Alessandro Del Piero al Vanity Fair Stories: «Quando lasci il campo, ricomincia a giocare».
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Arriva per tutti, in qualunque campo, il momento di lasciare quel campo. Ma milioni di anni di evoluzione non sono bastati a insegnarci come diavolo farlo. Ognuno tenta una sua strada, a volte se la crea. C’è chi prova altri sport, chi si offre come testimonial, chi si chiude in casa o in un bar. Alessandro Del Piero, uno che a quei campi ha addirittura dato il suo nome a una zona (la «zona Del Piero», con quel tiro a girare che abbiamo tutti tentato invano da bambini davanti alla porta chiusa di un garage), ha scelto la strada più lunga: quella che lo ha portato in un altro Continente prima, e a un altro lavoro dopo.
Finita la ventesima stagione con la Juventus, nel 2012 prende un aereo per l’Australia, e inizia viaggiare: «Fino ad allora mi ero spostato molto con la Juve, ma non avevo veramente viaggiato. Avevo visto stadi, aeroporti e hotel», ha raccontato l’ex calciatore, 44 anni, ospite della seconda giornata del Festival Vanity Fair Stories, il primo Festival di Vanity Fair.
Destinazione Sidney, dove «la federazione voleva far crescere il movimento calcistico australiano». L’impatto, racconta Alex, fu anzitutto sulla strada: «Gli australiani guidavano a sinistra, e parlavano una lingua che ancora non conoscevo. Ma lì ho conosciuto il calcio sotto un aspetto diverso». L’ha conosciuto nelle «surfate e nelle grigliate fatte post-allenamento» dei suoi compagni e nei secondi lavori dei calciatori («Un caro amico della mia squadra era un filmmaker»). E in fondo l’ha rimesso a fuoco per quello che è: un fantastico gioco, «che ho vissuto con atteggiamento più distaccato, ma anche più istintivo».
Due anni in Australia possono bastare. Così Alex prende un altro aereo e se ne va in India. «Iniziai a giocare per la Delhi Dynamos, la prima squadra della storia della città». C’è che gli indiani si erano messi in testa di sviluppare il mondo del calcio: «I capi della federazione dissero più o meno così: “Ok, tra tre mesi cominciamo il campionato. Facciamo otto squadre. Questo giocatore lo prendo io, e questo lo prendi tu”. Avevano chiamato come ambassadors per ogni squadra una stella del calcio mondiale e un attore di Bollywood. E mi ritrovai chiuso in un hotel fuori dalla città per tre mesi. Tanto, durava il campionato».
Eccolo là, un campione del mondo in mezzo a giocatori non di primissimo livello. Eccolo nello spogliatoio, nel delicatissimo momento pre-partita: «È il momento in cui ogni giocatore si concentra a suo modo. Alcuni si riscaldano, altri pregano. Prima del primo match, mi ritrovai in uno spogliatorio dove venivano recitate almeno cinque preghiere di altrettante religioni diverse. È stato forse il momento più bello dell’esperienza indiana. Quello in cui ho realizzato quanto lo sport sia capace di unire culture diverse».
Finita pure l’esperienza indiana, Del Piero si spegne per un momento, com’è forse naturale. «Attraversai un periodo di sofferenza, perché la voglia di giocare c’era, ma le gambe e il fiato non più». Così trova nuove strade. Diventa commentatore per Sky Sport, e discreto golfista in giro per il mondo. Vive lo sport e il calcio in maniera diversa, ma lo vive. Per la cronaca, l’ultimo gol della sua carriera l’ha segnato in India, nella partita contro tale Chennaiyin finita 2 a 2: una rete su punizione battuta poco dietro l’angolo sinistro dell’area di rigore. La zona Del Piero.