“Macbettu” inaugura, martedì 10 gennaio, la stagione di prosa e danza 2016-17 al Teatro Centrale di Carbonia.
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Una tragedia elisabettiana in una Sardegna arcaica e senza tempo: si apre il sipario sul “Macbettu” di Alessandro Serra, tratto dal “Macbeth” di William Shakespeare – in cartellone (in anteprima) domani, martedì 10 gennaio, alle 20.45, al Teatro Centrale di Carbonia (dove inaugurerà la stagione di prosa e danza 2016-17) e giovedì 12 gennaio, alle 21.00 all’Auditorium Comunale di Arzachena e poi in tournée tra marzo e aprile nell’Isola, sotto le insegne del CeDAC per la stagione de La Grande Prosa nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna.
Una pièce visionaria e avvincente sulla (ir)resistibile ascesa al trono di un uomo ambizioso e temerario, sedotto dalle ambigue profezie delle sorelle fatali, con una scrittura drammaturgica elegante e essenziale che mette l’accento sulla folle vertigine del potere e sui segni arcani di un mondo soprannaturale. I suoni aspri e la forza icastica della lingua sarda nella variante logudorese (nella traduzione curata da Giovanni Carroni) – tra l’eco dei riti apotropaici del carnevale e la ferocia di una civiltà antica di re e pastori – caratterizzano una mise en scène di grande suggestione, capace di far dialogare universi apparentemente lontani – la Scozia del Basso Medioevo e l’Isola dei balentes al centro del Mediterraneo.
Sotto i riflettori Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino, Leonardo Tomasi: un cast rigorosamente al maschile – secondo la convenzione teatrale dell’epoca – per un dramma sugli abissi del cuore umano e gli inganni della mente, fino allo smarrimento della follia.
Tra le più celebri tragedie di Shakespeare il “Macbeth” rivive in una versione insolita, tra le misteriose apparizioni delle streghe, creature soprannaturali maliziose e perverse che si dilettano a giocare con il destino dei mortali, e le tradizioni conviviali della società agro-pastorale, dall’ospitalità al banchetto, che qui si venano di amara e consapevole ironia all’ombra del tradimento.
Sulla via del ritorno dal campo di battaglia il vittorioso generale Macbeth e il fido Banquo si imbattono nelle enigmatiche figure di donne che predicono loro un glorioso avvenire – per l’uno il regno per l’altro la paternità di una stirpe regale – instillando in entrambi il dubbio e il sospetto, ma anche la pericolosa tentazione di assecondare, o meglio dare una mano al destino. Salutato dalle maghe come Barone di Glamis e signore di Cawdor, Macbeth vede avverarsi come una promessa l’improbabile annuncio – sarà però la sposa a rafforzare la sua determinazione e indurlo al delitto, dando così inizio ad una interminabile spirale di sangue, con il massacro di amici e nemici, fino all’inevitabile cupa conclusione.
Una pièce di stringente attualità nel descrivere l’accecamento determinato dalla brama di potere e, infine, la solitudine e inquietudine che accompagno i regnanti – e in particolare chi abbia conquistato il trono attraverso il sacrificio e la sofferenza altrui, e sia dunque vulnerabile alle accuse, alle ritorsioni, al ricatto e alla vendetta.
La cifra peculiare di Alessandro Serra, che reinventa lo spazio attraverso sapienti “coreografie” e rigorose geometrie di corpi in movimento, in un’attenta prossemica con pochi e fondamentali elementi scenografici – un monolite da cui scaturiscono le creature malefiche, come vomitate dalla terra, una porta a segnare l’ingresso del palazzo, e la soglia dell’orrore, pietre come cuscini – e come pugnali – per Macbeth che «ha ucciso il sonno», in cui spicca una regina seducente e enigmatica, che impera sull’animo del consorte, incarnandone la forza virile e la potenza femminile in un’eleganza androgina.
Il finale è già scritto ma risolto in una forma poetica e onirica, quasi rarefatta, contrapposta alla cupa violenza della storia, quasi a riportare oltre le nebbie del sogno l’amara tragedia shakespeariana – e i suoi moderni epigoni, con un breve sussulto di commozione per la fine della Lady – segretamente ma emblematicamente trasfigurata nel fulcro di una vicenda epica di guerrieri ed eroi.