21 November, 2024
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Abbiamo notizia, attraverso la cronaca quotidiana, di un evento unico nella Storia della Medicina in Sardegna: una donna di 57 anni ha dato alla luce una neonata, nell’Ospedale Brotzu di Cagliari.

E’ un evento anti-storico per tre motivi:

1 – per l’età della paziente,

2 – per la nascita di un figlio desiderato in un’epoca che ha abolito il desiderio di figli,

3 – per l’impotenza del sistema sanitario sovrastato dal potere della scienza.

L’età colloca la paziente in quella fascia di donne in menopausa avanzata (“very, very old” secondo la dizione inglese). Significa che qualcuno ha pilotato le leggi naturali dell’invecchiamento riproduttivo, riportandolo indietro nel tempo.

Limitarsi a sostenere che è stato il risultato ben riuscito dell’impianto di un embrione nell’utero sarebbe una verità minimale. In realtà, per ottenere una gravidanza a quell’età, bisogna fare un’operazione più complessa: fermare l’orologio biologico dell’invecchiamento globale della persona.

Con la menopausa decade la produzione di estrogeni del progesterone e del testosterone; ciò modifica il desiderio, l’attrazione, il comportamento sessuale, il rapporto di coppia e quello con se stessi. Avvengono modificazioni del carattere, della personalità e dell’aspetto fisico. Cambia la struttura della pelle e del pannicolo adiposo sottocutaneo e con esso scompare la levigatezza, la lucentezza, la sofficità della cute; cambia la sudorazione, la produzione del sebo, le caratteristiche olfattive, la temperatura, lo spessore dei tegumenti. Ne conseguono le rughe, il crollo verso il basso delle parti molli del viso, dell’addome, dei fianchi e degli arti. Decade il trofismo e il tono muscolare. Si modificano i capelli che riducono il loro numero e la sofficità. Diminuisce la vividezza dello sguardo, l’acuità visiva ed uditiva. Si modificano le corde vocale, la lingua e le arcate dentarie e ne deriva il cambio della voce e della mimica facciale. Questo è ciò che percepisce l’occhio umano.   

Un simile decadimento riguarda anche gli organi interni. Il cervello produce meno neurotrasmettitori ed i neuroni della corteccia diminuiscono di numero mentre l’ippocampo perde efficienza nell’immagazzinare memoria. Contemporaneamente decade il funzionamento dell’ipotalamo che si trova alla base del cervello, e crolla l’efficienza della ghiandola ipofisi che serve a regolare, come un direttore d’orchestra tutte le ghiandole endocrine. Per effetto di ciò diminuisce il funzionamento della tiroide, delle ghiandole surrenali e delle ghiandole dell’apparato riproduttore. Contemporaneamente avviene il decadimento del metabolismo delle ossa, e ne consegue osteoporosi , facilità alle fratture e artrosi. Cambia la statica della macchina corporea, e cambia l’efficienza dei muscoli, della pompa cardiaca, delle arterie e delle vene. La postura, la deambulazione, l’abilità manuale si modificano in peggio. L’aspetto finale è determinato da una riduzione dell’altezza, dall’incurvamento in avanti della colonna vertebrale, dal rallentamento e dalla rigidità dei movimenti. Per deficit dei neurotrasmettitori viscerali, degli ormoni, degli enzimi cambia il funzionamento dell’apparato digerente ed urinario, che diventano meno controllabili dal Sistema nervoso centrale. Il tutto si traduce nella necessità di adattare i propri ritmi ad una diversa gestione della convivenza sociale.

E’ il corpo umano che viaggia indietro nel tempo.

Nel caso riportato dalla cronaca, che riguarda la cinquantasettenne gravida che ha messo al mondo una bellissima bambina, è stata compiuta un’operazione scientifica che suscita stupore da un punto di vista biologico: è una notizia straordinaria paragonabile alla notizia che una cinquantasettenne ha vinto l’oro del titolo europeo nella gara dei cento metri arrivando prima di Marcell Jacobs.

E’ evidente che, per far vincere una gara di quell’entità ad una cinquantasettenne, non è sufficiente ringiovanirle l’apparato riproduttivo, ma bisogna rimettere in efficienza giovanile tutto: dal sistema endocrino a quello cardiovascolare e muscolo-scheletrico, dal sistema neurologico a quello dell’apparato respiratorio, dal digerente a quello urinario. Per comprendere quanto è stato fatto, dobbiamo spostare la nostra attenzione dal mero apparato riproduttivo a tutto ciò che gli sta intorno.

Per ridare la giovinezza ad un corpo nella sua totalità, non è possibile interessarsi al solo apparato riproduttivo. Bisogna conservare e ripristinare l’efficienza di tutti gli apparati ed i sistemi; operazione difficilissima anche per scienziati.

La storia è nota. La signora Maria Cristina, giunta all’età di 50 anni, non aveva mai avuto gravidanza a causa del suo utero rovinato da molteplici fibromi che impedivano l’impianto stabile di un embrione. Già sette anni fa, sia per l’età, sia per il danno uterino, era assolutamente indicato asportarle l’utero. Invece il ginecologo-oncologo, accogliendo la richiesta della paziente, decise di eseguire un intervento di salvataggio dell’utero, per poi tentare una gravidanza medicalmente assistita.

In sette anni di complesse procedure di “ringiovanimento funzionale” di tutti i sistemi metabolici, correggendo deficit importanti a livello dell’emostasi e della capacità immunitaria, è arrivata la gravidanza, che poi si è conclusa con un parto cesareo. La nascita della bambina è avvenuta, sempre sotto il controllo dello stesso team medico dell’Oncologico, all’Ospedale Brotzu dove è direttore il dr. Antonio Macciò. Si tratta dello stesso primario che in passato aveva diretto il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Sirai di Carbonia. Durante la sua permanenza aveva fondato il Servizio specialistico di Chemioterapia oncologica. Le ricerche di quegli anni sui tumori e sull’implicazione delle citochine infiammatorie nel cancro dell’ovaio, ci hanno lasciato in eredità sia il servizio di Oncologia al Sirai, sia le informazioni basilari per comprendere la responsabilità delle interleukine nel Covid-19.

Oggi l’Ospedale Sirai, come del resto tanti ospedali sardi, ha difficoltà. Sembra che il suo corpo sia in preda ad un invecchiamento di grado severo.

La notizia della bambina nata in un corpo vecchio (“very, very old”), può avere il valore di “metafora” della rinascita del nostro Ospedale.

Ci serve assolutamente la diagnosi sul male che ha invecchiato la Sanità sarda.

– Sono invecchiate le strutture ospedaliere?

– Sono invecchiati i sistemi amministrativi?

– Sono invecchiate le Riforme sanitarie subentranti?

– Sono invecchiati gli organici del personale?

– E’ invecchiata la Politica in generale?

E’ difficile trarre una conclusione semplificata.

Sicuramente la nave della Sanità pubblica “fa acqua”. Molti naviganti si stanno precipitando verso le scialuppe di salvataggio; lasciano gli ospedali e vanno verso la sanità privata. La perdita di specialisti avrà conseguenze.

Forse è ancora possibile salvare la nave che affonda: ci vuole un bravo timoniere. Servono persone adatte a questo momento di bisogno.

Quando l’Ospedale di Carbonia era appena nato, aveva in dotazione solo tre chirurghi, un ginecologo, un ortopedico, due medici internisti, un farmacista ed un’ostetrica. Quelle nove persone tennero l’Ospedale in funzione giorno e notte, senza ferie, senza interruzioni. Per non allontanarsene mai vivevano, con le loro famiglie, nelle palazzine che stanno a fianco dell’Ospedale.

Il medico ginecologo condivideva il lavoro con i chirurghi generali. Il reparto di Ostetricia si trovava nello stesso piano della Chirurgia. In quegli anni la gente del Sulcis preferiva partorire a casa. Le gravide a termine si rivolgevano all’Ospedale solo in casi difficili o drammatici. Il numero d bambini nati era eccezionale.

Negli anni successivi (anni ‘60), quando si toccarono i quasi 2.000 parti l’anno, venne costruito il quarto piano dedicato all’Ostetricia, e venne assunto un secondo specialista ginecologo.

Il dottor Renato Meloni, che era anche oncologo, eseguiva interventi per tumori dell’utero e delle ovaie ed applicava i protocolli di chemioterapia in uso nel tempo.

Nei decenni successivi aumentò notevolmente il numero dei Medici ginecologi, delle Ostetriche  e degli Infermieri. Fu il periodo felice degli anni ‘70-’80-’90 e primi anni 2000.

L’ultimo primario ginecologo fu il dottor Antonio Macciò. Dopo il suo trasferimento all’ospedale Businco di Cagliari, la direzione dell’Ostetricia non venne più affidata a nessun primario. Il reparto venne gestito a scavalco dal primario di Iglesias. Infine, più recentemente fu deliberato il provvedimento amministrativo per cui il reparto e tutto il suo personale venne trasferito ad Iglesias.

Oggi Carbonia è priva di reparto di Ostetricia e Ginecologia.

Attualmente l’Ospedale Sirai è privo dei reparti di: Ostetricia, Pediatria, Neurologia, Medicina interna, Anatomia Patologica, Medicina Nucleare, Laboratorio, Endoscopia digestiva.

Altri reparti, come Dialisi, Radiologia, Cardiologia, Emodinamica, Anestesia e Rianimazione, soffrono per forte carenza di specialisti.

L’immagine che se ne trae è desolante. Eppure, bisogna sperare e ricordare che settant’anni fa l’Ospedale nacque con sette medici, un farmacista ed un’ostetrica. Poi crebbe.

Dobbiamo immaginare di aver toccato il fondo e dì dover tornare alle origini.

Ecco perché la nascita della neonata da una donna molto attempata, potrebbe essere la metafora della rinascita dell’Ospedale Sirai di Carbonia.

Ci serve una scintilla per riavviare il nostro motore sanitario. In fin dei conti, settant’anni fa, la scintilla scoccò con appena sette medici, un farmacista ed un’ostetrica.

Mario Marroccu

Alcune settimane fa due chirurghi, il dottor Antonio Macciò, ginecologo-oncologo al Businco, e il dottor Stefano Camparini, chirurgo vascolare al Brotzu, hanno eseguito un intervento eccezionale su una donna affetta da tumore maligno. Si trattava di un cancro dell’utero invadente la parte sinistra della vescica, i grossi vasi arteriosi e venosi del bacino e i muscoli pelvici di sinistra.

La paziente versava in condizioni gravissime, da morte imminente. La febbre era persistentemente alta e dagli esami del sangue risultava uno squilibrio dei globuli bianchi simile a quello che si vede nei pazienti con Covid-19 in fase terminale. La paziente non aveva contratto il Covid; era invece in preda ad una “tempesta citochinica” indotta dal cancro.

Gli americani chiamano questo genere di chirurgia: “Interventi commando”. La definiscono come le operazioni di guerra particolarmente rischiosa.

L’intervento è stato distinto in due fasi: la parte demolitiva e la parte ricostruttiva. La “fase demolitiva” ha comportato l’escissione in blocco di quasi tutto il contenuto del bacino. Sono stati asportati: l’utero e annessi, la parte sinistra della vescica e un segmento terminale dell’uretere sinistro, la grande vena iliaca comune sinistra e la vena iliaca esterna che drenano il sangue venoso della gamba sinistra, la vena iliaca interna sinistra, il muscolo otturatorio interno sinistro (che serve a muovere la coscia), tutto il contenuto della fossa otturatoria costituito da ghiandole, grasso, nervi e vasi.

E’ stata una demolizione radicale.

Nella “fase ricostruttiva” il chirurgo vascolare ha ricreato un tratto venoso protesico per scaricare il sangue venoso della gamba sinistra. Il chirurgo ginecologo-oncologo ha proceduto a ricostruire la vescica e ad impiantarvi l’uretere sinistro.

L’intervento è durato 8 ore.

E’ noto che in Italia questa chirurgia così difficile viene eseguita al Policlinico Gemelli di Roma, ma non è noto come meriterebbe che il dottor Antonio Macciò fa questa chirurgia da molti anni, e la iniziò quando lavorava all’Ospedale Sirai di Carbonia. Negli stessi anni in cui apriva la strada a questa chirurgia al Sirai, egli aveva iniziato gli studi sul comportamento delle cellule Macrofagi nel cancro dell’ovaio. I Macrofagi sono cellule tissutali addestrate alla difesa dalle aggressioni batteriche, virali e tumorali.

Per capire come ci difenda questo esercito di “soldatini cellulari”, iniziò a raccoglierli nel liquido ascitico delle donne affette da cancro dell’ovaio, e iniziò a coltivarli. Con il suo “gruppo di studio” fin dal 1999 pubblicò osservazioni interessanti. Aveva verificato che queste “cellule soldato” producono una sostanza denominata Interleukina-6, e prese a dosarla in tutti i casi di tumore.

Tale mediatore chimico è un’arma potentissima che attiva altre cellule, i Linfociti. A loro volta, il Linfociti producono Interleukine di varie categorie, e scatenano un attacco difensivo multiplo per fermare l’invasore.

Si scoprì che queste cellule fanno una battaglia senza pietà nei confronti di chiunque sia coinvolto nello scontro. Ricorda l’impiego del gas Iprite nel fronte della prima guerra Mondiale: i tedeschi lanciavano il gas contro i francesi facendo strage ma, se per caso il vento cambiava direzione, il gas tornava indietro intossicando soldati del fronte tedesco facendo molte vittime. Infatti, invece di limitarsi ad uccidere il nemico (virus, batterio, tumore), le Interleukine dei linfociti massacrano anche le cellule amiche intaccate dall’infezione. In sostanza le cellule del rene, del polmone, del fegato, del cuore, eccetera, che sono state aggredite dall’infezione vengono uccise dal “fuoco amico” dei Macrofagi e Linfociti. Questa è la tempesta citochinica dell’infiammazione.

In questa guerra fratricida avviene il blocco della produzione di Linfociti, pertanto, diminuiscono di numero nel sangue. Al contrario, le altre cellule infiammatorie del sangue, i Granulociti, aumentano.

Antonio Macciò verificò e pubblicò, dal 1999 in poi, diversi articoli nelle riviste internazionali di Oncologia, di Ematologia, e di Immunologia. In Italia, la conferma ai suoi studi, proveniva dalla scuola universitaria milanese del professor Alberto Mantovani, immunologo.

Tutte le ricerche sull’infiammazione portavano a far ritenere che il grave deperimento del paziente con cancro fosse in ampia parte dovuto al meccanismo infiammatorio autoaggressivo.

Così si spiega il dimagramento, l’inappetenza e l’anoressia, la perdita di massa muscolare, l’astenia, l’anemia, l’insufficienza epatica, il danno renale, i disturbi della coagulazione (trombosi e emorragie) dovuti al danno epatico e al danno dell’endotelio dei vasi, le trombo-embolie, la febbre, la cachessia ed il decesso.

Tutto il disastro è dovuto all’infiammazione.

Ora, il suddetto intervento ginecologico e vascolare per un cancro invasivo dell’utero allo stadio T4, consente una verifica importante, cioè: la paziente, prima dell’escissione radicale del tumore, aveva febbre persistente, un numero molto alto dei granulociti neutrofili e un numero molto basso dei linfociti nel sangue. Si tratta di un quadro di laboratorio simile a quello che si trova nel Covid-19 in fase avanzata, premortale.

Dopo la rimozione della causa dell’infiammazione (in questo caso il cancro della paziente) la conta dei Granulociti e dei Linfociti è tornata rapidamente alla normalità; il motivo del miglioramento è legato al ritorno ai livelli normali delle Interleukine. Quando il tumore non c’è più, i Linfociti si riprendono. è il segno certo che la tempesta citochinica è finita. La vita può tornare.

Il caso descritto è una prova e controprova, col metodo galileiano, che i sintomi di decadimento profondo ed i dati di laboratorio su linfociti e citochine, sia nel cancro che nel Covid-19 sono fortemente legati all’infiammazione.

Questa pista, indicata da Antonio Macciò ed Alberto Mantovani in Italia, ed approvata dal mondo scientifico internazionale, è ormai una certezza, e su di essa sono state messe a punto terapie mirate.

Questa bellissima storia, nonostante la tristezza della vicenda umana della paziente, obbliga noi Sulcitani ed Iglesienti a rigorose riflessioni:

1 – Gli Ospedali di Carbonia e Iglesias 20 anni fa stavano molto bene. Questo significa che il decadimento organizzativo a cui assistiamo oggi non è dovuto a questioni di periferia geografica ma ad altre forme di periferia culturale e politica da individuare.

2 – La buona Sanità è legata alla corretta dotazione di personale Medico e Sanitario. Questo è il settore più colpito.

3 – L’ottima Sanità è dovuta alla competenza e alle qualità personali. Quell’intervento è stato eseguito in 8 ore. Significa che è stato fatto con l’intento della perfezione e della accuratezza, ignorando il tempo che scorre. Su questo bisogna riflettere molto.

4 – I programmi sanitari negli ultimi 20 anni sono stati concepiti per soddisfare algoritmi con finalità amministrative. Il caso descritto ci insegna invece che la componente umana professionale e individuale è centrale per spiegare il buon risultato, e la bravura non è inseribile in un algoritmo.

Ne consegue l’imprescindibile necessità di ripristinare e curare il personale degli Ospedali.

Mario Marroccu

Il vino rosso e le sue capacità antiossidanti e terapeutiche nel paziente neoplastico. E’ il titolo della tesi di laurea di una giovane  neodottoressa dell’Università degli studi di Sassari, dipartimento di Medicina e Chirurgia, Corso di laurea magistrale in Scienze dell’alimentazione, Salute e Benessere dell’uomo, Giulia Santina Arminu. Relatore dottor Andrea Cossu, correlatore dottor Antonio Macciò.

Il vino scelto per la locandina e oggetto di studio, è il prestigioso Terre Brune della Cantina Santadi, vino di punta della cantina sulcitana presieduta da Antonello Pilloni.

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Tre giorni fa, all’Ospedale Sirai di Carbonia, il dottor Salvatore Ierna ha compiuto l’”Impresa”: ha riaperto un’arteria coronarica ostruita da una specie di “getto di calcestruzzo” fatto di aggregati cristallini di carbonato di calcio. Per curare una condizione del genere, non esiste una soluzione ideale. Certamente il paziente potrebbe essere operato introducendo un”by-pass”. Il “by-pass” è un trattino di vena che viene interposto collateralmente alle coronarie distrutte dal calcare e suturato all’arteria malata, sopra e sotto l’ostruzione. Il problema è che suturare un segmento di vena sana ad un’arteria malata come questa, è quasi impossibile.

In certi casi si può staccare chirurgicamente il “tappo di calcare” dalla parete arteriosa ma ciò che rimarrebbe dell’arteria sarebbe un velo di “tonaca avventizia” che potrebbe rompersi o trombizzare subito dopo l’intervento, con morte certa del paziente. Come fare per rimuovere il “tappo di calcare” dall’arteria senza operazione a “torace aperto”? E’ un problema gigantesco. Immaginate di avere un’incrostazione calcarea in un tubo d’acqua. L’acqua scenderà dal rubinetto goccia a goccia, poi alla fine non ne uscirà più. Se questo avviene a casa, si chiama un idraulico che sostituirà il tubo calcificato con uno nuovo. Altri cercheranno di disostruirlo, ma il risultato sarà deludente, perché il tubo si ostruirà di nuovo.

Ora il dottor Ierna ha disostruito l’arteria e l’ha protetta in modo tale che non si richiuda, superando diverse difficoltà.

Primo: il paziente era un soggetto “fragile”. Chi soffre di quella patologia alle coronarie, ne soffre anche in altre sedi vitali, come le arterie carotidi che nutrono il cervello, le arterie renali, l’arteria aorta, le arterie che irrorano le gambe.

Secondo: il dottor Ierna ha agito quasi alla cieca. Cioè, non aveva sotto gli occhi l’arteria coronaria chiusa, e neppure la poteva toccare per indirizzare il filo guida. Aveva una “visione virtuale”. Cioè vedeva l’intervento che stava eseguendo nelle immagini ricostruite in un monitor radiologico.

Terzo: il paziente non era collegato ad un apparecchio di rianimazione come avviene in cardiochirurgia, dove si opera a torace aperto.

La vita del paziente dipendeva dalla precisione dell’operatore, dalla velocità di esecuzione, dalla sua conoscenza dell’anatomia e dalla sapienza tecnica ottenuta con molto studio ed esercizio. Cioè con sofferenza personale, individuale ed indivisibile. L’intervento è stato sviluppato nella sua mente, in uno stato di assoluta solitudine.

Quarto: il chirurgo emodinamista ha necessità assoluta di un’assistenza illuminata, fedele, consapevole, pronta ed infaticabile di almeno due tecnici ultra-esperti ed insostituibili. Sono figure introvabili. I nuovi dovranno maturare anni di esperienza.

Raccontare come si fa è facile. Eseguirlo è assolutamente difficile.

Descrizione sintetica: il dottor Salvatore Ierna dapprima ha eseguito una coronarografia; cioè ha iniettato nelle arterie del cuore un mezzo di contrasto radio-opaco e ha visto, nel monitor, il disegno delle arterie. Una volta studiata la mappa di quelle arterie malate, vi ha infilato un “filo guida” sottilissimo, partendo da un’arteria delle braccia. Il filo guida è penetrato nella coronaria e si è arrestato nel punto di ostruzione.  A questo punto, sulla guida del filo e delle immagini radiologiche, è stata inserita una sonda speciale fino all’ostacolo ed è stata appoggiata sul “tappo calcareo”. Quindi è stato azionato il pedale che mette in funzione la fonte di ultrasuoni. Gli ultrasuoni emessi dalla punta della sonda hanno scaricato tutta la loro potenza sulla placca calcarea, rompendola.

Perché si rompe la placca? Perché ha una struttura cristallina come quella dei vetri. Le onde di ultrasuoni penetrano nella placca e si trasformano in energia che fa esplodere il cristallo di calcare. Durante la procedura si eseguono lavaggi per allontanare i microframmenti calcifici, e poi si prosegue nella perforazione, per creare un tunnel nella “roccia”. Una volta trovata la fine dell’ostruzione il filo guida passa, in territorio libero dell’arteria. L’intervento si conclude con la sistemazione dello stent, e il sangue riprende a nutrire le carni del cuore. La vita del paziente riprende a scorrere.

Grandiosa esecuzione, portata a termine per la prima volta in Sardegna.

Naturalmente queste capacità interventistiche non sono spuntate così, come un fungo, dal nulla, ma hanno avuto una gestazione di molti anni di preparazione, studio e viaggi di istruzione.

La nostra felicità è enorme.

Tutte le storie hanno un’origine più o meno lontana nel tempo. La storia delle Shockweaves (onde d’urto) per rompere le calcificazioni formatesi in posti sbagliati nel corpo umano, merita d’essere raccontata. Noi, a Carbonia, ne abbiamo un’antica esperienza, anche quella con la caratteristica del primato su tutti in Sardegna.

Le pietre che incrostano le coronarie hanno una struttura cristallina formata prevalentemente da carbonato di calcio. Lo conosciamo tutti molto bene: le scogliere bianche che vanno da Maladroxia a Coacuaddus sono di carbonato di calcio. E’ molto diffuso in natura. Nella patologia umana, lo troviamo nelle placche ateromasiche calcifiche e nei calcoli renali. In ambedue i casi, per distruggere le concrezioni, si usano  le onde d’urto ad ultrasuoni.

L’impiego di queste onde nacque dalla ricerca aerospaziale tedesca.

Negli anni ’70, gli Americani si erano resi conto che la parte più pericolosa di un viaggio spaziale non era la “partenza” da Capo Canaveral, ma il ritorno dallo Spazio, nel momento in cui la navetta entrava nell’atmosfera. Passando improvvisamente dal vuoto assoluto dello spazio all’atmosfera terrestre, era come se la navetta andasse a sbattere contro un muro e, sfregando su quel muro di “gas”, si generava un attrito eccessivo che sprigionava calore ad altissima temperatura. La temperatura era tanto elevata da fondere lo scudo termico metallico e uccidere l’equipaggio. Si capì che era necessario ricoprire lo scudo termico della navicella con un materiale coibente. Si pensò di incollarci sopra piastrelle di ceramica speciale. L’idea era corretta ma… avrebbero le piastrelle di ceramica resistito all’impatto? Era necessario scoprirlo e riprodurre in laboratorio quell’impatto. Gli Americani avevano come consulente lo scienziato Wernher Von Braun. Costui era stato il progettista, per la Germania nazista, dei primi missili balistici della storia: i V2. Esattamente quei missili che avevano martoriato Londra. La fabbrica che li produceva apparteneva alla famiglia Dornier. Era la famosa fabbrica degli aerei da guerra per la Luftwaffe, che produceva i caccia Messerschmitt ed i bombardieri Junker-Dornier. Alla fine della guerra, la fabbrica venne convertita in un  centro di ricerca aerospaziale e gli scienziati tedeschi, su richiesta degli Americani, misero a punto un sistema di produzione di “onde d’urto” (Shockweaves) per testare le piastrelle da incollare alla navicella spaziale. Le “onde d’urto” venivano generate con un sistema di elettrodi che produceva microesplosioni subacquee. Le “onde d’urto” che venivano emanate dalle esplosioni potevano essere indirizzate verso un bersaglio attraverso un apparato di puntamento costituito da specchi concavi. Al centro della parabola vi era il “fuoco” su cui si concentrava la somma della potenza di tutte le onde. Messe le piastrelle nel fuoco della parabola si potè testare la loro resistenza all’impatto.

Uno scienziato dell’Università di Monaco, il professor Chaussy, pensò che in quel modo si sarebbe potuto “sparare” energia contro i calcoli renali. Ne parlò con la famiglia Dornier proprietaria della fabbrica aerospaziale e ottenne la costruzione di un generatore di Shockweaves per uso umano. La macchina venne chiamata “Dornier 1”. Nel 1984 una delle prime pazienti italiane del professor Chaussy fu una signora di Carbonia che era nata con un rene solo e in più aveva un calcolo. Nel 1986 il professor Chaussy presentò la sua casistica a Madrid, nella casa di cura “La Luz”. In quella occasione venne presentata anche una nuova macchina, delle Storz tedesca, generatrice di onde d’urto  ad ultrasuoni, destinata a rompere i calcoli dentro l’uretere. Gli interventi dimostrativi furono eseguiti con successo dal proprietario della clinica, il professor Perez Castro Ellendt.

I primi allievi italiani presenti a quelle lezioni di addestramento furono il professor Francesco Rocco (Università di Milano), il dottor Michele Gallucci (poi direttore dell’Istituto tumori Regina Elena di Roma), ed un chirurgo di Carbonia.

Al ritorno da Madrid ne venne fatta un’accurata relazione al presidente del Sirai, Pietro Cocco. Era presente il ragionier Efisio Melis. La decisione di Pietro Cocco fu, come sempre, di poche parole: «Ragioniere, acquisti quella macchina da shockweaves per i calcolotici del nostro Ospedale».

Fu il primo apparecchio per “onde d’urto” venduto in Italia. Dal 1987 in poi vennero trattate a Carbonia centinaia di calcolosi dell’uretere senza operazione. Il nostro Ospedale fu anche in quel caso il primo e l’unico in Sardegna a fornire questa tecnica avveniristica. A Cagliari, si iniziò ad utilizzare questa tecnica dopo una nostra presentazione pubblica del metodo avvenuta nella sala congressi del Banco di Sardegna, nel 1991. Realizzammo dei videotutorial che spiegavano i segreti di Perez Castro per entrare nell’uretere, e presto in molti appresero la tecnica.

Di recente, questa tecnica è stata migliorata ed adattata alla rottura delle incrostazioni calcifiche dentro le arterie coronarie, e viene impiegata in pochi posti al mondo.

Ho voluto ricordare il fatto di 33 anni fa, per attirare l’attenzione sulle potenzialità che ha avuto sempre il Sirai nella crescita tecnologica. Da qui sono nati grandi professionisti che poi hanno arricchito di professionalità gli ospedali cagliaritani. Ricordiamo l’anestesista Paolo Pettinao che introdusse il Brotzu nell’era dei trapianti; il dottor Paolo Schiffini, che dopo l’esperienza maturata a Carbonia, si trasferì al Brotzu e fondò  l’angiografia interventistica; il dottor Antonio Macciò, che oggi rappresenta il massimo polo sardo di attrazione scientifica nella chirurgia oncologica laparoscopica al Businco e le cui ricerche condotte proprio nel laboratorio di Carbonia, vengono pubblicate dalle massime riviste di oncologia ginecologica americane ed inglesi.

Adesso il Sirai offre la novità assoluta delle shockweaves per disostruire le coronarie difficili.

Questo giornale da molti mesi sta attirando l’attenzione sul miserevole stato in cui versa oggi il nostro Ospedale, e non smette mai di esporre all’opinione pubblica il disastro organizzativo a cui è stato sottoposto l’organico della Cardiologia e, soprattutto, quello dell’Emodinamica del dottor Ierna. La procedura che ha eseguito va classificata fra le imprese di medicina interventistica più difficili che si conoscano e, per la sua enormità, contrasta con la povertà di personale di cui dispone.

Vista l’insensibilità e l’insipidità della nostra attuale e passata dirigenza politica regionale in sanità pubblica, dobbiamo suscitare l’interesse di tutti, per porre fine al degrado organizzativo a cui si sta sottoponendo la struttura ospedaliera del Sirai.

Dopo quanto premesso, appare ragionevole chiedere un congruo finanziamento per l’immediato reintegro dei Medici di Cardiologia e l’istituzione di una scuola di Emodinamica da affidare alla magistrale direzione del dottor Salvatore Ierna. Abbiamo bisogno che produca allievi. E’ evidente che ci vogliono finanziamenti per gratificare il sacrificio di quegli operatori. Deve cessare, comunque, avendo a disposizione una struttura specialistica così avanzata, l’assurda chiusura del Servizio di Emodinamica per 16 ore su 24, e la totale chiusura dalle 16.00 del venerdì alle 8.00 del lunedì successivo. Questo disastro, di stampo contabile, deve essere fermato.

Contemporaneamente, è assolutamente necessario ricostituire subito gli organici di Ortopedia, Radiologia, Gastroenterologia e, soprattutto, di Anestesia e Rianimazione.

Purtroppo, da anni ci stanno svuotando di competenze specialistiche a causa di due teorie che hanno fallito nella gestione degli Ospedali: una è la teoria del “Hub And Spoke”, cioè del centro della ruota e dei suoi raggi. Con questa si teorizza che chi sta alla periferia (raggi) debba trasferire le sue funzioni al centro (Hub). In questo modo, sono stati depressi gli ospedali territoriali e gonfiati quelli del capoluogo. L’altra teoria è il “governo per processi”, con cui si teorizza la gestione degli ospedali, mantenendo le attuali strutture ma modificando e codificando i processi con cui si usano. In questo modo, è stata tolta ai Primari la capacità di iniziativa. Esattamente quella iniziativa che ha avuto il dottor Salvatore Ierna, facendo una cosa assolutamente imprevista dai burocrati.

Ad un certo punto, verrà il momento in cui si accorgeranno che la partita la giocano e la vincono i campioni scesi  in campo e non i padroni del campo.

E adesso, invito tutti a tenere gli occhi aperti. Controlliamo se metteranno il dottor Salvatore Ierna nelle condizioni di lavorare oppure se alla fine riusciranno a farlo scappare.

Mario Marroccu

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Il cancro tra l’informazione scientifica e la comunicazione di una diagnosi, tra il numero (in aumento) di italiani che vivono dopo una prognosi di tumore e le storie di vita, tra l’oggettività della notizie le emozioni del paziente.

Questi i temi del seminario “Tumore: tra informazione e comunicazione” che si svolgerà a Cagliari, giovedì 24 gennaio, nella sala “Giorgio Pisano”, in piazza Unione Sarda, dalle 14.00 alle 17.00.

Secondo i dati dell’Associazione Italiana dei Registri Tumori il numero degli italiani che vivono dopo una diagnosi di tumore aumenta ogni anno circa del 3%. Ciò è possibile grazie alla diagnostica precoce, che non esisterebbe senza la profilassi e l’informazione, la prima forma di prevenzione per le neoplasie come il tumore ovarico per cui non è contemplato uno screening specifico.

L’oggettività della notizia, le nozioni scientifiche, racchiudono il significativo valore dell’informazione oncologica mentre le testimonianze e le storie di chi ha conosciuto in prima persona il tumore comunicano quanta vita esista oltre la malattia, sbiadiscono la locuzione “male oscuro” spesso abbinata al cancro e raccontano la dignità della persona che sta dietro le etichette paziente e malato.

Francesco Birocchi, presidente dell’ordine dei giornalisti della Sardegna aprirà i lavori; Albachiara Bergamini, consigliere della Fondazione Taccia Ricerca sul Cancro, presenterà il progetto “Mai Più Sole Contro il Tumore”, promosso dalla Fondazione stessa; il dottor Antonio Macciò, responsabile UOC Ginecologia Oncologica, Ospedale A. Businco Cagliari, parlerà dell’informazione come presupposto fondamentale nell’iter terapeutico; la dottoressa Rita Nonnis, responsabile del progetto di Chirurgia Senologica Oncoplastica c/o l’U.O.C. di Chirurgia Plastica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari, spiegherà l’importanza dell’informazione e della comunicazione legate ai geni BRCA e al “Caso Jolie”; la dottoressa Maria Felicina Atzeri, psicologa, psicoterapeuta, psiconcologa esporrà la rilevanza della comunicazione personalizzata nella diagnosi tumorale; Valentina Ligas e Valentina Porcu, giornaliste della testata www.maipiusole.sardegna.it , spiegheranno la volontà di far incontrare armonicamente i due binari informazione e comunicazione attraverso le notizie scientifiche, le interviste ai medici e agli specialisti, le rubriche curate dalle donne che hanno incontrato il tumore e le loro videotestimonianze di vita; Sonia Aresu e Daniela Cadeddu, curatrici di alcune rubriche del portale, racconteranno quale significato ha scrivere della propria esperienza oncologica.

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La Sala Congressi dell’Hotel Panorama di Cagliari ospiterà sabato 1 dicembre, dalle ore 9.00, il convegno scientifico “Oncologia interdisciplinare al carcinoma ovarico” , promosso dalla Ginecologia Oncologica del Presidio Ospedaliero “Antonio Businco” dell’Azienda “Brotzu” di Cagliari. L’appuntamento, che si avvale della direzione scientifica del dott. Antonio Macciò, chirurgo oncologo, intende focalizzare l’attenzione su un approccio interdisciplinare al tumore dell’ovaio.

L’incontro, articolato in tre sessioni, coinvolge infatti professionisti di diverse specializzazioni con contributi sulla biologia e genetica del tumore, sulla terapia di precisione e sulla chirurgia. Ma sarà affrontato anche il ruolo della chirurgia del colon-retto, dell’urologo e del senologo nonché della chemioterapia e del dolore e della sofferenza nella paziente. Uno spazio particolare sarà riservato al tema del fine vita e alla cura della spiritualità e della dignità. A caratterizzare l’appuntamento anche il coinvolgimento delle associazioni di pazienti oncologiche.

«Le interconnessioni tra specializzazioni – afferma Antonio Macciò, che aprirà i lavori – hanno lo scopo di costruire intorno alla paziente un ambiente accogliente, condiviso e partecipato. Il chirurgo oncologo non può prescindere dall’apporto che ciascun esperto settoriale può apportare, la paziente diventa quindi protagonista di un progetto che, cogliendo le diverse componenti della Persona, le garantisce rispetto e dignità in ogni fase della percorso di cura, anche e specialmente quando le condizioni sono tali da non poter ottenere un risultato positivo. La spiritualità non è pertanto un elemento residuale ma un imperativo per chi voglia offrire qualità alla vita in ogni sua fase.»

L’evento è stato accreditato con n. 6 crediti formativi ECM per la categoria professionale di Medico Chirurgo (Anatomia Patologica, Anestesia e Rianimazione, Chirurgia Generale, Continuità Assistenziale, Cure Palliative, Ematologia, Genetica Medica, Ginecologia e Ostetricia, Medicina Generale, Medicina Interna, Medicina Nucleare, Medicina di Comunità, Oncologia, Radiodiagnostica, Radioterapia), Infermiere, Biologo, Tecnico Sanitario di Laboratorio Biomedico, Psicologo. L’iscrizione è gratuita ma obbligatoria.

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Gli attivisti del gruppo “5 stelle per Iglesias afferente al M5S” hanno organizzato un incontro dibattito per venerdì 15 dicembre 2017, dalle ore 18,00, nella sala Lepori di via Isonzo, a Iglesias, a Iglesias, sul tema “Diritto alla Salute o Business”.

E’ prevista la partecipazione di Antonio Macciò, responsabile del reparto di Ginecologia Oncologia del presidio ospedaliero Armando Businco di Cagliari, che interverrà su “Il paziente, il centro della Sanità”Andrea Tirotto, infermiere dell’ospedale Civile di Sassari, su “L’Elisoccorso”; Luisella Colombano, ostetrica presso l’Ospedale Santa Barbara di Iglesias, su “Consultorio familiare del distretto di Iglesias, una risorsa per il territorio”; Carla Cuccu, avvocato, su “Criticità della riforma sanitaria sarda nell’Iglesiente”; e, infine, P. Calledda, Emanuela Corda, Emanuela Serra e Manuela Serra – P.V. M5S.

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Le principali novità medico-scientifiche nella terapia del tumore dell’ovaio e della mammella, le relazioni di eccellenze specialistiche, i racconti di alcune pazienti nel personale cammino nella malattia. Ancora, dalle tematiche della biologia del tumore alle terapie personalizzate nel rispetto della centralità della paziente e per la salvaguardia del suo benessere fisico, psicologico e spirituale.

Attorno a questi e altri temi si articola la giornata di studi dal titolo “Novità nella terapia del tumore dell’ovaio e della mammella Una strada insieme” in programma a Cagliari sabato 25 novembre, dalle ore 9,00, presso l’Aula Magna del Pontificio Seminario Regionale Sardo, in via Monsignor Parraguez 19.

L’importante appuntamento organizzato dal dott. Antonio Macciò, responsabile del reparto di Ginecologia Oncologica dell’Ospedale A. Businco di Cagliari in collaborazione con l’Associazione Sarda per la Ricerca in Oncologia Ginecologica – ONLUS e la Fondazione Taccia – Ricerca sul Cancro, si snoderà in due distinti momenti: prettamente di carattere scientifico le tre sessioni della mattina dalle ore 9,30 alle ore 13.00, invece il pomeriggio le tematiche saranno affrontate secondo un approccio olistico e psicosociale.

I lavori si aprono alle ore 9,30 con il programma scientifico che prevede l’alternanza tra medici, esperti autorevoli e rappresentanti di associazioni, tra queste ultime spiccheranno gli interventi di Albachiara Bergamini, consigliere in carica della Fondazione Taccia – Ricerca sul cancro e referente per la Sardegna per il progetto “Mai Più Sole”, Anna Maria Massetti dell’associazione “Sinergia Femminile” e Rita Nonnis dell’Associazione “aBRCAdaBRA”.

La voce del mondo clinico e degli esperti sarà rappresentata dalla dottoressa Clelia Madeddu con una relazione su “Il microambiente tumorale ed il suo ruolo nell’etiopatogenesi del carcinoma della mammella e dell’ovaio”, la dottoressa Margherita Piras parlerà di “Cancro e trombosi: un comune fattore di crescita”, il dott. Daniele Farci con “La neoangiogenesi quale fattore di prognosi e terapia”, la dottoressa Daniela Guerzoni con “Il platino ed i suoi derivati: sinergismo d’azione con il bevacizumab”, la dottoressa Luciana Tanca illustrerà “Il problema insoluto della farmaco-resistenza nel carcinoma dell’ovaio: la trabectedina e le sue azioni immunomodulanti; quale ruolo della neoangiogenesi?” e la dottoressa Chiara Porcu con “La miglior terapia nel carcinoma della mammella tra efficacia e miglior qualità della vita: la doxorubicina liposomiale e l’associazione taxolo e bevacizumab”.

Al pomeriggio,a partire dalle 14.30, le varie tematiche affrontate secondo aspetti olistici e psicosociali faranno il punto sui rapporti con la fede, il perdono, la psiconcologia e le esperienze di vita personali. Tra i principali in terventi quelli di don Antonio Mura “Fede e dolore: la salute dell’anima”, del professor Mauro Carta su “Psiche e cancro”, il dottor Antonio Macciò con un’accurata analisi de “La vita dopo la morte: traguardo o sconfitta?”, il dott. Daniel Lumera con “La Cura del Perdono: la relazione con sé stessi, con la malattia e con la vita”, la dottoressa Nadia Brusasca con l’intervento “Dal corpo alla corporeità: io senza di me non posso esistere”.

A seguire prenderanno la parola le pazienti Daniela Cadeddu e Rita Meleddu che racconteranno la loro personale esperienza di vita legata alla malattia, delle esigenze e necessità che si incontrano nel percorso di cura. Inoltre interverranno le varie associazioni con Monica Melis e Ivana Congiu, Referenti regionali di aBRCAdaBRA; il dott. Donato Ortu, presidente UnitixlaVita; Ezia Caredda, presidente Karalis Pink Team Daniela Secchi, Adele Lai consigliere dell’associazione Idea Onlus e Denise Murgia, presidente di Libera.

L’evento è stato accreditato con n. 4 crediti formativi ECM per la categoria professionale di medico chirurgo (Ematologia, Medicina Interna, Oncologia, Radioterapia, Chirurgia Generale, Ginecologia e Ostetricia, Anatomia Patologica, Anestesia e Rianimazione, Medicina Nucleare, Radiodiagnostica, Medicina Generale, Continuità Assistenziale, Cure Palliative, Medicina di Comunità), psicologo, infermiere, biologo, tecnico sanitario di laboratorio biomedico. Saranno accolte con priorità le richieste degli operatori sanitari che svolgono la loro attività in reparti/strutture che si occupano delle tematiche scientifiche dell’evento. L’iscrizione è gratuita, ma obbligatoria.

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Da mercoledì 13 a sabato 16 luglio il centro congressi del T-Hotel, Cagliari – ospita il congresso nazionale “Dalla cura all’aver cura della donna nell’universo tecnologico della ginecologia e ostetricia”. Il “Corso teorico pratico sul ricorso al taglio cesareo, classificazione di Robson e analisi dati” si tiene il 13 luglio dalle 9.00 alle 12.30, nell’aula della direzione sanitaria del Policlinico “Duilio Casula” di Monserrato, precede i lavori congressuali.

Al corso – teso a fornire presupposti clinici, metodologici e interpretativi della classificazione in 10 gruppi dei tagli cesarei di Robson – prende parte lo specialista chi li ha ideati, Michael Robson. Docente e ricercatore di fama mondiale, il professor Robson – Consultant obstetrician and gynaecologist al National maternity hospital di Dublino, riferimento clinico e scientifico per l’Organizzazione mondiale per la Sanità – tiene una lectio magistralis. Tra i relatori anche Piera Poletti (responsabile Centro ricerca formazione, Padova; docente Master universitari; collaboratrice ministero Salute) e Antonello Antonelli (coordinatore “Qualità dei servizi sanitari”, direzione generale assessorato regionale Sanità). Il corso – max. 50 partecipanti – è dedicato a medici, ostetriche, personale amministrativo e rappresentanti dei media. Le iscrizioni si effettuano su scheda scaricabile da www.kassiopeagroup.com, da inviare per e-mail a barbarapanico@kassiopeagroup.com. I lavori, moderati dagli specialisti Salvatore Dessole e Alessandra Meloni, sono introdotti da Gian Benedetto Melis.

Da giovedì 14 a sabato 16 luglio al T-Hotel si dibatte di “Umanizzazione, scienza e tecnologia: un legame vincente nei diversi scenari della ginecologia e ostetricia” ad “Aver cura e curare il dolore al femminile”, “Dallo screening alla terapia dei tumori ginecologici” fino a “La donna tra tradizione ed innovazione: la veduta dell’antropologo e dell’artista di teatro” sono fra le tematiche del congresso nazionale “Dalla cura all’aver cura della donna nell’universo tecnologico della ginecologia e ostetricia”. I lavori curati dallo staff di Gian Benedetto Melis, ordinario ginecologia e ostetricia ateneo di Cagliari. Tra i temi al centro del congresso “La salute dell’individuo dalla vita intrauterina”, “Il travaglio di parto senza dolore. Che mezzi abbiamo? Quali risultati?”, “L’allattamento al seno: risvolti sulla salute psico-fisica della madre e del bambino”, “L’endometriosi: patologia dai mille volti clinici e personali. Dall’impatto emotivo della diagnosi alla cura e all’aver cura del dolore”, “Patologie benigne e maligne dell’apparato genitale”, “La diagnosi ecografica e radiologica preventiva e di supporto per le cure mediche e chirurgiche”, “Fertilità e Sterilità: dalla Fivet alle tecniche attuali” fino a “La cinquantenne di oggi: quanto la carenza ormonale incide sulla salute e sul dolore della donna. Quali i mezzi per curarla e averne cura”.

Il congresso è presieduto, oltre che dal professor Melis, da Salvatore Dessole (Sassari). I vice presidenti sono Pier Luigi Cherchi (Sassari), Antonio Macciò (Cagliari) e Bruno Piras (Cagliari). La segreteria scientifica è composta da Anna Maria Paoletti (Cagliari) e Giampiero Capobianco (Sassari).

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