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In Sardegna opera una associazione di volontariato ogni dieci abitanti e il dato è in crescita rispetto al 2008 fa quando il rapporto era di uno a otto. Le associazioni censite sono oggi 1.701 (quattrocento in più rispetto a nove anni fa) e i volontari impegnati ben 32mila. Ma il numero delle persone coinvolte a vario titolo è molto più ampio: considerando anche i volontari saltuari e le persone retribuite dalle associazioni, il numero dei sardi impegnati nel volontariato sale addirittura a 183mila.
Sono questi i dati che emergono dalla ricerca “Il Volontariato in Sardegna – Organizzazioni di volontariato nella rilevazione campionaria 2016: identità e processi”, promossa dal Centro di servizio per il volontariato Sardegna Solidale e condotta dal ricercatore Renato Frisanco. La ricerca, presentata mercoledì 3 maggio a Sassari, segue quella analoga elaborata otto anni fa ed è stata condotta nel 2016 su un campione di 264 organizzazioni di volontariato che hanno risposto a 49 domande. Il risultato è uno studio di 158 pagine, arricchito da 90 tabelle, che fotografa il percorso condotto in questi anni dal volontariato isolano e traccia anche una tendenza per il prossimo futuro.
«Bisogna dare atto a Sardegna Solidale di essere uno dei pochi centri in Italia a svolgere ricerche sui bisogni del volontariato» ha affermato Renato Frisanco, mentre per il presidente di Sardegna Solidale Giampiero Farru «il quadro che emerge è quello di un volontariato vitale che cresce e che guarda con fiducia alle sfide del futuro». «Certamente non mancano le criticità – ha aggiunto – soprattutto in riferimento al rapporto con le pubbliche amministrazioni. A fronte di un impegno così radicato nei nostri territori, non possiamo infatti non denunciare la centralizzazione delle decisioni riguardanti il volontariato ipotizzata dalle bozze di decreti attuativi della nuova legge sul Terzo Settore, così come l’assordante silenzio dell’amministrazione regionale nei confronti del nostro movimento, con l‘Osservatorio regionale del Volontariato ormai messo da parte».
«Questa ricerca ci permette di vincere le accuse di autoreferenzialità che vengono talvolta rivolte al mondo del volontariato – ha proseguito don Angelo Pittau, presidente del Comitato promotore di Sardegna Solidale – perché la sua lettura non è così autoconsolatoria. Bisogna avere il coraggio di prendere in mano questa ricerca perché, se saputa leggere e analizzare, ci permetterà di operare un cambiamento.»
Scopo principale della ricerca è quello di aggiornare la conoscenza del fenomeno circa caratteristiche di funzionamento, attività, processi, risorse e bisogni delle organizzazioni di volontariato in Sardegna. La ricerca è articolata in tre parti. La prima, introduttiva, comprende l’ipotesi guida della ricerca e lo scenario della solidarietà organizzata nel nostro Paese negli anni tra le due rilevazioni.
La seconda parte è relativa alla presentazione analitica dei risultati della ricerca realizzata nel 2016 sul territorio regionale ed entra nel merito dei risultati della ricerca, trattando i temi che riguardano il funzionamento delle 264 organizzazioni di volontariato del campione esaminato, ovvero i bisogni e le risorse delle compagini sarde nonché i processi che ne qualificano organizzazione, operatività e relazionalità.
La terza parte illustra la struttura, l’organizzazione e l’attività del Centro di servizio per il volontariato “Sardegna Solidale” a diciassette anni dalla sua attivazione, attraverso i dati del rendiconto delle attività certificati attraverso appositi strumenti di rilevazione (questionario Csv.net) e di accountability (bilancio sociale 2015).
Quali caratteristiche? Secondo la ricerca, le associazioni prese in esame hanno in media 19 volontari, a cui però si devono aggiungere coloro che saltuariamente contribuiscono all’operatività dei gruppi. Le organizzazioni di volontariato sarde sono generalmente piccole: il 45 per cento non ha più di dieci volontari (e questo dato è rimasto invariato rispetto alla precedente ricerca).
Quanti volontari? Proiettando i dati raccolti sul campione della ricerca sull’intero numero di associazioni, oggi in Sardegna i volontari sono circa 32 mila, un numero che però sale addirittura a 183 mila se si considerano sia le persone impegnate saltuariamente che quelle retribuite a vario titolo dalle associazioni.
Le associazioni nel territorio Secondo i dati raccolti da Sardegna Solidale, nell’isola sono presenti 1701 organizzazioni di volontariato, in sostanza una ogni dieci abitanti (erano una ogni otto nella precedente rilevazione). Tuttavia gli squilibri territoriali sono evidenti. Il 45 per cento delle organizzazioni di volontariato sarde opera infatti nel territorio della provincia di Cagliari, nella quale sono presenti 13,6 associazioni ogni diecimila abitanti. A seguire la provincia di Sassari (14,3 per cento delle associazioni e 7,3 associazioni per diecimila abitanti), Nuoro (9,3 per cento e 10,1 associazioni), Carbonia Iglesias (8,2 per cento e undici associazioni), Oristano (7,9 per cento e 8,3 associazioni), Olbia Tempio (6,8 per cento e 7,2 associazioni), Medio Campidano (sei per cento e 10,2 associazioni) e Ogliastra (2,5 per cento e 7,3 associazioni ogni diecimila abitanti).
Secondo la ricerca, ad essersi consolidate maggiormente in questi ultimi otto anni sono state soprattutto le organizzazioni di volontariato impegnate nel welfare. Le nuove associazioni sono sorte invece soprattutto nell’ambito della partecipazione civica (cultura, ambiente beni culturali, solidarietà internazionale). Questa tendenza, secondo Frisanco, è frutto di un nuovo volontariato più attento ai temi della cittadinanza e meno imperniato sul concetto di militanza.
Rispetto alla precedente rilevazione oggi il volontario sardo ha un livello di istruzione più elevato e opera con minore costanza e continuità rispetto al passato. La sua azione è orientata soprattutto verso l’operatività e meno verso un contributo di riflessione critica o di proposta.
Per i presidenti delle associazioni che hanno risposto al questionario, la prima caratteristica che deve avere un volontario è quella di saper fare squadra, seguita dalla consapevolezza della sua azione gratuita e dalla disponibilità ad avere relazioni sociali. Passano invece in secondo piano le competenze professionali e addirittura quasi scompare la necessità di condividere un credo religioso.
Il bisogno più rilevante registrato è quello espresso dalle associazioni di volersi mantenere fedeli ai valori del volontariato, un dato che nel 2008 era solo in quarta posizione. Cala invece la percentuale di associazioni che dichiara la propria attività in crescita (dal 32 al 25 per cento), mentre dalla ricerca emerge anche la necessità dei gruppi di coinvolgere un maggior numero di volontari, in quanto le organizzazioni tendono ad invecchiare.
Dalla ricerca emerge chiaramente il difficile dialogo tra le organizzazioni e le pubbliche amministrazioni, incapaci (a dire delle associazioni) di esaltare il ruolo del volontariato e di inserirlo nella propria azione come un soggetto attivo. Molte associazioni denunciano inoltre di non poter disporre di una sede. Tuttavia, sono in crescita i progetti portati avanti insieme alle amministrazioni comunali.
E’ diminuita la quota di associazioni impegnate nella progettazione, mentre sono al contempo aumentate le associazioni che invece propongono progetti, finanziati in misura maggiore dagli enti privati che non da quelli pubblici. La ricerca registra infatti un minor intervento a partire dal 2008 delle amministrazioni sostegno del volontariato.
Le organizzazioni più vitali sono quelle impegnate nella progettualità, che hanno una capacità di comunicare le loro attività medio-alta, puntano di più sulla formazione, partecipano maggiormente alle consulte e collaborano con altre associazioni.
Alla domanda “come vi immaginate fra cinque anni?”, ben il 42 per cento delle associazioni ha affermato di prevedere una crescita (nel 2007 gli ottimisti erano il 29 per cento), mentre il 25 per cento ha risposto prevedendo una continuità con il presente (la percentuale nella precedente rilevazione era del 38).
Di Sardegna Solidale le associazioni apprezzano soprattutto la spinta verso la promozione dei valori della solidarietà. Secondo la ricerca, Sardegna Solidale si distingue per due aspetti: il modello di gestione (basato sulla gratuità) e la sua struttura reticolare diffusa nel territorio che permette di coinvolgere le organizzazioni nelle attività e di decentrare il più possibile gli interventi.
La ricerca ha registrato tre elementi di strategia da parte di Sardegna Solidale: la forte propensione alla comunicazione della cultura della solidarietà, (con una particolare attenzione ai giovani), il significativo investimento nella formazione (grazie al piano Formidale) e l’investimento sulla tecnologia comunicativa che mette in interconnessione le associazioni, grazie alla rete dei quaranta Sa. Sol. Point diffusi nel territorio e al sistema del Sa. Sol. Desk. È questo un modello molto arricchente, che consente alle associazioni di condividere le loro esperienze più significative.