9 April, 2025
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La società civile e quella politica italiana sul tema della Sanità si stanno dividendo in due come in America. Anche qui da noi probabilmente in futuro i tanti partiti confluiranno in due fronti. Ci sarà un fronte di conservatori e uno di progressisti, e ognuno avrà un diverso parere sul come risolvere i problemi.
La differenza di opinioni a cui stiamo assistendo in campo sanitario oppone quelli che propendono per una Sanità pubblica, integrata da una sanità privata e concentrata in pochi centri di riferimento, a quelli che propendono per una sanità prevalentemente pubblica e omogeneamente distribuita nel territorio.
Un manifestazione chiara di questa tendenza si è vista nella proposta di “Autonomia Differenziata” in cui le regioni del Nord vorrebbero una propria Sanità finanziata da fondi ricchissimi e una Sanità del Sud finanziata da un modesto Fondo Sanitario Nazionale.
Ciò porta alla situazione di stallo decisionale attuale in cui i politici, che hanno in mano una Sanità fallita, dovranno infine decidersi: o Sanità pubblica o Sanità privatizzata.
Onestamente non è chiaro quale via vogliano prendere, né se abbiano previsto quali conseguenze contrapposte ne deriveranno.
Non dobbiamo condannarli: la decisione , in realtà, è estremamente difficile. La storia, la Grande Storia sanitaria, ha da sempre due facce: una pubblica e una privata, ed è così da secoli e millenni.
Anticamente la Sanità, già da prima di Ippocrate, era sostanzialmente privata. Poi venne quel “tale” che raccontò la parabola del “Buon Samaritano”, e lì iniziarono i problemi di coscienza per l’umanità. La “coscienza” ribollì fino al quarto secolo dopo Cristo quando Benedetto da Norcia in Italia, e Basilio in Cappadocia idearono la “sanità ospitaliera” gratuita per tutti. Per aver preso quella decisione vennero fatti Santi. Quella sanità, totalmente caritativa, generò poi nella chiesa cattolica e in quella ortodossa il fulcro della loro missione assistenziale. Le città medioevali si riempirono di tanti ospedali caritativi retti da fratres” e “sorores” che erano finanziati da benefattori. Nell’anno 1456, un certo cardinal Rampini, a Milano, decise di chiudere i 16 ospedali caritativi della città e di costruirne solo uno, grandissimo, dotato di letti con comodini e bagni che scaricavano nei “Navigli”, con criteri di igiene e di amministrazione modernissimi. Venne chiamato “Ospedale Maggiore”. Era destinato agli acuti, cioè a quei pazienti che entrano febbricitanti o traumatizzati e ne escono, dopo poco tempo, vivi e sani, o morti. Poi costruì un ospedale fuori Milano, destinato ai “cronici”. Qui coloro che vi entravano, fossero essi storpi, lebbrosi, tubercolotici, folli, idioti, o semplicemente vecchi e poveri, vi restavano per sempre. Come si vede nella Storia, con l’invenzione degli ospedali civili e delle Rsa, noi del terzo millennio siamo arrivati secondi.
Quella di Rampini fu la rivoluzione che suggerì a tutta l’Europa come costruire gli ospedali moderni. Era il quindicesimo secolo e, se ci si pensa, oggi siamo ancora fermi lì a quella riforma ospedaliera. Invece, la medicina territoriale rimase in mano agli specialisti nei loro ambulatori privati finché, nel corso della Rivoluzione francese del diciottesimo secolo, si decise un piano anche per essa: tutto il territorio nazionale della nuova Repubblica venne suddiviso in “distretti sanitari” dotati di ospedali e di ambulatori pubblici, finanziati dallo Stato (esattamente come la ASL attuali). A quel piano, dette il suo apporto un tal “Marat”, socio di Danton e Robespierre. “Marat” è la pronuncia francese di “Marras”, un cagliaritano. A Cagliari, nella seconda metà del diciannovesimo secolo venne fondato l’ospedale “San Giovanni di Dio” finanziato da donazioni di cittadini facoltosi. Gli stessi benefattori pagavano la retta giornaliera dei ricoverati. Ogni cittadino era libero di salvaguardarsi come poteva, ma, come si sa nessuno era in condizione di farlo. Tanto meno si salvaguardavano le donne che non avevano alcuna autonomia finanziaria. Per capire quanto estrema fosse la miseria sociale ricordiamo che in quei tempi, in Italia, vi erano 286 nati morti ogni mille parti. Allora lo Stato riteneva che non fosse opportuno entrare nelle cose private di sanità. Qualche cambiamento comparve con le leggi Crispine del 1887 quando, dopo un gravissima epidemia di colera, per la prima volta il Governo dichiarò che l’igiene pubblica deve essere gestita e tutelata dallo Stato. Così nacque il primo embrione di Sanità pubblica e furono regolamentate le Opere pie. A fine 1800 vennero poste le radici delle Casse mutue. Esse erano Enti assicurativi nati nelle società operaie quando i lavoratori salariati iniziarono ad associarsi e mettere in comune proprie risorse per assicurarsi il rischio di vita. Le casse Mutue iniziarono a strutturasi meglio alla fine della Prima Guerra Mondiale e negli ultimi anni del Fascismo. In quel tempo le Casse mutue garantivano la salute solo ai lavoratori dipendenti dallo Stato e ai lavoratori di Aziende che lavoravano per lo Stato. La protezione tuttavia non era totale: se un minatore restava schiacciato sotto una frana poteva contare su cure gratuite limitate a 6 mesi in un anno mentre la famiglia poteva essere curata per soli 30 giorni in un anno.
L’assistenza per i mutuati, fuori dagli ospedali, era limitata soltanto alla visita del medico generico. Il mutuato doveva pagarsi i farmaci e gli Specialisti. I lavoratori privati invece non avevano nessuna assistenza. Quando un componente della famiglia di questi si ammalava tutta la famiglia correva il serio rischio di finire in povertà per pagare le spese di cura. Chi aveva case, terreni, bestiame li vendeva per pagare i ricoveri, i farmaci e gli specialisti. Per i lavoratori dipendenti tra il 1927 e il 1943 nacquero l’INAIL e l’INAM, finanziate obbligatoriamente con parte del salario, ma avevano molti limiti. Per altre categorie di lavoratori nacquero molte piccole mutue private che davano prestazioni modeste. Tutte le Mutue si differenziavano fra di loro in base all’entità della contribuzione dell’associato. Solo i poveri erano curati con fondi comunali. La carità era la forma di assistenza più diffusa.
La medicina caritativa sopravvisse in Italia fino al ventesimo secolo quando venne supportata anche dallo Stato che costruì i tubercolosari e i centri ospedalieri di assistenza ai lavoratori delle miniere e delle industrie pesanti (vedi CTO e Sirai), destinati sia agli operai vittime di incidente sul lavoro, sia alle loro famiglie (ostetricie e pediatrie).
La modestissima Sanità pubblica veniva controllata dal ministro dell’Interno, o da quello del Lavoro.
Fino al 1956 nessuna parte politica volle mai istituire il ministero della Sanità per evitare l’onere delle spese. Spese che sarebbero state intollerabili per lo Stato a causa della forte incidenza e mortalità da TBC, malaria e tifo. Negli anni ‘50 del 1900 vennero portate in Italia la Penicillina, la Streptomicina e il DDT, acquistati con fondi del Piano Marshall e della Fondazione Rockfeller; questo ridusse moltissimo l’incidenza di malattie da infezione.
Allora facevano paura allo Stato le spese per le malattie da microbi così come oggi fanno paura le spese per malattie da invecchiamento. Si sta ponendo oggi un dilemma di spesa simile.
In America nel 1945, quando ancora in Italia si vivevano gli strascichi delle lotte partigiane, divenne presidente Harry Truman. Fu un presidente determinato in ogni azione politica: decise la fine dello isolazionismo americano, occupò Berlino per non lasciarla ai russi e stabilì un ponte aereo per nutrirla, iniziò la guerra in Corea e finanziò il “Piano Marshall” che salvò l’Italia dallo sprofondare nella fame del dopoguerra, fermò definitivamente la Seconda Guerra Mondiale con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki e, per quanto riguarda la politica interna americana, propose una modernissima “Riforma sanitaria”, nel contesto del “fair deal” (l’affare giusto per i diritti civili). Quella sua proposta di riforma influenzò la storia sanitaria italiana. La proposta iniziava con questa dichiarazione: «La Nazione ha bisogno che siano rimosse le barriere economiche per ottenere l’assistenza sanitaria. La salute di tutti i cittadini merita l’aiuto di tutta la Nazione». Egli propugnava l’assistenza sanitaria gratuita per tutti. Tuttavia, la proposta di riforma venne bocciata a causa della forte opposizione del partito Repubblicano.
Ai repubblicani si era associato, nel voto contrario, anche un gruppo di senatori democratici. La lobby delle assicurazioni private aveva vinto.
La riforma non si fece e ne conseguì la persistenza di un sistema sanitario nazionale basato sulle assicurazioni private, in cui i facoltosi si potevano curare in modo accettabile. I poveri e i vecchi potevano contare sul sistema assistenziale pubblico di “Medicaid” e “Medicare”. Circa il 60% della popolazione, se voleva assistenza, doveva stipulare una assicurazione privata. L’occasione perduta della proposta Truman fu parzialmente recuperata sessantasette anni dopo con Barak Obama. La riforma nota col nome di “Obamacare” venne approvata nel 2008 e con essa l’assistenza gratuita si estese ad altri 32 milioni di americani. Questa riforma contiene anche due novità: il divieto alle assicurazioni private di rescindere il contratto nel caso in cui il cliente contraesse il diabete o un tumore, e il divieto alle assicurazioni di mettere un tetto ai risarcimenti. Questo salvò gli assicurati dal calvario del dover ricorrere in giudizio, contro le assicurazioni, per ottenere l’intera somma spesa anticipatamente per le cure.
In America il presidente Harry Truman fallì ma ebbe successo in Italia. In una intervista il ministro della Sanità Tina Anselmi raccontò che già in Italia si discuteva sulla proposta di Truman nei primi anni ‘50. I princìpi in essa contenuti vennero da lei utilizzati per produrre la più grande legge del ventesimo secolo: laì Riforma sanitaria 833/78. Con essa si realizzò concretamente l’articolo 32 della Costituzione garantendo a tutti gli italiani l’assistenza sanitaria gratuita “dalla culla alla tomba”. La Riforma venne poi applicata successivamente dal ministro Aldo Aniasi nel 1980; venne poi applicata in Sardegna nel 1982. Da noi vi fu un immediato miglioramento della sanità pubblica. Gli anni dal 1982 al 1992 furono di grande creatività assistenziale sia negli ospedali che nei territori. Nel 1992 il mondo cambiò. Avvenne la più grave crisi politica ed economica del Dopoguerra. Con gli scandali della corruzione (“Mani pulite”) e col crollo delle “Partecipazioni statali” l’Italia stava andando in fallimento. Fu necessaria una cura da cavallo: bisognava risparmiare  e la sanità pubblica venne duramente colpita. Le Usl (Unità sanitarie locali), con gestione esclusivamente pubblica e territoriale, vennero trasformate in ASL, cioè in
“Aziende” a gestione di tipo privatistico con l’esclusione dei Sindaci dal controllo della gestione.
Vennero approvate leggi di riforma con lo scopo di ridurre ulteriormente la componente pubblica contenuta nella legge 833/78. Furono la legge 502/1992 e la legge 229/1999.
Così nacquero le “Aziende” gestite da manager. Con l’ingresso dei manager prese piede lo slogan “gestire con efficienza e efficacia” che banalmente vuol dire “spendere meno e ottenere lo stesso di prima”. In quegli anni si facevano corsi di “management” che insegnavano come farlo. Fu allora che si iniziò a “spendere meno” riducendo il personale ospedaliero e gli acquisti, gli emolumenti e le manutenzioni. I Sindaci, che prima erano i controllori, non potevano farci più niente. Nel 2011 il sistema di controllo sulla gestione economica delle ASL si fece più severo e vennero prodotte leggi che inducevano a chiudere intere Unità operative specialistiche e interi ospedali. Da allora l’efficienza degli ospedali ha preso la china fino alla condizione attuale. Oggi tutti, facoltosi e meno facoltosi, affollano i Pronto soccorso degli ospedali disponendosi in lunghe file d’attesa per farsi trattare una frattura, una febbre, una colica, o una crisi cardiaca o neurologica. Alcuni finiscono per prendere l’aereo verso regioni del Nord per ottenere cure.
Ecco, questo è il contesto in cui si trovano quei politici che devono prendere una decisione veramente difficile. Il dilemma, come si è voluto dimostrare, è storico ed essi legislatori non sono i primi che si apprestano ad affrontarlo. In passato si arrivò a non volere istituire il ministero della Salute per non aggravare il Bilancio dello Stato. Il dilemma è sempre lo stesso: diminuire le spese per la Sanità pubblica, limitandola a pochi centri, per salvare il Bilancio dello Stato? Oppure: salvare la Sanità pubblica, su tutto il territorio, mettendo a dura prova il Bilancio dello Stato?
Ci vogliono doti di saggezza, mediazione e determinazione veramente notevoli.

Mario Marroccu

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Una diagnosi genetica di una forma specifica di Parkinson-Demenza che, per il possibile trattamento terapeutico di precisione personalizzato che può essere adottato nei pazienti, conferma la Clinica Neurologica dell’Aou di Sassari tra le strutture di livello internazionale. Lo studio, una serie di “ragionamenti clinici sequenziali”, in pratica un algoritmo, che ha portato a fare questa precisa diagnosi genetica è stato pubblicato nei giorni scorsi su Neurology, la prestigiosa rivista scientifica internazionale dell’American Academy of Neurology degli Stati Uniti.

Il lavoro, firmato anche da alcuni studiosi spagnoli, ha come autori principali Daniele Urso, specializzatosi qualche mese fa in Neurologia a Sassari, attualmente ricercatore presso il King’s College di Londra; il dirigente medico dell’unità operativa complessa della Clinica Neurologica dell’Aou di Sassari, Renato Ortu, attuale responsabile del servizio di Neuropsicologia della Clinica, e il docente Gian Pietro Sechi, direttore della Clinica Neurologica sassarese.

La diagnosi genetica di una forma specifica di Parkinson-Demenza è stata fatta dall’unità operativa complessa di Clinica Neurologica della Aou di Sassari su un gruppo familiare di 9 persone adulte di entrambe i sessi. Si tratta di soggetti seguiti da anni in varie strutture neurologiche della Sardegna, per quadri clinici apparentemente diversi, diagnosticati alcuni come malattia di Parkinson, altri come Demenza, altri ancora come tremore di non chiara natura. In 5 di questi individui è stata documentata la duplicazione completa del gene SNCA, che codifica per una proteina chiamata alpha-synucleina che, quando malripiegata e malfunzionante, è noto avere un ruolo essenziale nel provocare alcune forme di malattia di Parkinson e di Demenza.

«Nell’articolo pubblicato sulla prestigiosa rivistaspiega il professore Gian Pietro Sechi proponiamo uno schema logico sequenziale, basato sul corretto uso e sulla corretta interpretazione dei principali segni clinici rilevati nei pazienti e della storia familiare degli stessi, al fine di poter arrivare a fare diagnosi di questa specifica patologia nella maniera più semplice e rapida possibile. Nella pratica clinica, una precisa diagnosi eziologica basata su informazioni di natura genetica, come in questi pazienti, consente la possibilità della cosiddetta “Medicina di Precisione”.»

Si tratta, in sostanza, così come è stata definita nel 2015 dall’allora Presidente degli Stati Uniti Barak Obama, di «una nuova era della Medicina, capace di offrire il giusto trattamento al momento giusto». E così, per quanto riguarda il gruppo di persone affette da questa forma di Parkinson-Demenza individuato dalla Clinica Neurologica dell’Aou di Sassari, la medicina di precisione, riprende il docente, «può consentire un trattamento di precisione personalizzato tramite il Salbutamolo, in aggiunta o sostituzione dei trattamenti sintomatici usati di solito. Il Salbutamolo – prosegue è un farmaco selettivo su definiti recettori adrenergici, usato di solito in ambito medico come anti-asmatico. Questo farmaco, è stato dimostrato, se somministrato precocemente, in fase pre-sintomatica, negli individui con questa alterazione genetica, può essere in grado di prevenire o ritardare per lungo tempo sia la comparsa della malattia di Parkinson che la Demenza».

Al momento questo tipo di diagnosi genetiche vengono svolte a Milano, a Londra e in Spagna. La Clinica neurologica dell’Aou di Sassari, con Cagliari, è uno dei due hub neurologici presenti in Sardegna.

«Il nostro obiettivoafferma il professore Gian Pietro Sechi – è poter arrivare a fare in maniera routinaria diagnosi a elevata complessità, attraverso l’implementazione e l’aggiornamento di strumenti di diagnosi, di laboratorio, in ambito genetico e immunologico, delle neuroimmagini, anatomopatologico e neurofisiologico.»

Per il professore si dovrebbe puntare anche alla riattivazione della scuola di specializzazione in Neurologia, non più scuola autonoma da circa due anni per la presenza di un solo docente (ne sarebbero necessari due). «La presenza di una scuola di specializzazione è indispensabilechiude Gian Pietro Sechiperché tutto il patrimonio di esperienze e conoscenze in ambito neurologico che è stato costruito a Sassari nel tempo non vada disperso».