22 November, 2024
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Fulvio Moirano.

Il Collegio di Direzione è l’organo dell’ATS deputato a supportare la Direzione aziendale nel perseguimento della missione aziendale e ad assicurare la partecipazione decisionale delle figure professionali presenti nell’ATS al governo complessivo della stessa, orientandone lo sviluppo ai bisogni della popolazione, agli standard più avanzati di assistenza sanitaria e di integrazione sociosanitaria ed all’implementazione degli strumenti del governo clinico.

Il 13 novembre scorso, presso la sede dell’ATS Sardegna, si è riunito in seduta plenaria, il Collegio di Direzione dell’Azienda per la tutela della salute – ATS Sardegna, costituito, ai sensi del Regolamento aziendale approvato con deliberazione del direttore generale n. 1072 del 5/10/2018.

Durante la seduta è stato eletto il Comitato Ristretto del Collegio di Direzione, composto come di seguito:

Presidente: Direttore Generale ATS: dott. Fulvio Moirano;

Direttore Sanitario ATS: dott. Francesco Enrichens;

Direttore Amministrativo ATS: dott. Vincenzo Lorusso;

Direttore della SC Servizio Socio Sanitario: dott. Giuseppe Frau;

Direttori DAP e DAD, in quanto coordinatori aziendali delle attività ospedaliere e distrettuali; si rimanda alla norma transitoria ex art. 9 Regolamento fino a formale atto di nomina;

Direttore Dipartimento Staff: dott. Paolo Tecleme;

Direttore del Dipartimento delle Professioni Sanitarie, Direttore SPS Carbonia dott. Antonello Cuccuru; si rimanda alla norma transitoria ex art. 9 Regolamento fino a formale atto di nomina;

Direttore ASSL Oristano: dott. Mariano Meloni;

Direttore ASSL Nuoro: dott.ssa Grazia Cattina;

Direttore P.O. Oristano dott. Antonio Francesco Cossu;

Direttore P.O Carbonia dott. Sergio Pili;

Direttori Distretto ASSL Sassari: dott. Nicolò Licheri;

Direttore Distretto Siniscola: dott. Pasqualino Manca;

Direttore Distretto n. 5 Cagliari : dott. Maurizio Rachele;

Direttore Distretto n. 2 Cagliari : dott.ssa Luisa Casu;

Direttore Dipartimento prevenzione: dott. Francesco Sgarangella; si rimanda alla norma transitoria ex art. 9 Regolamento fino a formale atto di nomina;

Direttore DSMD: dott. Alessandro Coni; si rimanda alla norma transitoria ex art. 9 Regolamento fino a formale atto di nomina;

Dipartimento del Farmaco dott. Paolo Sanna; si rimanda alla norma transitoria ex art. 9 Regolamento fino a formale atto di nomina.

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Il 7 dicembre presso la Hall dell’Ospedale Sirai, si è tenuta una tavola rotonda dal titolo: Ospedale e territorio fare sistema al servizio del paziente, organizzata dalla Direzione dell’Ospedale Sirai e dall’Associazione “Amici del Sirai”. Alla giornata di studio, moderata dal direttore delle professioni sanitarie Antonello Cuccuru, sono intervenuti il direttore dell’Ospedale Sergio Pili, il presidente della Conferenza Socio Sanitaria e sindaco di Gonnesa Hansel Christian Cabiddu, il pediatra di Libera scelta Paolo Zandara e il medico di Medicina generale Domenico Salvago.

I lavori sono stati introdotti da Antonello Cuccuru che ha delineato la nuova geografia della sanità regionale, in attesa dell’emanazione della rete territoriale. Antonello Cuccuru, ha illustrato inoltre quanto contenuto nel Rapporto OASI 2017 (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano), realizzato da Cergas e SDA Bocconi, che dal 2000 monitora lo stato del settore sanitario pubblico e privato in Italia, dove si evidenzia che “la prevenzione, insieme alla gestione delle non-autosufficienze è il tallone di Achille dello scenario sanitario italiano. Le fonti pubbliche coprono il 95% della spesa ospedaliera, ma solo il 65% della spesa per assistenza residenziale a lungo termine (LTC) e il 60% della spesa per prestazioni ambulatoriali. I pazienti cronici pluri-patologici rappresentano, oggi, il 21% della popolazione e, data la complessità del loro quadro clinico, tendono ad assorbire gran parte dell’offerta delle prestazioni ambulatoriali, facendo sì che i pazienti occasionali si rivolgano più frequentemente al circuito a pagamento

Il direttore del Sirai Sergio Pili, in attesa del nuovo ospedale del Sulcis Iglesiente, ha raffigurato uno scenario regionale di incertezza con timore che, in assenza di precise indicazioni di programmazione sanitaria, si vada alla deriva. Secondo il direttore del Sirai, in questi ultimi anni, siamo rimasti prigionieri di logiche di spartizione e di campanili, dove hanno prevalso i numeri dei primari e delle strutture complesse rispetto ai servizi realmente necessari. Definire il ruolo dell’ospedale del futuro -dentro un territorio-, afferma il Direttore del Sirai, non può inoltre prescindere da un insieme di fattori dovuti all’invecchiamento della popolazione, alle cronicità di lunga durata, ai costosi farmaci innovativi, alla non autosufficienza, che rischiano di mettere in ginocchio la più importante conquista sociale di tutti i tempi: la sanità per tutti, equa e inclusiva.

Per il presidente della Conferenza socio sanitaria Hansel Christian Cabiddu, si registra sia un’insufficienza di risorse, sia una frammentazione delle competenze istituzionali (disperse tra SSN e Comuni), dove le famiglie vengono lasciate sole con il compito di auto-organizzarsi, o attraverso un impegno diretto nella cura del proprio parente, o con l’aiuto di un caregiver informale, o ricorrendo al ricovero sociosanitario in solvenza completa. Il Sindaco ritiene prioritaria la difesa dei servizi dedicati delle patologie tempo-dipendenti (Emodinamica e Stroke) che non possono essere mercanteggiati con altri interessi. Ha detto, infine, che tali obiettivi dovrebbero essere visti dalla politica come il vero ritorno degli investimenti in sanità, volando alto nel pensiero politico, nell’idea di welfare e nella (ri)programmazione socio-sanitaria.

Prima di affrontare il discorso del rapporto tra cure primarie e ospedale, Paolo Zandara ha snocciolato impietosamente alcuni dati relati al definanziamento del SSN, riportando quanto previsto nel Documento di economica e finanza (Def) 2017, dove si prevede che il rapporto tra spesa sanitaria e Pil diminuirà dal 6,7% del 2017 al 6,5% nel 2018, per poi scendere ancora al 6,4% nel 2019, lasciando intendere che l’eventuale ripresa del Pil non avrà ricadute positive sul finanziamento pubblico del Ssn. Riprendendo quanto affermato dal Sindaco di Gonnesa, invita gli amministratori locali ad utilizzare lo strumento della Conferenza Socio sanitaria per tutelare in maniera più incisiva la sanità del Sulcis Iglesiente. Per quanto concerne alcune azioni che potrebbero migliorare l’integrazione, ricorda che dal 2011, la ricetta cartacea, di cui al decreto 17 marzo 2008, è stata sostituita dalla ricetta dematerializzata generata dal medico prescrittore. Il medico prescrittore, a prescrizione avvenuta, rilascia all’assistito il promemoria della ricetta dematerializzata provvisto di Numero Ricetta Elettronica (NRE) e codice di autenticazione dell’avvenuta transazione; un percorso apparentemente lineare ma che trova ancora oggi qualche ostacolo legato alla copertura della Rete. Forte di alcune esperienze formative multidisciplinari – il pediatra- ritiene che il tallone di Achille sia ancora rappresentato dalla insufficiente comunicazione tra medico e paziente. In ultima analisi, ha invitato la ASSL a mettere in atto alcune azioni, alla luce del ridimensionamento delle strutture ospedaliere pediatriche previste dall’atto aziendale ATS, attraverso l’istituzione di un Pronto soccorso pediatrico e la creazione di ambulatori di chirurgia pediatrica nel territorio.

Per il medico di Medicina generale e vice presidente SNAMI (Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani) Domenico Salvago, che ha concluso il giro degli interventi, la sanità del Sulcis Iglesiente deve fare i conti con una politica nazionale di de-finanaziamento del SSN che spesso ha portato a privilegiare la sanità privata rispetto a quella pubblica e a creare una situazione di contrapposizione fra medici, personale sanitario e i cittadini-pazienti. Anche lo sciopero del 12 dicembre – ha aggiunto Domenico Salvago – rappresenta un indicatore di disagio di professionisti a causa del mancato rinnovo di un contratto bloccato da 8 anni.  Il territorio dovrebbe essere al centro dell’attenzione dei politici e degli amministratori del Servizio Sanitario Nazionale, per questo motivo prima di parlare di nuovi modelli concettuali come la medicina di iniziativa, di Case della Salute e di Ospedali di Comunità – a fronte di una apertura nel territorio ancora tutta in evoluzione, bisognerebbe concentrarsi su modelli sperimentabili nel nostro territorio. Per dirla con Cavicchi – che mi capita di leggere spesso su “quotidianosanità” – ha sottolineato ancora Domenico Salvago -, non ha senso ripensare la medicina generale, la specialistica, l’ospedale, come “enclave” cioè ciascuno separato dall’altro. Giusto per fare un esempio, si potrebbe cominciare a fare integrazione migliorando i servizi telematici resi disponibili dall’infrastruttura nazionale per l’interoperabilità del Fascicolo sanitario elettronico (FSE).  Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) è, infatti, lo strumento attraverso il quale il cittadino può tracciare e consultare tutta la storia della propria vita sanitaria, condividendola con i professionisti sanitari per garantire un servizio più efficace ed efficiente.

Il dibattito conclusivo ha registrato la partecipazione di diversi interventi, che hanno rilevato la necessità di integrazione tra ospedale e territorio, attraverso la costruzione di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali su patologie croniche, come ha sottolineato l’ex Direttore Sanitario Enrico Pasqui, e l’urgenza di far riacquistare sicurezza ai cittadini del Sulcis Iglesiente che scelgono di farsi curare al Sirai e al CTO, come ha invece fatto risaltare l’Assessora ai Servizi Sociali Loredana La Barbera.

La serata è proseguita con un concerto della OMA big band che si è esibita in occasione dei festeggiamenti per l’anniversario di Carbonia.

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Il Collegio Ipasvi di Carbonia Iglesias ha tenuto stamane, nella sala consiliare del comune di Carbonia, la prima conferenza stampa per la presentazione delle novità su «Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici», previste dalla Legge Stanca del 9 gennaio 2004, n. 4 (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2004) ma fino ad oggi quasi completamente inattuate.

Hanno partecipato alla conferenza stampa, con il presidente del Collegio Ipasvi di Carbonia Iglesias Graziano Lebiu, l’assessore delle Politiche sociali del comune di Carbonia Loredana La Barbera, il presidente della IV commissione del comune di Carbonia Daniela Marras, le infermiere che hanno realizzato il video proiettato in sala, Lisanna Grosso dell’Ipasvi di Pavia e Valeria Rita Cani dell’Ipasvi di Carbonia Iglesias.

«I motivi e la proposta di recepire nel sito web del Collegio Ipasvi uno spazio di accesso dedicato a soggetti disabili – ha detto tra l’altro Graziano Lebiu – devono quindi essere considerati la prima pietra di un percorso perfettibile, integrabile e rispettoso di altri punti di vista e necessità, ma soprattutto strutturato e curato nel quotidiano del suo evolversi. Sapremo fare certamente sintesi di tutti i contributi che via via saranno posti alla nostra attenzione per arrivare a condividere nel lungo periodo il più corretto e fruibile “risultato” nelle forme e nei supporti sopra espressi. Questa è la finalità della condivisione del “gesto assistenziale ed istituzionale” nell’iniziativa della nostra comunità professionale, e che qui presentiamo unitamente alle curatrici del video, l’infermiera sorda Lisanna Grosso, di Pavia, e l’infermiera Valeria Rita Cani, di Carbonia.»

Lisanna Grosso, originaria di Biella, è stata una delle prime quattro bambine non udenti inserite in un famoso progetto di integrazione tra bambini sordi e udenti e, vincitrice di una borsa di studio “Fulbright-Roberto Wirth”, presto volerà negli Stati Uniti per un’esperienza formativa unica.

«Era un sabato del mese di aprile quando mi arriva un messaggio da Graziano, il quale mi chiese se volevo collaborare con l’Ipasvi di Carbonia Iglesias e di altre province aderenti per un progetto di accessibilità – ha detto nel suo intervento Lisanna Grosso -. Felice di questa perspicacia e sensibilità verso anche le persone sorde, ho accettato subito. Essendo un’infermiera sorda bilingue (italiano/lingua dei segni italiana) ho sempre desiderato e promosso l’accessibilità e di divulgare informazioni e notizie anche alle persone sorde che spesso sono trascurate perché la nostra sordità è invisibile e spesso non ci si accorge che i video con solo l’audio e non sottotitolati o le notizie via radio non ci giungono.»

«Questi primi video in lingua dei segni italiana – ha concluso Lisanna Grosso – sono un primo passo verso la piena accessibilità per la maggior parte delle persone sorde italiane. Si tratta di un buon inizio di un grande progetto.»

Alla conferenza stampa hanno partecipato, tra gli altri, anche il direttore della SC Professioni Sanitarie della ASSL di Carbonia, Antonello Cuccuru, il medico pediatra Paolo Zandara ed il direttore del Centro Servizi culturali della società Umanitaria di Carbonia, Paolo Serra, che si è intrattenuto sulle iniziative messe in atto dal Centro Servizi Audiovisivi e dalla Fabbrica del Cinema per consentire ai diversamente abili pari opportunità nell’accesso ai servizi.

Un’analoga conferenza stampa è in programma mercoledì prossimo, 21 giugno, a Roma, nella sede Ipasvi nazionale, alla quale hanno già assicurato la loro adesione numerose associazioni.

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Il 22 dicembre 2016, a quasi due anni di distanza dal convegno regionale svoltosi alla Grande Miniera di Serbariu, sulla progettazione dell’Ospedale del III millennio, la Sala Gaetano Fiorentino del Presidio Ospedaliero Sirai ha ospitato una giornata di studio dal titolo: “L’organizzazione per intensità di cura e complessità assistenziali: quale modello?”, organizzata dalla Direzione dell’Ospedale Sirai in collaborazione con la Direzione delle professioni sanitarie. Alla giornata di studio, moderata dal direttore del Dipartimento Chirurgico Antonio Tuveri e dal presidente del Collegio IPASVI Graziano Lebiu, sono intervenuti il commissario straordinario Antonio Onnis, il Direttore del P.O. Sirai Sergio Pili, il Direttore del SPS Antonello Cuccuru, il Direttore del DEA Viviana Lantini e il consigliere nazionale della Federazione IPASVI Pierpaolo Pateri.

I lavori sono stati introdotti dal presidente del Collegio IPASVI Graziano Lebiu e dal direttore del Dipartimento di Chirurgia Antonio Tuveri, che hanno delineato il possibile scenario del nuovo modello organizzativo dell’Ospedale Sirai, osservando che tale sperimentazione richiederà ai professionisti sanitari di lavorare in team multidisciplinari e multi professionali. Un ospedale che non sarà più strutturato in unità operative, in base alla patologia e alla disciplina medica per la sua cura, ma organizzato in aree che aggregano i pazienti in base alla maggiore o minore gravità del caso e al conseguente livello di complessità assistenziale. I due moderatori hanno successivamente, puntualizzato che il nuovo modello assistenziale, mentre consentirà al medico di concentrarsi meglio sulle proprie competenze distintive e di esercitarle in diverse piattaforme logistiche, intende utilizzare e valorizzare appieno le competenze professionali degli infermieri. Nel primo intervento, il commissario straordinario, Antonio Onnis, ha illustrato la novità più rilevante dell’edizione 2016 del Piano Nazionale Esisti (PNE) – un’area tematica dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), un Ente pubblico che si occupa di attività di supporto tecnico-operativo alle politiche di governo dei sistemi sanitari di Stato e Regioni, all’organizzazione dei servizi e all’erogazione delle prestazioni sanitarie – che riguarda il nuovo strumento di valutazione sintetica, cosiddetta “Treemap”. Sul Treemap – ha precisato Onnis – si baserà il monitoraggio delle strutture per Piani di rientro ospedali. Questo nuovo strumento di valutazione consentirà alle Regioni di individuare e monitorare le strutture da sottoporre a piani di efficientamento e riqualificazione, come previsto dal DM del 21 giugno 2016 sui “Piani di efficientamento e riqualificazione” attuativo della legge di stabilità 2016. Il manager, ha specificato ancora, che le strutture saranno chiamate a presentare alla propria Regione di appartenenza il piano di riqualificazione qualora presentino una o più aree cliniche rientranti nella classe molto bassa di valutazione (colore rosso) corrispondenti al 15% dell’attività totale, oppure qualora rientrino in una o più aree nella classe bassa di valutazione (colore arancione) corrispondenti al 33% dell’attività complessiva. Nel presentare uno scenario ospedaliero a tinte fosche, con diverse aree cliniche di colore rosso che riguardano principalmente le patologie respiratorie, la chirurgia generale, la chirurgia oncologica, la gravidanza e parto e le patologie osteomuscolari, il commissario ha sottolineato come l’organizzazione per intensità di cure possa rappresentare una possibile opportunità da non perdere, per superare le criticità del sistema e per consolidare i miglioramenti del servizio già conseguiti. Il direttore del Sirai, Sergio Pili, in un intrigante viaggio storico sulla storia dell’ospedale, ha presentato quell’universo sanitario in cui, ieri come oggi, i “fatti” medici e i “fatti” sociali si intersecano con quelli architettonici e tecnologici, con quelli legislativi ed organizzativi determinando un poliedrico insieme, caratteristico di ogni tempo e di quel tempo specchio fedele. Un pezzo di storia per nulla statico ma in un costante fermento vitalizzato dagli interessi dei protagonisti: i curanti, i pazienti, gli amministratori, e in tempi più recenti, tutto quel mondo economico e produttivo che intorno all’ospedale ha costruito il suo legittimo business; ciascuno intento ad immaginare e realizzare un ospedale “migliore”, almeno dal suo punto di vista. L’ospedale per intensità di cura è il modello organizzativo che si colloca in continuità nel lungo processo di cambiamento della storia dell’ospedale, volto a caratterizzare sempre di più l’ospedale come luogo di cura delle acuzie. Secondo il Direttore del Sirai, la graduazione dell’intensità delle cure permetterà di rispondere in modo diverso e appropriato con tecnologie, competenze, quantità e qualità del personale assegnato ai diversi gradi di instabilità clinica e complessità assistenziale.

Un altro aspetto di grande rilevanza sarà poi costituito dall’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse tecnologiche e strutturali (gli ambienti di degenza, le sale operatorie, gli ambulatori, i servizi di diagnosi, in una parola tutte le strutture assistenziali potranno essere utilizzate da più professionisti, senza divisioni e senza dispersioni) e delle risorse umane (i diversi professionisti saranno chiamati a un confronto quotidiano e questo renderà più difficile l’affermarsi di stili di lavoro particolaristici). Permetterà inoltre di diminuire i posti letto non utilizzati (superando il non pieno utilizzo dei posti letto dei diversi Reparti) e di impiegare meglio le risorse infermieristiche (da mettere a disposizione non più in base al numero di posti letto di un reparto, ma in base alla intensità dei bisogni assistenziali dei pazienti di quella piattaforma logistica di ricovero). Nel terzo intervento, il presidente del Collegio IPASVI di Cagliari e coordinatore regionale dei Collegi IPASVI della Sardegna e consigliere nazionale della Federazione IPASVI, Pierpaolo Pateri, ha esposto il modello delle competenze avanzate per l’infermiere proposto dalla Federazione Nazionale IPASVI. Nel modello indicato sono posizionati su due assi – clinico e gestionale – i livelli di competenza che l’infermiere acquisisce attraverso specifici percorsi formativi. Il primo livello corrisponde all’infermiere generalista, “cuore” del sistema, in possesso di laurea triennale, che rappresenta, in ogni caso, la matrice “cuore” della competenza da cui originano i successivi livelli di approfondimento o di espansione. C’è poi l’infermiere con perfezionamento clinico o gestionale, che ha seguito un corso di perfezionamento universitario che lo ha messo in grado di sviluppare le sue competenze avanzate applicate a un’area tecnico operativa molto specifica. Il terzo livello è quello dell’infermiere esperto clinico o coordinatore con master, formato con un master universitario di primo livello, in grado di approfondire le sue competenze in un settore particolare dell’assistenza infermieristica ed esperto di parti di processo assistenziale, di peculiari pratiche assistenziali settoriali o con capacità di governo dei processi organizzativi e di risorse in unità organizzative. Infine, al quarto e più avanzato livello c’è l’infermiere specialista con laurea magistrale, formato con laurea magistrale in Scienze Infermieristiche con orientamento clinico o gestionale/formativo. Chiudendo lo spaccato degli interventi sulla complessità assistenziale, il Direttore delle professioni sanitarie, Antonello Cuccuru, ha immaginato la possibile integrazione tra professionisti e il superamento dell’approccio funzionale, che si può concretizzare attraverso il passaggio da un’organizzazione gerarchico-strutturale a un’organizzazione a matrice per intensità di cura e assistenza. In questa nuova organizzazione, ha precisato Cuccuru, la persona è ricoverata e assistita secondo il livello della sua patologia o pluripatologia: alla continuità ci pensa l’infermiere e i medici vanno al suo letto in base alla specialità per assisterlo nei singoli bisogni e dettare tutto ciò che riguarda diagnosi, clinica e terapia. La nuova organizzazione dell’ospedale per intensità di cura e assistenza richiederà un ripensamento della presa in carico della persona, perché sia il più possibile personalizzata, univoca, condivisa attraverso tutti i livelli di cura. In una organizzazione per intensità di cura e assistenza viene meno la suddivisione dei posti letto per specialità tipica degli ospedali tradizionali, in modo da superare la frammentazione e favorire l’integrazione tra i professionisti che si prendono cura delle persone assistite. Il dirigente delle professioni sanitarie ha, infine, presentato alcuni strumenti, di facile applicazione, che possono aiutare l’infermiere a classificare i bisogni e la complessità assistenziale del paziente. L’ultimo intervento del Direttore del Dipartimento di Emergenza Urgenza (DEU), Viviana Lantini, ha spiegato come questo nuovo modello determina la necessità di introdurre modelli di lavoro multidisciplinari per percorsi e obiettivi, con definizione di linee guida e protocolli condivisi, e presuppone la creazione di un team multidisciplinare capace di operare secondo tale impostazione concettuale. In base a tale approccio, medici e infermieri saranno chiamati a una funzione di primissimo piano nello sviluppo di tutte le attività comprese nel percorso diagnostico-terapeutico assistenziale del paziente. Il Dirigente medico si è poi soffermata sul ruolo del Dipartimento di E/U, dove risulta fondamentale stabilizzare e stratificare clinicamente il paziente, avviandolo al livello di degenza più appropriata, e sulla presentazione di alcuni casi clinici. In tale ottica, metodologie e strumenti riferiti alla definizione di percorsi clinico-assistenziali rappresentano una valida opportunità a disposizione dei diversi professionisti in termini di autonomia organizzativa e professionale. In conformità a questi elementi chiave, un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) deve essere inteso come un metodo di management del percorso di cura e/o assistenza, elaborato a livello locale, per un gruppo di pazienti ben definito e con specifiche condizioni cliniche, durante un altrettanto ben definito periodo di tempo, costruito sulla base di elementi di cura e/o assistenza basati su evidenze scientifiche riconosciute, best practice ed aspettative del paziente. Il dibattito conclusivo ha registrato la partecipazione di diversi interventi di dirigenti medici, compresa l’inaspettata presenza del Direttore dell’AOU di Cagliari Nazareno Pacifico, e di alcuni infermieri e coordinatori che hanno sottolineato come un’organizzazione dell’ospedale per intensità di cura richieda l’introduzione di nuovi ruoli professionali, nuovi strumenti e un ripensamento della presa in carico del paziente, perché sia il più possibile personalizzata, univoca, condivi-sa a tutti i livelli di cura.

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Uno sportello di Ascolto attivo per la presa in carico globale dei pazienti affetti da SLA e per supportate il difficile compito dei parenti e dei caregivers: questo in breve l’importante risultato dell’incontro svoltosi mercoledì 25 novembre tra la Direzione della ASL 7 e la Presidenza dell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLA), – da anni impegnata a sostenere le persone colpite da questa malattia, oltre che la ricerca scientifica – durante il quale si è fatto il punto sul nuovo paradigma di presa in carico dei pazienti affetti da SLA e da altre patologie degenerative e neuromuscolari adottato dalla ASL di Carbonia e sulle possibili prospettive di collaborazione.

All’incontro hanno partecipato il presidente AISLA Sardegna Giuseppe Lo Giudice, Ia consigliera AISLA Sardegna, Annalisa Mocci, il commissario straordinario  della Asl 7 Antonio Onnis, il direttore sanitario Silvio Maggetti, il dirigente medico dell’UO di Cure palliative e terapia del dolore Gabriella Gatto, il direttore delle professioni sanitarie Antonello Cuccuru, il responsabile infermieristico e ostetrico di Area territoriale Antonello Murgia,

Sin dal momento della diagnosi, i pazienti si trovano di fronte ad un percorso drammatico. Le prime reazioni sono di disorientamento, paura, disperazione. «I malati e le loro famiglie hanno spesso manifestato il bisogno di sostegno psicologico, di informazioni sui loro diritti e spesso di aiuto per superare gli ostacoli burocratici» ha sottolineato Giuseppe Lo Giudice, presidente AISLA Sardegna.

Lo sportello d’ascolto potrà fornire consulenze gratuite su diversi aspetti, da quelli medici, a quelli assistenziali e legali, come la richiesta dei contributi a sostegno dell’assistenza domiciliare del malato.

La sede individuata è quella della ASL di Carbonia, si prevede l’apertura due volte al mese, una per lo sportello informativo e una per lo sportello di ascolto, con l’impegno da parte della ASL di rendere l’accesso alla struttura comodo e agevole, attraverso dei parcheggi dedicati all’AISLA nella zona antistante.

Considerato il ruolo strategico del medico di medicina generale nella “gestione” del paziente SLA, dalla diagnosi a tutto il decorso della malattia come figura di raccordo tra le varie strutture ospedaliere e territoriali che si occupano di questi pazienti, si è ipotizzato l’avvio di un percorso formativo teso a favorire una conoscenza sempre più approfondita delle esigenze delle persone con SLA da parte dei medici di di famiglia della ASL di Carbonia Iglesias: il percorso potrà consentire il confronto su alcuni importanti e delicati aspetti dell’assistenza alle persone con SLA come l’alimentazione, la respirazione e il supporto psicologico.

«Quanto proposto in questa riunione potrà essere oggetto di integrazione all’interno del Piano di formazione Aziendale, in via di stesura – ha concluso il Direttore Generale Antonio Onnis – Nulla rimarrà di intentato affinché questa la condizione dei pazienti SLA, così pesante per il paziente e la famiglia, abbia tutta la vicinanza possibile degli operatori della ASL di Carbonia ed in particolare dell’Unità Operativa di Cure palliative e Terapia del Dolore, che intendono mettere al centro delle proprie azioni strumenti concreti che possano essere di aiuto a coloro che vivono un quotidiano difficile.»

Durante l’evoluzione della malattia il paziente, infatti, ha bisogno di essere seguito da una equipe sanitaria multidisciplinare che lo accompagni e lo guidi nella perdita graduale delle funzioni (neurologo, pneumologo, rianimatore, infermiere, fisiatra, fisioterapista, psicologo, ecc.) e necessita gradualmente di una assistenza personale sempre crescente per tutte le azioni della vita quotidiana (lavarsi, vestirsi, mangiare, comunicare). Dopo la Tracheotomia e la PEG, poi, il malato necessita di una assistenza intensiva per diverse ore al giorno.

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Dopo i legali dei medici Mariano Cabras e Leonardo Giovanni Tola e del Direttore della Struttura Complessa di Rianimazione Tiziana Serci, anche l’associazione di volontariato “Le Rondini” replica ai dirigenti della ASL 7 (Sergio Pili, Antonio Tuveri, Marco Vinicio Grussu, Viviana Lantini, Antonello Cuccuru e Miriana Fresu) sulle tematiche legate al servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata).

«I pazienti e i familiari chiamati in causa ritengono doveroso fare alcune considerazioni – si legge in una nota diffusa questa sera -. Di fronte ad un importante problema come quello dell’appropriatezza delle cure, abbiamo sempre auspicato di poter avere rapporti con persone autorevoli, preparate in materia e in possesso della giusta sensibilità e umanità, qualità essenziali quando ci si rivolge a persone fragili che versano in gravi difficoltà. Queste caratteristiche avrebbero portato sicuramente ad un avvicinamento delle parti interessate al fine di avviare un dialogo costruttivo per trovare soluzioni condivise. La realtà invece parla da sola.»

«I prodi scudieri altro non fanno che sciorinare numeri, mentre dovrebbero parlare soltanto di PERSONE la cui vita è disperatamente dipendente da macchine e che possono esprimersi solo attraverso l’Associazione Le Rondini – prosegue la nota dell’associazione Le Rondini -. E’ loro volontà rendere noto, visto che la disinformazione regna sovrana, che i pazienti assistiti in ADI di terzo livello sono ben 40, 12 nel distretto di Iglesias e 28 in quello di Carbonia. A tutt’oggi i pazienti in sciopero che rifiutano l’Onnis sistema sono 19, tutti ad alta criticità, tutti “ospedalizzati a domicilio”.»

«A questo punto – scrive ancora l’associazione Le Rondini – la domanda nasce spontanea. Qual è il motivo per cui cinque direttori si schierano solo adesso contro i pazienti a sostegno del Commissario? Dove erano questi dirigenti mentre si consumava l’illecito in barba al bilancio aziendale? E come mai solo ora si parla di illegalità del vecchio sistema rinnovato e deliberato per tanti anni dalla ASL e dalla Regione? Si sta forse insinuando che i precedenti Direttori Generali o Assessori alla Sanità non siano stati rispettosi di leggi e contratti quanto il Dr. Onnis? E come mai lo stesso Dr. Onnis, in barba alla tanto richiamata onestà, ha prorogato il sistema illecito anche nel 2015? Perché i pazienti ventilati devono essere ricompresi nelle cure palliative e terapie antalgiche quando non risultano essere malati terminali? E come mai all’interno di tanta trasparenza e onestà, nel corso del sit-in in via Dalmazia, il Dr. Onnis chiede ad un paziente di comunicargli il nome del suo rianimatore preferito promettendo di assegnarglielo? Questi ed altri interrogativi suscitano enormi perplessità e sollevano seri dubbi sulla limpidezza e legittimità del cambiamento in atto. Quesiti ai quali fin’ora non hanno fatto seguito risposte appropriate!»

«Le carenze della nuova organizzazione sono evidenti e tangibili – sottolinea l’associazione Le Rondini -. Chiamare il numero messo a disposizione per le urgenze e verificare l’assenza della disponibilità di un medico; vedersi arrivare a casa l’ambulanza con i volontari a bordo che non possono assistere pazienti trachoestomizzati e ventilati. Tutto questo è vergognoso e irrispettoso!

Quelli che i cinque dirigenti chiamano “elementi di sospetto” riguardo l’incompetenza di alcuni operatori è piuttosto una palese ammissione del Direttore Sanitario Dr. Maggetti: uno dei due medici “scelti” per questo difficile lavoro non ha esperienza, e quindi competenza, in materia di pazienti ventilati. Due infermieri facenti parte della nuova equipe non provengono dalla rianimazione e non hanno esperienza in questo campo. Come mai i cinque dirigenti non si pongono il problema dell’appropriatezza, della competenza e della sicurezza? Perché consentono che gli operatori vengano formati sul campo sulla pelle dei pazienti e su un terreno difficile come quello dell’assistenza a domicilio, esponendoli in prima persona a pesanti responsabilità? Come mai ci si scandalizza quando si solleva il problema della competenza professionale mentre qualcuno paga privatamente infermieri della rianimazione in altre ASL per assicurarsi cure appropriate?»

«Insinuare che i pazienti siano “innamorati” degli operatori del reparto di Rianimazione è una offesa alla nostra intelligenza; ritenere che questi pazienti abbiano bisogno esclusivamente di cure adeguate e personale preparato è verità inconfutabile» si legge ancora nella nota dell’associazione Le Rondini.

«La superficialità regna sovrana. A riprova di ciò citiamo l’ennesimo avviso di mobilità per infermieri da destinare alla raffazzonata struttura del Commissario. Criteri d’accesso: tre anni di anzianità di servizio e nulla più.

Vogliamo inoltre sottolineare che il rapporto diretto con la rianimazione NON PUO’ essere quello di qualsiasi cittadino perché qualsiasi cittadino non si trova nella nostra situazione di cronicità e di ospedalizzazione domiciliare. Noi non chiediamo l’accesso alla Rianimazione qualora ci fosse la necessità, ma chiediamo che la Rianimazione abbia l’accesso in casa nostra! Vogliamo che i problemi vengano risolti a domicilio come sempre è stato, con efficienza ed efficacia e in sicurezza. Il ricorso al ricovero è l’ultima soluzione che vorremo prendere in considerazione.

La fiducia che abbiamo sempre riposto negli operatori del reparto di Rianimazione è semplicemente il riconoscimento dovuto ad un sistema che ha sempre soddisfatto i bisogni dei malati e dei loro familiari, con competenza e dedizione.

La sfiducia che abbiamo riposto nell’UO messa in essere dal commissario per l’assistenza domiciliare – conclude l’associazione Le Rondini -, è semplicemente il riconoscimento dovuto ad un sistema che, palesemente e come provato sulla nostra pelle, non soddisfa i bisogni dei malati in ventilazione meccanica assistita H.24 e dei loro familiari.»

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Reparto di rianimazione ospedale Sirai di Carbonia

Dopo l’avvocato Giacomo Doglio, legale di due dirigenti medici dipendenti della ASL 7, in servizio presso l’U.O. di Rianimazione del P.O. “Sirai”, Mariano Cabras e Leonardo Giovanni Tola, anche l’avvocato Enzo Pinna, legale della dott.ssa Tiziana Serci, Direttore della Struttura Complessa della Rianimazione della Asl 7 di Carbonia, interviene sui contenuti dell’articolo “Sei direttori della Asl 7 intervengono nel dibattito sul servizio di assistenza domiciliare integrata” pubblicato il 16 novembre 2015.

«La dott.ssa Tiziana Serci, in qualità di Direttore della Struttura Complessa della Rianimazione, contesta, mio tramite – scrive l’avvocato Enzo Pinna -, quanto affermato nel documento pubblicato nella sua integralità in data 16 novembre u.s. sul quotidiano on-line “La Provincia del Sulcis Iglesiente”, sottoscritto dai dott.ri Sergio Pili, Antonio Tuveri, Marco Vinicio Grussu, Viviana Lantini, Antonello Cuccuru, Miriana Fresu.

In particolare, non si condividono i toni ed i contenuti utilizzati nel suddetto documento, soprattutto con riferimento all’organizzazione del reparto diretto dalla mia cliente, che, al contrario, ha sempre operato con la massima diligenza professionale, utilizzando al meglio le risorse messe a disposizione per ottenere la massima efficienza ed i migliori risultati a garanzia della salute dei pazienti.»

 «Sono, comunque, opportune alcune sintetiche precisazioni – aggiunge l’avvocato Enzo Pinna -:

 • L’A.D.I. era svolta nell’ambito del “Progetto di Continuità Assistenziale”.

 • Le prestazioni dei Dottori Tola e Cabras venivano effettuate al di fuori dell’orario di lavoro, al fine di non creare alcun disagio all’attività medico-ospedaliera della Struttura diretta dalla Dott.ssa Serci.

 • L’istituzione di una U.O. che si occupi di tale servizio, dovrebbe essere quantomeno supportata da un organico professionalmente adeguato e dimensionato all’afflusso di richieste e pazienti.

 • L’organizzazione al tempo data dalla ASL 7 non consentiva, in alcun modo, di seguire efficacemente l’A.D.I. ed era, altresì, foriera di responsabilità personali.

 • Attualmente il personale medico e paramedico non è sufficiente e risulta assolutamente improbabile organizzare, all’uopo, dei turni “”nell’ambito del normale orario di lavoro””, ovvero lo svolgimento dell’assistenza domiciliare, attraverso l’uso dello strumento delle prestazioni di lavoro “straordinario”.

Le statistiche e le medie precisate nel contestato articolo, oltreché tutte da verificare, non tengono neppure conto delle reali esigenze e delle situazioni contingenti, che il personale medico e paramedico si trova a dover affrontare giornalmente, paziente per paziente.

Già nel recente passato, la dott.ssa Serci aveva avuto modo di evidenziare tali problematiche.

Non si comprende, poi, come tali affermazioni possano provenire da soggetti che non svolgono le mansioni della dott.ssa Serci.

Quest’ultima – conclude l’avvocato Enzo Pinna -, nel restare a disposizione per eventuali chiarimenti, si riserva, pertanto, di ogni più ampia tutela in merito.»

 

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Il legale di due dirigenti medici dipendenti della ASL 7 replica ai sei direttori della stessa ASL 7 intervenuti ieri con una nota pubblicata in questo giornale, nel dibattito sul servizio ADI. L’avvocato Giacomo Doglio, difende gli interessi del dottor Mariano Cabras e del dottor Leonardo Giovanni Tola, dirigenti medici dipendenti della ASL 7 di Carbonia, in servizio presso l’U.O. di Rianimazione del P.O. “Sirai”.

«Nel contesto dell’articolo si legge, tra l’altro, che gli operatori, tra cui i dirigenti medici miei assistiti – facilmente identificabili, trattandosi degli unici due medici del reparto di Rianimazione che nel corso dell’ultimo decennio hanno assicurato le prestazioni di competenza ai pazienti in ADI del distretto di Carbonia – scrive in una nota l’avvocato Giacomo Doglio – “non ne vogliono sentire di lavorare in ADI. Almeno non durante il normale orario di servizio. Quando gli è stato proposto infatti hanno risposto no e quando a qualcuno è stato imposto, la direzione della ASL è stata diffidata dal legale degli interessati con minaccia, in caso di mancata revoca dell’ordine di servizio, di azioni legali. In pratica gli operatori non vogliono e ritengono di non doversi occupare di ADI nell’ambito del lavoro ordinario (quello pagato con lo stipendio) ma vogliono tenacemente occuparsene al di fuori del normale orario (in libera professione con un compenso suppletivo)”.

Tralasciando, almeno in questa sede, l’ironico riferimento alla “potente fidelizzazione” pazienti/operatori e alla rappresentata sostituibilità nel loro lavoro (poco cortese, anche se certamente riferibile a qualsiasi dipendente pubblico, sei Direttori compresi) – aggiunge l’avvocato Giacomo Doglio -. Le affermazioni sopra riportate sono palesemente false e gravemente lesive dell’immagine e della professionalità dei miei assistiti, i quali, contrariamente a quanto riferito, hanno, dapprima (giugno 2015), comunicato di non essere più disponibili a proseguire l’attività medico specialistica per le cure domiciliari in orario extra servizio, quindi (da luglio in poi), hanno reiteratamente diffidato il datore di lavoro affinché revocasse la disposizione di servizio che li comandava a prestare servizio, oltre che in Rianimazione, presso la neonata S.S. di Terapia del dolore cure palliative e hospice.»

«Delle due l’una, dunque, o i “Sei Direttori della ASL 7” (Sergio Pili, Antonio Tuveri, Marco Vinicio Grussu, Viviana Lantini, Antonello Cuccuru e Miriana Fresu), ignorano il contenuto delle reiterate diffide, inviate dai dottori Cabras e Tola, e allora non si comprende perché ne scrivano, oppure ne riportano infedelmente il contenuto», scrive ancora l’avvocato Giacomo Doglio.

«Si tratta, in ogni caso, di un comportamento gravissimo, lesivo degli interessi dei sopra menzionati Dirigenti medici, perché evidentemente finalizzato a ricostruire falsamente le loro legittime rivendicazioni, tradotte in una tenace resistenza alla riorganizzazione dell’assistenza per le cure domiciliari motivata da ragioni economiche. Naturalmente i miei assistiti – conclude l’avvocato Giacomo Doglio si riservano di agire nelle sedi più opportune a tutela della loro onorabilità.»

Reparto di rianimazione ospedale Sirai di Carbonia

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Abbiamo letto con stupore e un po’ di sconcerto il resoconto, riportato lo scorso 6 novembre sulla stampa regionale, dell’audizione del Commissario della ASL di Carbonia in Consiglio Regionale. Argomento dell’audizione era l’assistenza ai malati in Assistenza domiciliare integrata di terzo livello. Ciò che ci stupisce è qualche consigliere regionale chieda la “sospensione del nuovo piano ADI fino al 31 dicembre” e che l’Assessore possa condividere la proposta.

Ma cos’è il nuovo piano ADI ? E cos’era e com’era il vecchio?

Secondo la normativa che le istituisce “Le Cure domiciliari integrate di terzo livello consistono in interventi professionali rivolti a malati che presentano dei bisogni con un elevato livello di complessità in presenza di criticità specifiche e più precisamente: malati terminali (oncologici e non); malati portatori di malattie neurologiche degenerative/progressive in fase avanzata (SLA, distrofia muscolare); fasi avanzate e complicate di malattie croniche; pazienti con necessità di nutrizione artificiale parenterale; pazienti con necessità di supporto ventilatorio invasivo; pazienti in stato vegetativo e stato di minima coscienza”.

Presupposti della cura in ADI sono: la valutazione multidimensionale, la presa in carico del paziente e l’individuazione di un piano di cura con intervento di tipo multidisciplinare.

La gamma di interventi previsti comprende prestazioni mediche, infermieristiche, dietologiche, riabilitative fisioterapiche e logopediche, psicologiche e medico specialistiche.

Nelle regioni più organizzate ed evolute del Paese (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana e altre) esistono dei servizi distrettuali che assicurano le attività necessarie occupandosi stabilmente dei pazienti e assicurando l’integrazione delle cure e il costante raccordo con tutte le strutture di cura territoriali e ospedaliere.

Per quanto risulta dagli atti assunti e dalle iniziative operative intraprese, la ASL di Carbonia ha fatto esattamente ciò che è previsto dalle norme, dalle raccomandazioni scientifiche, dalle Associazioni dei malati (si vedano in proposito le proposte dell’AISLA – Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e che hanno già fatto le Regioni del centro-nord Italia. Il cosiddetto “nuovo piano” altro non è che la costituzione di un servizio stabile, stabilmente dedicato ai pazienti, integrato e raccordato con tutti gli altri servizi dell’azienda, territoriali e ospedalieri.

Nel “vecchio piano” invece il servizio dedicato era sostituito da una serie di prestazioni libero-professionali di medici e infermieri dipendenti, operanti nel Reparto di Rianimazione.

Sembrerà strano che un’Azienda debba “acquistare” prestazioni libero-professionali dai propri dipendenti e la cosa potrebbe giustamente scandalizzare anche i liberisti più radicali. La normativa contrattuale dei medici ospedalieri tuttavia lo consente. Lo consente però “in via eccezionale e temporanea, ad integrazione dell’attività istituzionale, allo scopo di ridurre le liste di attesa o di acquisire prestazioni aggiuntive, soprattutto in presenza di carenza di organico ed impossibilità anche momentanea di coprire i relativi posti con personale in possesso dei requisiti di legge.” (art. 55 CCNL Medici e Veterinari, normativo 1998 -2001 economico 1998 – 1999).

Le condizioni che indussero, negli anni 2002-2003, la direzione della ASL a chiedere prestazioni libero professionali al di fuori dell’impegno di servizio ordinario “in via eccezionale e temporanea”, sembra però che ad oggi non siano state superate.

Certo è che qualsiasi Direttore o Commissario minimamente rispettoso di norme e contratti, oltre ché desideroso di assicurare le dovute cure ai propri assistiti, avrebbe fatto bene a fare ciò che ,con tanta fatica e molte opposizioni, sta cercando di fare l’attuale Commissario: istituire e attivare un servizio per le cure in ADI di terzo livello cercando di colmare un ritardo di appena (?) 12 anni.

Ma perché allora tanta contrarietà all’istituzione del nuovo servizio? E’ vero che peggiora gli standard di cura e di assistenza e mette, come affermano alcuni familiari dei malati, a rischio la sopravvivenza dei loro cari? Vediamo.

I pazienti che rivendicano il cosiddetto “vecchio piano” (12 dei 41 inseriti in questa tipologia di assistenza) sono tutti residenti nel Distretto di Carbonia e tutti appartenenti ad un’associazione di pazienti e operatori denominata “Le Rondini”. I motivi addotti di contrarietà al “nuovo piano” e di rivendicazione del “vecchio” sono: la mancanza di una appropriata professionalità degli operatori, i rischi correlati alla discontinuità tra vecchio e nuovo sistema e, soprattutto, il venir meno di un rapporto diretto con la struttura di rianimazione.

In forza di tali motivazioni i familiari dei 12 pazienti hanno ripetutamente impedito a numerosi operatori della ASL, medici e infermieri, l’accesso alle proprie abitazioni sostenendone la incompetenza ad assistere i propri congiunti. Ciò in assenza di qualsivoglia elemento di sospetto e senza alcuna conoscenza delle loro esperienze professionali. Un atteggiamento evidentemente e inconfutabilmente pregiudiziale dettato, sostiene qualcuno, da un motivo nobile e da una preoccupazione sacrosanta: la paura di perdere il rapporto con la rianimazione e le cure di operatori (quelli del vecchio piano) verso i quali si è cementata in tanti anni una fiducia difficilmente trasferibile ad altri.

Va innanzi tutto chiarito che il rapporto diretto dei pazienti con la Rianimazione è lo stesso di qualsiasi altro cittadino del territorio. Tutte le volte che uno dei 12 pazienti in ADI aderenti all’Associazione Le Rondini, così come ciascuno degli altri 29 non aderenti, ha avuto necessità di essere ricoverato, è stato prelevato dal proprio domicilio a cura del servizio 118, trasferito al Pronto Soccorso e, quando necessario, ricoverato in Rianimazione dove ad assisterlo poteva esserci (in turno) uno dei medici che facevano l’assistenza domiciliare o anche uno che non opera in prestazioni extra-ospedaliere.

Questo elemento di preoccupazione viene tuttavia sistematicamente e insistentemente proposto dall’Associazione Le Rondini che probabilmente teme di perdere il rapporto con gli operatori del reparto di Rianimazione che nel corso dell’ultimo decennio hanno assicurato le prestazioni di competenza ai pazienti in ADI del distretto di Carbonia. Il problema riguarda, infatti, solo Carbonia e non Iglesias.

Ciò che preoccupa le 12 famiglie sembra così essere la perdita del rapporto con i professionisti, e non col reparto, considerato che il rapporto col reparto è fuori discussione.

Perché allora non adoperarsi per mantenere quel rapporto? Sembra l’uovo di Colombo. Perché nessuno ci ha pensato? Cosa impedisce, o ha impedito, al Commissario di rendere disponibili, anche a tempo pieno, quegli operatori verso i quali i malati in questione e i loro cari sono così potentemente “fidelizzati”? Non sono certo insostituibili nel loro lavoro di reparto e, quando pure lo fossero, perché non fare in modo che un professionista operi sia in ospedale che nel territorio? Nulla lo vieta e in tempi in cui non si parla che di continuità tra ospedale e territorio sembrerebbe una banalissima ovvietà.

Nulla lo vieta ma gli operatori da cui i malati dell’Associazione Le Rondini non vogliono separarsi non ne vogliono sentire di lavorare in ADI. Almeno non durante il normale orario di servizio. Quando gli è stato proposto infatti hanno risposto no e quando a qualcuno è stato imposto, la direzione della ASL è stata diffidata dal legale degli interessati con minaccia, in caso di mancata revoca dell’ordine di servizio, di azioni legali.

In pratica gli operatori non vogliono e ritengono di non doversi occupare di ADI nell’ambito del lavoro ordinario (quello pagato con lo stipendio) ma vogliono tenacemente occuparsene al di fuori del normale orario (in libera professione con un compenso suppletivo). I compensi suppletivi però possono essere impiegati quando con le normali risorse non si riesce a far corrispondere l’offerta di prestazioni al fabbisogno assistenziale e in questo caso forse non è così. La situazione delle risorse umane nelle Rianimazioni nel Sulcis non sembra davvero così carente.

Nel 2014 i due reparti della ASL 7 hanno ospitato mediamente 2,5 pazienti al giorno (su 8/9 posti letto disponibili) impiegando 15 medici e 25 infermieri (circa 25.000 ore di lavoro/uomo dei medici e 40.000 ore per fornire meno di 30.000 ore di ricovero/paziente). Tradotto in termini comprensibili significa che se ciascuno dei pazienti ricevesse 24 ore al giorno di assistenza e cure tutti i giorni in cui è rimasto ricoverato, ciascun operatore di quel settore in media sarebbe stato attivamente impegnato per meno della metà del proprio orario di lavoro. Pur tenendo conto dell’alta criticità dei pazienti è difficile sostenere che un settore così organizzato (?) non riesca a fare di più e abbia bisogno di dare “prestazioni aggiuntive” per assicurare l’assistenza ai malati in ADI.

Il costo annuo del cosiddetto “vecchio piano” supera i 700.000 euro l’anno (pari allo stipendio di 5 medici e 10 infermieri o 4 medici e 12 infermieri) in un settore in cui la produttività dei 15 medici e 25 infermieri assegnati (due milioni e duecento mila euro di stipendi) ha una potenzialità produttiva suscettibile di un espansione importante rispetto a quella attuale.

Questo modello di gestione dell’organizzazione sanitaria, poco assennato e assai disinvolto, non è giusto né equo e soprattutto non è sostenibile. Sarebbe utile che tutti lo ricordassimo quando ci lamentiamo del profondo deficit che la sanità ha determinato nel bilancio regionale.

Sergio Pili – Direttore Presidio Ospedaliero Sirai

Antonio Tuveri – Direttore Dipartimento di Chirurgia

Marco Vinicio Grussu – Direttore Distretto Socio Sanitario di Carbonia

Viviana Lantini – Direttore Dipartimento di Emergenza Urgenza

Antonello Cuccuru – Direttore Struttura Complessa Professioni Sanitarie

Miriana Fresu – Direttore Struttura Complessa Medicina Fisica e Riabilitativa

Lunedì 9 dicembre, al Lù Hotel di Carbonia, si svolgerà il convegno “La sanità che ci a-spetta”, organizzato dal Gruppo consiliuare regionale dei Riformatori Sardi.

La relazione introduttiva, dopo la presentazione di Peppino La Rosa, coordinatore Riformatori Sardi Sulcis Iglesiente, verrà svolta da Pierpaolo Vargiu, presidente della commissione Sanità della Camera dei Deputati.

Sono previsti i seguenti interventi:

“Proposte per un’efficace integrazione ospedale territorio”, del dott. Giuseppe Santeufemia, capo dipartimento ostetricia e ginecologia della Asl 7;

“Rete territoriale dei servizi”: del dott. Giuseppe Ottaviani, responsabile strutture di staff della direzione generale;

“Ridurre il sovraffollamento nei pronto soccorso: il contributo delle professioni sanitarie”, del dott. Antonello Cuccuru, direttore struttura professioni sanitarie;

Le nuove tecnologie: situazione e prospettive”, del dott. Nazareno Pacifico, primario radiologia dell’ospedale Sirai;

“Incidenza delle nefropatie e la dialisi notturna”, del dott. Giorgio Mirarchi, primario di nefrologia e dialisi dell’ospedale Sirai.

I lavori verranno moderati da Michele Cossa, coordinatore regionale dei Riformatori Sardi.

Dopo il dibattito, a trarre le conclusioni sarà Franco Meloni, vice capogruppo consiliare regionale Riformatori Sardi, componente della commissione Sanità.

Sono invitati a partecipare l’assessore regionale alla Sanità, Simona De Francisci; il direttore generale della Asl 7, Maurizio Calamida;  il commissario della Provincia di Carbonia Iglesias, Roberto Neroni; le istituzioni locali; associazioni e organizzazioni pazienti e utenti.

Ospedale Sirai 5