22 November, 2024
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«La politica sanitaria fin qui perseguita dall’assessore Arru è l’espressione più eclatante e servile verso il centralismo statale. Declinata da un costoso manager totalmente estraneo al nostro sentire e ai nostri bisogni, e da un’anomala proliferazione di insanabili vertenze unite a spietate delibere, è stata interprete di un sistema fallimentare, teso a «tagliare i rami secchi», intesi come strutture sanitarie periferiche “poco utilizzate”.»

Lo scrive, in una nota, Carla Puligheddu, dirigente nazionale PSd’AZ, segretaria politica della sezione “Bartolomeo Sotgiu” di Sassari e presidente ADOS, associazione donne sardiste.

«Ma il significato ed il messaggio di tali espedienti vanno ben al di là delle “potature” operate – aggiunge Carla Puligheddu -. Infatti, il progetto di colpire il cuore pulsante della sanità, fatta di posti letto indispensabili, come sta avvenendo a Sassari e nel nord dell’isola, lascia intendere quanto scarsamente deontologica e sfacciatamente elefantesca sia l’operazione. Nell’evitare di esprimere giudizi sulle competenze e sulle persone cui è stato affidato tale arbitrio, non si può eludere l’assunto che la gestione della sanità sarda abbia desertificato gli spazi di cura e incenerito le prospettive di rilancio del più prezioso ambito di tutela della salute pubblica, così come ha derubricato le Facoltà Universitarie ad ancelle del potere politico.»

«Un sistema dalla filosofia perversa che vorrei guardare senza partigianerie – sottolinea ancora Carla Puligheddu -, da un’ottica propositiva sardista, sulla base di quattro obiettivi facilmente perseguibili, senza costi elevati ma con l’esercizio del buon senso:

1) Riconvertire e valorizzare l’esistente delle strutture territoriali quali Centri Diagnostici e Terapeutici di primo livello.

2) Instaurare una politica del riassetto ospedaliero con micro-aree attrezzate di Medicina Territoriale per lo screening iniziale ed un’offerta sanitaria di base, a seguito di adeguato reclutamento di medici e personale infermieristico. Tutte collegate a macro-aree regionali destinate alle patologie più gravi o invalidanti.

3) Ridurre almeno del 60% i tempi delle liste d’attesa dei ricoveri e delle diagnosi più specialistiche.

4) Rivitalizzare e restituire dignità all’Azienda Sanitaria che potrà  beneficiare dei vantaggi organizzativi di una struttura snella ed efficiente, che pone al centro la persona e non il sistema amministrativo, politico e finanziario.

L’accorpamento delle Aziende Ospedaliere in Sardegna, insieme alla mancanza di razionalità nel governarlo, ha dato il colpo di grazia alla Medicina Territoriale, producendo esattamente quello che si sarebbe dovuto contrastare: l’aumento della richiesta e del fabbisogno al centro dei costi e conseguente incremento della “potenzialità” dell’Azienda stessa, ma come noto, se la potenzialità aziendale è direttamente proporzionale a quella “politica”, non può che determinare, come nel caso Sardegna, una maggiore occupazione di potere in ambito sanitario. E’ invece, questa degenerazione, per i sardisti è la prima da combattere. Ridurre gli spazi della politica a favore di una governance medico-sanitaria; rivitalizzare l’esistente; favorire investimenti su innovazioni in ambito chirurgico. Tutto a vantaggio di nuovi risparmi in termini di degenza e accelerazione dei tempi di recupero. Ciò che dobbiamo scongiurare è il modello sanitario nel quale chi più possiede, più facilmente accede ai servizi ed alla loro qualità, una sanità per pochi, o meglio, per chi può. Ecco il paradosso dei governi di sinistra che anziché promuovere e difendere il sistema sanitario pubblico – conclude Carla Puligheddu -, hanno incentivato e continuano a incentivare quello privato, facendosi i principali portatori delle politiche tradizionalmente di destra. Arru docet.»