4 November, 2024
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«Il territorio del Sulcis Iglesiente è ideale per ospitare la terza tappa della campagna di screening anti Covid ‘Sardi e sicuri‘ promossa dalla Regione Sardegna con la collaborazione di Andrea Crisanti, microbiologo e ordinario dell’Università di Padova.»

Lo sostiene, oggi, il sindaco di Sant’Antioco, Ignazio Locci.

«Se l’obiettivo è l’abbattimento della circolazione virale, che ci consentirà di portare l’Isola fuori dall’emergenza il più rapidamente possibile, oggi che la Sardegna vede un generale miglioramento dei dati riferibili alla pandemia aggiunge Ignazio Locci -, è fondamentale consolidare i risultati raggiunti per poter successivamente invertire l’andamento della curva dei contagi, coinvolgendo un’altra fetta di popolazione quale è il Sulcis Iglesiente, il quale, peraltro, abbraccia ben tre Distretti Sanitari: Carbonia, Iglesias e Arcipelago del Sulcis.»

«Pertanto, chiedo al presidente della Regione Christian Solinas, all’assessore della Sanità Mario Nieddu e al commissario straordinario dell’Ats, Massimo Temussi, di valutare la possibilità che la terza tappa della campagna regionale si svolga proprio nel territorio più a Sud della Sardegna. Sono certo che l’organizzazione incontrerà il consenso dei cittadini, del personale medico ed infermieristico per la buona riuscita del progetto. Auspichiamoconclude il sindaco di Sant’Antiocoche nella campagna di screening vengano coinvolti gli istituti scolastici secondari di secondo grado del territorio, al fine di mettere al riparo lo svolgimento didattico in presenza, per noi considerata una priorità irrinunciabile.»

“Sardi e sicuri’, è lo slogan che la Regione Sardegna ha scelto per promuovere la grande campagna di screening anti Covid-19 che partirà a gennaio nell’Isola.

«Una sfida che ha l’obiettivo di riportare la Sardegna all’azzeramento della circolazione virale, attraverso fasi sequenziali in un tempo ragionevolmente breve. Un progetto che, oltre alla parte tecnico scientifica, farà leva sulla responsabilizzazione e il coinvolgimento delle comunità e di tutte le istituzioni», ha dichiarato il presidente della Regione, Christian Solinas, che oggi ha presentato l’iniziativa nel corso di una conferenza stampa con l’assessore della Sanità, Mario Nieddu, il commissario straordinario di Ares-Ats, Massimo Temussi, ed il prof. Andrea Crisanti, ordinario dell’Università di Padova che supporterà la Regione nel progetto.

«Un’iniziativa che nel pieno della seconda ondata – sottolinea il presidente della Regione – punta a riportare la Sardegna allo stato di ‘Covid-free’, raggiunto durante la prima fase grazie alle misure adottate e al comportamento responsabile del popolo sardo. Realizzeremo un’azione mirata per l’individuazione dei positivi e la compressione della circolazione virale che prevede anche l’adozione di interventi per consolidare i risultati raggiunti.»

L’attività di informazione e promozione alla base del progetto sarà orientata su quattro fattori: unità, responsabilizzazione delle comunità, opportunità per l’Isola di ridurre o, addirittura, azzerare la circolazione virale e la possibilità, per i cittadini, di accedere gratuitamente a uno strumento di controllo del virus.

La campagna di screening partirà dall’Ogliastra e procederà nei mesi successivi sulle altre aree: 23 i comuni individuati come sede per effettuare i test, con 46 postazioni e un totale di 180 operatori per l’esecuzione di 32.278 tamponi antigenici per un’adesione stimata attorno al 65% della popolazione.

«Il territorio su cui avvieremo la campagna – spiega Andrea Crisanti – ci permetterà di individuare eventuali criticità e di valutare problematiche che eventualmente dovessero emergere e che possono riguardare diversi aspetti, come il flusso dei dati, la logistica, il personale o altro. Sarà una ‘palestra’ che ci consentirà di procedere, successivamente, su scala più vasta.»

Due gli ‘step’ previsti per lo screening, ciascuno della durata di due giorni. I primi tamponi antigenici rapidi, saranno eseguiti tra il 4 e il 5 gennaio e saranno ripetuti sui soggetti risultati negativi a distanza di una settimana, per aumentare la probabilità di intercettare eventuali positività al Covid. Nella prima sessione di test saranno utilizzati tamponi antigenici rapidi cromatografici (in grado di restituire un risultato visibile a occhio nudo tramite la colorazione, nell’arco di 15 minuti), mentre nella seconda saranno impiegati tamponi antigenici immunofluorescenti (risultato entro 24 ore attraverso l’analisi con un apposito macchinario). In entrambe le fasi le persone risultate positive saranno immediatamente sottoposte al tampone molecolare e con loro saranno tracciati e testati i contatti stretti.

«Al termine di questa campagna – conclude Andrea Crisanti – non avremo solo migliorato la situazione dal punto di vista della circolazione virale, ma avremo lasciato sul campo un bagaglio di formazione, competenze tecnico scientifiche e organizzative fondamentali per la fase di consolidamento che seguirà.»

Il piano di intervento per l’emergenza Covid 19 e i suoi progressi a venti giorni dall’avvio sono stati illustrati questa mattina in commissione Sanità dall’assessore Mario Nieddu accompagnato dal direttore generale Marcello Tidore e dal commissario straordinario di ATS Massimo Temussi.

Il piano risulta complessivamente attuato al 75%. In particolare la sensibilizzazione dei medici di medicina generale e della medicina convenzionata ha portato alla riduzione degli iperflussi e dei congestionamenti registrati nei pronto soccorso della Sardegna. I ritardi nell’intervento per l’esecuzione dei tamponi sono stati risolti con il potenziamento dei team attraverso l’acquisizione di nuovo personale medico e infermieristico (sette medici, dieci infermieri e due tecnici) mentre grazie a nove apparecchiature (più quattro strumenti per indagine biologica molecolare negli ospedali di Carbonia, San Gavino, Alghero e Ozieri) per test molecolare rapido si sono ridotti i tempi per l’esecuzione dei tamponi. È in corso invece la valutazione dei ritardi nella comunicazione degli esiti dei tamponi: sarà necessario procedere all’assunzione di personale per evitare che le comunicazioni degli esiti siano troppo lunghe. In particolare è previsto l’ingresso di 36 tecnici di laboratorio, di 14 amministrativi, 20 tecnici per la prevenzione, 3 infermieri e 87 medici dell’igiene pubblica.

Per quanto riguarda i posti letto Covid, Massimo Temussi ha spiegato che «risultano incrementati del 68% al 10 dicembre: venti giorni prima la Sardegna poteva contare su 392 posti letto Covid-19 ma nelle ultime tre settimane ne sono stati attivati altri 266 e altri potranno essere aggiunti considerati i lavori in corso, nell’azienda ospedaliera di Sassari, e al Marino e Binaghi di Cagliari».

Mario Nieddu e Marcello Tidore.

Sotto il profilo del monitoraggio domiciliare è in atto la revisione delle strategie terapeutiche con l’obiettivo di controllare a distanza lo stato di salute dei pazienti positivi attraverso la telemedicina e il tele monitoraggio.

È in corso poi la riconversione di alcune strutture ospedaliere – come ospedale Binaghi di Cagliari – a favore di pazienti Covid-19, con lo scopo di evitare la saturazione dei posti letto e più in generale la riduzione della capacità assistenziale ospedaliera. Per quanto riguarda la terapia intensiva Ats comunica che ad oggi sono presenti 80 posto letto per i pazienti Covid (66 nel pubblico 14 ospedali privati) 77 posti di terapia semi intensiva, mentre per le degenze si area medica ad oggi risultano implementati 601 posti. Sono invece due gli hotel convertiti a luoghi di degenza per pazienti Covid mentre un altro sarà a breve individuato per effettuare uno screening rivolto a circa 55mila sardi di un’area geografica individuata ma ancora tenuta riservata, probabilmente il 27 e 28 dicembre. La campagna di screening sotto la direzione del professor Andrea Crisanti sarà preceduta da un piano di comunicazione dove saranno indicati i luoghi e le modalità per effettuare i test antigenici rapidi. L’assessore Mario Nieddu ha poi precisato: «A distanza di dieci giorni effettueremo nella stessa area un tamponamento per individuare altri eventuali positivi, si tratta di uno stress test per verificare cosa accade». Rispondendo alla domanda del capo gruppo PD Gianfranco Ganau l’esponente dell’esecutivo ha aggiunto: «Il massimo sarebbe far fare il tampone a tutti i sardi ma questo non è possibile, in ogni caso la prossima settimana ci dovrebbero consegnare 150mila test tipo A e 50mila di tipo B, poi dalla successiva settimana ancora, arriveranno 250mila test ogni 7 giorni».

Rispondendo ad una domanda del presidente del parlamentino, Domenico Gallus, l’assessore ha ribadito l’impegno a dotare l’ospedale di Ghilarza dei “medici in affitto” per effettuare il progetto pilota mentre il commissario straordinario Massimo Temussi ha comunicato lo stato di avanzamento dei lavori al Santa Barbara di Iglesias e ha aggiunto: «Sono in corso le trattative con le rappresentanze sindacali dei medici di famiglia con scopo di ottenere il massimo coinvolgimento nel contrasto alla pandemia».

La Regione avvia una campagna di screening di massa con postazioni diffuse sul territorio, e con la collaborazione delle strutture sanitarie e dei medici militari.

«Ho sempre sostenuto – spiega il presidente della Regione Christian Solinas – la necessità di attuare uno screening il più diffuso possibile tra la popolazione, per agevolare il rilevamento dei positivi anche asintomatici, isolare i focolai e permettere un rapido abbassamento della curva di contagio.»

«Oracomunica il presidente della RegioneAts ha acquistato 1 milione e 100mila test antigenici rapidi orofaringei con l’opzione di un altro milione, mediante gara Invitalia. La prossima settimana inizieranno le consegne. Si tratta di tamponi rapidi di due tipologie: il primo tipo, del quale sono in arrivo 800mila pezzi, è un tampone orofaringeo rapidi rapido in grado di fornire l’esito entro 13 minuti. Costano 1,29 euro l’uno. In arrivo anche 200mila test antigenici rapidi, sempre 13 minuti di attesa, che effettuano l’analisi del campione tramite un piccolo apparecchio elettrico, del costo complessivo di 3,63 euro l’uno. Il grado di affidabilità è altissimo. I tamponi del primo tipo possono essere utilizzati anche all’aperto, in qualsiasi tipo di postazione, mentre i secondi necessitano di corrente elettrica.»

«Con questa campagna di rilevamento, possiamo finalmente attuare il modello di quanto praticato in Corea, a Singapore e in varie zone del mondo, che ci consente di avere in tempi molto rapidi l’individuazione dei positivi e provvedere immediatamente all’isolamento, a protezione di tutta la cittadinanza conclude Christian Solinas -. Per implementare questo progetto e creare un vero e proprio “modello Sardegna” ci avvarremo del professor Andrea Crisanti, che ha scelto di collaborare con la nostra Regione, spendendo parole di apprezzamento per quanto abbiamo fatto in questi mesi nella gestione della pandemia.»

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Per capire lo straordinario fenomeno sociale indotto dal Covid-19, che lascerà traccia nei libri di storia, dobbiamo ridefinire con chiarezza quali differenze sostanziali esistono tra la malattia individuale e la malattia contagiosa collettiva.
Se dovessimo esaminare con superficialità i numeri dei decessi quotidiani non ci preoccuperemmo. Tutti i giorni muoiono di ictus ed infarti, in Italia, una media di 630 persone, mentre per tumore ne muoiono 485. Attualmente abbiamo una media di soli 10 decessi quotidiani per Coronavirus. Questo dato sembrerebbe confortante. In realtà, da un punto di vista della convivenza sociale, non è così.
Le “malattie individuali” come tumori, diabete, ictus, traumi stradali, ecc., non suscitano paura per la propria incolumità perché ognuno di noi può entrare in contatto con questi malati senza subirne alcun danno.
Le “malattie contagiose” invece sono “diffusive” e “collettive”. Cioè passano da una persona all’altra per il contatto o la semplice vicinanza. Ogni portatore di Coronavirus contagia, in media, 6 persone. Queste a loro volta contagiano 36 persone. Queste 36 ne contageranno 1.296. Nel caso del Coronavirus il numero dei contagiati cresce in modo esponenziale ogni 7 giorni. Abbiamo visto cosa è avvenuto dopo il primo caso di Codogno: dopo due settimane i casi in Lombardia erano già diverse migliaia. Di questi contagiati ne vennero ricoverati il 20% e ne morirono la metà.
Mentre l’80% dei contagiati ebbe pochi sintomi. In 40 giorni avemmo quasi 20.000 morti in una piccola area d’Italia compresa fra Milano, Bergamo e Brescia. Morti che si aggiungevano agli altri morti per diverse cause. Vi fu un numero di salme aggiuntive tanto enorme che non si trovarono spazi nei cimiteri e nei forni crematori, tanto che molte salme vennero imbarcate per lo “smaltimento” nei forni crematori della Sardegna. Appena l’Epidemia è esplosa in America abbiamo visto lo stesso triste fenomeno, di ammassamento di cadaveri, a NewYork.
Questo è avvenuto perché il Covid è una malattia contagiosa per cui non esiste una cura specifica.
Quando si tratta di una malattia contagiosa per cui esistono le cure e i vaccini, l’allarme è basso.
Quando , invece, si tratta di malattia contagiosa per cui non esistono né cure specifiche né vaccino, l’allarme è alto.
E’ un errore enorme paragonare questo tipo di malattia a quelle comuni.
Per capirne la portata sociale e economica si può paragonare soltanto al “Fall-out” della pioggia radioattiva dopo una esplosione nucleare o agli effetti di uno “tsunami”. Tutti eventi in cui la collettività intera è senza difesa.

Le malattie comuni vanno trattate nell’ambito degli strumenti messi già a disposizione dal Sistema Sanitario. Le malattie epidemiche prive di cure specifiche vanno trattate in un altro apparato sanitario parallelo costituito ad hoc.
Una esperienza di diversificazione strutturale l’avemmo già al tempo della TBC. In quel caso si riuscì a debellarla costituendo un sistema di ospedali e presidi specifici (Tubercolosari, Preventori antitubercolari, Dispensari antiTBC, Ospedali Marini, Colonie montane e marine). Si sviluppò una specialità: la Tisiologia. Essa comprendeva: Medici pneumologi, Radiologi, Pediatri, e chirurghi specificamente preparati.
Oggi non esiste ancora un apparato ospedaliero e territoriale specificamente dedicato al Covid-19.
Il problema di strutturarne uno si porrà nella malaugurata ipotesi il vaccino non fosse efficace.

Fenomenologia sociale del contagio.
Il “contagio” fa esplodere la “ Paura del prossimo“.
Chi è il “Prossimo?”.
E’ chiunque: l’amico, il vicino di casa, il collega di lavoro, il compagno di classe, il parente, l’impiegato dell’ufficio pubblico, etc..
Il termine collettivo per identificare questo insieme è: “Società civile”.
La Società Civile è quell’insieme umano che utilizza il “Contatto sociale” per attuare lo scopo per cui ci si incontra: “Lo scambio sociale”.
Lo “scambio sociale” o “commercio umano” si sviluppa su tutti i campi della convivenza come:
– La “Cultura”: scuola, cinema, arte, sport, religione, politica, etc.
– I “Servizi”: il Sistema sanitario, banche, poste, pubblica amministrazione, difesa, giustizia, etc.
– Le “Attività produttive”: professioni, mestieri, agricoltura, industria, etc.
– Il “Commercio”.
Quando esplode il “Sospetto collettivo” sul prossimo e la “paura dell’altro”, l’individuo si ritira nel proprio privato e si autoesclude, cioè si “isola”. L’isolamento può essere “volontario”“obbligato”, come nel caso del lockdown che abbiamo sperimentato.
L’”isolamento” comporta la perdita di 4 Libertà Costituzionali, cioè:
– La libertà di movimento nel territorio, e di scambio commerciale.
– La “libertà di cure”: blocco del Sistema Sanitario per le patologie comuni.
– L’ “Istruzione”: chiusura delle scuole.
– La “Giustizia”: chiusura dei tribunali.
L’impedimento all’esercizio di questi diritti costituzionali comporta la “Sospensione del commercio umano.
A questo arresto degli scambi di beni materiali ed immateriali consegue:
– L’arresto degli scambi commerciali.

– Il crollo delle Borse.
– La perdita di fiducia nella moneta.
– L’impoverimento della Nazione.
– La crisi politica.
– La perdita di rappresentanza dei partiti e la caduta dei governi.
Questi sono scenari possibili nel caso non vengano opposti provvedimenti che stronchino la spirale del degrado.
La “paura dell’altro” è all’origine della disgregazione dell’impianto economico di una società.
C’è voluto Mario Draghi per sintetizzare in una frase questo complesso fenomeno psicologico ed i provvedimenti da prendere per scongiurarlo. Cioè:
“Test di massa per rilanciare l’economia”.
Solo così ognuno di noi saprà se il suo vicino è contagioso o no, e potrà riprendere a produrre ricchezza senza il freno della paura.

Secondo gli Scienziati citati in un recente articolo del Sole 24 ore servono 30 milioni di tamponi per fare uno screening agli Italiani. Cioè deve essere sottoposto a tampone oltre la metà della popolazione d’Italia. Ne consegue che devono essere subito esaminati con tampone almeno 70.000 abitanti del Sulcis Iglesiente.
Davanti a questi autorevoli messaggi il Sulcis Iglesiente non riesce ancora a rendere immediatamente disponibile per tutti un laboratorio specificamente dedicato. Ne sono prova questi fatti:
– Il forte ritardo nell’acquisto del processatore di RNA virale,
– Il forte ritardo nello accreditamento dello strumento donato a Carbonia Iglesias dalla Fondazione di Sardegna,
– Le enormi difficoltà che incontrano i Medici di Base per ottenere i referti dei tamponi eseguiti su pazienti sintomatici.
E’ urgente la disponibilità di un laboratorio perché stanno per arrivare momenti critici, e cioè:
– Fra due settimane in Italia riapriranno le scuole. Vi saranno inevitabili assembramenti. Si muoverà quotidianamente una massa dei 12 milioni di individui. Fra questi vi saranno i “diffusori silenziosi”, come abbiamo sperimentato al Billionnaire di Porto Cervo e nelle discoteche nostrane.
– Stanno per arrivare i 3 mesi portatori di Virus: Ottobre, Novembre, Dicembre, con i loro Rinovirus, Adenovirus, Enterovirus e Virus Influenzali. Ogni tosse e febbricola creeranno il sospetto sul vicino di banco, e la paura del contagio da Coronavirus.
I banchi monoposto, i doppi turni, ed il contingentamento delle classi non saranno sufficienti a dare sicurezza. Ogni ragazzino febbricitante verrà sottoposto a: isolamento in un camera apposita dell’Istituto, visita medica e, forse, tampone rinofaringeo. Poi si dovranno attendere 24-48 ore, o più, per la risposta. Nel frattempo tutti staranno all’erta e disposti all’autoisolamento fiduciario.
Se verrà accertato più di un caso , l’Istituto potrà essere chiuso in quarantena.

Ogni ragazzo sospetto indurrà la caccia a tutti i “contatti” dei 14 giorni precedenti. Per il tracciamento dovranno essere eseguiti dai 100 ai 150 tamponi (prof. Andrea Crisanti). In alternativa il Governo sta valutando lo screening di tutti gli allievi dell’Istituto con i tamponi per “test rapidi”. Nel caso un  ragazzo positivo venisse isolato, lo sarà anche la famiglia.
A queste condizioni è evidente quanta ragione abbia avuto Mario Draghi quando ha dichiarato, in un consesso economico: «E’ necessario eseguire i test di massa per rilanciare l’Economia». Ne beneficerebbe anche la Scuola.

E’ auspicabile che i buoni Politici sollecitino lo sviluppo dello screening con tampone e rimuovano gli oscuri ostacoli per cui oggi è ancora difficile ottenere l’esame.
A conclusione si deve convenire che il “ritardo” di Carbonia Iglesias nella attivazione del suo processatore di RNA virale, è il massimo avversario a cui si trova di fronte il nostro territorio.
Si concorda con Carlo Bonomi, presidente di Confindustria: «…questo ritardo è incomprensibile…».

Mario Marroccu

 

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La famosa peste manzoniana di Milano, esplosa nel 1629, fu conseguente allo spostamento massivo, dalla Germania alla Lombardia, delle truppe di Lanzichenecchi che portarono con sé i germi del contagio. E’ recente acquisizione che gli spostamenti massivi dall’Oriente all’Occidente hanno portato il Coronavirus. E, sempre recentemente, abbiamo avuto, verso la Sardegna Covid-free, spostamenti massivi di turisti provenienti da luoghi non Covid-free, e se ne sono viste le conseguenze.
Ora siamo alla vigilia di un altro spostamento massivo di popolazione: una massa di 12 milioni di persone costituita da studenti, insegnanti, personale della scuola e genitori, si sposteranno quotidianamente, soffermandosi negli Istituti per 5-8 ore. Nell’ultimo numero della rivista scientifica “NATURE” è stato pubblicato un articolo in cui gli autori esaminano come si è evoluta l’epidemia nelle scuole, appena riaperte, in Sud-Corea, Australia, Israele, Cile, Germania e Stati Uniti. Si è visto che il massimo rischio di focolai a scuola viene corso in quelle Nazioni dove la curva di incidenza dell’infezione nella popolazione generale non è stata ancora appiattita. Se c’è infezione nella popolazione è sicuro che l’infezione esploderà a scuola. Questo è il primo fattore di rischio.
Gli altri fattori di rischio sono:
– Classi troppo numerose,
– Negligenza nel rispetto delle regole di: distanziamento, igiene delle mani e utilizzo delle mascherine di protezione.
Il Comitato Tecnico Scientifico ha suggerito al Governo Italiano di adottare ulteriori provvedimenti, e cioè:
– Test sierologico a tutto il personale delle scuole da eseguirsi presso gli Studi privati dei medici di base;
– Attribuzione di responsabilità ai presidi degli Istituti sulle azioni di controllo, segnalazione ed eventuale chiusura di scuole in caso di focolai di Coronavirus.
Alle scuole verranno consegnati 2 milioni di test sierologici per testare se il personale docente abbia avuto o no l’infezione. Lo screening inizierà lunedì 24 agosto. Dovrà essere concluso entro il 14 settembre.
Vi sono però questi problemi:
– Lo screening negli studi privati è stato deciso senza consultare le rappresentanze sindacali dei medici.

– I sindacati dei medici di base hanno mosso rilievi che riguardano la gestione delle prenotazioni, il personale ausiliario, la tutela propria e degli altri pazienti, la gestione dello smaltimento dei rifiuti speciali, la bonifica dello studio, l’eventuale messa in quarantena qualora il medico o il personale sanitario dovesse contrarre la malattia. E inoltre la retribuzione.
– I presidi, responsabili del controllo, rifiutano la “responsabilità penale” per l’eventuale diffusione colposa di contagio nei loro Istituti.
– Gli insegnanti, tenuti alla presenza fisica in classe per 5 ore al giorno, sono preoccupati per la loro incolumità.
– I genitori temono che l’eventuale chiusura delle Scuole, per messa in quarantena, obblighi i figli a lezioni in “smart working” nel loro domicilio. Ciò comporterebbe la necessità che un genitore debba restare a casa abbandonando il lavoro.
– Esiste, inoltre, il problema del percorso da farsi per raggiungere la scuola. Nelle grandi città, avviene tramite mezzi pubblici superaffollati, e quindi pericolosi.
– Gli adulti attempati, oltre i 50 anni, con uno stile di vita più casalingo, temono il rientro a casa di figli e nipoti che possono essere “vettori” inconsapevoli di un Coronavirus “pescato” a scuola, in autobus, o in treno.
Esiste poi un problema logistico: quello dei locali scolastici, relativamente insufficienti in rapporto alla necessità di suddividere le classi, moltiplicandole.
L’ultimo problema è quello molto citato dei banchi monoposto con rotelle.
Vi sono poi le disposizioni governative, facili da scrivere ma difficili da applicare, come:
– Le mascherine per bambini oltre i 6 anni per 5-8 ore al dì,
– La distanza di 1 metro da una rima labiale all’altra (distanza delle bocche),
– L’immobilizzazione prolungata del bambino al proprio banco anche durante il pasto,
– I doppi turni mal gestibili dai genitori che non possono derogare agli orari imposti dai loro datori di lavoro.
– L’affitto di spazi e l’acquisto, il noleggio o il leasing di strutture temporanee da utilizzare per le attività didattiche, per garantire il distanziamento e, dunque, la sicurezza di studentesse, studenti e personale didattico.
– I doppi turni.
Per credere alla concreta realizzazione di quanto detto, non basta la fiducia nei Governi, ma ci vuole un vero e proprio atto di fede.

Dal 31 gennaio, cioè da prima che vi fossero i casi di Codogno e Vò Euganeo, questo giornale ha ripetutamente insistito su alcuni punti:
1 – Il Coronavirus ha innescato un’emergenza sanitaria che ha generato un’emergenza economica. Vedremo future trasformazioni sociali e politiche radicali.
2 – L’epidemia senza controllo per molto tempo ancora, indurrà cambiamenti nella vita di tutti.
3 – I malati sintomatici di Covid-19 sono, tutto sommato, i soggetti meno pericolosi perché sono già classificati, isolati, e in cura.

4 – I soggetti più pericolosi sono i portatori sani asintomatici che fungono da “diffusori silenziosi”.
5 – Per battere oggi il virus bisogna individuare i portatori sani ed isolarli.

A questo punto, è giusto porsi la domanda: chi sono i “portatori sani”?
Rispondere, fino ad oggi, è stato molto difficile.
La difficoltà è stata determinata, per mesi, dalla convinzione che la malattia interessasse gli ultracinquantenni, perché le età dei ricoverati in Terapia Intensiva erano comprese tra i 50 e 85 anni.
Oggi quella “verità” si è invertita: il Coronavirus non ha rispetto per nessuna età. Chiunque può esserne infettato e morirne.
Un fondamentale studio scientifico pubblicato in questi ultimi giorni sul Journal of Pediatrics, ha dimostrato definitivamente che quell’idea era un’illusione. Ha condotto lo studio il professor Lael Yonker, dirigente medico del Massachusetts General Hospital for Children, esperto di pazienti pediatrici affetti da Covid-19. Egli afferma testualmente: «Sono rimasto sbalordito dagli alti livelli di virus riscontrati in bambini di tutte le età. Non mi aspettavo che la carica virale fosse così alta. Pensate ad un ospedale e a tutte le precauzioni prese per curare adulti gravemente ammalati. Ebbene, sappiate che le cariche virali di questi pazienti ospedalizzati sono molto inferiori a quelle di un “bambino” ritenuto “sano” che se ne va in giro con un’alta carica virale di SARS-CoV2».
Lo studio smentisce un’ipotetica immunità dei ragazzi e dice: «I ragazzi non sono affatto immuni da questa infezione. Se le scuole dovessero riaprire a pieno regime senza le necessarie precauzioni, è verosimile che i bambini e ragazzi giocherebbero un ruolo centrale nella diffusione ulteriore di questa Pandemia».
I risultati scientifici sono appena arrivati e, purtroppo, sono già confermati sia dalla precoce chiusura per Covid di scuole recentemente aperte in Germania, Francia, Israele, Australia, Cile, Stati Uniti, sia dall’enorme laboratorio a cielo aperto della Sardegna. Qui, l’arrivo indiscriminato di portatori di virus senza controllo, l’apertura delle discoteche e l’assembramento anarchico nelle spiagge, hanno dato il via ad un’ondata di contagi.
La Sardegna non è generatrice di contagi; lo sono le regole burocraticamente perfette, ma inapplicabili, ideate dal mondo degli umani e disconosciute dai virus.
Già dal mese di aprile 2020 chiedemmo ripetutamente di dare al Sulcis Iglesiente un laboratorio attrezzato per l’estrazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei. Alla fine, rafforzati dalle istanze delle forze sociali come Spi CGIL di Carbonia e Consulta Anziani di Iglesias, vi è stata una risposta: la Fondazione di Sardegna ha donato all’ATS le risorse necessarie per acquisire la tecnologia.
Eravamo già allora convinti che fosse necessario fare la mappa dei “portatori asintomatici sani” allo scopo di renderli inoffensivi.
Dopo tanta attesa, lo strumento è oggi nelle mani della ASSL di Carbonia Iglesias. Tuttavia, ad oggi, non è ancora in grado di funzionare. Il motivo non è dovuto a difetto dello strumento ma a un problema che definiremmo “organizzativo”. Purtroppo, per un inghippo burocratico, non può essere utilizzato: è necessario eseguire ancora un test di “confronto” con lo strumento già operante al Policlinico di Monserrato, al fine di ottenere l’”accreditamento”. Insomma, ci serve il “pezzo di carta”. Il “confronto” consiste nell’eseguire 10 test in parallelo utilizzando 10 tamponi. Cinque di questi devono essere negativi, e cinque devono contenere il virus, quindi dare risultato positivo.
L’accreditamento dello strumento è necessario con grande urgenza perché:
– Sta aumentando il numero delle persone che hanno necessità di essere sottoposte a tampone;
– Ormai abbiamo diversi casi di positivi al Coronavirus nelle cittadine del nostro territorio,
– I servizi pubblici hanno necessità d’essere pienamente aperti al pubblico, e quindi il personale deve essere testato,
– Gli ospedali sono sottoposti a limitazioni, perché devono trattenere per almeno 48 ore i pazienti da operare in attesa che arrivi il risultato del test da Cagliari. Ciò aumenta i tempi di degenza, e diminuisce la disponibilità di posti letto.
– Le attività produttive del territorio hanno bisogno di lavorare in sicurezza, con personale ed utenti, Covid negativi al test.
E, soprattutto:
– Le Scuole stanno per essere riaperte e vi affluirà il 20 per cento della popolazione del territorio (stimate 22.000 persone). La massa in movimento sarà costituita proprio da quella popolazione giovanile che oggi gli studi scientifici indicano come il serbatoio di virus pronto ad attaccare.
Lo screening di tutta la popolazione scolastica è urgentissimo (prof. Andrea Crisanti).
Siamo assolutamente d’accordo con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che, agli Stati Generali, ha affermato: «Non si capisce perché si sia perso tanto tempo».
Ci serve assolutamente un controllo autorevole che sblocchi il meccanismo che sta frenando tutto. Ci serve che i politici nostrani si sveglino e presentino un’interrogazione alla Giunta regionale pretendendo una indagine che individui le responsabilità dei ritardi fin qui accumulati.

Mario Marroccu

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A Carloforte, in pochi giorni, è stato circoscritto e spento sul nascere, un potenziale focolaio di Coronavirus. L’attore principale del colpo di mano è stato il sindaco Salvatore Puggioni. Ha applicato quella che gli scienziati Americani chiamano: regola delle “3T” (Tracciare-Testare-Trattare). E ha vinto. Non solo. Ha trascinato tutto il Sulcis nell’applicazione del metodo. Oltre ai 21 casi dell’isola (17 di residenti di Carloforte, 3 di Sant’Antioco e 1 di San Giovanni Suergiu), sono stati identificati ed isolati 1 caso a Narcao e 1 a Sant’Antioco (con altri 200 tamponi). Bonificata la zona.
Il primo ad applicare questo metodo fu, tra febbraio ed aprile, il professor Andrea Crisanti nella cittadina di Vò Euganeo, in Veneto. Quella cittadina, assieme alla cittadina lombarda di Codogno, furono i centri in cui si svilupparono i primi focolai di Coronavirus. Tuttavia, nei due centri, l’evoluzione dell’epidemia fu diversa: a Vò Euganeo il focolaio si spense; a Codogno avvenne la diffusione verso Bergamo, Brescia, Milano. Nel primo caso, fu salvata l’intera regione Veneto; nel secondo caso, fu compromessa l’intera regione Lombardia.
Il professor Andrea Crisanti è uno studioso di Microbiologia e Virologia specializzatosi ad Oxford. Quando, a gennaio, iniziarono ad arrivare in Italia le notizie dell’epidemia a Vuhan, egli capì immediatamente quale sarebbero state l’evoluzione e diffusione globale.
Già allora, esistevano gli strumenti per decodificare lo RNA virale col PCR (Polimerase chain reaction). Questa tecnica, ideata negli anni ’90 per la decodifica del DNA, consente di vedere ciò che non si può vedere con i comuni microscopi di laboratorio. I “geni” vengono amplificati dall’enzima Polimerasi e, con una reazione a catena, vengono ingranditi, poi con un metodo di migrazione elettrica delle molecole (“foresi”), vengono visualizzati nel computer, sotto forma di bande colorate. Queste “bande”, di varia lunghezza e spessore, dello RNA virale, sono come il codice a barre dei prodotti esposti nei supermercati. Ogni virus ha un suo “codice a barre” e se ne possono identificare le mutazioni. Con tale metodo, è stato possibile identificare la breve sequenza di RNA che sintetizza la “proteina Spike” che riveste il virus e che, come il vischio per gli uccelli, si attacca alle cellule della preda umana.
L’avere identificato la sequenza per la proteina “Spike”, ha consentito agli scienziati di aprire le porte alla preparazione di un vaccino specifico, senza dover usare tutto il virus. Per questo, i ricercatori, compresi quelli dell’azienda IRBM di Pomezia, pensano di poter ottenere un vaccino non pericoloso. Il vaccino, infatti, non sarà costituito dall’intero virus attenuato, ma da una minima frazione: cioè solo la sequenza di RNA virale che sintetizza la proteina “Spike”.
Tuttavia, il vaccino non è pronto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità pretende che si portino a termine tutt’e tre le fasi di sperimentazione sull’Uomo. La precipitazione potrebbe costare cara. Fino al momento della disponibilità mondiale del vaccino.

La prima volta che si utilizzò la tecnica di diagnosi ed isolamento dei pazienti colpiti dal morbo, fu nel 1378, con Bernabò Visconti. Egli istituì gli “Ispettori di Sanità”. Questi avevano il compito di individuare gli infetti. Poi arrivava l’esercito che procedeva ad inchiodare porte e finestre, rinchiudendo dentro le loro abitazioni gli appestati; il cibo veniva lanciato da debita distanza. Nel caso tutti morissero, si procedeva ad incendiare l’abitazione, per distruggerne il suo contenuto. Il metodo fu rude ma efficace. La mortalità per peste in Lombardia fu bassissima. Quel metodo di individuazione e trattamento, raggiunse lo scopo.
A Firenze, invece, fu una strage. Nel 1423, il doge di Venezia mise a punto la tecnica dell’“isolamento”. Individuò l’”isola di Santa Maria di Nazareth” per riunirvi tutti gli appestati. L’isola venne data in gestione all’Ordine di San Lazzaro. Dalla fusione dei nomi “Lazzaro” e “Nazareth”, derivò il termine “Lazzaretto”.
La “quarantena”, invece, era stata ideata molti secoli prima, da Ippocrate di Kos. Egli sosteneva che una malattia acuta si manifesta entro 40 giorni dal contatto con uno colpito dall’epidemia. I Francesi nel Medio Evo chiamarono quel lasso di tempo “une quarantaine de jours”. Da cui “quarantena”.
Come si vede, la regola delle “3T” ha radici molto antiche ed i metodi per applicarla furono senza dubbio rudi nel passato ma sono “gentili” oggi. L’ingentilimento del metodo attuale, deriva tutto dalla tecnologia. Abbiamo oggi a disposizione il “sequenziator” di DNA. Lo strumento decodifica l’RNA virale e riproduce il corrispondente DNA. Questo viene amplificato e sottoposto a “foresi”, per conoscere il “codice a barre” del virus infettante.
Il prelievo è molto semplice: si esegue con un microtamponcino che entra in contatto con la mucosa delle cavità nasali e con quella del faringe. Queste sono sedi particolarmente ricche di virus nei casi positivi. Il paziente che viene identificato è molto fortunato: viene seguito e curato precocemente, inoltre viene isolato in modo da non contagiare la propria famiglia ed i compagni di lavoro. Il risultato è duplice: la cura del paziente e la tutela della società.
La sequenza di atti clinici che ho descritto, è semplice dal punto di vista metodologico e strumentale, tuttavia è difficilissima dal punto di vista umano. Infatti, non tutti riescono a riprodurre i risultati ottenuti a Vò Euganeo dal professor Andrea Crisanti. Nel caso dell’area sanitaria del Sulcis Iglesiente, esiste una difficoltà in più. E’ l’unica area in Sardegna che, fino al primo caso di Covid-19 a Carloforte, non era dotata dell’apparecchio estrattore di DNA. L’Amministrazione regionale non aveva ricompreso il Sulcis Iglesiente fra i destinatari di questo strumento.
Due mesi fa, dopo pressioni di gruppi di opinione come lo SPI CGIL di Carbonia e la Consulta Anziani di Iglesias, è intervenuto un Ente benefico privato, la Fondazione di Sardegna, che ha donato alla Regione la somma necessaria per l’acquisto dello strumento da destinarsi specificamente alla popolazione del Sulcis Iglesiente.
Dopo un lungo lasso di tempo, lo strumento è stato ordinato ed acquisito, tuttavia, quando esplose il focolaio di Carloforte non avevamo ancora un nostro strumento diagnostico in funzione.

Qui entra in gioco la genialità del sindaco Salvatore Puggioni. Non so come abbia fatto a riuscirci. Quando prese coscienza che in pochi giorni si era passati da 3 a 9 casi di Covid-19, ha messo in moto
una macchina complessa che ha utilizzato lo schema della “3T” degli Americani, usato dal professor Andrea Crisanti a Vò Euganeo. Ha sottoposto a screening di massa, con tampone faringeo, oltre 800 persone ed ha rilevato l’esistenza di ben 21 casi positivi fino ad allora insospettabili. Quindi ha coinvolto tutte le cittadine del circondario inducendo uno screening tra tutti coloro che, teoricamente, potevano essere entrati in contatto con il primo “gran diffusore” di virus che provocò il focolaio. Ha vinto.
Una volta individuato l’avversario. l’ha isolato mettendo al sicuro tutti. Questo fantastico esempio è da indicare a tutti i Sindaci del Sulcis Iglesiente. Se tutti mettessero in campo i talenti per cui vennero eletti, sicuramente scopriremmo che sono tutti titolari anche di una genialità sanitaria che alla fine salverà la nostra Sanità dal degrado a cui la programmazione politica passata e presente l’ha condannata.
I complimenti di questo giornale a Salvatore Puggioni sono sicuramente piccola cosa rispetto a quelli che ha ricevuto da Barbara Serra, la giornalista dell’emittente televisiva Al Jazeera di Londra, quando l’ha dichiarato “migliore di Boris”, ma sono altrettanto meritati.

Mario Marroccu

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Le prime pagine dei giornali di questi giorni raccontano il conflitto istituzionale tra Governatore della Sardegna, Sindaco di Milano e Governo Italiano.

Il contrasto si è acceso sulla “Patente di immunità” di cui dovrebbero dotarsi i turisti prima di calcare il suolo sardo. Nelle settimane passate ci siamo espressi sui benefici di uno screening di massa del Sulcis Iglesiente. Il metodo è stato già utilizzato dal professor Andrea Crisanti in Veneto e dal governo della Corea del Sud: hanno scovato i focolai di virus e li hanno bonificati radicalmente. Qualcosa di simile è stato fatto in Germania e in Islanda, dove è stata condotta una ricerca molto estesa con i tamponi. In Islanda, l’epidemia è stata soffocata sul nascere e in Germania i danni sono stati molto contenuti. Per ottenere questo risultato sono necessarie due azioni:

– prima: informare capillarmente la popolazione;

– seconda: ottenere il consenso al prelievo rinofaringeo di RNA virale.

Questa sequenza di azioni rispetta perfettamente le norme vigenti sul consenso informato.

Ben diverso significato e legittimità ha l’imposizione dell’esame.

I medici conoscono bene la differenza di liceità tra “cure paternalistiche” e cure “consapevolmente accettate”. Vi sono stati dibattiti durato decenni che spesso si sono conclusi  in Tribunale.

Tutto nasce dall’articolo 32 della Costituzione che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di Legge.”

Dietro questa affermazione Costituzionale, esiste una storia lunga secoli.

Già Aristotele, Platone e Ippocrate sottolineavano la necessità della “partecipazione” del paziente alle cure. La loro posizione derivava da motivazioni di tipo deontologico.

Al tempo dei Bizantini i Medici chiedevano al paziente il permesso di agire sul suo corpo, tuttavia non era un “consenso informato” come si intende oggi, ma una forma di “medicina difensiva”.

Il primo Stato che dette all’individuo la totale proprietà, del proprio corpo fu l’Inghilterra con l’”Habeas corpus”.

Il tema del diritto sul “proprio corpo” venne meglio definito nella “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” dell’anno 1789. Si tratta di un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione Francese contenente una solenne dichiarazione dei diritti fondamentali dell’Individuo e del Cittadino (Libertà, Proprietà, Sicurezza). Il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti delle libertà per cui la Francia venne definita: Patria dei Diritti dell’Uomo”.

La svolta definitiva per porre le basi dell’articolo 32 della Costituzione e del “consenso informato” fu rappresentato dalla scoperta dei crimini commessi dai Medici nei campi di concentramento nazisti, la cui condotta morale veniva dagli stessi giustificata con il dovere di obbedire alle leggi dello Stato e al principio utilitaristico secondo il quale, durante un conflitto, la “ricerca scientifica” dovesse anteporre gli interessi della Società a quelli del singolo. Pertanto, si potevano compiere azioni mediche sull’Altro senza richiederne il consenso. 

Nel contesto del Processo di Norimberga i giudici incorporarono un documento, noto come Codice di Norimberga, contenente i diritti dell’Uomo, articolati in 10 punti. Il primo afferma che: «il consenso volontario del soggetto è assolutamente essenziale. Ciò significa che la persona in questione deve essere in grado di esercitare il libero arbitrio senza intervento di alcun elemento coercitivo». 

Questo concetto, ribadito nella sentenza di Norimberga del 1947, venne acquisito e incorporato in tutte le Costituzioni del mondo Occidentale. La Costituzione italiana lo incorporò nell’articolo n. 32.

Per effetto di quell’articolo nessuno può essere sottoposto a indagini diagnostiche o cure mediche senza la sua volontà.

La prima legge che derivò dall’articolo 32 della Costituzione fu la Legge 458/1967 sui trapianti di rene, a cui seguì la legge 144/1978 sull’interruzione di gravidanza e la legge 107 del 1990 sulle trasfusioni di sangue. Quest’ultima legge vietò il prelievo e la trasfusione di sangue in assenza di consenso del paziente. Tutte le sentenze che riguardano i testimoni di Geova sulle trasfusioni di sangue in caso di emorragie, anche mortali, sono regolate da questa legge.

Nell’anno 1990 vi fu una sentenza del Tribunale penale di Firenze che condannò un chirurgo che riteneva di avere operato secondo scienza e coscienza per il bene del malato. Si trattava di un’anziana paziente che aveva un tumore apparentemente benigno. Il chirurgo, accortosi durante l’intervento, che il tumore era invece un cancro, proseguì escidendo radicalmente tutta la parte colpita. La paziente morì. Il chirurgo venne condannato per omicidio preterintenzionale perché, secondo il Giudice, alla luce dell’articolo 32 della Costituzione, avrebbe dovuto svegliare la paziente, informarla completamente e procedere solo dopo l’ottenimento del consenso. L’aver proceduto con l’intervento senza aver ricercato prima il consenso della paziente, venne ritenuto una forma di violenza contro la paziente. Questa sentenza fu una rivoluzione. Chiarì concretamente a tutti i Medici  osa si intendesse per “consenso del paziente all’atto medico” nel rispetto della “libertà individuale”.

***

Nell’attuale momento storico del lockdown, si sono concretizzate eccezionali interruzioni del diritto costituzionale alle libertà individuali, come:

  • Il divieto di uscire di casa,
  • Il divieto di raggiungere i propri cari,
  • Il divieto di riunirsi con più persone,
  • Il divieto di spostarsi da una città all’altra e da una regione all’altra,
  • Il divieto di viaggiare,
  • L’interruzione di servizi basilari come le consulenze specialistiche ospedaliere, la sospensione della giustizia civile, la sospensione della scuola, delle manifestazioni culturali, di sport e spettacolo, religiose.

Una volta finito il lockdown, molte libertà sono state recuperate per effetto degli articoli nn. 2, 3 e 13 della Costituzione. Quest’ultimo esplicitamente dichiara: «La libertà personale è inviolabile…»

Ora vediamo come queste leggi, con tanto retroterra storico, si oppongono alla “patente di immunità” così come è concepita.

Il combinato disposto fra l’articolo 13 sulla libertà individuale, e l’articolo 32 sulla discrezionalità di ognuno ad accettare o rifiutare un atto medico, condizionano l’attuale diatriba tra autorità sarde e milanesi.

A complicare le cose si aggiungono gli effetti di una legge del 1990 mirata a proteggere la privacy dei malati di AIDS. Tale legge venne prodotta per impedire la pubblicizzazione della diagnosi di AIDS in quanto andava scoraggiato lo “stigma” sociale contro questi pazienti. Se non fosse stata protetta la loro privacy essi avrebbero reagito occultandosi, e non curandosi, peggiorando la diffusione del morbo.

Tale legge sulla privacy del proprio stato patologico è tutt’oggi vigente.

Questo ulteriore elemento oppone ostacoli alla esibizione obbligatoria di una patente di “buona salute”.

La “patente di immunità” venne inventata per la prima volta nello XII secolo quando, con la ripresa in modo epidemico della lebbra, si costituirono delle Commissioni sanitarie che sottoponevano ad esame fisico i sospetti di lebbra. La prova fondamentale consisteva nell’infiggere uno spillone nelle aree di cute discromica. Se l’esaminato sentiva dolore veniva dichiarato “indenne” da lebbra e gli veniva consegnata una “patente di buona salute” con cui poteva entrare nella regione ospitante. Chi non otteneva la patente, subiva lo “stigma sociale“.

Il problema dello “stigma sociale” di condanna di questi pazienti cova sempre e può emergere in modo incontrollato.

L’insieme di queste combinazioni sta condizionando l’attuale diatriba politica regionale.

Tenuto conto dei binari tracciati dalla legge, dalla giurisprudenza e dalla storia della Medicina, forse si potrebbe trovare un punto di equilibrio in questo ipotetico programma:

  • Primo: screening con tampone e partecipazione volontaria della popolazione;
  • Secondo: App Immuni sui dati dello screening di massa;
  • Terzo: concordare l’etica dei rapporti umani tra malati e sani per regolamentare la fiducia, la precauzione e la trasparenza.

Date queste premesse si comprendono le difficoltà a dare una base di legittimità alla “patente di immunità”.   

Potrebbe essere più efficace offrire all’ospite che arriva uno studio gratuito, con tampone, nel contesto di uno screening generale della popolazione sarda e l’inclusione volontaria nella App Immuni. Questo “prendersi cura dell’ospite” verrebbe sicuramente molto apprezzato.

Mario Marroccu

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Si narra che i lemmings, piccoli roditori della Norvegia, periodicamente si gettino volontariamente nel Mare Artico per suicidarsi in massa. E’ una metafora narrativa che si adatta bene a ciò che abbiamo visto il 4 e 5 maggio 2020 con l’avvio della Fase due dell’epidemia. Forse i lemming siamo noi.

Così come è necessario, si stanno riaprendo le attività del commercio umano. Tuttavia, il pericolo di contagio non è cessato, anzi, è molto più elevato che il 20 febbraio 2020 quando si scoprì il primo caso ed iniziò la tragedia.

Ora i portatori di Coronavirus sono molto più numerosi e si trovano ovunque.

Contrariamente all’esibizione macroscopica di rilassamento generale, la “Fase 2” è più pericolosa della “Fase 1”.

E’ evidente che si debbano assolutamente riaprire tutte le attività produttive con urgenza e con ogni mezzo, ma è parimenti evidente che vanno aperte in tutta sicurezza, pena il baratro economico e sanitario.

Per le uniche protezioni che abbiamo, sono le “norme di sicurezza”, cioè: il DISTANZIAMENTO, le MASCHERINE, i GUANTI ed il DIVIETO DI ASSEMBRAMENTO IN LUOGO CHIUSO.

Questi 4 atti, apparentemente facili, sono di una gravità tale da compromettere la convivenza civile, da cambiare radicalmente la vita di tutti e da essere neutralizzabili da varie forme di disobbedienza civile.

Non è pensabile credere che si debba sminuire per sempre la vita sociale e vederla sprofondare nell’inevitabile degrado dei servizi (scuole, sanità, giustizia).

E’ necessario ribadire che questa è un’EMERGENZA SANITARIA con implicazioni gravi sull’economia, e che per salvarci è imprescindibile dominare, prima, l’emergenza sanitaria.

Occupiamoci della sofferenza di chiunque abbia bisogno di Sanità e dei suoi operatori.

Prendiamo tre luoghi simbolo della Sanità: la Medicina di Base, le Farmacie, gli Ospedali.

GLI AMBULATORI DEI MEDICI DI BASE: è noto che il 45 per cento dei medici morti nella strage quotidiana da Coronavirus erano Medici di Base; vittime sacrificatesi volontariamente per l’alto senso etico della professione. Un sacrificio che non venne chiesto neppure al Buon Samaritano evangelico. Detto questo non si può pretendere che la strage continui capillarmente negli ambulatori. Per essi esiste il divieto, nei vari DPCM di febbraio ed aprile, di assembramento in luogo chiusi e l’obbligo di distanziamento di 1 metro (voglio vedere come si visiterà un paziente). Per evitare l’assembramento in ambulatorio è necessario obbligare le persone a stare in fila in strada e, una volta fatto il “triage”, far entrare i pazienti uno per volta, anche per la semplice ripetizione di una ricetta.

Per quanto tempo può essere tollerato? Per esempio, come si farà in Inverno? Potranno i pazienti aspettare per ore al freddo, alla pioggia, al vento senza riparo e senza sedia? Sappiamo che è possibile rifiutare, per decreto, la visita a chiunque abbia una temperatura di 37,5, che può essere dovuta all’inizio di una banale influenza, o per un ascesso dentario, o per una tonsillite. E se fosse una febbricola da tumore o da artrite dolorosa, o da nefrite? Nel contempo si deve pensare all’ansia continua del medico, e del personale dello studio, all’idea che in quella Umanità sofferente vi sia il portatore che gli regalerà il virus.

PRENDIAMO IL CASO DELLE FARMACIE DEL TERRITORIO: qui si riproduce la situazione degli ambulatori medici. E’ possibile pensare alle mega-file di pazienti al vento e sotto la pioggia, e al freddo con le gambe indolenzite? Dimenticavo: esiste il “divieto di sosta”; pertanto non è permesso mettere panchine in strada per i poveretti, perché subito si adagerebbero anche altri pazienti in attesa, creando un assembramento vietato, e arriverebbero i vigilantes a far sgomberare. Certo, ci può essere la consegna a domicilio per tutti, ma è realmente attuabile?

PRENDIAMO IL CASO DEGLI OSPEDALI: qui si ripete lo stesso schema. Non si può sostare in assembramento nelle sale d’aspetto del Pronto Soccorso. Bisogna fare file alternative.

Così pure non è possibile entrare nella sala d’aspetto dell’ingresso principale, sempre per evitare l’assembramento in luogo chiuso e bisogna fare anche qui il “triage” preventivo, presentando documenti di identificazione, e dichiarando la propria integrità dal virus. Ma ciò richiede tempo e, nel frattempo, si creano file all’esterno. Per contenere le file viene disposta una barriera di GUARDIE GIURATE, con tanto di pistola al fianco, che strutturano, con una certa ruvidezza dovuta al mestiere, le file dei richiedenti i servizio sanitario, talvolta con voce normale, talvolta con voce alterata come negli Istituti di sorveglianza. In quel palcoscenico surreale può capitarti di vedere quadri di umanità derelitta che ricordano la descrizione dell’Inferno Dantesco e “CARONTE” nell’atto di ordinare le file dei nuovi arrivati che “batte col legno qualunque si adagia”.

L’ingresso ospedaliero è stravolto: da “front-office” d’accoglienza, a causa della politica difensiva si è trasformato in un sistema di “respingimento”, con tanto di guardie dall’atteggiamento un po’ torvo ed intimidente. Ma va bene, accadde anche ai tempi della “Peste” del Manzoni. I quei tempi intorno alle fortezze del potere vigilava gente armata, come quella incontrata da don Abbondio.

Il deterioramento del valore umano è assicurato. Nelle file dei richiedenti salute è facile essere trasformati in schiere consenzienti, perché senza alternativa, a trattamenti sgradevoli.

Nello stravolgimento dell’immagine civile dell’ingresso ospedaliero potrebbe benissimo starci, in alto, la scritta ARBEIT MACHT FREI.

Questo è il punto: lo “Stato d’Assedio”. Fino a quando lo tollereremo? Accettiamo di deperire progressivamente fino a indebolire la struttura sociale e economica?

Purtroppo, oltre alle disposizioni per l’entrata in “Fase 2”, non vediamo altri progetti.

Eppure non siamo nei secoli della Peste Nera. Siamo nel terzo millennio. Abbiamo nuove armi. Non ci sono solo l’”isolamento”, la “quarantena”, il “distanziamento” e il “divieto di assembramento”, inventati dai Visconti di Milano e dai Dogi di Venezia,

Oggi, la via Maestra di attacco al virus ce l’insegna il professor Andrea Crisanti, il domatore del virus di Vò Euganeo e del Veneto. Egli indica come via la “ricerca minuziosa e capillare dei portatori del virus col metodo del tampone”.

Il tampone preleva lo RNA virale dalle vie aeree, lo esamina con un estrattore di DNA, e poi fornisce il risultato con nome, cognome e indirizzo del portatore contagioso.

A questo punto lo “sfortunato” diviene “fortunato” perché verrà curato. Ma curato come? Forse con l’isolamento volontario fiduciario in seno alla sua famiglia? In tal modo tutta la famiglia verrà contagiata e si creerà una specie di “Pio Albergo Trivulzio” familiare. La soluzione a questi casi venne già adottata con successo nel SISTEMA SANITARIO DEL SULCIS IGLESIENTE. Allora, fino agli anni ’70, si individuavano i pazienti tubercolotici in fase attiva e si ricoveravano al Binaghi. Invece i familiari, portatori sani, venivano ospitati nel Preventorio anti TBC del FRATELLI CROBU, e lì venivano curati. Così la tubercolosi venne debellata dal nostro territorio.

Da queste premesse, sembra evidente che per raggiungere l’obiettivo di eradicazione di questo incubo attuale, si debbano compiere 4 atti:

PRIMO: istituire il COVID HOSPITAL al SANTA BARBARA di Iglesias per gli acuti.

SECONDO: riattivare il CROBU come Preventorio anti COVID.

TERZO: dotare subito il SULCIS IGLESIENTE di un laboratorio di Biologia Molecolare per l’estrazione dello RNA dai tamponi.

Quarto: avviare uno SCREENING di tutta la popolazione ed affidarne la gestione ai Medici di Base.

Tempi?

  1. Acquisto dell’ESTRATTORE di DNA, tamponi, reagenti.
  2. Nuovo organigramma del laboratorio di biologia molecolare.
  3. TAMPONI DI MASSA. Ottenere una sezione esatta del contagio al tempo zero.
  4. Ripetizione dell’esame al quattordicesimo giorno e al trentesimo.

A questo punto si sarebbe la ragionevole certezza di avere identificato ed isolato tutti i portatori contagiati.

L’OBIETTIVO CERCATO? Liberare, in un mese, tutta la popolazione del Sulcis Iglesiente dal virus. Senza la paura ed il sospetto potremo scientificamente riprendere i rapporti umani e rinascere.

La premessa a questo progetto è: un’opinione pubblica compatta nel sostenere una politica autonoma per la gestione diretta del SISTEMA SANITARIO DEL SULCIS IGLESIENTE.

Mario Marroccu

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In attesa del “vaccino”, tutti i problemi della fase di ripresa derivano dalla necessità di “sicurezza”. Questa, per ora, può essere garantita solo dalle norme di “distanziamento” ma questo, a sua volta confligge con la necessità dei rapporti umani di cui si nutre l’“economia”.

Soluzioni possono trovarsi nell’urgente costituzione di una nuova “impalcatura sanitaria” e nella “filiera corta”.

***

Nella “Fase 1” l’obiettivo era il “contenimento” dell’epidemia.

Nella “Fase 2″ l’obiettivo  sarà la “sicurezza” dal pericolo di contagio.

La “ Fase 1” era caratterizzata dalla “immobilità”.

La “Fase 2” sarà caratterizzata dalla “mobilità” al di fuori dal rifugio di casa nostra.

***

La rivoluzione più grande che cambierà la nostra vita, facendoci entrare in una nuova era, sarà nei mezzi di trasporto.

Durante la “Fase 1” il traffico autostradale si era ridotto del 95%. Con il crollo delle attività industriali, è precipitato il consumo del petrolio. L’accumulo di petrolio estratto ed invenduto ha determinato la discesa vertiginosa del prezzo al barile. Questo evento è stato talmente grave da indurre alla non belligeranza di mercato tra Stati Uniti, Russia ed Arabia Saudita.

Il minor prezzo e la maggior disponibilità dell’invenduto, hanno messo in crisi moltissime aziende di trasformazione e distribuzione dei derivati del petrolio. Secondo gli economisti molte aziende falliranno e alla fine la disponibilità di benzina diminuirà ed il prezzo salirà.

La “chiusura” (lockdown) generalizzata ed il blocco delle tratte aeree internazionali e nazionali ha determinato il default delle società meno solide.

Nella “Fase 2” il distanziamento imporrà l’eliminazione delle poltrone centrali negli aerei provocando la riduzione immediata del 30% dei passeggeri. Le norme di sicurezza all’imbarco escluderanno i passeggeri con “febbricola”, quelli provenienti da “zone rosse” e quelli senza certificazione sanitaria. Già oggi, sia Nazioni straniere sia le Regioni italiane, stanno predisponendo ai loro confini filtri sanitari che prevedono: sierodiagnosi rapide; tamponi nasofaringei per ricerca dello RNA virale.

I voli low-cost, che fanno profitti basati sull’affollamento dei passeggeri, potrebbero trasformarsi in voli con tariffe maggiorate. Ciò farà contrarre l’affluenza di clienti.

I treni, dovendo rispettare le norme  sul “distanziamento” ridurranno il numero di passeggeri. I pendolari che svolgono lavoro “intellettuale” verranno convertiti al lavoro domiciliare (smart-working). Sarà necessario aumentare il numero di corse per pochi passeggeri e gli introiti della bigliettazione crolleranno. Similmente avverrà nei mezzi di trasporto pubblico su ruote e nelle metropolitane. Lo Stato dovrà contribuire per riequilibrare i bilanci per evitare fallimenti e licenziamenti.

I trasporti con mezzi privati in città aumenteranno e creeranno ingorghi; saranno più gravi nei centri con ZTL.

Il consiglio di utilizzare biciclette in “sharing” potrebbe fallire di fronte al dilemma di dover condividere, o no, un mezzo toccato da sconosciuti.

Nelle navi si ridurranno i posti sul ponte e le cabine dovranno essere igienizzate e certificate dopo ogni corsa; ciò imporrà l’uso di metà cabine all’andata e metà al ritorno.

Il trasporto di merci su ruote non dovrebbe subire cambiamenti. Cambierà la qualità di vita degli autotrasportatori che non potranno mai scendere dalle cabine e riceveranno i pasti dal finestrino.

Nella “Fase 2” lo spostamento di turisti verrà pesantemente ridimensionato, sia dai limiti posti dalle Nazioni ospiti e dalle Regioni, sia dalla riduzione dei posti in aereo, in nave ed in treno, ed il contestuale aumento dei prezzi. I turisti verranno “filtrati” al momento della partenza e, per motivi di salute, un certo numero non verrà ammesso. Una volta raggiunta le meta dovranno scontrarsi con le regole imposte dai decreti governativi sul “distanziamento” e dai regolamenti di sicurezza interni di ogni azienda alberghiera e di ristorazione. I Bed & Breakfast dovranno adeguarsi alle severe norme di sicurezza e ai controlli serrati degli ispettori di Igiene pubblica. Nelle località di mare le regole di distanziamento provocheranno la riduzione dei posti disponibili in spiaggia e la turnazione degli accessi.

Gli spostamenti in città avranno una regolamentazione non molto diversa da quella vissuta nella “Fase 1”: distanziamento e scaglionamento per l’accesso ai mercati ed uffici di pubblica utilità; mascherine e guanti.

***

Le scuole saranno di difficile gestione, sia per lo spostamento quotidiano di 12 milioni di utenti, reso difficile dai pochi posti nei mezzi pubblici, sia dal necessario “assembramento” per certe attività didattiche.

***

L’apporto del turismo al bilancio nazionale oggi rappresenta lo 11% del PIL. Con queste premesse sarà compromesso. Così pure saranno compromesse quelle aziende che producono per gli alberghi ed i ristoranti. Il deterioramento di questa industria farà crollare i posti di lavoro del personale dipendente (hotel, musei, mostre, villaggi vacanze, agenzie e guide turistiche).

Non si vede luce in fondo al tunnel.

Bisogna cercarla.

Allo scopo di chiarirsi le idee nell’odierno  dibattito, reso complesso da milioni di opinioni diverse, è necessario ribadire che questa è una “crisi sanitaria” dovuta a un pericoloso Coronavirus che continua a circolare nell’ambiente.

***

Dopo la fase di “fuga” dal virus stiamo entrando nella fase di “attacco” al virus. Ora dobbiamo stanarlo, ovunque si nasconda, e renderlo visibile. Con un “nemico visibile” cominceremo a ragionare meglio.

Il metodo è stato già messo a punto dal professor Andrea Crisanti, direttore della unità Operativa di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova. E’ stato il primo ad avviare, nel gravissimo focolaio di Vò Euganeo, il metodo dello screening di massa di tutta la popolazione. Ha fabbricato un’anagrafe sanitaria di ogni famiglia scovando i portatori, identificando i guariti, e i suscettibili. Oggi, quella che è stata la prima “zona rossa”, è una zona totalmente bonificata dal virus.

Tutti gli abitanti vivono con mascherina e guanti ma, da oltre un mese, non c’è stato più nessun contagio.

Il professor Andrea Crisanti ha ripetutamente sottoposto ogni cittadino al “tampone” per la ricerca del virus e all’esame del sangue per la ricerca degli anticorpi.   

I dati che ha scoperto vengono studiati in tutto il mondo. Per esempio è il primo ad avere dimostrato che i bambini fino a 10 anni non subiscono alcun danno. Ha dimostrato che vi sono già numerose mutazioni del virus originale e che il 34% della popolazione non ha sintomi. Invece il 53% è sintomatico ed è stato tempestivamente isolato e curato. Andrea Crisanti così ha avuto un perfetto monitoraggio per portare la mortalità zero.

***

Oggi stiamo leggendo nei giornali la programmazione della Regione Sardegna per contrastare il contagio. Si ha intenzione di studiare nell’immediato 10.000 persone, con l’intento poi di ampliare lo studio ad altre 30.000. Si tratta di un’indagine “random”, cioè casuale, per la ricerca di anticorpi nel sangue, per scoprire quanti siano stati a contatto col virus e ne siano guariti. Seppure lodevole e interessante questa ricerca non è destinata a raggiungere l’obiettivo che si era posto il professor Andrea Crisanti a Vò Euganeo.

In questo momento il nostro obiettivo è quello di riavviare tutte le attività economiche. Per ottenere questo risultato abbiamo necessità di dare sicurezza sanitaria ai trasporti pubblici interni, al commercio, alle attività artigianali, alle industriali, alle agricole e dalla scuola. Tutte queste articolazioni dell’economia hanno bisogno, oggi, di essere sostenute da una solida impalcatura che non può essere altro che una “impalcatura sanitaria”.

Tutto dimostra che il “distanziamento”, e la necessità di “spostarsi in sicurezza” rendono tutto più “lontano”. Il “distanziamento” è un “ostacolo alla agilità” dell’economia. Il nostro obiettivo è: trovare metodi per neutralizzarlo. Dobbiamo trovare un metodo per individuare i luoghi dove è posizionato il virus, per evitarlo.

Nel Sulcis e nell’Iglesiente avevamo già una “impalcatura sanitaria” perfetta. Era nata per dare sicurezza a chi lavorava nelle miniere, nelle industrie, nei porti e sui treni, e per contenere una malattia diffusiva, contagiosa anch’essa per via aerea: la Tubercolosi. Il risultato venne raggiunto brillantemente. Gli ospedali di Carbonia e Iglesias hanno avuto, nel tempo, tutte le specialità e i Servizi sanitari che sarebbero necessari oggi. Poi però, per motivi puramente contabili, l’“impalcatura sanitaria” del Sulcis Iglesiente è stata svuotata e immiserita. La comunità si trova oggi in uno stato di periferia assistenziale mai vista. I servizi sono stati distanziati dal territorio e centralizzati a Cagliari. Con essa sono stati sottratti anche i Palazzi di Giustizia e la periferizzazione del territorio si è aggravata. I mezzi di trasporto pubblico non sono stati potenziati ed oggi lo spopolamento in atto, che consegue alla migrazione delle giovani coppie presso il centro più servito, produce un relativo invecchiamento demografico. Questo rende Cagliari ancora più lontana. La distanza di Cagliari dal Sulcis Iglesiente aumenterà vieppiù con le norme  della “Fase 2” che limitano gli spostamenti.

Le difficoltà, frapposte fra il nostro “bisogno di sanità” e l’obbligo che ci viene imposto di recarci a Cagliari per soddisfarlo, vanno eliminate.

La Politica sanitaria dovrebbe dirigersi esattamente in senso opposto all’attuale percorso di smobilitazione.   

Non è questo il momento per elencare cosa è stato tolto agli Ospedali di Iglesias e Carbonia. Adesso è il momento di riprendersi, con urgenza, il diritto di dotarci di difese contro il virus.

Attualmente il programma più efficace e più attendibile è quello messo a punto dal professor Andrea Crisanti di Padova. Egli, avendo previsto tempestivamente cosa stava per avvenire, e conoscendo le difficoltà per l’acquisto dei reagenti per le macchine di laboratorio di biologia molecolare, già dai primi di febbraio 2020 procedette a preparare autonomamente i reagenti con materiali base già presenti nel suo laboratorio. Immediatamente dopo  acquistò un nuovo strumento per l’individuazione dello RNA del Coronavirus col metodo PCR. Già ne possedeva uno con cui faceva circa 200 esami all’ora. Il nuovo strumento, di fabbricazione inglese, esegue 385 esami ogni 10 minuti. Ciò equivale a 2.310 esami all’ora; cioè a 23.100 in 10 ore. Ne può eseguire 46mila in 20 ore. Significa che in 3 giorni si possono fare esami di ricerca dello RNA virale per tutti gli abitanti del Sulcis Iglesiente.  Lo strumento costa meno di mezzo milione di euro. Gli esami per la ricerca degli anticorpi sono anche più rapidi e meno costosi.

Ecco, questo dovrebbe essere l’inizio per dare una nuova “impalcatura sanitaria” al territorio e riprendere a lavorare subito e in serenità.

Qualora si applicasse la “app” “Immuni” di tracciamento dei soggetti positivi avremmo un controllo completo della circolazione del virus.

I soggetti portatori avrebbero il privilegio di conoscere una diagnosi certa e tempestiva, e di essere curati, senza mettere in apprensione le famiglie e le Aziende. Simile trattamento, verrebbe riservato ai turisti che percepirebbero un livello di sicurezza alto. Questo sarebbe un valore aggiunto alla qualità delle loro vacanze.

Naturalmente l’esame andrebbe ripetuto a cadenza di almeno 14 giorni, sia per individuare casi sfuggiti, o nuovi casi, e per accertare la stabile condizione di esenzione dall’infezione della popolazione intera.

Il territorio, con una spesa a carico UE, sarebbe difeso in modo eccellente e si candiderebbe a diventare luogo di attrazione per turisti ed imprenditori.

Va anche chiarito che lo strumento per PCR del DNA e dello RNA è adatto a studiare il corredo genetico di batteri e virus di tutto il mondo animale e vegetale. Pertanto, la sua acquisizione sarebbe il fulcro su cui si svilupperebbe il Centro di Infettivologia che era stato già previsto per il Sulcis Iglesiente.

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Questa via, per uscire dal tunnel dell’involuzione economica in cui ci troviamo, è stata già sperimentata e standardizzata con successo in Veneto. Si tratta di percorrere questa strada nota. Per far ciò è necessaria una forte iniziativa imprenditoriale sostenuta dalla politica locale.

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L’altra luce in fondo al tunnel è stata bene illustrata in una videoconferenza di mercoledì 22.04.2020, organizzata dal CCN di Sant’Antioco, a cui hanno partecipato: GAL e FLAG Sulcis, LAORE, Banco di Sardegna e 50 imprenditori locali.

I relatori hanno illustrato le prospettive di sviluppo legate alla cosiddetta “filiera corta”. Si tratta di attività imprenditoriali che avviano la produzione in loco e, una volta liberatesi dalla dipendenza da una catena produttiva distante, portano a termine il loro prodotto e lo commerciano. Le imprese possono essere di varia consistenza. Sono caratterizzate soprattutto dalla “biodiversità” alimentare (vitivinicola, cerealicola, orticoltura, olivicoltura,  allevamenti, itticoltura e pesca). I tecnici di Laore hanno affermato che il Sud Sardegna ha il primato della biodiversità e, essendo la Sardegna la regione che vanta la maggiore biodiversità in Italia, ed essendo l’Italia la Nazione che vanta la maggiore biodiversità in Europa, si comprende quale prospettiva si apra in fondo al tunnel.         

La “filiera corta” per le imprese e la “filiera corta” per la Sanità si prospettano come la via d’uscita dalla “Fase 2”.          

Mario Marroccu 

N.B. Nella fotografia allegata, il distanziamento tra le persone in fila, sotto il porticato, sul marciapiede e persino sulla sede stradale, all’ufficio postale di Carbonia Centro.