21 November, 2024
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E’ stato presentato lunedì 16 settembre, nella sede del Circolo Euralcoop, in piazza Matteotti, a Carbonia, il libro “L’occhio del Duce in casa Matteotti – La spia dell’Ovra Domenico De Ritis”, di Alberto Vacca, prefazione di Giorgio Benvenuto. La presentazione, in una sala piena, presenti Alberto Vacca e Giorgio Benvenuto, è stata moderata da Pierino Agus, presidente dell’associazione “Amici della miniera”.

L’autore del libro, Alberto Vacca, è laureato in Filosofia e Giurisprudenza. Ha insegnato storia nei licei italiani e in un liceo internazionale di Parigi e ha pubblicato vari libri. Vive a Roma.

L’autore della prefazione, Giorgio Benvenuto, è stato segretario del PSI e della UIL, senatore e deputato, presidente della commissione Finanze sia al Senato sia alla Camera.

Chi era Domenico De Ritis? Un grande simulatore e dissimulatore che, nella sua qualità di spia dell’Ovra, rese un grande servizio a Benito Mussolini, neutralizzando l’azione politica della vedova di Giacomo Matteotti, Velia Titta, durante gli anni del regime, e quella di Bruno Buozzi nel periodo della repubblica di Salò. Vissuto sempre nell’ombra, tessendo subdole trame nei confronti delle vittime da lui spiate, uscì indenne dal processo penale e da due procedimenti amministrativi che furono promossi contro di lui nell’immediato secondo dopoguerra. Fu senza dubbio la spia più geniale del regime fascista che, dopo avere svolto attività spionistica per quattordici anni, riuscì persino a farsi cancellare dall’elenco delle spie dell’Ovra pubblicato nel 1946, in cui era compreso il suo nome, e a farsi passare come benefattore della famiglia Matteotti e di quella di Bruno Buozzi.

Prima dell’inizio della presentazione del libro, abbiamo intervistato Giorgio Benvenuto.

 

Oggi, 2 giugno 2024, è l’anniversario del giorno in cui si tenne il referendum per la scelta istituzionale Monarchia/Repubblica e vennero eletti i deputati che avrebbero scritto la Costituzione per ridare un’anima unica all’Italia. Oggi è il giorno adatto per iniziare la lettura del libro “di Uomini e di Diavoli” scritto dall’avv. Luigi Pateri e riflettere sui rimaneggiamenti che si stanno per fare su alcuni articoli della Costituzione.
Il libro racconta una storia di banditismo il cui “demone” fu il “Separatismo” siciliano. Esistono due personaggi di fantasia, il capitano Peralta e Rosa, che fungono da filo d’Arianna per orientare il lettore in una vicenda estremamente complessa. Il periodo storico è quello dell’Italia negli gli anni compresi fra il 1943 e il 1950: gli anni cruciali in cui si succedettero la tragedia finale della Seconda guerra Mondiale, il dramma economico e sociale, l’avanzata degli Alleati, la fine della monarchia, la guerra civile e molti governi provvisori (2 governi Badoglio, un governo Bonomi, un governo Parri, 5 governi De Gasperi). Il subbuglio, l’incertezza e l’instabilità politica di quegli anni generò in Sicilia il fenomeno criminale del banditismo separatista.
La prima parte del libro contiene il racconto fedele della vicenda del bandito Salvatore Giuliano. La seconda parte è frutto di una ricerca eseguita sui documenti riguardanti le indagini per il processo per la morte di Giuliano; in essa si adombrano molti sospetti sulla reale identità dei mandanti della strage di “Portella della Ginestra”. Questa parte del libro è estremamente inquietante e getta l’ombra del sospetto su tante vicende successive, fino a lambire il nostro tempo.
I numerosi atti criminali, ineguagliabili per numero e ferocia in tutta la storia italiana del 1900, provocarono l’assassinio di 151 carabinieri, circa 40 poliziotti e centinaia di privati cittadini, politici e sindacalisti.
Il libro esce, molto opportunamente, in un momento molto delicato in cui si sta andando ad eseguire un complesso intervento “chirurgico demolitivo e ricostruttivo”, quindi trasformativo, a carico degli articoli 116 e 117 della Costituzione: gli articoli che definirono le Regioni ad Autonoma Speciale e l’istituzione del “Fondo Perequativo” tra di esse. La strage di Portella della Ginestra avvenne proprio nel momento in cui i Padri Costituenti, nel 1947, stavano scrivendo quegli articoli della Costituzione Italiana, con il fine di mantenere integro il corpo della Stato, della Nazione e del suo territorio.
Per entrare nello spirito del libro è necessaria una premessa storica. L’oggetto del racconto è costituito dalle circostanze che portarono all’attentato che si concluse con la strage di Portella della Ginestra, il Primo Maggio 1948, festa dei lavoratori. Tale festa era stata soppressa durante il ventennio fascista e ripristinata con legge del 1946 (Alcide De Gasperi). Era la prima festa del Primo Maggio dopo l’Era Fascista. L’anno della strage, il 1947, sta in mezzo, tra i due anni più importanti per la ricostruzione dello Stato italiano: il 1946, anno del Referendum, e il 1948, anno di promulgazione della Costituzione Italiana. Il 2 giugno 1946 si celebrò il Referendum Istituzionale (Monarchia/Repubblica) e l’elezione per la nomina dell’Assemblea Costituente che aveva il compito di redarre la madre di tutte le leggi.
Nel gennaio 1948 venne promulgata la Costituzione italiana e vennero varate le prime tre leggi ritenute più urgenti: la numero 1 riguardava il funzionamento delle Corte Costituzionale; la Numero 2 dichiarava l’Autonomia Speciale della Sicilia; la numero 3 dichiarava l’Autonomia speciale della Sardegna. Nella Costituzione, agli articoli 116 e 117 (titolo V), erano state indicate le 5 Regioni con “Autonomia Speciale”: Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia-Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta.
Il tema più divisivo, che bisognava risolvere per ricostituire l’unità della Nazione, era la gestione delle comunità regionali che, per varie ragioni, avevano nel loro seno un forte partito indipendentista. Le tre regioni del Nord erano frontaliere ed erano abitate da popolazioni di madre lingua non italiana (Francese, Tedesco, Slavo) e in ognuna esistevano pulsioni al distacco dall’Italia. La Sardegna aveva un partito indipendentista rappresentato dal movimento sardista. Il caso più difficile era rappresentato dalla Sicilia che per ben 700 anni, dal tempo del Normanno Ruggero II, fino ai Borboni, era stata un regno indipendente. Anche nel 1900 la massima aspirazione politica dei siciliani fu quella di ottenere un regno di Sicilia indipendente dall’Italia. Tale aspirazione era coltivata dai nobili proprietari del latifondo.
La nobiltà siciliana era nata con Ruggero II ( 1130) che nominò i Baroni e suddivise fra di loro tutte le terre coltivabili . I Baroni a loro volta le distribuirono ai Vassalli. Le terre potevano essere coltivate dal popolo dei contadini sotto il vincolo di un contratto di mezzadria. I Baroni garantivano ai contadini la difesa del territorio e la loro personale sicurezza; in cambio ricevevano dai contadini le somme corrispondenti all’affitto del latifondo. A tal fine, si era costituita una struttura funzionalmente intermediaria, tra nobili e contadini, rappresentata dagli “esattori”: costoro riscuotevano dai contadini il premio dovuto per la loro protezione, l’affitto spettante ai baroni, il prezzo dell’acqua per l’irrigazione e il prezzo del guardianaggio. Gli “esattori” facevano pagare ai Baroni il prezzo dei loro servigi e della loro “protezione”. La protezione e la riscossione erano compito dei “gabellieri”, i quali a loro volta utilizzavano una manovalanza, spesso selezionata tra la criminalità locale: i “campieri”. Si trattava di uomini armati a cavallo che perlustravano, controllavano e riscuotevano gli affitti, con l’uso della forza se necessario. Tale struttura intermedia dette corpo, poi, alle famiglie e alle “cosche” mafiose.
L’eccesso di potere nel fornire protezione spesso sconfinò nell’azione criminale. Ciò avvenne, soprattutto, per contrastare le richieste di riforma agraria dei contadini.
Nel 1866, sempre per ottenere la “riforma agraria”, esplose una grande rivolta a Palermo: i contadini invasero la città e qui fecero sollevare in armi la popolazione, che fu solidale, per l’assegnazione delle terre del latifondo al popolo. I contadini si erano illusi che Garibaldi fosse giunto in Sicilia per distribuire le terre, successivamente si accorsero che di fatto avevano solo cambiato padrone (dai Borboni ai Savoia). Per sedare la rivolta fu necessario l’impiego delle navi da guerra Sabaude e Inglesi che procedettero al bombardamento della città provocando mille morti. Vennero arrestati molti rivoltosi e alcuni vennero giustiziati.
Politicamente esistevano in Sicilia due tendenze opposte: quella dei Baroni che volevano mantenere lo “statu quo ante”, conservando le terre, e quella dei contadini che volevano appropriarsene per la sopravvivenza. I primi (i Baroni) non avrebbero accettato il nuovo ordinamento democratico repubblicano e, pertanto, erano conservatori e monarchici. I secondi aspettavano l’ordinamento repubblicano e democratico-riformista, pertanto, erano contro la monarchia che garantiva la conservazione dei privilegi ai nobili.
I baroni latifondisti, nel loro interesse, alimentavano il sentimento indipendentista-separatista che propendeva per una Sicilia indipendente dallo Stato italiano e libera di associarsi ad altre nazioni. In quel clima di separatismo indipendentista si era sviluppata l’idea di far diventare la Sicilia uno stato confederato agli Stati Uniti d’America: il 49° stato. Tale idea trovava terreno fertile nella propensione americana di favorire l’idea separatista e annessionista siciliana, perché gli Stati Uniti vedevano nei suoi porti un possibile punto strategico per il controllo del Mediterraneo. Un’idea simile l’avevano anche gli inglesi. L’appoggio internazionale all’idea separatista, e il sostegno interessato dei baroni latifondisti, indussero nei siciliani l’aspirazione alla rifondazione di un regno indipendente della Sicilia come ai tempi di Ruggero II.
L’idea-sogno separatista ebbe una fiammata di entusiasmo quando il 20 giugno 1943 gli Americani conquistarono Pantelleria e ne fecero una loro base per lo sbarco in Sicilia. In quei giorni, a Palermo, si iniziarono a vendere spille raffiguranti la “Trinacria” e la bandiera “a stelle e strisce” americana.
Il 10 luglio 1943 avvenne lo sbarco alleato in Sicilia. Questo fatto fu prodromico a ciò che sarebbe avvenuto 14 giorni dopo, la notte del 24 luglio, con l’ordine del giorno Grandi. Benito Mussolini, esautorato, la sera del 25 luglio venne fatto arrestare. Il Duce rimase in arresto per 57 giorni, fino al momento in cui fu liberato da Otto Skorzeny e messo a capo della Repubblica di Salò in contrasto al “Regno del Sud” con Vittorio Emanuele III a Brindisi.
Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio aveva nominato un governo con a capo il Generale Pietro Badoglio.
Il 28 aprile 1945 Benito Mussolini venne ucciso a Dongo. Due giorni dopo si suicidò Adolf Hitler. Fu la fine della guerra.
Dal dicembre 1945 il Governo venne presieduto da Alcide De Gasperi fino alla nomina della “Commissione Costituente”; questa venne eletta il 2 giugno 1946, contemporaneamente al “referendum istituzionale Monarchia /Repubblica”.
Vinse la Repubblica e il Re venne esiliato.
In questa temperie della grande Storia si inserisce la storia criminale del bandito Salvatore Giuliano.
N.B.: il 22 giugno 1946 (20 giorni dopo il Referendum) Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia, proclamò l’amnistia generalizzata per tutte le violenze perpetrate per motivi politici.

Tra gli amnistiati rientrarono anche i adepti dell’EVIS (l’esercito separatista siciliano) di cui Salvatore Giuliano era componente. Salvatore Giuliano e la sua banda non furono ammessi all’amnistia a causa dei tanti crimini comuni commessi; essi si sentirono traditi e riavviarono la loro guerra contro lo Stato.
La passione di Salvatore Giuliano per il separatismo e il suo odio per l’Italia che percepiva come un governo straniero occupante, gli avevano dato titolo per essere affiliato alla mafia, per assumerne incarichi e per servire la causa separatista della nobiltà siciliana latifondista. Aveva fatto delle caserme e delle stazioni di polizia un suo obiettivo. I suoi nuovi datori di lavoro criminale lo apprezzavano tantissimo per le capacità organizzative, la dote naturale al comando, e lo avevano individuato come leader all’interno dell’Esercito Volontario Indipendentista Siciliano (EVIS) col grado di colonnello. La sua guerra iniziò abbracciando la causa della Sicilia indipendente dallo Stato italiano.
Il Governo italiano, dopo tanti attacchi ad opera dei separatisti avvenuti nel periodo della forte instabilità dei Governi provvisori (1943-1945) dapprima non rispose perché non era in condizioni di farlo; successivamente, con la fine della guerra e con l’avvento del primo Governo De Gasperi, il 10 dicembre 1945, lo Stato rispose: inviò tre divisioni (Sabauda, Aosta, Garibaldi) in Sicilia che dettero la caccia all’esercito EVIS battendolo in battaglia campale a “San Mauro di Caltagirone” il 29 dicembre 1945. Molti separatisti vennero arrestati. Salvatore Giuliano reagì alla sconfitta nel gennaio 1946 attaccando una casermetta di carabinieri e uccidendone 5. Dopo pochi giorni attaccò una stazione dei carabinieri, ne catturò 8 e tentò di instaurare una trattativa per scambiarli con i separatisti detenuti nel carcere di Palermo. Lo Stato non accettò di entrare in trattativa con i criminali e Salvatore Giuliano giustiziò gli 8 militari. Le uccisioni di carabinieri, poliziotti e privati cittadini continuarono. Lo scopo era aprire una trattativa per ottenere l’indipendenza della Sicilia dallo Stato italiano. Nell’anno 1946, il 2 giugno si tenne il Referendum per la scelta della nuova forma istituzionale da dare allo Stato. Seppure per poche migliaia di voti, vinse la Repubblica. Questo fatto mise in forte scompiglio i latifondisti siciliani. Si temeva che, con l’applicazione dei vari decreti del ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo, si potessero costituire le cooperative dei contadini e che questi potessero appropriarsi delle terre incolte possedute dai Baroni.
Chi era interessato a mantenere il latifondo intatto iniziò ad esercitare tutte le pressioni possibili sui Padri Costituenti, che allora stavano scrivendo gli articoli della Costituzione, per indurli a introdurre nella legge l’Indipendenza siciliana. L’indipendenza avrebbe significato per i latifondisti la possibilità di mantenere il potere di fare le leggi future a proprio vantaggio.
Le pressioni sui Costituenti durarono per il 1946 e tutto il 1947.
Il 1947 fu l’anno della strage di “Portella della Ginestra”. Fu la più grande azione violenta contro lo Stato. Tutta la rabbia antipolitica e antisindacale si concentrò nell’agguato del Primo Maggio 1947 contro la festa del Lavoro organizzata dai partiti di sinistra e antifascisti assieme ai sindacati dei contadini. L’esecutore della strage che ne seguì fu Salvatore Giuliano, l’intermediario fu la mafia, ma il mandante è tutt’oggi ignoto.
Salvatore Giuliano ebbe l’incarico di eseguire l’agguato con la massima ferocia e venne rifornito di una mitragliatrice Breda e altri fucili mitragliatori.
Quando nel pianoro di Portella della Ginestra furono presenti almeno 2.000 festanti contadini con le famiglie, e si attendeva il comizio di un politico, le mitragliatrici presero a sparare all’impazzata.
Morirono 11 persone, fra cui 2 bambini; molte decine furono i feriti gravi; anche moltissimi animali da soma, usati come mezzo di trasporto dalle famiglie, vennero uccisi.
Si seppe poi che fra i banditi sparatori vi erano 5 confidenti dell’apparato di giustizia che avevano avvisato sulla prossimità di un grave attentato. Il fatto indusse il forte sospetto che gli organi di polizia fossero già a conoscenza della preparazione dell’agguato ma che avessero scelto di non impedirlo. Tutti quei confidenti vennero poi uccisi un mese dopo in un agguato teso dai carabinieri. Si ritenne che la strage fosse avvenuta per impedire che qualcuno di essi rivelasse il nome dei mandanti.
Il destino dei separatisti e dello stesso Salvatore Giuliano era segnato. Nonostante la politica internazionale (Stati Uniti e Inghilterra) fosse orientata per l’indipendenza della Sicilia, e quindi in linea con i desiderata di Salvatore Giuliano e dei latifondisti, la Russia era contraria: sosteneva la necessità di lasciare la Sicilia unita all’Italia. Ciò venne concordato definitivamente a Jalta, fine 1945, tra Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt 32° presidente degli Stati Uniti e Iosip Stalin.

Dopo la strage di Portella della Ginestra, la guerra personale di Giuliano contro lo Stato Italiano continuò con eccidi e sequestri di persona per tutto il 1949 e 1950. Molti furono i segretari politici di sezione paesani e i sindacalisti uccisi.
Questi fatti non furono indifferenti per i Padri Costituenti. Era evidente l’esistenza di un grande problema indipendentista. Da lì nacque l’idea di concedere l’”Autonomia Speciale”, ma non l’indipendenza, alla Sicilia. Ne derivò la concessione dell’autonomia anche ad altre 4 regioni in condizioni critiche. Tale decisione fu alla base degli articoli 116 e 117 della Costituzione del 1948.
Nel 1949 si erano avviate trattative tra le istituzioni e Salvatore Giuliano per fermare la violenza contro i politici.
Si giunse a concordare il trasferimento dell’intera banda Giuliano in Brasile.
Salvatore Giuliano frequentava un avvocato di Castelvetrano (avv. De Maria) con l’aiuto del quale compilò un memoriale in cui citava i nomi dei mandanti della strage di Ginestra della Portella. Questo doveva essere lo scudo che gli avrebbe garantito la salvezza.
Il piano di Giuliano non si avverò. Venne ucciso il 5 luglio 1950.
Si ritiene che ad ucciderlo fosse stato un personaggio della Mafia, Luciano Liggio, con la complicità di Gaspare Pisciotta.
A novembre 1950 la madre di Salvatore Giuliano presentò querela contro i carabinieri per l’uccisione del figlio. Il processo si tenne a Viterbo.
Il memoriale di Salvatore Giuliano entrò in possesso degli organi inquirenti ma poi sparì e non si ritrovò più.
Molti, tra le figure di autorità giudiziaria che avevano trattato con Giuliano e la sua banda, morirono d morte violenta nei mesi e negli anni successivi.
Nella storia della banda Giuliano e del movimento separatista siciliano esiste un trend interessante sull’evoluzione della tendenza al separatismo. Si iniziò col pretendere l’indipendenza della Sicilia per farne uno stato sovrano e si concluse per concedere l’Autonomia speciale con legge Costituzionale. Al contrario oggi si sta evolvendo il concetto di autonomia verso una forma cosiddetta “differenziata”. Il termine “differenziazione” significa “prendere strade diverse” e quando ci si differenzia si tende ad allontanarsi da un obiettivo comune. Appare chiaro che la differenziazione riguarda la gestione del “Fondo perequativo”. Tale fondo venne concepito per creare infrastrutture economiche e sociali nelle regioni meno avvantaggiate. Oggi, con l’attuale disegno di legge tale fondo può essere ridimensionato.
Il fondo è costituito da una percentuale sulla raccolta fiscale delle regioni. Nell’interpretazione precedente degli articolo 116 e 117 della Costituzione tale fondo era destinato quasi esclusivamente alle 5 regioni autonome. Inoltre, la legge in discussione prevede che le nuove regioni richiedenti la “Autonomia differenziata” possano costituire un loro fondo per la gestione dell’Istruzione, della Sanità e dei trasporti locali. Si creerebbe così un nuovo Stato del Nord con Scuole, Università e Sanità differenziate dal Sud.
La Storia dell’Autonomia speciale, con le sue lotte anche violente, dovrebbe far riflettere.

Il 29 dicembre del 1922 Luigi e Salvatore Fois furono vigliaccamente uccisi a sangue freddo, da una banda fascista proveniente da Iglesias mentre erano al lavoro a Portovesme. L’azione criminosa si inquadra nel disegno del padronato e della dirigenza delle miniere di eliminare il movimento popolare, che nell’Iglesiente, nella seconda metà dell’Ottocento, aveva conosciuto un importante sviluppo a seguito del processo di industrializzazione. La conseguenza fu la proletarizzazione di vasti strati di masse contadine fino ad allora addette ai lavori agricoli e la nascita di un movimento operaio industriale. Sorgono così le leghe di resistenza, le cooperative e la Federazione dei minatori, viene fondata la cooperativa dei battellieri, che organizza gli addetti al trasporto dei minerali da Portoscuso a Carloforte. Si sviluppano nell’Iglesiente all’inizio del Novecento una serie di lotte, talora molto dure come quelle di Buggerru del 1904, di Gonnesa e Nebida del 1906, che ebbero un’eco nazionale, ponendo il movimento socialista in breve tempo alla guida del governo locale. Nelle elezioni del 26 luglio del 1914, infatti, le liste socialiste vincono ad Iglesias, Domusnovas, Fluminimaggiore, Gonnesa, Calasetta e Carloforte; nella successiva tornata del 1920 conquistano anche le amministrazioni di Arbus, Guspini, Villamassargia e Portoscuso. Vengono mandati all’opposizione i ceti agrari, che fimo ad allora avevano gestito i comuni in alleanza con la dirigenza mineraria. La prospettiva è l’ulteriore estensione della forza e dell’influenza delle organizzazioni popolari che induce una crescente preoccupazione nel padronato industriale, non disposto ad accettare passivamente i nuovi equilibri economici e politici imposti dal proletariato minerario. Gli industriali minerari e gli agrari aspettano l’occasione per ribaltare i rapporti di forza. E trovano l’occasione propizia nei fatti che portano alla Marcia su Roma e alla nomina di Benito Mussolini a capo del governo. Sorgono così ad Iglesias e nei principali centri sulcitani le sezioni del fascio, che avviano un’azione violenta ed illegale di riconquista delle amministrazioni.

I fratelli Fois erano a capo della cooperativa dei battellieri, dalla quale i fascisti pretendevano di estrometterli con l’intimidazione e la violenza. La loro uccisione fu la reazione criminale e premeditata al loro rifiuto e alla loro ferma resistenza. Ricordare il sacrificio dei fratelli Fois significa, dunque, onorare, con loro, quanti si sono opposti al fascismo, difendendo le libertà democratiche e i diritti del lavoro. Con questo spirito, mentre nel Paese e in Sardegna si manifesta una ripresa di umori e movimenti che si richiamano al fascismo, l’ANPI ha diramato un appello col quale invita i cittadini a partecipare alle iniziative, organizzate dal Comune a Portoscuso e dall’Anpi a Cagliari, in ricordo dei fratelli Fois nell’anniversario del loro assassinio, e a continuarne l’opera in difesa delle libertà sancito nella Costituzione antifascista. Il 29, alle 9.00, si terrà a Portoscuso la commemorazione ufficiale indetta dal comune di Portoscuso, che proseguirà con diversi eventi per tutta la mattinata. Il 29, alle 17,45, nella sala della CSS via Marche n. 9 a Cagliari l’ANPI, insieme al CRC – Coordinamento per la democrazia costituzionale – ricorda l’eccidio dei fratelli Fois con un incontro introdotto da Andrea Pubusa, lettura degli atti processuali di Rita Atzeri e Piero Marcialis, canti popolari e antifascisti del Coro dell’Anpi diretto da Roberto Deiana.

Andrea Pubusa

Il 5 novembre 2022, a Carbonia, è stato presentato il film del regista Marco Antonio Pani dal titolo: “Ignazio, Storia di lotta, d’amore e di lavoro”, realizzato per iniziativa dell’associazione “Amici della Miniera” e dai Centri di Servizi Culturali della Sardegna della Società Umanitaria, con il contributo della Fondazione di Sardegna e in collaborazione con la Fondazione Berlinguer, la Sezione di Storia locale del comune di Carbonia, Sarditalianieuropei e altre importanti collaborazioni, ha inoltre goduto del patrocinio del comune di Carbonia che ne ha ospitato la prima proiezione al pubblico.

Il film è frutto di un lavoro di ricostruzione meticolosa di una personalità poliedrica, quella di Ignazio Delogu, nel suo rapporto con la Sardegna e con il mondo; un lavoro complesso che attraversa intensamente la seconda metà del Novecento e ne incrocia significativamente molti dei suoi più illustri protagonisti.

Il merito principale del lavoro di Marco Antonio Pani consiste nell’averci restituito nella sua interezza, la fisionomia di Ignazio intellettuale, attraverso i suoi percorsi di accademico, storico, linguista, giornalista, traduttore per citare alcune delle discipline nelle quali si è cimentato, nei suoi affetti di padre, marito, compagno e nelle sue molteplici amicizie coltivate nei diversi continenti.

Per approfondimenti sulle sue notizie biografiche, segnalo curate dallo stesso autore il link che segue: https ://docplayer.it/2617884-Ignazio-delogu-1-notizie-biografiche.html; sento però il dovere, seppure sommariamente, di sottolinearne brevemente alcuni tratti: laureato in Storia ha iniziato la sua carriera universitaria a Roma, poi a Cagliari e Roma come assistente alla cattedra di Lingua e letteratura ispano americana, a partire dal 1980 alla Facoltà di Lettere Università di Bari è stato professore incaricato di Lingua e letteratura spagnola. Dal 1993 a Sassari è stato titolare della cattedra di Lingua e letteratura spagnola della Facoltà di Lettere e, dalla sua nascita della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, incaricato della cattedra di Lingua e Letteratura Catalane e di Filologia romanza.

E’ stato un Funzionario del Partito Comunista Italiano e collaboratore del quotidiano l’Unità per il quale ha svolto l’attività di corrispondente dalla Grecia, dalla Spagna nel periodo buio della dittatura Franchista e dai paesi latino americani. Questa esperienza gli ha consentito di entrare in relazione e in molti casi di coltivare solide amicizie con molti dei protagonisti della scena mondiale del secondo novecento.

Inizia contemporaneamente l’attività di traduttore per conto della casa editrice Editori Riuniti e ne diventerà di fatto il principale interprete dei testi in lingua spagnola, a lui dobbiamo la conoscenza dei primi testi di Fidel Castro ed Ernesto Guevara sulla rivoluzione cubana, dell’importante produzione poetica e letteraria ispano latino americana, ad iniziare dall’opera di Federico Garcia Lorca, di Rafael Alberti, Josè Marti, Pablo Neruda, Gabriel Garcia Marquez, per citare alcuni dei più noti.

Con alcuni stabilirà un rapporto di amicizia duraturo, quello con Rafael Alberti fu un vero e proprio sodalizio e attraverso lui riuscì a condividere l’amicizia di un altro grande, Pablo Picasso, notevole fu anche il rapporto con Gabriel Garcia Marquez e Pablo Neruda. Di quest’ultimo pubblicò, tra le altre, postuma, l’ultima raccolta di poesie a cui diede il titolo: Elegia dell’assenza, compito assegnatogli da Enrico Berlinguer (circostanza che racconta dettagliatamente nel suo libro su Pablo Neruda e l’Italia).

Nel film, scorrono immagini che testimoniano di un impegno politico che lo vide impegnato a fianco dei po poli in lotta contro le dittature, prima in un ruolo apparentemente defilato che assume evidenza pubblica quando viene incaricato, a seguito del golpe fascista di Pinochet del 1973, come segretario responsabile della direzione dell’Associazione Italia Cile e, infine, in un divertente siparietto nelle immagini televisive che lo ritraggono a fianco di Enrico Berlinguer alla Conferenza di Madrid sull’Eurocomunismo nel 1977, in qualità di traduttore.

Nel film sono presenti le toccanti testimonianze degli esuli cileni in Italia, quella di Horacio Duran degli Inti Illimani e di diverse personalità del mondo della cultura e della politica, si sottolinea il rapporto di stima e di amicizia con il Presidente cileno Salvador Allende assassinato dai golpisti nell’assalto alla Moneda l’11 settembre del 1973.

Proprio al rapporto con Salvador Allende e la vicenda cilena, dedicherà una delle sue ultime fatiche letterarie: “Parallelo Sud – Patagonia tragica, terra del fuoco e altri orizzonti”.

Calato il sipario sulla dittatura fascista, la Repubblica Cilena gli assegnò l’importante riconoscimento dell’Ordine di O’Higgins (un corrispettivo della Legione d’onore della repubblica francese) e al centenario della nascita di Pablo Neruda fu uno dei sette italiani insieme a Giorgio Napolitano e altri cinque ad essere destinatario di una medaglia d’oro commemorativa, coniata in onore del grande poeta cileno.

Nel lavoro di Pani un capitolo è dedicato al suo rapporto con la Sardegna e le città sarde, Alghero dove nacque il 5 novembre del 1928, Usini e Sassari nelle quali trascorse l’infanzia e l’adolescenza e, infine, Carbonia una città che amava e alla quale ha dedicato molte delle sue energie di studioso e di cronista.

Ho conosciuto Ignazio Delogu nel 1978 ma il mio rapporto di personale amicizia con lui, inizia nel 1980, quando ritorna a Carbonia per un’inchiesta giornalistica realizzata per conto del quotidiano romano Paese Sera e dura ininterrottamente sino ai giorni della sua scomparsa, avvenuta a Bitonto (Bari) il 28 luglio del 2011.

Ignazio Delogu, a mio giudizio, è stato tra tutti gli intellettuali sardi, quello che ha dedicato a Carbonia e alle sue vicende, un’attenzione duratura e qualitativamente più significativa.

Il suo rapporto con la nostra città inizia da bambino, suo zio materno Nino Ghinozzi (un ufficiale dell’Aeronautica) lo porta con sé all’età di dieci anni, alla giornata di fondazione di Carbonia, avvenuta alla presenza di Benito Mussolini il 18 dicembre del 1938.

Rimane colpito, Carbonia appare anche agli occhi di un bambino come la città moderna per eccellenza nel panorama urbano sardo di allora, gli dedicherà nel tempo una lunga e curiosa attenzione.

Il suo primo contatto come giornalista risale ai primi anni ’60, già dai titoli che probabilmente non sono solo redazionali, si intravvede il segno delle sue frequentazioni romane, di Carlo Levi in particolare, la cifra stilistica dei suoi articoli è in piena sintonia con la stagione del neo realismo, l’inchiesta dal titolo “Un ritratto di Carbonia”, composta da quattro articoli è realizzata per conto della Nuova Sardegna ed i suoi titoli sono significativi:

Chiusi per anni i minatori ai “medaus” e le ragazze si rifiutavano di fraternizzare;

Dietro la facciata di un mercato fiorente il tentativo di mascherare una realtà squallida;

Nei ricordi, nei racconti amari e concitati la storia di una città che forse muore;

Prostitute, biscazzieri e osti improvvisati vivevano attorno all’esercito dei primi minatori.

Nel 1961 viene pubblicato sul Contemporaneo, un allegato alla rivista politico culturale del PCI Rinascita, un saggio da titolo: Ritratto di Carbonia, è un testo che pur prendendo spunto dall’inchiesta dell’anno precedente, è più meditato, è questo il primo momento in cui inizia a valutare seriamente l’idea di scrivere un libro sulla storia della città.

Realizza altre due inchieste, nel 1980 per conto di Paese Sera, quattro articoli e nel 1984 per conto della Nuova Sardegna, ma in queste circostanze l’attenzione si concentra sulla prospettiva economica, la riapertura delle miniere di carbone, di quelle del settore metallifero e sulle vicende del polo industriale di Portovesme che è, a quella data, il principale polo italiano di trasformazione dei metalli non ferrosi.

Sono questi, gli anni in cui decide finalmente, di dare corso all’idea di scrivere un libro sulla città, un lavoro meticoloso di ricerca presso l’Archivio di Stato a Roma e con frequenti visite a Carbonia per acquisire documenti dall’archivio del Comune.

Questa fatica, troverà successo con la decisione dell’Amministrazione guidata da Ugo Piano, di sostenerne la pubblicazione in occasione delle celebrazioni per il 50° anniversario della Città di Carbonia, viene dato finalmente alle stampe il suo libro: Carbonia – Utopia e Progetto, Valerio Levi Editore.

Si tratta del primo testo nel quale viene rappresentata compiutamente la pur breve storia della città e, soprattutto, in cui vengono svelati contesto e ragioni, per molti di noi ancora inedite, in cui matura questa scelta.

Non si limitò a questo, per i preparativi del 50° della città si rivolse all’amministrazione cittadina con molte sollecitazioni che riguardavano prevalentemente la sfera artistica e culturale.

Nel 1987 venne a Carbonia in compagnia di Costantino Nivola (che poi scomparve prematuramente l’anno successivo nel mese di maggio) proponendolo per un intervento sulla piazza, cito a questo proposito testualmente da una lettera inviata al Sindaco Ugo Piano: «Ti raccomando, in particolare, la collaborazione con Costantino Nivola. E’ un grande personaggio e una grande personalità di sardo, alieno da ogni retorica, ma straordinariamente sensibile e attento. La sua idea di un “muro gravido”, dai molti significati, in una piazza riportata in pristino e da lui magari, anche modificata, mi sembra quella giusta».

In un’altra missiva indirizzata a Pietro Cocco che presiedeva il Comitato per la celebrazione del 50° anniversario della nascita di Carbonia gli sollecitava un contatto con l’ingegner Valerio Tonini per la riedizione del suo romanzo sulla nascita della città “Terra del carbone”, mi pare importante renderne pubblico il giudizio in un passaggio della lettera: «Attorno al libro e alla sua presentazione sarà opportuno realizzare un convegno, chiamando alcuni critici e studiosi della letteratura realista e neorealista, della quale l’opera di Tonini è una vera e propria anticipazione».

Fu lui a mettermi in contatto con il Tonini nel 1991 per avere l’autorizzazione per la ristampa anastatica del romanzo e poiché questi, nella primavera del 1992 venne a mancare, fu lo stesso Ignazio a mettere a disposizione del Comune la sua copia, la copia n° 90.

Nel 1998, insieme a Natasha Pulitzer, contribuì alla realizzazione, in occasione della celebrazione del 60° anniversario della Città, di un convegno dal titolo: “Dalla città di fondazione alla rifondazione sostenibile della città, con un sottotitolo dall’Autarchia alla sostenibilità. Furono invitati Giorgio Muratore storico dell’Architettura, Rossana Bossaglia storico dell’Arte, Francesca Segni Pulvirenti soprintendente regionale, Pasquale Mistretta Rettore Magnifico dell’Ateneo cagliaritano e la marchesa Etta Carignani Melzi, figlia di Guido Segre, presidente dell’ACAI, un convegno al quale partecipò il compianto Antonio Pennacchi inviato della rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo.

Sempre per i 60 anni di Carbonia, Ignazio fu ospite del circolo dei sardi di Brescia.

Faccio questi accenni, per sottolineare una passione e un attaccamento a Carbonia che è durato ininterrottamente sino alla sua scomparsa nel 2011.

Aveva in animo di scrivere un libro nel quale raccogliere le sue inchieste giornalistiche del 1960, 1980, 1984 e il saggio del 1961 e mi aveva comunicato la scelta del titolo a cui aveva pensato: “Carbonia nel Cuore”.

Il faticoso lavoro di raccolta dei documenti, i suoi articoli, la sua poderosa produzione letteraria e poetica, che hanno ispirato la realizzazione del film, saranno custoditi in un fondo a lui dedicato, presso la sezione di Storia locale del comune di Carbonia e analogamente, come è stato annunciato, le numerose interviste effettuate per la realizzazione del film, saranno custodite presso il Centro di Servizi Culturali – Fabbrica del Cinema della Società Umanitaria.

Si tratta di materiali importanti che saranno messi a disposizione di chi vorrà, secondo la propria sensibilità e interesse, studiarne ed approfondirne l’opera intellettuale.

Il film, nel mettere in risalto i molteplici interessi con i quali si è cimentato, dedica alla figura di Ignazio Delogu poeta, uno sguardo privilegiato, infatti si conclude proprio con una sua poesia dal titolo: A bortas mind’istracco, che in italiano significa A volte so-no stanco e che vi propongo nella sua trascrizione in italiano.

A volte sono stanco.

A volte sono stanco d’esser sardo, mi si seccano, gli occhi e le labbra mi si gonfiano e il cuore incomincia a saltare come puledro nel campo.

Allora penso a luoghi lontani, forestieri, città dove sono allegre le strade, notte e giorno c’è movimento e sempre ci sono cinema, teatri e gente che saluta e parla come da noi non succede mai.

Gente civile di buoni sentimenti. Me ne vado – dico – me ne vado in luogo lontano forestiero domani me ne vado e non ritorno più saluto zio Barore e Damiano e Tottoi e Michele e Billia e me ne vado senza neanche voltarmi. Mi sembra di sentirli seduti in piazza sui cantoni:

Stai partendo? In buon’ora… se resisti… Altri che te ne abbiam visto partire… Nel caso ritorna… magari di nascosto…

Noi sempre qui ci ritrovi… Me ne vado domani o forse dopodomani.

Stasera mi siedo sulla soglia con uno sguardo saluto i vicini senza una parola e all’alba vado via senza voltarmi.

Spero che sia buon tempo e che per la strada non trovi nessuno perché se vedo gente lo so, mi fermo a chiacchierare e non trovo più il coraggio di partire.

O dico che son già tornato a prendere qualcosa che avevo dimenticato… Ignazio Delogu

Questo testo, credo riassuma fedelmente il nostro proposito di ricordarlo con questo bellissimo docufilm: non lo lasciamo andare via, Ignazio resta con noi!

Antonangelo Casula

I nostri Ospedali sono in stato di solitudine. Molti cittadini del Sulcis Iglesiente stanno perdendo il diritto a godere dei “Livelli Essenziali di Assistenza”.

Leggendo i titoli di apertura dei giornali di queste settimane si ha la sensazione che la storia, non solo quella sanitaria contemporanea, vada proprio male. Oltre alla vicenda della Salute pubblica ci angoscia la questione della guerra, dell’approvvigionamento di gas e benzina, del grano, e della corsa dell’inflazione. In realtà la Storia non è impazzita, è solo un “Sistema Complesso”, apparentemente caotico.

Il professor Giorgio Parisi ha meritato il Nobel della Fisica, dimostrando che anche il “caos” ha un suo ordine prevedibile nella ripetizione delle sue imprevedibilità. Noi ci siamo dentro.

Se osserviamo, nella storia dell’ultimo secolo, come si sono sviluppati i servizi sanitari locali del Sulcis Iglesiente ci accorgiamo che tra guerre, spopolamenti, epidemie, inflazioni, sconvolgimenti politici, la nostra storia sanitaria ha un suo percorso logico. Storicamente il Sulcis Iglesiente non ha mai avuto una sua Sanità ospedaliera. Questa è stata un miracolo sociale nato nel ventesimo secolo, e oggi è insensato pensare di perderla. Sappiamo che nell’anno 1904 esisteva un ospedaletto a Buggerru, voluto dalle Società minerarie francesi, per curare gli operai sardi vittime di incidenti in galleria. Allora esisteva anche un ospedale un po’ più attrezzato ad Iglesias. Carbonia non esisteva ancora. L’unico ospedale degno di questo nome si trovava a Cagliari: il San Giovanni di Dio. Era lontanissimo, e le strade per arrivarci erano adatte ai carri trainati da animali. I treni comparvero dopo. Erano anni in cui l’assistenza sanitaria si limitava a legare i “matti”, a isolare i lebbrosi, ad amputare gli arti, a raddrizzare le ossa ai fratturati, e basta. Non esisteva la chirurgia ginecologica, e la chirurgia ostetrica si limitava al cesareo a ”mamma morta”. Le donne del Sulcis che avevano un parto difficile dovevano morire in casa, col bambino dentro, consolate dall’affetto dei parenti. La comparsa degli ospedali di Iglesias e di Carbonia fu un improvviso miracolo della storia.

Quegli ospedali non sorsero per noi. Sorsero per una combinazione di interessi. Furono il risultato di una trattativa della Storia: Sulcis vs/ Stato italiano. Il Sulcis voleva lavoro e servizi, e lo Stato voleva il sottosuolo del Sulcis. Il cuore dello Stato cominciò a battere per il Sulcis quando si scoprì che qui c’era il carbone. Eravamo entrati nell’era dei combustibili fossili. Vi eravamo entrati già nel 1800, però l’importanza del carbone arrivò ai vertici della classifica quando, nel corso della Prima Guerra Mondiale, si capì che l’avrebbe vinta chi aveva più benzina per i mezzi corazzati. Nel 1918, in piena offensiva tedesca, la società petrolifera americana Standard Oil interruppe le sue consegne di carburante alle parti in conflitto. La Germania per un po’ ebbe la meglio perché dall’anno 1913 aveva iniziato a produrre benzina sintetica estratta dal carbone. Poi le cose si invertirono quando gli americani intervennero portando la loro benzina estratta dal petrolio. Questo fatto costrinse i futuri protagonisti della Seconda Guerra Mondiale ad ideare possibili alternative alla benzina estratta dal petrolio. Era chiaro che da allora in poi tutti gli scontri bellici sarebbero stati decisi, soprattutto, dalla disponibilità di fonti di combustibili fossili e quindi dall’approvvigionamento di benzina e gasolio.

Nell’intervallo fra le due guerre le nazioni che detenevano il commercio del petrolio erano gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia e la Russia. La Germania, l’Italia ed il Giappone non possedevano risorse proprie di petrolio e dovevano acquistarlo proprio dai potenziali avversari. La Germania continuò ad approvvigionarsene dagli Stati Uniti fino al 1940, mentre il Giappone continuò a comprarlo dagli Stati Uniti fino alla battaglia di Pearl Harbor nel 1941. La fornitura di petrolio poteva essere interrotta in qualsiasi momento dai paesi produttori. L’Italia aveva vissuto quell’esperienza nel 1936, con le “inique sanzioni”. Le sanzioni all’Italia, volute da Francia ed Inghilterra, consistettero proprio nell’interruzione di fornitura di combustibili fossili.

L’Italia era colpevole per aver avviato la O.M.S. (Operazione Militare Speciale) contro l’Etiopia, membro della Società delle Nazioni. Per questo motivo già un anno prima, in previsione dell’annessione dell’Etiopia, e della sanzione energetica, Benito Mussolini visitò la miniera di Bacu Abis. Da quella visita nacque il progetto di produrre carburanti per la Nazione dal carbone del Sulcis. L’interesse per il nostro carbone derivava dal fatto che in Germania già si produceva benzina sintetica dal carbone dalla Ruhr. Anzi, si faceva di più. Nel 1913 il dottor Bergius aveva messo a punto un metodo di raffinazione del carbone ottenendone benzina sintetica, gasolio, olio per motori e catrame.

Nell’Alta Slesia erano sorte raffinerie che avevano lo scopo di rendere la Germania indipendente dal petrolio americano e russo. Nel 1939 l’azienda tedesca IG Farben era già arrivata al massimo della produzione di carburante sintetico. Tuttavia, allo scopo di aumentare la disponibilità di carburante per la guerra i nazisti avevano predisposto un piano per occupare i pozzi petroliferi di Baku in Azerbaijan. Un metodo simile per l’ottenimento dell’autonomia energetica venne adottato dal Giappone. Qui si distillò benzina dal carbone e si predispose un piano per l’occupazione dei pozzi petroliferi in Manciuria. L’Italia aveva il più vasto bacino carbonifero nel Sulcis ed allestì a Sant’Antioco, in località Ponti, gli impianti per una raffineria di benzina a partire dal carbone. Il direttore generale del progetto fu l’ingegner Guido Segre.

Il Sulcis divenne la nuova frontiera per l’Italia. Guido Segre progettò la miniera di Serbariu, l’ampliamento del porto di Sant’Antioco, un vasta rete ferroviaria, la raffineria della A.Ca.I.* a Ponti, una rete stradale efficiente, la centrale elettrica di Santa Caterina, la città di Carbonia con tutti i Servizi adeguati ad una nuova città industriale. Tra essi spiccò l’Ospedale Sirai. Il Sulcis, che per secoli era stato lontano dagli interessi dei Governi, improvvisamente divenne il luogo fisico più vicino al cuore dello Stato. Il potere politico volle una città modernissima ed una Sanità eccellente. Il merito di questo forte interesse stava nel progetto di fare del Sulcis la fonte di energia per una Nazione che entrava in guerra.

Data l’enorme importanza strategica dell’approvvigionamento energetico, il porto Ponti, lo stabilimento dell’A.Ca.I., e la centrale di Santa Caterina divennero ripetutamente bersaglio dei bombardieri della RAF, alla pari delle città tedesche di Bleckammer e di Oderstal, in alta Slesia, anche esse sedi di raffinerie di benzina sintetica.

Nel 1943, dopo l’Armistizio, l’amministrazione militare americana e inglese decisero la chiusura dello stabilimento della benzina sintetica a Ponti. Ciò fu deciso per un motivo puramente commerciale. Il consumo della benzina italiana doveva dipendere dall’esclusivo mercato anglo-americano. Con la fine dell’economia mineraria del Sulcis, iniziò il decadimento del sistema sanitario locale. Per un paio di decenni questo venne attenuato dalla nuova industrializzazione di Portovesme e dalla legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978. Caduto anche il polo industriale, cadde l’interesse per il Sulcis Iglesiente.

La Storia non è mai uguale a se stessa, tuttavia esistono dinamiche socio-economiche che, seppur apparentemente caotiche, possono essere utilizzate come esempio, col rischio di sbagliare, per interpretare il presente ed il futuro possibile. Ecco alcune similitudini storiche da cui vale la pena attingere informazioni per tentare di capire cosa sta avvenendo.

Dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente iniziò il decadimento politico e iniziò la povertà secolare dell’Italia. Durante la dominazione bizantina in Sardegna nacquero i Giudicati altomedioevali. Il Medio-Evo portò lo spopolamento dei territori, la nascita di piccoli potentati locali, e l’accentramento della scarsa popolazione nei borghi intorno ai castelli. Ciò avveniva perché il popolo aveva necessità sia della giustizia che della sicurezza sociale, dei commerci e di alcuni servizi basilari.

Quanto sta avvenendo oggi non è una replica della Storia passata, tuttavia esistono gli elementi che stanno alla base dello spopolamento dei territori e del loro impoverimento: sono i fattori politico-sociali che esercitano una spinta verso l’accentramento dei Servizi nelle città capoluogo. Principalmente vengono accentrati i Servizi della Sanità, dell’Istruzione, della Giustizia, dei Trasporti, e dei posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione.

La storia ci insegna che i territori per contare debbono essere necessari nella dinamica economica ed incidere negli equilibri della geopolitica.

Oggi stiamo tornando al centro dell’attenzione e forse potremmo contare. Siamo nelle condizioni di contrattare i Servizi ed altri vantaggi in cambio di energia. E’ già successo. Oggi tutti vogliono – in particolare da noi del Sulcis Iglesiente -: energia eolica (campi di torri per pale eoliche off-shore nei nostri mari), energia solare (campi di impianti fotovoltaici a terra), percorsi per condotte di gas, disponibilità di spazi nei mari della nostra fascia costiera per rigassificatori galleggianti e porti per navi da rigassificazione a bordo banchina), impianti per la produzione di idrogeno verde ottenuto da elettrolisi con energie rinnovabili, elettrodotti di energia rinnovabile per altre regioni e, forse, benzina sintetica a bassissima emissione di CO2 e olii per motori.

Nonostante l’opposizione che sta crescendo in Sardegna contro tali progetti nati al di fuori della Regione, è ragionevole supporre che, comunque non usciremo indenni da tutte le richieste e qualcosa dovrà essere ceduto.

A questo punto, tanto varrebbe avviare una trattativa per subire il minor danno possibile ed ottenere il maggior vantaggio possibile.

Forse potremmo ancora invertire la rotta dell’accentramento dei Servizi nei capoluoghi, e riportarli indietro nel Sulcis Iglesiente. Nel frattempo è necessario proteggere la Sanità che abbiamo.

Mario Marroccu

* Le notizie sullo stabilimento A.Ca.I., per la produzione di benzina sintetica a Ponti, sono tratte dal libro “Sant’Antioco nel ventennio sardo fascista”, di Gabriele Loi.

Il 20 gennaio su iniziativa della associazione “Amici della Miniera” presso la Sezione di Storia Locale è stato presentato “Carbonia progetto e costruzione al tempo dell’autarchia”, e-book a cura di Antonello Sanna e Giuseppina Monni.

All’iniziativa, introdotta da Gian Matteo Sabiu, sono intervenuti gli autori, a nome dell’Amministrazione comunale di Carbonia, gli assessori Giorgia Meli e Pierangelo Porcu, Tore Cherchi e, infine, collegata da remoto, Natasha Pulitzer, figlia di Gustavo, che ne ha definito il ricordo familiare e professionale, con un intervento articolato, attraverso cinque atti tra ’800 e ‘900.

Nel corso dell’introduzione, Mario Zara, presidente dell’associazione Amici della Miniera, nel sottolineare il ruolo dell’associazione nella promozione del ricordo di personalità che si sono distinte nella storia della Città di Carbonia, ha avanzato la proposta di dedicare, in un luogo da identificare nel centro cittadino, analogamente a quanto è stato già fatto ad Arsia in Istria, una targa commemorativa per ricordare la figura dell’architetto Gustavo Pulitzer (1887-1967).

L’assessore Giorgia Meli, a nome dell’Amministrazione comunale ha accolto con favore la proposta nell’auspicio di poter celebrare l’evento nella prossima primavera.

L’E-Book

Merita una lettura attenta, è un’opera ben strutturata con un corredo documentale pregevolissimo, nella quale si uniscono armonicamente l’inquadramento storico della vicenda e l’informazione tecnica, punti di osservazione utili entrambi a documentare il processo di costruzione della Città di Fondazione.

Si mette in evidenza il ruolo recitato dall’architetto Pulitzer, non solo nella progettazione del centro cittadino, la cui impronta è ben visibile e documentata ancora oggi, ma anche nella redazione delle scelte urbanistiche originarie. In particolare, in modo molto pertinente, sottolinea il ruolo niente affatto subordinato di Pulitzer anche nelle scelte di pianificazione della città nuova.

Queste affermazioni trovano riscontro in maniera più nitida dalla lettura dei diari tenuti dall’autore, che aprono una nuova prospettiva nella conoscenza delle vicende urbanistiche che precedono la nascita di Carbonia.

Ho avuto il privilegio, dall’architetto Natasha Pulitzer, sua figlia, che ne ha curato la trascrizione, di poterli consultare e divulgarne il contenuto nelle sue parti più significative.

I diari sono concernenti gli anni 1935-1938, periodo in cui Pulitzer viene incaricato di redigere, prima il piano urbanistico di Arsia in Istria (oggi Croazia) e successivamente di Carbonia.

Il contesto in cui matura la decisione di far nascere Carbonia è stato tratteggiato puntualmente da Ignazio Delogu nel suo libro “Carbonia: Utopia e progetto”, nel quale sono descritti con un dettaglio unico luoghi (Trieste) e ambienti quali quelli della finanza ebraica rappresentata dal Commendator Guido Segre, destinato nel breve volgere del tempo, alla “damnatio memorie”.

Sarà proprio Segre uno dei principali attori dell’imprenditoria triestina, ad incaricare Pulitzer sia per la progettazione di Arsia che per quella di Carbonia.

I diari

Dalla lettura dei diari emergono novità assolute e al tempo stesso una conferma alcune intuizioni contenute nel libro di Antonello Sanna e Giuseppina Monni, una miniera di informazioni, sugli stati d’animo del Pulitzer, i rapporti con i colleghi, considerazioni sul tempo, frequentazioni di luoghi e di persone che hanno segnato nella sua traiettoria di vita, passaggi della vita nazionale, Marcello Piacentini, Giovanni Battista Ceas, Giò Ponti, Eugenio Montuori per citarne alcuni noti nel ramo dell’architettura.

Il primo contatto segnalato riguardo al suo impegno per Carbonia, risale al 19 ottobre 1936 quando tutto inizia: «Dal Com. Segre, parlo della questione del terreno… e della commessa Sardegna».

1 novembre 1936: «Arriva Ceas (uno dei progettisti di Arborea e socio dello studio Stuard fino al 1926) a casa nostra a colazione. Gli parlo del lavoro in Sardegna»

1937

12 gennaio: «Alla stazione per salutare Segre che parte per la Sardegna».

12 aprile: «Tempo sempre incerto, parlo con Segre del lavoro che sto facendo per la Sardegna».

13 aprile: «In ufficio lavoriamo al Piano Regolatore per la Sardegna».

16 aprile: «In ufficio si lavora per il piano regolatore della Sardegna. Temporale».

22 aprile: «Ultimiamo il Piano Regolatore per la Sardegna».

23 aprile: «Milano. A colazione da Ponti, Giornata serena. Cattive informazioni dall’arch. Valle che ha da essere consultato per la Sardegna, vedo quindi prospettive poco allegre per questo lavoro»

4 maggio: «Il nostro progetto del piano regolatore per la Sardegna è stato consegnato a Roma all’ing. Valle e arch. Guidi – hanno accettato e non cambiano nulla salvo qualche dettaglio»

21 maggio: «La mattina mi viene a prendere Segre e Guidi. Incontro con ing. Valle. Buona impressione. A colazione con Ceppi – ci mettiamo d’accordo sulla ripartizione del lavoro – a Valle e Guidi piano regolatore e scuole – a Montuori albergo e ville impiegati – per me in centro urbano – resta in forse la chiesa». «Segre alle 11 ha visto il capo (Mussolini) che ha accettato completamente il programma finanziario per le miniere della Sardegna.»

7 giugno: «Colloquio con Ceppi e con gli arch. Valle Guidi e Montuori. Cena al Quirinale all’aperto – bellissimo – … riparto».

19 giugno: «Consegno a Lach (collaboratore dello studio STUARD ) il mio progetto per la piazza di Carbonia».

19 giugno: «Occupazione di Bilbao da parte dei nazionalisti. Bagno a Sistiana. Colloquio con Segre a cui mostro il progetto di Carbonia, la Chiesa ancora in forse».

1 luglio: «Alle 11 partiamo da Ostia con l’aereo per Cagliari, Ceppi, Guidi, Montuori ed io. Dopo pranzo a Bacu Abis e nella zona del futuro villaggio di Carbonia».

2 luglio: «Discuto con Ceppi i miei progetti, poi con Guidi la pianta del centro urbano che avevo sostanzialmente modificato e che ora riporto a Guidi per dargli una soddisfazione come autore del piano regolatore. Parto alle 15 con l’aereo, la sera parlo col dott. Frasca – riparto per Trieste».

15 luglio: «Si lavora al progetto per il centro urbano di Carbonia».

21 luglio: «È morto Marconi a soli 63 anni – il mondo intero esalta la memoria del grande genio che darà nome al suo secolo».

20 agosto: «Lavoro febbrile per i disegni del norvegese e per preparare progetti di Carbonia (chiesa e resto) che Lach dovrà portare a Fusine dal Comm. Segre».

17 settembre: «In ufficio lavoro intenso per Carbonia. Progetto di Teatro».

19 settembre: «Preparo nuovo progetto per il Municipio di Carbonia, 21 parto per Roma».

22 settembre: «A Roma lunga conferenza con ing. Ceppi, con Guidi e con Valle. Esamino con Valle Casa e con Galante i lavori del bar Ambasciatori – Ceppi a nome di Segre insiste perché il lavoro si faccia con paternità collettiva. Non sono per niente convinto».

24 settembre: «Piove. Lach torna da permesso di 5 giorni. Facciamo nuovi progetti per alcuni edifici della Piazza di Carbonia».

3 ottobre: «In ufficio si lavora per spedire i progetti di Carbonia a Roma».

9 ottobre: «Disegniamo prospettive piazza Carbonia – sono scontento della planimetria generale impostata da Guidi e Valle»

20 ottobre: «Da Roma mi fanno urgenza per la consegna dei progetti Carbonia. Sono inquieto e tormentato perché non soddisfatto di alcuni particolari».

21 ottobre: «Con Segre, Tannini, Alessi ad Arsia per i preparativi dell’inaugurazione che avrà luogo il 4 novembre. Giornata luminosa».

22 ottobre: «Nel mio ufficio si è fatto un modello della piazza di Carbonia – con ciò posso controllare meglio il rapporto fra i vari edifici. All’ultimo momento trovo una soluzione anche per l’edificio poste bar – incomincio ad essere più tranquillo».

23 ottobre: «Spediamo a Roma disegni per gli edifici della piazza di Carbonia».

27 ottobre: «Esamino il modello della piazza di Carbonia».

Con quest’ultima notazione si conclude il diario del 1937, nel 1938 con una lettera datata 1° agosto lamenta il pagamento della sua parcella. Cala il sipario sul suo impegno per Carbonia.

Siamo ormai prossimi alla data del 18 settembre del 1938 in cui Benito Mussolini a Trieste pronuncia il discorso che annuncia l’emanazione delle leggi razziali; può apparire un paradosso: siamo a tre mesi dall’inaugurazione di Carbonia che avverrà il 18 dicembre del 1938 e proprio a Trieste, dove tutto era incominciato, si chiude il cerchio di questa vicenda con l’immediato allontanamento dei principali protagonisti di questa “avventura” dalla scena pubblica.

Guido Segre fu rapidamente rimosso dalla direzione dell’Azienda Carboni Italiani, Gustavo Pulitzer abbandonerà l’Italia, cogliendo l’occasione rappresentata dall’incarico della progettazione del padiglione “Italian Restaurant Conte di Savoia alla Fiera Internazionale di New York”. Tornerà in Italia 9 anni dopo nel 1947.

Tore Cherchi, nel corso del suo intervento, ha giustamente richiamato l’attenzione sulla data del 27 gennaio dedicata al giorno della memoria in ricordo della Shoah, una delle pagine più buie dell’intera storia dell’umanità. Si tratta di un richiamo attinente al nostro racconto, vorrei ricordare in questa sede uno degli altri nomi dell’architettura del ventennio: Giuseppe Pagano che fu incaricato di redigere il piano urbanistico che prevedeva il raddoppio del comune di Portoscuso; concluse la sua sfortunata esistenza nel campo di sterminio di Mauthausen.

A Carbonia si intravide da subito la sua forte vocazione urbana con tutti gli elementi di modernità che la contraddistinsero, mettendola in qualche modo, in oggettivo contrasto con le parole d’ordine che avevano caratterizzato la propaganda dedicata dal regime fascista delle città di Fondazione, sia dell’Agro Pontino che della stessa Arborea: bonifica e ruralizzazione.

La stessa narrazione di queste vicende, talvolta accompagnata ancor oggi da toni nostalgici, delle quali non intendo sminuire in alcun modo grandezza e valore, spesso ne ignora la complessità e la dialettica che ha generato; c’è, infatti, una fase precisa nella quale emergono pubblicamente elementi di deterioramento nei rapporti tra ingegneri, architetti e committenza pubblica, che talvolta resero necessario l’intervento riparatore dello stesso Mussolini, come nel caso di Sabaudia e della Stazione di Firenze.

La lettura dei diari rivela in modo inequivocabile il ruolo preminente esercitato da Pulitzer non solo nella progettazione del Centro Urbano, degli Alberghi Operai, etc. ma nella redazione stessa del Piano Regolatore della Città, attribuito finora a Valle e Guidi e del quale può essere considerato a pieno titolo uno dei principali autori.

Gustavo Pulitzer Finali, nonostante il suo valore sia stato colpevolmente sottovalutato in sede storica e anche dagli ambienti dell’Accademia, è ricordato per il grande contributo fornito all’architettura navale del nostro paese e sulla scala europea, ebbe committenti di grande caratura nel ramo civile, dall’Armatore Cosulich, al Lloyd Sabaudo, quello Triestino, alla Società Italia, come ne ebbe altrettanti importanti anche dalla Marina Militare Italiana come quello delle Corazzate Vittorio Veneto, Andrea Doria, Roma, per citare le più note.

In questo panorama, siamo nel nefasto ventennio, Pulitzer non prese mai la tessera del PNF (Partito Nazionale Fascista), aggiungo con piacere un richiamo presente del già citato libro di Sanna e Monni a proposito del suo stile: «… da sempre avverso a qualsiasi forma di elogio del fascismo».

Credo che la decisione di ricordarne solennemente la figura, con l’apposizione di una targa commemorativa nella nostra città assunta dall’Amministrazione comunale, riassume con un gesto semplice la gratitudine che noi tutti gli dobbiamo.

Antonangelo Casula

 

La mattina del 19 ottobre 1937 il Capo del Governo, Benito Mussolini, firmava il decreto che sanciva la nascita del comune di Carbonia, 14 mesi prima dell’inaugurazione della città; il pomeriggio di quello stesso giorno, dieci minuti prima della conclusione del turno di lavoro, 14 minatori persero la vita in una tragica esplosione (8 si salvarono, tra loro un ragazzino di soli 15 anni, Antonio Canè), nel pozzo di Schisorgiu, nell’area dove ora sorge il parcheggio del supermercato Lidl, all’incrocio tra la via Logudoro e la via Dalmazia. 

A distanza di 80 anni, nel 2017, quella tragedia è stata ricostruita con un progetto della memoria storica, “Schisorgiu 1937”, curato dalla Società Umanitaria, e la memoria viene tenuta viva anche dalla coop Scila, dall’associazione Amici della Miniera, dalla Sezione storia locale del Comune, dallo Sbis e dalla compagnia Teatrale la Cernita. Inoltre, sarà documentata in un libro di Mauro Pistis, di prossima pubblicazione, editore Giampaolo Cirronis.

«Un fatto drammatico che riguarda la storia della nostra comunità e le sue radici che affondano nella cultura mineraria, per questo dobbiamo preservarne la memoria – ha sottolineato il sindaco di Carbonia, Pietro Morittu -, il più grave incidente sul lavoro mai accaduto nella storia della nostra isola.
Una tragedia rimasta nascosta per lungo tempo e che “non ebbe la risonanza che meritava”. Da allora furono apportate alcune modifiche ai regolamenti per tutelare i lavoratori, sebbene questo non impedì il ripetersi di successivi infortuni nelle miniere di carbone del Sulcis. Nel pozzo Schisorgiu a Sirai 22 persone rimasero coinvolte in quella terribile esplosione di polvere di carbone e solo 8 riuscirono a sopravvivere.»
«Ancora oggi nei luoghi di lavoro si verificano gravissimi incidenti che potevano essere evitati e questa tragedia, dopo 84 anni, è di drammatica attualitàha concluso Pietro Morittu -: è importante non solo come fatto storico, ma anche come monito continuo alla prevenzione e alla sicurezza delle persone.»

 

La data di “ Una giornata particolare”, il film di Ettore Scola con Sofia Loren e Marcello Mastroianni, è il 6 maggio 1938. Roma si preparava ad accogliere Adolf Hitler in visita a Benito Mussolini e andavano prevenuti le eventuali manifestazioni di dissenso. Tra i preparativi di neutralizzazione dei problemi vi era compreso anche un rastrellamento di omosessuali e intellettuali dissenzienti. I catturati vennero portati a Civitavecchia e imbarcati per Cagliari, destinati ad un confino temporaneo a Carbonia.

Il 17 novembre 1938 l’Italia approvò le “leggi razziali”. Il 18 dicembre 1938 venne inaugurata l’avvenuta fondazione di  Carbonia. Allora l’ospedale Sirai era in costruzione e fungeva da ospedale provvisorio un edificio in piazza Cagliari.

Nello stesso periodo i nazisti preparavano un piano per dare il dominio del mondo ad una “razza superiore” e liberarlo da zingari, disabili, testimoni di Geova, ebrei, omosessuali ed oppositori politici. Si andava strutturando una rete di campi di detenzione e lavori forzati estesa e capillare: tra Germania e suoi alleati si contarono poi  ben 42.000 campi di concentramento. Dachau, Aushwitz e Bukenvald erano solo la parte emersa dell’iceberg.   

Sappiamo come andò a finire la teoria della “razza superiore”. Per porvi fine, ci volle una Guerra terrificante.

Nel 1946 si celebrò il Processo di Norimberga. La seconda parte del processo venne dedicata ai crimini medici perpetrati contro disabili e omosessuali. Queste due forme di disagio sociale, messe sotto la lente d’ingrandimento della opinione pubblica mondiale, ottennero un forte incremento dell’interesse e della solidarietà popolare per le vittime.

Fino ad allora, lo studio dei disagi sessuali da parte di sociologi, psicologi, giuristi, medici e chirurghi era pochissimo diffuso. In Italia il primo centro specialistico pubblico di chirurgia dell’apparato urinario e genitale maschile fu costituito a Trieste ai primi del 1900 sotto la guida del professor Carlo Nicolich, un chirurgo che si era formato a Vienna. Per coincidenze storiche i sardi ne furono influenzati.

Durante la Prima Guerra Mondiale ad assistere i feriti delle Battaglie sull’Isonzo erano stati chiamati  in forza numerosi chirurghi sardi provenienti dall’Ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari. Lo scambio culturale fra medici austriaci e medici sardi vi fu nonostante la trincea, e fu proficuo. Alla fine della guerra, uno di questi, il dottor Nino Lasio, di Serramanna, venne trattenuto dall’Università di Milano per organizzarvi e dirigere un reparto di Chirurgia uro-genitale specialistico. I colleghi cagliaritani del San Giovanni di Dio mantennero fitti rapporti col professor Lasio e, alla fine degli anni ’30, venne istituita a Cagliari la Scuola di specializzazione in Chirurgia uro-genitale sotto la direzione del professor Rodolfo Redi, Patologo Chirurgo. Risulta dai registri dell’Università che il primo specialista sardo in quella branca fu il dottor Gaetano Fiorentino che era anche il primo Aiuto universitario di Redi. Il dottor Gaetano Fiorentino assolse al suo obbligo militare nell’ARMIR e fece tutta la campagna di Russia operando feriti assieme ai colleghi chirurghi tedeschi ed austriaci. Al ritorno dalla Guerra, nel 1945, venne comandato a dirigere il reparto di Chirurgia generale dell’ospedale Sirai di Carbonia. Qui si dedicò moltissimo alla chirurgia uro-genitale degli adulti e dei bambini, tanto che il 33% della sua chirurgia era rappresentato da questa branca. Dopo di lui, il primario subentrante fu il professor Lionello Orrù, anch’egli specialista in quel genere di chirurgia e, in quegli anni si produssero pubblicazioni scientifiche. Vennero allora pubblicati studi internazionali che, per la prima volta dimostrarono, con pesanti dati statistici, la gravità del disagio sessuale maschile che risultava essere alla base di un numero di vittime per suicidio 8 volte superiore alla media della popolazione. Dal 1983 quella chirurgia non si fece più a Carbonia, perché divenne competenza della Chirurgia pediatrica dell’ospedale Crobu ad Iglesias.

La sentenza di Norimberga fu fondamentale per elaborare il dramma del razzismo e della discriminazione, e ad essa si devono vari articoli in tutte le Costituzioni del mondo. In Italia, contro i crimini generati dall’istigazione all’odio, la Costituzione contiene gli articoli 3 e 32.

L’articolo 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere ostacoli…»

Dopo l’approvazione di quell’articolo, ci vollero 45 anni per dare norme applicative all’articolo 604 bis del codice penale, finalizzato a sanzionare i reati di discriminazione razziale. Ci pensò il senatore Nicola Mancino (DC, oggi PD) con la legge n. 205 del 1993, che recita: «E’ vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

La storia dell’uomo assomiglia alla Fisica quantistica in cui il tempo, come comunemente lo concepiamo, non esiste. L’invenzione del motore endotermico e della dinamo per la corrente elettrica hanno cambiato  la qualità della vita ma la natura umana, in fondo, non è cambiata. L’Uomo ha sempre bisogno di leggi e di sanzioni che lo inducano a riconoscere la dignità del suo simile. Tutt’oggi siamo alle prese con le incomprese regole della Genetica e con la ideologia novecentesca del “razzismo”. Ecco come iniziò il malinteso.

Nel 1843 il monaco Gregor Mendel pose le basi della Genetica e ne dettò le regole. Dapprima venne ignorato, poi ai primi del 1900 sbocciò la teoria del Neo-mendelismo e, con l’evoluzione del microscopio e della Biochimica, si scoprirono i “cromosomi”. L’ideologia di quegli anni esaltò il significato della parola “razza” e concepì l’esistenza di una “razza superiore” dominante su una “razza inferiore”. Questa distinzione fu il primo atto  che portò alla “discriminazione razziale”, e alla sua degenerazione, riassunta in un unico termine: “razzismo”.

Il razzismo sociale, basato su principi genetici, portò all’istituzione di regimi politici che ebbero come conseguenza la persecuzione delle cosiddette razze inferiori fino alla pratica dello sterminio. In seguito per distinguere gli aspetti fisici diversi (somatici) secondo le provenienze geografiche, si pensò di utilizzare il termine “etnia” al posto di razza. Anche questo termine, come abbiamo visto nelle recenti guerre balcaniche, è stato utilizzato per formulare il concetto di “pulizia etnica”.

In realtà, il concetto di “razza” è oggi destituito di qualsiasi validità scientifica perché tutti gli esseri umani hanno lo stesso corredo genetico. Allora, perché ci sono umani dalla pelle nera, coi capelli ricci, il naso camuso, ed umani bianchi con capelli lisci, chiari ed il naso piramidale? La scienza ha spiegato questo fenomeno con la esistenza dei “ Fenotipi”. In biologia il “fenotipo” è l’aspetto che assume un organismo vivente a causa delle influenze dell’ambiente sul genotipo, cioè sul corredo genetico conservato nei cromosomi. Questo significa che l’aspetto che assume ognuno di noi dipende non solo dai cromosomi ma anche dalla influenza che ha su di essi l’ambiente in cui si vive.  E‘ una scoperta che aiuta a capire che nei cromosomi, in realtà, esistono moltissimi geni diversi fra di loro, e che l’ambiente fa esprimere i geni più adatti e, intanto, mette in sonno i geni non utili in quel momento.

Questa straordinaria capacità di cambiamento nel comportamento dei cromosomi viene resa ancora più complicata dalla Epigenetica.  Questa scienza ha dimostrato che l’aspetto fenotipico che assumiamo, e che è ereditabile, è dovuto alla produzione di nuove proteine che l’ambiente ci ha indotto a produrre.

Ciò spiega perché, in base alle influenze ambientali, abbiamo uomini bianchi e uomini neri senza che vi sia stato cambiamento di razza. Cioè:siamo tutti della stessa razza genetica.

Considerato l’enorme numero di fattori genetici e epigenetici che si combinano fra di loro (come 1-2-x di una schedina del totocalcio) si capisce l’immensa variabilità di aspetti che possono assumere gli organismi viventi pur avendo lo stesso corredo genetico.

Gli Umani hanno 23 coppie di cromosomi (cioè 46 in tutto). la ventitreesima coppia è formata dai cromosomi sessuali: X-X per le femmine; X-Y per i maschi.

I cromosomi sessuali X e Y possono avere anch’essi variazioni strutturale e anche di numero. Per esempio la ventitreesima coppia può avere 1 cromosoma, 3 cromosomi, o anche 4 (X0, XXY, XYY, XXX, XXXX). Tali variazioni spesso si associano a infertilità.

Gli umani possono anche avere variazioni del fenotipo; cioè possono subire cambiamenti nell’aspetto o nelle funzioni fisiologiche a causa di influenze provocate dall’ambiente.

L’aspetto fisico del sesso di appartenenza può essere variato da altri fattori come: l’effetto di ormoni, le influenze ambientali, le mutazioni geniche, gli effetti farmacologici. Ne può derivare la comparsa delle cosiddette ambiguità sessuali anatomiche e funzionali, con conseguente difficoltà a capire il sesso di appartenenza del soggetto.

Un esempio di influenze ambientali sulla biologia sessuale è il seguente. Negli ultimi 80 anni abbiamo avuto una progressiva riduzione della fertilità maschile. Questa è una delle cause della ridotta natalità. Si è scoperto che tale fenomeno è andato di pari passo con cambiamenti drastici dovuti all’attività dell’Uomo con effetti sull’ambiente. Ne è conseguita anche un forte aumento dei tumori delle gonadi maschili (da 8 a 15 volte). Si è scoperto che l’insetticida DDT utilizzati negli anni successivi al 1950 nelle campagne antimalariche  ha un forte effetto estrogenico femminilizzante. Un tale effetto nell’embrione può provocare una lesione del sistema ormonale di mascolinizzazione se è geneticamente maschio. Così pure si è visto che gli anticrittogamici usati in agricoltura hanno effetti ormonali femminilizzanti. Gli anticrittogamici entrano nella catena alimentare animale e li possiamo assumere attraverso il latte e le carni in quanto gli erbivori si nutrono di erba e foraggi potenzialmente trattati, così pure li possiamo assumere attraverso i vegetali della dieta. Le stesse creme per la pelle in genere contengono sostanze ad effetto estrogenico. Insomma: siamo circondati da sostanze ad effetto ormonale femminilizzante e nessuno può ritenersi al sicuro dalla loro influenza.

Fortunatamente le normative sul controllo delle sostanze chimiche presenti negli alimenti, distribuiti nella rete commerciale europea, sono le più rigorose al mondo. Basti pensare che la guerra sui dazi avviata da Trump era in buona parte dovuta al rifiuto dell’Europa alla commercializzazione di carni di bovini americani proprio perché la loro qualità chimica non è sempre conforme alle nostre regole. Le regole italiane sono le più rigide in Europa.

Fatte queste premesse si capisce quanto l’argomento sulla identificazione del sesso di appartenenza sia messa in pericolo e spesso sia difficile.

Nella pratica clinica si differenziano i sessi in :

  • sesso genetico
  •     somatico (l’aspetto fisico)
  •    ormonale
  •    psicologico

Il sesso genetico si individua con la ricerca dei cromosomi X e Y.

Il sesso somatico si basa sui caratteri sessuali esterni e interni.

Il sesso ormonale si classifica con il dosaggio delle Gonadotropine, Testosterone , Estrogeni.

Il  sesso psicologico si identifica con i test comportamentali sessuologici.

Le ambiguità sessuali anatomiche possono essere  modificate chirurgicamente, a richiesta, in senso maschile o femminile tenendo conto del sesso psicologico che si è maturato, indipendentemente da quello genetico. Cioè se il soggetto è geneticamente maschio ma ha un orientamento sessuale femminile si procede a eliminare chirurgicamente i caratteri sessuali maschili e costruirne, per quanto possibile, femminili. Ciò però dipende dalla entità della disforia di genere a dalla richiesta avanzata.

Il sesso psicologico, cioè la manifestazione esteriore del comportamento sessuale, è ritenuto dominante sul sesso genetico e somatico, e si procede a migliorare il benessere del soggetto sia con tecnica chirurgica che ormonale.

Questo è quanto già avviene nella chirurgia delle ambiguità sessuali.

Vi sono poi i soggetti che non richiedono alcuna correzione e scelgono il fenotipo prevalente nella personalità.

La chirurgia di questo tipo viene garantita dai Lea (Livelli essenziali di assistenza) e pagata a spese dello Stato con sentenza di un giudice, su parere di una Commissione di esperti.

Questo stato di cose è noto agli specialisti a sfugge al pubblico in generale. Su queste procedure non esistono conflitti perché sono già regolamentate dalle leggi italiane.

Secondo la legge, l’attribuzione del sesso di appartenenza di una persona avviene in questo modo.

1  – Al momento della nascita viene redatta una “dichiarazione di nascita” da parte dell’Ostetrica o del Medico che ha assistito. In tale dichiarazione viene attribuito il sesso del neonato in base all’anatomia genitale.

2 – Il genitore registra all’Anagrafe l’evento e allega la “dichiarazione di nascita”. Qui avviene l’attribuzione del sesso anagrafico. Nessuno può modificare il sesso assegnato dall’Anagrafe.

3 – Soltanto l’Autorità Giudiziaria può ordinare all’Ufficiale dell’anagrafe la variazione dell’attribuzione di sesso (L. 164/1982).

4 – Per il d.lgs n. 150/2011 il legislatore affida all’Autorità giudiziaria il controllo della rettificazione anagrafica del sesso. La competenza in materia è affidata al Tribunale in composizione collegiale e il procedimento deve essere richiesto dall’interessato e notificato al coniuge e ai propri figli.

5 – L’intervento chirurgico di cambiamento di sesso deve essere autorizzato dal Giudice.

6 – La Corte Costituzionale con pronuncia n.221/2015 non riconosce più il trattamento chirurgico quale presupposto indispensabile per il mutamento di sesso, tuttavia affida sempre al Giudice la valutazione finale sull’effettiva necessità dell’intervento operatorio sull’interessato.

7 – Il Giudice a questo punto autorizza l’intervento chirurgico qualora esista conflittualità fra anatomia e identità di genere (causa di Disforia di Genere).

8 – Nel caso in cui non esista conflittualità il Giudice autorizza la rettifica del genere all’Anagrafe senza che si sia proceduto all’intervento chirurgico di modifica. In questo caso è sufficiente un certificato del medico o dello psicologo clinico che attesti l’esistenza di dissociazione fra sesso morfologico e identità di genere. Tale certificato viene rilasciato dopo un “percorso di transizione” con trattamento medico e psicologico. Quindi è necessario un congruo arco temporale per l’iter di accompagnamento alla transizione.

9 – Con la sentenza di autorizzazione il Giudice ordina all’ufficiale di Stato civile e Anagrafe la rettifica del sesso dell’interessato.

Il DDL Zan è un tentativo di concretizzare lo scopo voluto dai Padri costituenti quando, ispirati dalla Sentenza di Norimberga, formularono l’articolo 3 della Costituzione allo scopo di proteggere i cittadini  dalle discriminazioni per motivi sessuali.

Tale proposta di legge contro l’omo-trans-fobia contiene anche nuovi elementi, come l’ininfluenza del percorso di transizione, che fino ad oggi è ritenuto fondamentale per accompagnare il soggetto al cambiamento consapevole, e la totale autonomia decisionale del richiedente. Queste due condizioni rendono di fatto inutile il controllo dell’Autorità Giudiziaria. Tale evoluzione è stata ultimamente raggiunta dalla Spagna  dove non sono più necessari i due anni del percorso di transizione come era previsto nella precedente legge; è sufficiente avere 18 anni d’età per decidere autonomamente o 12 anni se c’è il consenso dei genitori. Non è più contemplato il ricorso al Tribunale, e inoltre è sufficiente la richiesta dell’interessato all’Ufficiale dell’Anagrafe e di Stato civile per la rettifica di genere.

L’articolo n. 1 del ddl Zan definisce l’identità sessuale apportando modifiche alla classificazione della clinica, alle funzioni del giudice del tribunale e a quelle dell’Ufficiale di stato civile. Nei particolari, la definizione di sesso così viene espressa:

  • SESSO: sesso biologico o anagrafico.
  • GENERE: qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso.
  • ORIENTAMENTO SESSUALE: l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi.
  • IDENTITA’ DI GENERE: si intende l’identità percepita o manifesta di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.

Considerata l’enorme variabilità dei fenotipi sessuali che possono presentarsi, l’articolo 1 del ddl Zan.

1°) riconosce l’esistenza di una varietà di sessi indefinita sia nel numero e nelle forme, così come si presentano in natura in base alle combinazioni genetiche e fenotipiche,

2°) riconosce la fine di un sesso prevalente, come potevano essere “maschio”, “femmina”  e l’esistenza di una “sessualità” generale di pari dignità.

Si può immaginare che tutti i cittadini saranno coinvolti e coobbligati ad un cambiamento delle attuali convenzioni sociali e dei costumi come oggi sono comunemente intesi e, in particolare:

  • famiglia
  • matrimonio
  • figli
  • educazione scolastica
  • sport
  • lavoro
  • giustizia
  • anagrafe
  • rapporti con le religioni.

Questi descritti sono alcuni argomenti di riflessione e di preparazione al probabile cambiamento.

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Nulla sarà come prima. Man mano che le settimane passano, tutte quelle morti e la paura di morire scivoleranno nell’oblio. Eppure, nei rapporti sociali, fatti di politica, economia, cultura, questo incidente sanitario durato tre mesi modificherà gli schemi della convivenza. Avverrà lentamente. All’inizio questi incidenti sembrano piccoli episodi della storia, successivamente si manifestano nella loro grandiosità.

Capitò a Cristoforo Colombo quando scoprì l’America pensando di aver trovato solo una nuova strada per il commercio delle spezie e della seta. Invece aveva messo il seme di: Canada, Stati Uniti eAmerica Latina.

Esistono tre fili guida su cui corre la Storia: la cultura umanistica, la ricerca del benessere e l’astrazione religiosa. Sono le tre direttrici dell’identità. Poi esistono direttrici peculiari dei luoghi:

  • Sant’Antioco si identifica col suo porto ed il mare;
  • Carloforte nella sua insularità;
  • Il Sulcis nelle sue vigne ed allevamenti;
  • Carbonia e Iglesias nei loro ospedali e nelle attività industriali.

Inoltre queste città riconoscono una identità comune nella storia del loro “Sistema sanitario”.

La Sanità di Carbonia iniziò esattamente il 18 dicembre 1938 con il discorso di Benito Mussolini dalla Torre Littoria, nel tripudio popolare.

Allora esisteva a Carbonia un piccolo ospedaletto in piazza Cagliari. La storia di quei primi anni è scarsa. Abbiamo più notizie nel 1941. Siamo in pieno fascismo e in piena guerra. Le miniere producevano la materia prima per il consumo bellico di energia. 

I primi  professionisti sanitari vennero assunti, con regolare delibera, nel 1941.

La prima figura di Sanitario dipendente fu la signora Liliana Casotti, infermiera ostetrica. Venne assunta il 16 agosto 1941. Lei  da sola, fece nascere migliaia di bambini dalle donne della vasta città di 65.000 abitanti appena sorta.

Il 16 Settembre 1944 venne assunto il dottor Renato Meloni, chirurgo, urologo, ematologo, oncologo, ostetrico e ginecologo. Aveva 25 anni.

Questi due personaggi furono i progenitori del futuro mondo Sanitario.

Esiste su Youtube un bellissimo film documento con immagini di Carbonia in quegli anni. “Fascism in the family”. Interessantissimo. E’ stato girato da Barbara Serra, la famosa corrispondente da Londra di Al Jazeera. Racconta del Podestà di Carbonia di quegli anni: Vitale Piga. Era il nonno di Barbara. Nel film è ben tratteggiato l’ambiente umano di cui si prendeva cura l’Ospedale di piazza Cagliari.

Alla fine della guerra l’Ospedale nuovo, sorto fuori città, venne utilizzato dalle truppe Inglesi. Poi nel 1956, finito il dopoguerra, tutto il personale di piazza Cagliari si trasferì al Sirai. L’Ospedale era diventato “Ente Ospedaliero Comunale”, ed era classificato come “Ospedale zonale”. Al di sopra dell’ospedale zonale vi era l’”Ospedale Provinciale di Cagliari”, il San Giovanni di Dio. Nel passaggio tra anni ’60 e ’70 il Sirai, per il suo volume di attività, stava per essere riclassificato come Ospedale “Provinciale”. Era Sindaco Pietro Cocco. La procedura non andò a conclusione.

Intanto la compagine Sanitaria era cresciuta:

  • Nel 1945 venne assunto il nuovo primario chirurgo, proveniente dalla Patologia Chirurgica dell’Università di Cagliari, dottor Gaetano Fiorentino. Era un  reduce della campagna di Russia come chirurgo dell’ARMIR.    
  • Nel 1951 venne assunto il dottor Luciano Pittoni, chirurgo, pediatra, ginecologo, ostetrico, traumatologo, neurochirurgo e, soprattutto, anestesista. Fu il primo specialista in Anestesiologia in Sardegna. 
  • Nel 1953 fu assunto il dottor Giuseppe Porcella, chirurgo, traumatologo, proveniente da Sassari.
  • Nel 1954 venne assunto il dottor Enrico Pasqui che, all’età di 25 anni, iniziò a dirigere la Medicina Interna e la Pediatria.
  • Nel 1955 fu assunto il dottor Pasquale Tagliaferri: oculista.
  • Nel 1956 fu assunto il dottor Mario Casula: farmacista.
  • Nel 1956 fu assunto il dottor Enrico Floris: nuovo primario internista.

Nell’anno 1956 il corpo sanitario era formato da 9 persone di cui: di cui 7 medici, 1 ostetrica, 1 farmacista.

Da quel primordiale crogiolo fu generata la complessa organizzazione Sanitaria successiva.

L’Ospedale fu governato, negli anni di crescita, dal Sindaco Pietro Cocco. L’Amministratore era Dioclide Michelotto. Il “Consiglio di Amministrazione” era lo stesso “Consiglio Comunale di Carbonia”. Il Sindaco della città, era il Presidente dell’Ente Ospedaliero.

Il numero degli ammalati messi nelle mani di questi pochi medici era immenso. Si consideri che Carbonia agli albori degli anni ’60, aveva 60.000 abitanti; Sant’Antioco ne aveva 14.000; Carloforte ne aveva 7.000.

L’Ospedale aveva 384 posti letto, tre volte tanto gli attuali  posti letto per acuti. Vi erano due reparti di Medicina Interna, uno di pediatria, uno di Chirurgia Generale, uno di Traumatologia, uno di Ostetricia e Ginecologia, il Pronto Soccorso, la Radiologia, un attrezzato Laboratorio, un Centro Trasfusionale, un ambulatorio chirurgico oculistico per le operazioni di cataratta e rimozione dei corpi estranei dall’occhio, un ambulatorio di Otorinolaringoiatria, le cucine per i ricoverati , la Lavanderia, la falegnameria, le caldaie per il riscaldamento, la squadra di elettricisti, l’officina, la squadra di operai tecnici. Vi erano residenti in Ospedale le Suore Orsoline e i medici (dottor Gaetano Fiorentino, dottor Renato Meloni, dottor Luciano Pittoni). I chirurghi erano immediatamente presenti per le urgenze.

Si eseguivano 1.600 interventi chirurgici l’anno, contro gli 800 circa attuali.

Nascevano 2.000 bambini l’anno, contro gli attuali 300 circa di Carbonia e Iglesias assieme.

Le prestazioni sanitarie venivano pagate dalle Casse Mutue. Il Bilancio dell’Ente era sempre attivo e Il surplus veniva utilizzato per le opere pubbliche nella città di Carbonia. Attualmente invece i bilanci annuali sono in debito per milioni di euro.

Poi arrivò la crisi delle miniere, ma l’Ospedale sotto la guida del Comune, aumentò la consistenza numerica dei suoi dipendenti, e distribuì stipendi che tennero viva la rete commerciale locale. Pertanto, il buon funzionamento della Sanità si traduceva anche in un beneficio economico per il territorio.

Era sempre Presidente Pietro Cocco quando venne promulgata la legge più importante della storia Repubblicana: la legge 833 del 1978. Era la “Legge di Riforma sanitaria”. Fu una grandiosa rivoluzione. Nacquero le ASSL. Quella di Carbonia fu la n. 17; quella di Iglesias fu la n. 16. Scomparvero gli Enti Ospedalieri Comunali e comparvero le “Aziende Socio Sanitarie Locali”. Tutti i Comuni dell’hinterland, cioè il Sulcis, nominarono nel 1982 i Delegati Comunali per il “Comitato di Gestione della ASSL”. Tra i consiglieri comunali eletti, venne formato il Consiglio di Amministrazione della ASSL. Il primo Presidente, dopo Pietro Cocco, fu Antonio Zidda; il vicepresidente fu Andrea Siddi, che era anche Sindaco di Sant’Antioco.

Le deliberazioni della ASSL venivano assunte dopo confronti serrati sia fra i consiglieri comunali del territorio, sia fra Amministrazione e Sindacati.

L’epoca dei Comitati di Gestione fu un fermento di idee e di partecipazione popolare. Furono prese allora le decisioni di miglioramento dei Servizi Ospedalieri fino ad oggi.

Il numero dei Sanitari aumentò e le istanze dei Medici furono rappresentate, in Amministrazione, dal “Consiglio dei Sanitari”. Il parere dei Medici fu fondamentale per qualsiasi decisione di tipo sanitario. La collaborazione fu proficua.

La Direzione Amministrativa Sanitaria della Sardegna era attribuzione dell’Assessore regionale della Sanità che agiva come super-presidente delle ASSL.

In questa scala gerarchica della catena direzionale la volontà popolare del territorio era genuinamente rappresentata.

Negli anni ’90 il corso della storia della Sanità Ospedaliera cambiò bruscamente direzione.

Arrivarono i “Tecnici”. Tristi figure di scuola bocconiana che stravolsero il senso del “prendersi cura dell’Altro”. Gli Ospedali cambiarono nome: si chiamarono “Stabilimenti”. Anche i “pazienti” cambiarono nome: si chiamarono “clienti”. Il prodotto dello “Stabilimento” doveva essere gestito con le stesse regole con cui si producono e si vendono i prodotti industriali. L’obiettivo non era più il benessere sanitario ma il “bilancio”. Il numero di posti letto per mille abitanti fu portato da 6 a 3. Il “bilancio” fu l’ossessione contabile prevalente e si pretendeva di conservare “efficienza e efficacia” pur tagliando posti letto, organici e spese per aggiornamento strumentale e strutturale. Le dinamiche decisionali non derivavano più dal confronto fra i bisogni popolari e la parte politica, ma dalla sequenza rigida di azioni dettate dalla scaletta di un algoritmo. L’algoritmo spodestò lo “spirito di servizio” e la “mediazione” con le “forze sociali” attraverso un retinacolo di passaggi burocratici, impenetrabile al cittadino comune. Il cittadino comune, e anche il più alto rappresentante sanitario della città, il Sindaco, vennero tecnicamente espulsi dal luogo dove si formulano le proposte programmatiche e si prendono le decisioni. Questo fu il frutto delle continue rielaborazioni fino al totale sovvertimento della legge 833.

Il centro del nuovo mondo sanitario venne occupato dallo “apparato burocratico”. I pazienti e i medici vennero posti alla periferia di quel mondo o, più frequentemente, al di fuori.

Il dominio del puro risultato “contabile”  sulla mission di tutela sanitaria della 833 produsse:

  • L’annullamento dei Medici nelle dinamiche decisionali sanitarie,
  • L’annullamento degli Infermieri,
  • La riduzione degli Organici,
  • La conseguente chiusura di reparti medici e chirurgici,
  • La contrazione delle spese per attrezzature ed aggiornamenti,
  • L’accorpamento di reparti deteriorati,
  • La mancata sostituzione dei primari e personale andati in pensione,
  • La insoddisfazione della popolazione costretta a cercare assistenza altrove generando mobilità passiva,
  • L’accentramento della Sanità nelle città capoluogo,
  • L’impoverimento dei Servizi,
  • Le scandalose liste d’attesa.

E ne sono conseguiti:

  • La mobilità passiva verso Cagliari, Sassari ed il Continente,
  • Il trasferimento di somme enormi del Bilancio per pagare i Servizi Sanitari comprati dal capoluogo e dalle Case di Cura private.
  • La perdita, lenta, di circa 1.000 posti di lavoro tra Carbonia e Iglesias a vantaggio di Cagliari.
  • Le 1.000 buste paga scomparse in progressione dal Sulcis Iglesiente, tra la fine degli gli anni ’90 ed oggi, corrisponde a oltre un milione e mezzo di euro di stipendi al mese che manca alla rete commerciale locale.
  • In un anno mancano al circuito di danaro nel Sulcis Iglesiente almeno 18 milioni di euro.
  • La mancanza di soldi dal nostro territorio a vantaggio di territori già traboccanti di privilegi e servizi come Cagliari genera: povertà.
  • La povertà e la mancanza di lavoro chiudono il cerchio e si autoalimentano.
  • La fuga delle giovani coppie che ne consegue si traduce in spopolamento ed invecchiamento relativo.
  • I meno giovani restano in balia di un sistema che non è più “accogliente” come ai tempi dei “Comitati di Gestione” ma “respingente”.
  • Le lunghissime “liste d’attesa” sono la rappresentazione grafica perfetta del “respingimento” in atto.

Durante il “lockdown” abbiamo assistito ad un fenomeno impensabile: il “silenzio” dei Medici Ospedalieri.

Nessuno parla, nessuno informa, né partecipa alle ansie della gente. Muti lavorano, distogliendo lo sguardo.  Il “silenzio” dei Medici Ospedalieri è il sintomo chiaro della loro esclusione dalla Sanità.

Ora è il momento.

Se è vero che nulla sarà come prima, dobbiamo stare attenti. Il cambiamento può essere in meglio o anche in peggio.

Per tutto ciò che ho detto in premessa, questo è un momento storico: sul cavallo in corsa della nostra Storia Sanitaria è stato cambiato il cavaliere. Bisogna verificare chi è, e in quale direzione intende correre questo cavaliere post-Covid.              

Mario Marroccu         

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Ieri mi è capitata una cosa che mai mi sarei aspettato. Ho incontrato in un posto che non posso citare, un mio carissimo amico che da un pò di tempo non vedevo. L’incontro non è stato casuale ma sapevo bene che c’era qualcosa di cui doveva parlarmi e che non poteva tenersi dentro. Questo mio amico lo chiameremo Francesco.
L’incontro verteva, essenzialmente sull’argomento, delle leggi razziali. Ecco di cosa voleva parlarmi questo mio amico.
Le argomentazioni sono state varie e molto profonde, sulle tematiche di cui tutti i media parlano, ma le ferite rimangono e non passano mai.
Sì, Francesco ha dei parenti lontani di origine ebrea. A distanza di tanti anni è difficile dimenticare Benito Mussolini e tutto quello che è accaduto, le tragedie e le infamie di si sono macchiati i fascisti durante quel periodo e tutte le angherie che gli ebrei hanno dovuto subire.
Ancora oggi, quando ne parla, gli occhi di Francesco diventano tristi e le lacrime gli rigano il viso, perché a distanza di tanti anni «ci sono questi rigurgiti razzisti, perché non solo gli ebrei ma anche tantissimi altri devono subire queste umiliazioni».
La storia, a quanto pare, sembra non averci insegnato nulla e questa follia che si è impossessata di queste menti malate, le ha per così dire corrotte moralmente e come assuefatte sono cadute nella trappola dell’odio che, poco alla volta, le ha fagocitate.
Caro Francesco, credo che ci vorrà del tempo perché questo stato di cose possa finire definitivamente nel dimenticatoio, per sempre fuori da ogni razionalità. «Bisogna – aggiunge Francesco – rispettare le sofferenze di tutte quelle popolazioni che hanno pagato con la vita la loro appartenenza».
La storia, attraverso i fatti che sono stati descritti, non può fare altro che ricordare lo scempio perpetrato, le ignominie, le persecuzioni che hanno trovato il loro culmine con i campi di sterminio, la Shoah che non può mai essere dimenticata.
Di questo voleva parlarmi il mio amico, aveva necessità di dirmi questo, le sue angosce ed il suo rammarico, perché se avesse avuto la possibilità, avrebbe aiutato quanti si fossero trovati nella necessità di essere salvati da tutte queste efferatezze.
Caro Amico, sono io che ti ringrazio per avermi dato la possibilità di capire ancora meglio il tuo dolore, a distanza di tanti anni, e solo con il nostro impegno potremo dare un senso a questa vita che deve essere vissuta nella condivisione, nella libertà e nella fratellanza più schietta.
Armando Cusa