5 November, 2024
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Quella di Villa Alice, nel borgo di Sant’Angelo, è una tra le favole interrotte più affascinanti del Sulcis Iglesiente. Inserita in un contesto montuoso a dir poco mozzafiato, quasi a metà strada tra Iglesias e Fluminimaggiore (appartenente come territorio a quest’ultima), compare tra le curve non appena si supera il Passo di Genna Bogai, anticipata da una cancellata decorata con due angeli e da una facciata, interamente ricoperta di rampicante, con la scritta Sant’Angelo, un tempo ben in vista, ora anch’essa nascosta dai tralci verdi.
La sua storia e le vicissitudini che nel corso dei decenni l’hanno interessata non sono note ai più ma il fascino della villa rimane intatto nonostante l’incuria del tempo.
Costruita alla fine dell’800, riporta sulla facciata principale, proprio sopra il maestoso portone d’ingresso, la data del 1914 e le iniziali di colui che la edificò, l’ingegnere Paolo Boldetti.
Appartenuta all’impresa mineraria Sant’Angelo, di proprietà della famiglia del pittore Amedeo Modigliani, si divide su tre livelli, nei quali si dipanano una serie di stanze che si rincorrono e si incrociano in una sorta di labirinto in cui è possibile perdersi. Il mobilio è stato completamente depredato, ma nei sotterranei resta ancora intatto il sistema utilizzato per il riscaldamento dell’acqua, ovvero un piccolo forno di mattoni, una vasca e una serie di tubazioni, di cui alcune arrugginite ed interrotte. Nell’ingresso secondario, quello che si affaccia sull’ampio cortile che attualmente fa da ingresso alle strutture, un ampio salone con un grande arco accoglie il visitatore, mentre subito sulla destra l’enorme cucina in muratura, colorata di verde, rimane l’unico elemento di arredamento della casa. Sopra il piano di cottura si mantiene intatta la grande cappa, mentre una piccola carrozzina, in stile primi anni del ‘900, giace abbandonata, a testimonianza della vita che fu.
Una grande porta a doppia anta separa quello che doveva essere l’ambiente della servitù dall’area padronale vera e propria, con una modesta scala in legno, anch’essa dipinta di verde, che porta ai piani superiori della villa. Qui, gli ambienti si susseguono senza sosta in una serie di stanze, di cui non è più possibile capire l’utilizzo, ognuna dotata di caminetto. Delle brandine in ferro giacciono abbandonate in alcune di queste camere, insieme a due vecchi armadi e ad un piccolo frigorifero arrugginito, di cui non è possibile capire l’anno d’età.
La storia dei fasti di questa villa di campagna si percepisce nel labirinto intricato di queste stanze, nei suoi tetti cadenti di canne, nell’eleganza delle sue grandi finestre, nei resti di colore dei suoi intonaci, in uno splendore che sa di antica opulenza. Il verde è il tema incontrastato di questi ambienti. Un verde bosco che dona una nota di colore alla vecchia cucina, alle scale in legno, a tutti gli infissi esterni e che si ritrova anche negli intonaci di alcune pareti. Un lusso e un’opulenza che ora restano solo un umile ricordo, memoria di una passata nobiltà e delle casate importanti che tra le sue mura vissero o vi furono soltanto ospitate.
Bruno Pilurzu, memoria storica e grande conoscitore del borgo di Sant’Angelo, racconta le vicissitudini che portarono la dimora nobiliare da luogo di passaggio di grandi personaggi dell’industria e della cultura dell’epoca a mura abbandonate in balia del tempo.

«Già da metà ‘800 i Modigliani, che erano concessionari minerari, cominciarono a sfruttare i nostri boschi per ricavare carbone da utilizzare nelle industrie del Nord Italia e del Nord Europa, per gli impianti metallurgici. Nei primi anni ’50 del secolo scorso partì poi la prima iniziativa turistica, che vide la costruzione dell’albergo di fronte alla villa, da parte della società SAIA. Un albergo che negli anni è stato destinato a colonia estiva per i figli di dipendenti di enti pubblici. Negli anni ’90 la struttura è stata venduta alla curia di Iglesias e adesso giace in completo stato d’abbandono. Sempre negli anni ’50, contestualmente alla costruzione dell’albergo, cominciarono i lavori per erigere le ville di proprietà dell’azienda Santa Vittoria. Arrivarono gli Scarfiotti, parenti di Ludovico, pilota della Ferrari negli anni’ 60, i Leopardi, parenti dello scrittore, Thaon di Revel, ministro dell’agricoltura nel ventennio. Tanti nobili trascorrevano qua il periodo invernale e lunghi periodi durante la caccia grossa. L’albergo era stato edificato proprio per ospitare questi nobili. Negli anni ’90 la società finì in mano alla Regione. Villa Alice si inserisce quindi in un compendio immobiliare di circa 160 ettari, che comprende tutti gli immobili qua attornoprosegue ancora Bruno Pilurzu -. I 1.600 ettari di cui era costituita in origine l’azienda sono stati in seguito trasferiti dalla regione ad una cooperativa che attualmente ancora li gestisce, a fini agricoli.»
Leggenda vuole che tra queste mura più volte siano venuti in visita il re Vittorio Emanuele III e sua moglie, la regina Elena. Si narra che qui passassero alcuni periodi di vacanza e che la Regina amasse sedersi al piccolo tavolino rotondo, circondato dagli alberi, che si affaccia sull’altissimo muraglione che domina il panorama montuoso. Nel giardino prospiciente l’ingresso principale della villa, poco distante dal tavolo in pietra, si trova ancora un busto scolpito del Re.
«Di questo non ho notizie certedichiara ancora Bruno Pilurzu -. Il fatto che qui esista un busto potrebbe anche rappresentare una testimonianza di questo passaggio, ma non esistono notizie al riguardo.»
Insomma non una villa soltanto ma un borgo intero che nasconde un vero e proprio scrigno di tesori, gettati all’abbandono. Il comune di Fluminimaggiore vorrebbe trovare una soluzione a questa spiacevole situazione. Il sindaco Marco Corrias cerca di dare una scossa a chi di dovere, perché questo patrimonio di immenso valore non venga perduto.
«Noi denunciamo lo stato di degrado infinito di questo gioielloannuncia Marco Corrias -. Credo siano pochi gli esempi di edifici di queste dimensioni e di questa qualità, in Sardegna. La villa è nelle mani di un magistrato fallimentare che cura il fallimento della società. Quindi è tutto nelle mani di un curatore fallimentare, in attesa che si vada a un’asta. Il Comune vorrebbe poterla acquisire a suo proprio patrimonio. Ma da solo ovviamente non ce la fa, perché occorrono un sacco di soldi. Chiederemo quindi un intervento della Regione, affinché ci dia quantomeno la possibilità di acquisirlo. Però acquisire un bene e farlo finire di decadere non è compito di un comune. Il compito di un comune è quello di poter avere i mezzi per far rinascere un gioiello di questo genere. Ci possono dare una mano solamente la Regione, il curatore fallimentare ed il magistrato che cura il fallimento. Siamo nelle loro mani. E ovviamente la Soprintendenza ai Beni culturali ed architettonici, che credo dovrebbe mettere un vincolo a questa proprietà e fare in modo che possa un giorno tornare al suo antico splendore.»
Il sindaco Marco Corrias ha un sogno per Villa Alice.
«Mi piacerebbe diventasse un hotel di charme, che potesse impiegare i giovani del paese che hanno voglia di lavorare in questo settore. Mi piacerebbe ospitasse corsi di alta cucina sarda. Vorrei potesse diventare davvero un’attrazione dal punto di vista turistico ma anche soprattutto economico per l’intero territorio. Se lo merita, si potrebbe fare. Il borgo di Sant’Angelo è una delle cose più belle che ci sono in Sardegna.»
Federica Selis

gruguaCasa Modigliani  Tenuta Modigliani Grugua 1875(courtesy R. Andreuccetti) Tenuta Modigliani Grugua - (Foto R. Andreuccetti)

La Scuola Civica d’Arte Contemporanea di Iglesias, dopo aver ripulito un pozzo sacro (Genn’e Mustatzu), domenica 14 giugno realizzerà un’altra azione di guerrilla trekking, creando la segnaletica per arrivare alla tenuta e una bacheca con le informazioni, e riuscendo a far aprire dagli attuali proprietari la casa Modigliani.

Pochi metri prima del bivio per la rinomata spiaggia di Cala Domestica, sulla destra (per chi proviene da Iglesias), c’è una strada bianca con l’indicazione per le miniere di Grugua: anche in questo caso gli avvisi introducono esclusivamente ad itinerari minerari e niente e nessuno ci avverte che questa fertile piana, ricca di acque e circondata dai monti, conserva ruderi di un insediamento di epoca romana e la casa della famiglia Modigliani. Nel 1862 tutta la Valle, chiamata anche Salto di Gessa, divenne appunto proprietà dei Modigliani, Flaminio ed Emanuele, rispettivamente padre e zio del celebre pittore.

Grugua all’epoca era una sorta di terra promessa. Anche oggi, fino alla prima estate la valle è verdissima e ricca di acque sorgive. In estate il giallo dei pascoli è interrotto dal verde delle vigne soprattutto da sughere e da grandi gelsi bianchi che circondano alcuni poderi e case padronali. Una di queste costruzioni è una villa bianco giallastra con le torrette merlate e un’eleganza a metà strada tra il liberty e il falso medio evo di certi stili neogotici otto/novecenteschi. Era la villa dei Modigliani. Dopo anni di abbandono è stata acquistata da due famiglie di Buggerru, i Silesu e gli Andreuccetti. I Modigliani sapevano apprezzare la bellezza e l’utilità della natura, ma poiché il loro mestiere era quello di commerciare in carbone e legna, fecero il deserto attorno alle loro proprietà. I comuni di Fliminimaggiore e di Iglesias ingaggiarono una lotta senza tregua nei confronti dei nuovi feudatari che avevano ottenuto piena libertà di taglio dei boschi appartenuti alla comunità. Ma le proprietà si estendevano  a quanto riportano i documenti dell’Archivio di Stato, fino all’altopiano di Oridda, ai confini tra Domusnovas e Villacidro.

Proprio nell’anno in cui nacque l’artista, il 1884, gli affari della famiglia cominciarono ad andare a rotoli (i Modigliani persero in seguitole proprietà sarde), ma continuarono a lavorare in Sardegna come intermediari: tra il 1896 e il 1901, Amedeo, l’ultimogenito, fu appunto ad Iglesias. Negli stessi anni in cui maturava l’ascesa e la caduta della famiglia, in città aprì l’albergo Leon d’Oro, che divenne la loro residenza commerciale, quando persero la casa di Grugua.

Adolescente, già appassionato di pittura e dotatissimo nel disegno, divenne amico dei giovani Taci, Norma Medea, Anita Clelia e Ezio Caio.

Nel 1898 eseguì un primo schizzo che ritraeva Norma Medea, già gravemente malata. Nello stesso anno, pochi mesi dopo la morte della ragazza, stroncata da una meningite, lo schizzo divenne il “Ritratto di Medea”, perla custodita per quasi un secolo da Carlo Meloni, nipote della scomparsa. Fino a quando le miniere di Monteponi furono attive nella palazzina della direzione era visibile un altro dipinto, ora perduto, chiamato “La farfalla di Modigliani”.

Anche questo progetto è nato nel laboratorio d’arte pubblica e sociale della Scuola ad opera di una delle allieve, Elisabetta Ecca, la quale ha cercato di mettere ordine ai confusi ricordi che ad Iglesias riferivano della permanenza in città del celebre artista livornese. Infatti se nessuna segnaletica ci avvisa a Grugua, nessuna targa è posta a ricordo del soggiorno in città.