando i preesistenti servizi sul territorio. La vera posta in gioco dell’attuazione di quanto previsto da PNRR e DM77, al di là della dimensione strettamente strutturale, risiede nella nostra capacità di ripensare e riprogettare i servizi sanitari e i loro modelli organizzativi e di fruizione da parte dei pazienti.
Case e Ospedali di comunità, Cot, investimenti in assistenza domiciliare per concorrere al mantenimento dell’autosufficienza, scelta del domicilio del paziente come setting privilegiato per l’assistenza territoriale, realizzazione di strutture intermedie, rafforzamento della medicina generale e delle cure primarie, nuovo modello di organizzazione del territorio in relazione ed integrazione con le strutture ospedaliere. Dobbiamo guardare a tutti questi elementi come a un’opportunità per ripensare il modello di presa in cura. Sono tutti punti di una agenda obbligata per affrontare con successo la stagione attuale, con un occhio al quadro epidemiologico presente e futuro e al peso crescente di cronicità e comorbidità, e un altro alla tenuta e allo sviluppo del Sistema sanitario regionale.
Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla mission effettiva del Ssn, che è produrre salute, non prestazioni, e garantirne la sostenibilità nella accezione più completa della parola, tenendo conto dei bisogni di salute, della nostra capacità di produzione, della esigenza di utilizzo appropriato ed equo delle risorse. Le transizioni demografica ed epidemiologica richiedono nuove politiche, a partire da investimenti organizzativi che abbiano il coraggio di innovare e riformare le vecchie modalità di erogazione dei servizi, lasciandosi definitivamente alle spalle le logiche prestazionali e puntando sulla appropriatezza allocativa in relazione alla tipologia di bisogni via via emersi e consolidati.
L’invecchiamento della popolazione, le cronicità, i nuovi bisogni di cura ed assistenza, la pressione dell’innovazione tecnologica e le ricadute di tutto ciò, richiedono un definitivo cambio di paradigma e di prospettiva. Non possiamo garantire efficacemente la tutela della salute continuando a privilegiare l’erogazione di singole prestazioni. La partita vera si gioca sull’intero percorso di presa in cura, soprattutto, per le cronicità, e sui suoi esiti in termini di salute e di qualità della vita.
Un approccio di questo genere favorirebbe una riorganizzazione dei servizi sanitari basati sulla centralità della costruzione dei percorsi integrati di presa in cura intorno ai pazienti con la loro patologia, condizione, i loro bisogni, in maniera da massimizzarne il valore per fasce o gruppi di popolazione portatori di quegli specifici bisogni e non guardando prioritariamente alle prestazioni e ai servizi erogati.
Tutte queste riflessioni rischiano, tuttavia, di lasciare il tempo che trovano se non facciamo i conti con le questioni che riguardano le risorse umane, tra le più complesse da affrontare e da risolvere.
Pesano certamente alcuni fattori esterni al settore, altri decisamente più specifici, come i livelli retributivi inadeguati o le condizioni di lavoro. Alle carenze di medici, soprattutto, per alcune aree specialistiche, si aggiunge il dato sull’età media. Nel 2020 il 56% del personale medico italiano aveva più di 55 anni di età, il valore più alto tra tutti i paesi dell’Unione europea. Oggi, inoltre, rischiamo di assistere impotenti alla fuga dei nostri operatori sanitari. Solo nel 2021 hanno lasciato il Ssn in 5mila. Nella nostra Asl si sono licenziati cardiologi, ortopedici e neurologi per andare a lavorare altrove, perché non siamo riusciti a motivarli. Non possiamo permettercelo, e non dobbiamo permetterlo. A tutto questo, si deve aggiungere che il rapporto tra il numero di medici e infermieri in servizio, il cosiddetto skill mix, non è cambiato nel tempo. Le crescenti difficoltà di reclutamento riguardano anche il personale delle professioni sanitarie e, in prospettiva, in misura più rilevante rispetto alla componente medica, con un preoccupante calo del numero di iscritti ai corsi di laurea.
Alle criticità del reclutamento, si aggiunge la difficoltà di non poter contare sulla piena disponibilità delle risorse in organico, a causa delle assenze e delle limitazioni per inidoneità. Una survey condotta dalla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) su tutto il territorio nazionale per gli anni dal 2019 al 2022 documenta assenze dal lavoro per aspettative, permessi, legge 104, malattia, in crescita del 21,4% e un valore complessivo, nel 2022, del 18% di dipendenti assenti dal lavoro.
Altro fenomeno rilevante riguarda le limitazioni (alla movimentazione di pazienti o carichi, ai turni notturni o alla reperibilità, psichiatriche, psicosociali, da stress), che interessa il 12% degli operatori sanitari. Limitazioni, anch’esse, in crescita nello stesso periodo (+48%),e concentrate per il 65% nella fascia di età al di sopra dei 51 anni.
Nella Asl del Sulcis Iglesiente, dei 681 dipendenti afferenti alle professioni sanitarie, che prestano servizio nei 3 presidi ospedalieri, il 37% ha un giudizio di idoneità alla mansione specifica con limitazioni/prescrizioni e il 34% usufruisce dei permessi di cui alla L. 104/92.
A determinare la situazione attuale, ha concorso una pluralità di elementi. Sicuramente una programmazione inadeguata, in particolare degli accessi alle specialità, incrementati solo di recente, prevedendo anche la possibilità per i medici in formazione, di partecipare ai concorsi già dal secondo anno di specializzazione. Le norme per il reclutamento del personale sono vetuste, appesantite da numerosi adempimenti formali. La loro semplificazione, salvaguardando l’accertamento dei requisiti complessivi di accesso al Ssn, appare ormai improcrastinabile.
I sistemi di valutazione sono inadeguati, poco utili nelle forme attuali per la valorizzazione delle competenze, la premialità appiattita a vantaggio di riconoscimenti economici diffusi. Un quadro che, nell’insieme, lascia poco spazio a percorsi di carriera e sistemi di incentivazione interessanti per le nuove leve che decidono di venire a lavorare nella nostra Asl.
Sarebbe opportuno restituire alle aziende la capacità di scegliere come impiegare le risorse. Le risorse umane, così come i farmaci, sono un fattore produttivo indispensabile. E se provassimo a cambiare rotta e invece di stabilire quanto ogni azienda può investire in capitale umano in termini di tetto di spesa, utilizzassimo un valore legato alla produzione?
Ma dobbiamo anche essere in grado di guardare ai nostri operatori riconoscendone il ruolo di professionisti e valorizzandolo in pieno, lasciando a ciascuno la possibilità di investire sulla propria professione. Tutti, dagli infermieri al management strategico, devono poter guadagnare di più se producono risultati.
In questo scenario, le future proposte di policy è bene che tengano in debita considerazione consistenza numerica, profilo organizzativo ed erogativo dei nostri ospedali e le opportunità per un loro potenziale riorientamento produttivo. Non si tratta soltanto di rifocalizzare i nostri stabilimenti, ma, soprattutto, di programmare interventi infrastrutturali sistemici finalizzati alla realizzazione di un ospedale di dimensioni medio-grandi, in grado di esprimere una capacità di offerta all’avanguardia in termini di funzionalità sul piano logistico, impiantistico, organizzativo e tecnologico. In altri termini, non si tratta di tagliare posti letto per acuti, ma, al contrario, l’obiettivo deve essere quello di accorpare quelli che ci sono per raggiungere maggiore massa critica e conseguente “competence” clinica.
L’accorpamento dei posti letto esistenti al Sirai e al Cto in un presidio più grande consentirebbe due altri grandi vantaggi strutturali:
– la possibilità di concentrare anche le tecnologie e le grandi attrezzature, potendone quindi disporre di un numero inferiore, ma più moderne, quindi clinicamente più efficaci e più produttive, da usare con un tasso di saturazione della capacità produttiva più alto;
– una sicura riduzione dei costi di gestione, sia per l’effetto economia di scala, sia per l’effetto garantito dal rinnovo infrastrutturale.
L’errore da non compiere, che purtroppo si registra frequentemente nel Ssn, è mantenere l’utilizzo delle preesistenti facility, non avendo il coraggio attuativo – dei pinguini – di saltare su un altro iceberg e di concentrare tutte le attività in un nuovo ospedale, come inizialmente progettato.

Continuare a puntare su due presidi ospedalieri anche se con diversa vocazione (elezione Cto e urgenza emergenza Sirai), presenta diversi svantaggi:
a) si impedisce la compiuta concentrazione delle attività, l’unificazione dei percorsi di fruizione in un unico luogo, l’aumento potenziale del lavoro multi-professionale;
b) crescono esponenzialmente i costi di gestione dispersi su più strutture;
c) si perde l’effetto comunicativo agli occhi dei cittadini e degli utenti, rinunciando all’occasione di offrire un unico luogo simbolico di fruizione, moderno e funzionale, dove trovare il portafoglio completo dei servizi. L’alto indebitamento del paese, infatti, impone di focalizzarsi su impieghi in conto capitale, capaci, nel medio periodo, di razionalizzare la spesa corrente, non essendo immaginabile che nel lungo periodo essa possa crescere costantemente.
Non dobbiamo dimenticare infine, che il DM 70 esprime un marcato indirizzo verso il riorientamento delle risorse e, considerando l’evoluzione dei modelli assistenziali negli ultimi anni, appare inevitabile l’attivazione di una riflessione profonda verso alcuni punti rispetto al quale risulta parziale nel proprio sviluppo: sul fronte ospedaliero, intensità di cura e reti cliniche che vadano anche oltre quelle tempo-dipendenti; guardando oltre il setting ospedaliero, una maggiore spinta all’integrazione funzionale con setting di cura a minore intensità assistenziale e con il territorio.
La nostra sanità si sta sciogliendo, ma dobbiamo saper cogliere le altre opportunità per vincere la sfida. Ma per fare questo è necessario che il top management aziendale punti sul cambiamento ipotizzato dal prof. John Kotter.
Il professore di leadership alla Harvard Business School, nel 1996 definisce il suo modello di cambiamento in otto passi compresi nelle tre fasi di preparazione, sviluppo e coltivazione o consolidamento.
PREPARAZIONE
1. Creare la necessità.
Evidenzia ai decisori le minacce del non cambiamento e il bisogno di cambiare al più presto. Descrivi loro gli scenari e le forze che mutano le condizioni, e ciò che fanno i concorrenti o i migliori.
2. Formare il team.
Costituisci la squadra che dovrà realizzare il cambiamento, individuando le persone più entusiaste e facendone gli “evangelisti” del cambiamento.
3. Creare la visione.
Fai vedere agli altri come sarà la situazione a cambiamento avvenuto, dove si vuole arrivare, quali saranno i vantaggi.
SVILUPPO
4. Comunicare la visione.
Condividi la nuova visione con tutti i soggetti effettivamente o potenzialmente interessati al cambiamento. Insisti per rinforzare la comunicazione già fatta.
5. Rimuovere gli ostacoli.
Agevola gli agenti di cambiamento e ascolta i contrari per capire le loro ragioni e orientarle verso il cambiamento. Rimuovi gli ostacoli tecnologici, organizzativi e burocratici.
6. Fissare obiettivi a breve.
Spingi gli agenti di cambiamento a realizzare obiettivi limitati e provvisori, che però diano la sensazione di successo e possano così rinforzare la motivazione dei protagonisti. Questi obiettivi permettono anche di aggiustare il tiro nel caso che i risultati non siano del tutto soddisfacenti.
CONSOLIDAMENTO
7. Consolidare i successi.
Sostieni e conferma i miglioramenti raggiunti, rinforzandone gli effetti; tieni presente che il sistema tende a tornare com’era prima.
8. Incorporare i cambiamenti.

Metti a sistema i cambiamenti raggiunti e consolidati, facendoli diventare la regola della nuova organizzazione. In molti casi operazioni di successo, non confermate nel tempo, hanno finito con l’esaurirsi lasciando frustrati quelli che ne erano stati gli artefici. Quest’ultima fase è simile a quella di chi coltiva le piante per tutto l’anno per ottenere un buon raccolto.

Antonello Cuccuru

Mercoledì 9 ottobre 2024, alle ore 18.45, al Cinema Madison di Iglesias, sarà proiettato il film “Maria Montessori – La Nouvelle Femme”, diretto da Léa Todorov e interpretato da Jasmine Trinca e Leila Bekhti. La pellicola narra la straordinaria storia di Maria Montessori e della nascita del metodo pedagogico che ha rivoluzionato l’educazione mondiale. Il film, che sarà presentato dagli operatori della cooperativa sociale Casa Emmaus di Iglesias, ha ricevuto il patrocinio dell’Opera Nazionale Montessori, del comune di Chiaravalle, della Fondazione Montessori Chiaravalle e di Casa Montessori Chiaravalle, a testimonianza del suo alto valore culturale e pedagogico.
 

Un fine settimana alla scoperta di particolari inediti della chiesa della Madonna del Pilar e San Ranieri e di quella dedicata alla Beata Vergine della Neve, due gioielli storici di Villamassargia e parte integrante dell’iniziativa “Le giornate del Romanico”.
Il progetto, proposto dalla Fondazione Sardegna Isola del Romanico di cui la sindaca Debora Porrà è membro del Cda, beneficia della preziosa collaborazione di Enti, Associazioni, volontari e guide e ha coinvolto, oltre Villamassargia per il terzo anno consecutivo, anche altri 70 luoghi di culto dell’isola, con visite guidate che si sono svolte stamane  fino a domani, domenica 6 ottobre su tre turni, nella mattina e nel pomeriggio: 9.30-10.30-11.30 e 16.30-17.30-18.30.
Ad accogliere curiosi, pellegrini e turisti la guida Marta Deidda, profonda conoscitrice dell’imponente chiesa della Beata Vergine della Neve in cui arte romanica, gotica e catalano-aragonese si sono susseguite e il prof. Giampaolo Pittau, già docente di storia dell’arte, che a titolo gratuito ha messo a disposizione il suo sapere per decantare con passione le bellezze della Madonna del Pilar, edificata nel 1318 su progetto di Arzocco de Garnas. «In questa porticina a sinistra della facciata – ha spiegato il prof. Giampaolo Pittau ai presentivi era l’accesso a un piccolo ospedale, nato con la chiesa e annoverato come uno dei primi nosocomi della Sardegna Medievale.»
«Un aspetto positivoha osservato l’assessora della Cultura Sara Cambula che ha supervisionato l’avvio delle visiteè che guide e volontari sono di Villamassargia e ciò permette di raccontare questi luoghi con un approccio emozionale diverso, un sentimento di appartenenza che va oltre il semplice nozionismo.»
«E se, l’arredo settecentesco rende la chiesa della Beata Vergine della Neve, sede parrocchiale, maestosa e solenne», spiega Marta Deidda -. Nell’altra, stilisticamente più sobria, si possono osservare le reliquie di San Ranieri, raffigurato anche nel rifacimento dell’attuale dipinto (l’originale fu rubato negli anni Novanta) che campeggia dietro all’altare e che ritrae la Madonna al centro e San Giacomo con la conchiglia sul petto, a ricordo della sua difficile impresa evangelizzatrice a Saragozza di cui è patrona la Madonna del Pilar.»
Anche questo secondo appuntamento in corso di svolgimento, dopo l’apprezzabile esito del primo, “Luci del Romanico”, svoltosi a fine settembre, promette un buon successo di visitatori.
Per unire il valore della storia massargese a quello dei suoi prodotti tipici, al termine delle visite è prevista una degustazione a base di bruschette con olio di oliva locale, a cura dell’associazione turistica Pro Loco.
 

La scorsa settimana il Consiglio regionale ha approvato un ordine del giorno unitario, con il quale impegna il presidente della Regione, Alessandra Todde, e la Giunta, «ad adottare tutte le iniziative necessarie e opportune, sia a livello nazionale che regionale, affinché la Glencore tenga fede agli impegni assunti con le parti sociali, con la presentazione del piano industriale, scongiurando il proseguo di attività con la sola linea Waelz e riveda la propria decisione di interrompere la linea zinco, mantenendo gli attuali livelli occupazionale della Portovesme srl, nonché di verificare altre soluzioni possibili per l’acquisizione dello stabilimento».

Abbiamo intervistato il presidente del Consiglio regionale, Piero Comandini.