A prescindere dagli strumenti normativi da utilizzare o utilizzabili, inutile prendersi in giro, per essere realmente efficace la mobilitazione del popolo sardo contro la speculazione energetica dovrebbe essere totalmente ricondotta sotto l’ombrello di coloro che legittimamente, poiché votati solo pochi mesi fa alle elezioni regionali, rappresentano politicamente e istituzionalmente la RAS.
Le contrapposizioni polemiche, le strumentalizzazioni e le divisioni tra chi è buono e cattivo, sincero e in malafede, su indefinite responsabilità pregresse, sortiscono l’effetto di debilitare le rivendicazioni generali della nostra isola che, va ricordato, a fronte dei fortissimi interessi in gioco (purtroppo anche di soggetti e potentati riconducibili alla nostra regione) è sempre più spopolata e politicamente debole.
La controparte, la storia lo insegna su numerosi fronti, è da sempre lo Stato centrale.
Ancora una volta, per ragionare seriamente di difesa delle prerogative del popolo sardo, bisognerebbe ripartire dalla storica quanto annosa questione del riconoscimento concreto della nostra “specialità” statutaria; del rafforzamento dei principi autonomistici; del riconoscimento di poteri sostanziali e della rimodulazione dei rapporti di forza, sempre troppo sbilanciati verso il soffocante centralismo italiano.
Prendendo finalmente coscienza che non sono mai esistiti, e non esistono tutt’ora, governi nazionali i cui fini coincidano realmente con quelli della Sardegna. I fatti lo dimostrano.
• Farebbe bene, quindi, il gruppo editoriale dell’Unione Sarda/Videolina a non esacerbare gli animi dei lettori contro l’Amministrazione regionale. A non travalicare il proprio ruolo: legittimamente di stimolo pubblico alla società ma, deontologicamente parlando, non certo di alternatività politica come ultimamente appare.
• Farebbe bene, allo stesso modo, l’opposizione in Consiglio regionale a mettere da parte, almeno su questo tema, il pur fisiologico risentimento post elettorale. L’opposizione strumentale che alimenta il gioco delle parti, è certamente una tra le spezie più importanti che insapora il processo democratico, ma non si può fare, o meglio non si dovrebbe fare, su questi argomenti: in gioco c’è troppo: in primis il futuro dei nostri figli.
• Farebbe bene, invece, la presidente Alessandra Todde ad adoperarsi con più forza per coinvolgere, governare e rappresentare, le numerose energie positive che spontaneamente in questi mesi e settimane – tramite la formazione di comitati o anche singolarmente – stanno facendo sentire la propria voce contro la speculazione energetica. Non deve chiudersi nel fortino. Altri lo hanno fatto prima di lei e non è finita bene. Scenda nei territori, si metta alla testa della mobilitazione o ogni vuoto creato, come sta già accadendo, verrà occupato da altri strumentalmente.
• Farebbe bene, infine, il sindacato a riscoprire il proprio ruolo propulsivo di cambiamento della società e di aggregazione e mobilitazione di ogni settore lavorativo. Per mettersi, con gli strumenti della sensibilizzazione della classe lavoratrice e della piazza, al servizio di questa nobile battaglia di resistenza.
Insomma, bisognerebbe unirsi. Tutti. Come ai tempi della mobilitazione referendaria consultiva contro (tra i vari quesiti) l’installazione di siti di stoccaggio con scorie radioattive. Poiché la battaglia non si vince solo con leggi e leggine (se bastassero sarebbe fin troppo semplice – ma con degli interessi miliardari così forti in gioco, di semplice c’è ben poco) ma bensì politicamente, mostrando i muscoli e la determinazione a non cedere: contrapponendosi allo Stato centrale per contrattare condizioni di rispetto e maggior favore per la nostra isola.
Nondimeno, serve anche un’operazione verità: la lotta non può essere fatta contro la tecnologia in quanto tale, questo è il messaggio che sta passando, quanto invece contro il suo utilizzo indiscriminato a scapito dei nostri paesaggi e dell’ecosistema, in misura fortemente superiore al nostro fabbisogno energetico regionale, soprattutto senza un tornaconto reale per famiglie e imprese.
Se come regione dobbiamo essere motore della transizione energetica, ben venga (lo switch dalle fonti fossili al rinnovabile è oramai ineluttabile). Ma allora dobbiamo anche pretendere oltre il rispetto delle nostre straordinarie peculiarità paesaggistiche, che una nuova economia, con annessi tutti i vantaggi che la stessa può ingenerare, metta radici qui. E invece gli investimenti produttivi continuano a essere realizzati altrove. Finora, da noi solo consumo e utilizzo delle risorse naturali.
Sia ben inteso, nulla di nuovo sotto il sole. Come in passato quando ci furono imposti i poligoni militari distruttivi e i distretti industriali con le fabbriche di primario – inquinanti, mentre tutte le seconde e terze lavorazioni – il manifatturiero di qualità che crea ricchezza e innovazione, media e alta professionalizzazione tra gli addetti, investimenti in servizi e ricerca a esso collegati, vennero (e vengono tutt’ora) realizzate altrove.
Manolo Mureddu
Assessore dei Lavori pubblici e dell’Ambiente del comune di Carbonia
Movimento politico “Carbonia Avanti”